Ultimamente
Draco non faceva che domandarsi come potesse resistere
quell’apparente calma
che, a differentemente dal mondo esterno, dominava ancora ad Hogwarts,
in
contrasto con i tempi che correvano.
Il Signore Oscuro era tornato, ormai la notizia era di dominio
pubblico, ma ai
suoi occhi, quelli di uno dei tanti studenti dell’istituto,
quella scuola
appariva come gli anni precedenti: un posto sicuro, dove niente e
nessuno
avrebbe potuto fare del male a chi la frequentava.
Proprio per questo gli era stata affidata quella missione, per
permettere alle
forze oscure di penetrare quelle potenti mura, eludendo la sicurezza
garantita
dal preside, uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, e
degli insegnanti.
Ma le sue convinzioni avevano iniziato a vacillare. Era giusto
ciò che stava
svolgendo in qualità di mangiamorte e di sostenitore di
Voldemort?
Non che avesse scelta. Sapeva cosa succedeva a chi si opponeva al
Signore
Oscuro e lui non voleva mettere in pericolo la propria vita, e nemmeno
quella
dei propri cari.
La pioggia battente creava disegni astratti sulle grandi vetrate
dell’aula dove
si era nascosto in cerca di tranquillità. In quei giorni il
tempo sembrava
rispecchiare il suo animo, intriso da dubbi e da paure.
Il viso già fin troppo pallido del ragazzo, alla fioca luce
delle candele
accese allo scopo di donare un po’ di luce
all’istituto, in quel momento
appariva spettrale. La sua aria da gradasso era completamente svanita,
nonostante in compagnia di altri cercasse di mantenere la sua solita
postura.
Nessuno sapeva ciò che lo rendeva inquieto, nessuno era in
grado di capirlo.
Alle sue spalle la porta si chiuse.
Draco, seduto al proprio posto con il viso rivolto verso
l’esterno, si voltò a
guardare verso l’uscita per lanciare uno sguardo gelido,
quando la sensazione
che donavano le sue chiare iridi, al nuovo arrivato.
La sua espressione si fece confusa. Potter, Harry Potter, il suo
nemico, stava
ricambiando il suo sguardo.
Lui nutriva dei sospetti nei suoi confronti, l’aveva
dimostrato fin dal primo
giorno, quando, sull’espresso per Hogwarts, Draco
l’aveva immobilizzato nel
tentativo di farlo tornare a Londra senza che nessuno si accorgesse di
lui.
Un sorrisetto si dipinse sul viso del biondo che, alzandosi in piedi,
si voltò
completamente verso di lui e incrociò le braccia al petto
per darsi un’aria
superiore:”Cosa c’è, Potter? Sei venuto
a spiarmi?”
Ma il viso del Grifondoro rimase serio, non che solitamente passassero
momenti
allegri insieme.
Un passo. Un altro ancora. Potter, lentamente, si avvicinò a
lui, forse stando
ben attento alle sue mosse. Non una parola abbandonò le sue
labbra, non un solo
segnale da parte sua.
Probabilmente si trovava davvero lì per controllarlo, per
tenerlo d’occhio, ma
questa volta sarebbe rimasto a bocca asciutta. Non aveva fatto nulla di
male,
se non l’aver saltato la lezione di “Difesa contro
le arti oscure”. Forse
proprio per quello era andato a cercarlo, per non averlo visto seduto
in
compagnia degli altri Serpeverde.
“Vattene, Potter.”, sibilò minaccioso.
Si era escluso per cercare un po’ di
tranquillità, di certo non aveva intenzione di discutere con
lui.
“Cosa ci fai qui?”, domandò il ragazzo
fermandosi a pochi passi da lui.
Draco adocchiò la bacchetta che, come al solito, teneva
nelle tasche dei
pantaloni. Che anche quell’incontro sarebbe sfociato in un
duello?
Be, nel caso non
si sarebbe tirato indietro. Non di fronte a lui.
“Non ti riguarda.”
“Dovresti essere a lezione.”
“Non ti riguarda.”, si trovò a ripetere
col medesimo tono. Non gli avrebbe dato
spiegazioni sulla sua presenza in quell’aula vuota. Per una
volta non stava
facendo nulla di sbagliato.
“Si che mi riguarda.”, ribattè
l’altro.
Non aveva senso rispondere, rischiavano di andare avanti
all’infinito. Draco,
zittendosi, gli diede le spalle e tornò a sedersi
comodamente al proprio posto.
L’intera aula cadde in un profondo silenzio, rotto soltanto
dalla pioggia
battente contro le vetrate e dai respiri agitati di entrambi.
La situazione era diventata pesante, ma non era il caso di provocarlo.
Aveva
ricevuto istruzioni precise sia da suo padre che dal professor Piton,
che lo
teneva costantemente d’occhio, non doveva provocare guai,
doveva agire stando
attento e senza attirare l’attenzione.
Ma cosa poteva farci? Potter non lo lasciava solo nemmeno per un
secondo, ormai
aveva capito che stava agendo secondo un piano preciso e questo non
avrebbe
portato a nulla di buono. Non per lui.
“I tuoi amichetti non ti stanno aspettando?”, gli
domandò stanco di essere
fissato.
“Possono aspettare.”, concluse il moro che,
sedendosi, prese posto nel banco di
fronte a quello occupato dal biondo.
La situazione non avrebbe potuto peggiorare ulteriormente. Solo, in
un’aula
vuota, in compagnia del suo peggior nemico.
“Hai tempo da perdere, Potter?”, gli
domandò tornando a posare su di lui gli
occhi azzurri.
“Molto.”, rispose l’altro facendo
spallucce. Era fin troppo calmo per i suoi
gusti, cosa che lo faceva irritare non poco.
“Scommetto che la mezzosangue sarebbe più che
contenta di passare del tempo in
tua compagnia.”
“Non chiamarla così.”, solo ora la voce
di Harry fu rotta da un ringhio. Si
infuriava sempre quando Draco, inorridito dalla natura della ragazza o
semplicemente per farli irritare, la chiamava in quel modo. Ma
dopotutto non
poteva fare altrimenti, no? Il suo sangue era insudiciato da quello
babbano,
non era una purosangue.
“E come dovrei chiamarla?”, domandò con
tono derisorio.
“Il suo nome è Hermione.”
Il silenzio piombò nuovamente sui due che, uno a destra e
l’altro a sinistra,
distolsero lo sguardo.
Una risatina raggiunse le orecchie del biondo che, voltandosi per la
seconda
volta verso la porta, sentì le chiavi girare nella serratura.
Qualcuno li aveva chiusi nella stanza.
Alzandosi di scatto, e facendo cadere indietro la sedia,
portò subito la mano
ad afferrare la bacchetta che, dopo essersi avvicinato,
puntò verso la
serratura pronunciando:”Alohomora!”
Non successe nulla. La porta rimase chiusa, cosa che
constatò abbassando la
maniglia.
Alle sue spalle percepì i passi veloci di Potter, che
sembrava agitato quanto
lui a causa di quella situazione: si trovavano in un’aula
vuota e chiusa a
chiave, quanto sarebbe passato prima che qualcuno sarebbe andato a
cercarli?
Tiger e Goyle erano troppo stupidi per farlo, senza contare che gli
aveva detto
che non sarebbe tornato prima di qualche ora, ma gli amici di Potter?
Solitamente non gli si scollavano mai di dosso.
“Non verranno.”, disse l’altro, come se
avesse intuito i suoi interrogativi,”Gli
ho detto che avevo da fare.”
Nulla da fare, per quanto cercasse di trovare una scappatoia da quella
bruttissima
sensazione.
“Per Salazar…”, sbottò il
biondo e, voltandosi, calciò la prima sedia che si
trovò davanti, provocando così un forte fracasso.
Doveva rimanere calmo, cosa che gli riusciva alquanto difficile in
previsione di
quelle bruttissime ore in compagnia del ragazzo.
Ma perché sembrava tanto tranquillo? Che fosse colpa sua?
Che dopotutto fosse d’accordo
con i suoi compagni?
No, era alquanto improbabile. Entrambi si ritenevano insopportabili.
Una mossa
del genere sarebbe risultata alquanto masochista da parte sua.
Il Grifondoro tornò a sedersi e, sbuffando, si
passò una mano nei spettinati
capelli, dall’aria davvero indomabile: “ Non
possiamo che attendere.”
Purtroppo non poteva che dargli ragione.
Draco, dopo aver respirato profondamente diverse volte nel tentativo di
tranquillizzarsi, prese nuovamente posto, dopo aver rialzato la propria
sedia.
Piton si sarebbe accorto della sua assenza, era il suo responsabile. Di
certo
si sarebbe fatto vivo prima del giungere della notte… O
almeno ci sperava.