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Autore: Shinny_Leaf    23/09/2013    4 recensioni
Mi chiamo Venus. Venus Blain. Ho 16 anni e vendo me stessa per portare a casa da mangiare.
Domani ci sarà la Mietitura e c'è solo una cosa di cui sono certa: io verrò sorteggiata. Non c'è via di scampo.
Non fatevi impressionare. Io non sono un agnellino impaurito, ma non provo nemmeno piacere a uccidere. Sono sempre la via di mezzo.
La via di mezzo tra una ragazzina un po' pazza e una donna sadica. Quella figura a metà.
Una cosa è certa: se dovrò andare io tornerò a casa.
Tributi...
tremate di paura.
Genere: Azione, Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman, Finnick Odair, Nuovo personaggio, Presidente Snow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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14. Uccidila

 
 
Passo dopo passo, mi allontano sempre di più.
Non intendevo questo, idiota.
Hai detto “Vai avanti” ed è quello che sto facendo.
Vai avanti, lasciati alle spalle tutti e uccidi. Questo intendevo.
Non posso, non lo capisci?
Suvvia, smettila di fare la sentimentale. Lo so benissimo che puoi e lo sai anche tu.
Un rumore, il pianto di una bambina. Tutta la mia attenzione viene attratta da quella ragazzina.
Singhiozza disperatamente.
“ La mia vita, voglio indietro la mia vita!” urla con un’intensità tale da farmi rabbrividire. Non sembra molto lontana da me.
“ La mia casa, la mia famiglia, i miei amici; li rivoglio! Ridatemi tutto! Fatemi uscire da qui!” molte delle sue disperate parole rimangono spezzate a causa dei suoi forti singhiozzi.
Mi avvicino lenta verso lei e mi nascondo dietro un albero per osservarla meglio. È inginocchiata e osserva il cielo. Sembra bassa e minuta. Il suo corpicino esule è ancora intatto, come la sua tuta. Sorprendente, quasi una settimana e il suo corpo è tutto intero. È piccola e pare indifesa. La sua pelle candida è macchiata da un solo graffio minuscolo che ha sul collo mentre il suo viso gronda di lacrime. Le piccole lentiggini che ha vicino al naso sembrano affogare e i suoi occhi color azzurro cielo sembrano un temporale. I capelli lisci e rossi le arrivano fino al fondoschiena. Mi chiedo come abbia fatto a gestirli, io me li sarei tagliata. Non puoi pensare ai tuoi capelli se sei in un posto dove si muore.
È molto graziosa. Il suo viso ha ancora dei tratti infantili, ma molto dolci. Non è il posto giusto per lei. Come può una ragazzina incutere timore? Spacciata dall’inizio.
Il suo petto si alza e si abbassa a causa del suo respiro affannoso mentre si porta le mani al viso e cerca di asciugare inutilmente le sue lacrime.
Non molto lontano dai lei uno strumento di metallo scintilla sotto i riflessi del sole. Un arco.
Ora ricordo; la ragazzina è quella che sapeva usare bene l’arco. La più piccola e la più coraggiosa, a quanto pare.
Ha paura, questo si nota bene, ma sembra essere in possesso di una strana emozione. Un’emozione classificata come sadica dalle menti comuni. Lo si legge nei suoi occhi grondanti di lacrime, nel suo respiro affannoso e nella nota alta e urlata che fa da protagonista nella sinfonia della sua voce. Urla, si dimena, piange. La disperazione vince.
La pura disperazione di una bambina troppo giovane per morire qui. Per morire così. In un modo così sciocco e stupido solo per soddisfare la fantomatica sete di sangue di spettatori che la fame non conoscono. Troppo stupidi, troppo falsi.
Ci chiedono di dimostrarci forti, di essere i migliori e rendere i Giochi entusiasmanti. Come può una bambina eccitare gli spettatori quando chiede solo ciò di cui ha bisogno? Come può lei quando a casa ha famiglia e amici che la guardano sperando in un suo ritorno che non accadrà? Come può?
Stupide domande, non può. È semplice.
Lei aspetta solo di tornare da ciò che ama di più, ma non sa che dietro un albero, a poca distanza da lei, la attende il suo peggiore incubo. Non io, la morte.
Con il suo mantello nero che la protegge, ride compiaciuta, la Morte. Quel suo involucro nero si può fendere non solo con la lama di un coltello. Quel pozzo d’irritazione, quale è la pura disperazione, si può sradicare. Non saranno certo la Morte e la disperazione a fermare me, ma quella ragazzina. Morta ancora prima di avere la possibilità di salvarsi.
Lei è già stata fermata da quella strana coppia di amanti che vagano silenziosi nella mente delle persone. Perché si sa, la Morte e la disperazione s’accompagnano. Si cercano, si amano a distanza, ma quando si trovano non salveranno nessuno dal loro amore macabro. Ti sfondano la porta di casa e ti portano via qualcuno. A loro non importa chi. Non importa il male che fanno. A loro non frega proprio nulla.
L’unica cosa che questa ragazzina non capisce è la più fastidiosa. La più irritante, stupida o sciocca che sia. Deve smetterla di pensare che urlare servirà a qualcosa. Deve smetterla di pensare che anche sfogarsi urlando gioverà in qualche modo alla sua salute mentale; è una cazzata colossale. Può solo peggiorare la situazione.
Il suo dolore e la sua malinconia non possono continuare. La disperazione cieca che è alleggia leggera come una buona notizia nei suoi occhi è viva. Fa quasi paura per come urla. A intervalli irregolari singhiozza.
Uccidila.
Cosa? Non posso farlo. Non so neanche come si chiama.
Uccidila.
Non so niente di lei. Non conosco il suo comportamento, i suoi genitori, la sua vita prima di questa disgrazia. Non so se ha amici al suo Distretto, dove ha imparato a tirare con l’arco, com’è la vita al 7, se muore di fame, se l’hanno pescata per colpa delle tessere o per colpa del destino. Non so se era terrorizzata all’idea di entrare qua dentro o se era semplicemente spaventata.
Uccidila e basta.
Non conosco i suoi progetti per la vita. Come vivrei con un peso simile sulla schiena? Si dovrebbero basare forse sulla sua morte i miei incubi? Su una bambina innocente? Io non credo proprio. Non posso sapere il suo futuro o ciò che il destino ha riservato per lei. Non posso io, stupida umana corrotta, essere in grado di cambiare il suo destino. Io che nulla so di lei! Come posso solo permettermi? Come posso solo pensare?
Chi sono io per giocare a essere il fato con una bambina? Diamine, è solo una bambina! Non posso mettere fine alla sua vita quando questa è cominciata appena. Oltretutto grida che vuole tornare a casa e chi sono io per impedirlo? Chi sono io per consegnarla su un pacchetto argentato alla Morte? Chi sono io per mandare la strana coppia di amanti macabri, quali sono la disperazione e la morte, a casa sua nel suo Distretto? Sarei un mostro. Sarei vile e crudele.
Ma del resto, non è ciò che sei?
No! Non lo farò. Non sarò io a ucciderla, né ora, né mai.
Puoi pensare tutto ciò che ti pare e credere nelle parole che viaggiano nella tua mente, ma stai vacillando. I tuoi pensieri no, ma il tuo corpo vacilla. Ti sei forse scordata del veleno che scorre sul tuo viso? Non sei tu a decidere, quindi ora basta.
Uccidila.
Non m’interessa. Anzi correrò via di qua. Subito.
E lo faccio davvero. Inizio a correre dopo uno scatto.
Ma corro nella direzione sbagliata.
Sta succedendo tutto troppo in fretta.
Corro verso la ragazzina.
Non ti fermare.
Sono dietro di lei, inginocchiata. Lei però non si è ancora accorta di me.
Continua.
Il sole batte forte su di noi e i suoi capelli ondeggiano seguendo il movimento dei suoi singhiozzi.
Avanti!
Afferro qualche sua ciocca e la stringo forte tra le dita. La tiro indietro per i capelli e la sua testa si appoggia sulla mia clavicola.
Vedo il suo visino all’incontrario e vicino al mio. Tutto in lei è disperato ma calmo. Le sue lacrime? Ferme. Le sue guance? Bagnate. I suoi occhi? Vuoti.
È davvero graziosa e particolarmente bella per la sua età. Sembra più matura, ma si nota ancora molti dei suoi segni infantili nel carattere.
Muoviti!
La sua pelle bianca sembra ancora più pallida da vicino, come se non avesse mai visto la luce del sole. Qualche vena blu si mostra sul suo collo.
Estraggo un coltello dal bordo dei miei pantaloni dove l’avevo nascosto e lo protendo verso il collo della bambina.
Finiscila.
La lama del mio coltellino fende poco l’aria prima di tagliare la gola della ragazzina.
Questa rotola di fianco e cade sdraiata per terra tenendosi la gola.
Bastano pochi secondi e smette di respirare. Il suo cuore smette di battere. E il suo cannone spara.
Non ho idea del perché io l’abbia fatto.
Ma l’ho fatto lo stesso.
E ora, mi sembro ripugnante da sola.
 
And did they get you to trade
your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees?
Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change?
Did you exchange a walk on part in the war
for a lead role in cage?

 
 
Schifo. Mi faccio solo schifo.
Sono ripugnante e non ho vere parole che possono rappresentarmi in pieno.
Sono in iperventilazione appoggiata a un albero. Sono patetica.
La luce della sera è ancora forte. Un azzurrino in segno di lutto solca i cieli facendo compagnia al sole cocente che attraversa le nostre giornate. Dove moriamo tutti. Psicologicamente o fisicamente parlando. Qui attendiamo e ci diamo da fare per riuscire a vincere ed eliminare tutti gli altri Tributi. Solo perché teniamo a un insolito quanto prezioso bene: la nostra vita.
Passiamo le giornate in guardia, a cacciare, a uccidere o a cercare di mangiare. Non sappiamo se qualcuno ci ucciderà mentre dormiamo o se sarà l’ultima volta che vedremo la luce del sole. I giorni, nel nostro caso, sono moltiplicati. Le nostri menti sono corrotte da mille insidie psicologicamente traumatiche. Ci distruggiamo a vicenda e ci combattiamo fino alla morte. Una volta qua dentro s’impazzisce; nessuno sa più che dovremmo distruggere chi ci ha gettato qua dentro. Ci facciamo la guerra da soli e rendiamo agli Strateghi la vita più semplice.
Io sono un mostro. Un vero mostro.
Io non merito nulla. Che sia colpa mia o del veleno, non merito nulla.
Afferro lo stesso coltello con cui ho ucciso un innocente poche ore fa e lo affondo leggermente in vari punti del mio braccio sinistro. Così, come se la mia fosse solo carne.
In un qualche modo devo punirmi. Mi salta in mente il suicidio, ma poi ragiono. È ciò che vogliono. Ciò che loro desiderano di più; vedermi morta.
Una goccia, due gocce, tre gocce…
Il sangue scorre lento fuori dai buchi del mio braccio e va a mescolarsi sull’erba alta. Scorre fino a toccare il terreno e a colorare il terreno di vermiglio.
Un singhiozzo mi colpisce fortemente il petto, quasi riscuotendomi dal mio stato di trance. Un groppo amaro mi si forma in gola. Altri singhiozzi, più forti e più frequenti. Niente lacrime. Come se avessi esaurito le emozioni.
Impugno di nuovo il coltello e stavolta traccio una linea spessa poco sotto il mio polso. Una fitta lancinante di dolore mi colpisce partendo dal polso e attraversandomi con un brivido gelido il corpo. Mi scappa un piccolo grido sommesso e un singhiozzo che mi trapassa la cassa toracica.
Subito dopo il dolore arriva una scossa improvvisa di stanchezza. Scivolo lentamente dall’albero e il mio corpo si accascia sui fitti fili d’erba verde chiaro piegandone alcuni. Porto le gambe al petto con le braccia rimanendo in posizione fetale.
Alzo con molta fatica il braccio sinistro verso il mio viso. Osservo i piccoli buchi che straripano di sangue che sembrano allargarsi.
Alzo poi il braccio destro e non vedo più il colore della mia pelle. Vedo solo rosso, quasi viola. Tutto il mio braccio, dall’altezza del polso in poi, è ricoperto di sangue. Sangue di un mostro. Sangue di una pazza. Ora ne sono certa e sicura. Questa non è come una delle mie solite fottute battute. Sono veramente pazza.
E pericolosa per chiunque.
La testa mi entra in confusione. Le immagini si sfocano e rallentano. I raggi gialli si fondono con le punte secche dell’erba. Il mio sangue diventa la mia pelle e la copre. È come una coperta scarlatta.
Le mie palpebre si aprono e si chiudono lentamente con fare asfissiante. Stanche di guardare qualsiasi cosa mi circonda e non sento come mia. Alcune piccole liane sembrano tremare e poi oscillare trasportate dal vento. Il loro color verde brillante quasi sintetico si sfuma con l’aria come se evaporasse. Un leggero senso di sollievo circonda il mio corpo quando finalmente l’aria mi soffia addosso. Tremo impercettibilmente e un lungo brivido mi percorre la spina dorsale. Le immagini iniziano a muoversi come in balia di un mare molto mosso o di un forte terremoto e questo mi causa una fortissima fitta alla fronte. Il mal di testa mi sta portando ad affogare in un mare come questo, così grande, così pieno d’insidie da far rabbrividire anche la più coraggiosa delle persone.
Cerco di portarmi la mano alla testa per tentare di rimanere lucida abbastanza da alzarmi di nuovo in piedi. La mia mano però non risponde all’impulso, non si sposta neanche un po’. Tento un’altra volta, ma ottengo il medesimo risultato precedente.
Questa volta invece faccio in un grande sforzo e forse esagero. Caricando il mio polso destro con tanta energia riesco solo a sollevarlo di poco e questo ricade a terra.
Lo sforzo fu decisamente troppo perché il terremoto diventa una spirale di colori. Al centro c’è una luce calda e arancione mentre attorno ad essa una moltitudine di colori si mescolano. Il verde, il giallo, il marrone, l’azzurro, il rosso e molti altri.
Il buco al centro si restringe sempre di più finché non diventa un solo piccolo spiraglio lontano e insignificante.
E poi, più nulla.
 
 
Il verso di un uccello. Melodioso e singolare porta le mie palpebre ad aprirsi di scatto. Come se avessi appena terminato un incubo e fossi tornata a una realtà di certo più tranquilla ma non meno pericolosa.
Guardando in alto, esattamente sopra di me, vedo un cielo fiabesco turchese con qualche piccola nuvola bianca che pare ovatta. Vedo anche il piccolo uccellino che cantò pochi attimi fa.
È blu elettrico e il suo becco è giallo brillante. Riesco ad ammirarlo poco perché subito prende il volo è si allontana dalla mia visuale.
Noto che sono raggomitolata a un corpo caldo. Un corpo familiare di cui sentivo la mancanza. La sensazione di tranquillità che provo in questo momento non ha prezzo. È unica e singolare nel suo genere.
Di colpo sbadiglio e istintivamente mi porto la mano alla bocca. C’è qualcosa che non va. Porto tutt’e due le braccia alla mia visuale e ricordo ciò che già sapevo. Il taglio. I buchi. Il dolore.
L’orrore.
Prima di cadere in confusione volto la testa verso il volto di questo corpo caldo.
Una vasta larghissima di emozioni mi attraversa.
E il mio cuore perde un battito mentre fisso stupida ma incondizionatamente felice il viso di un ragazzo che dorme sereno.
Liam.
 
 
 
L’autrice è pronta a chiedere scusa per qualsiasi cosa abbia pubblicata.
Vi prego non odiatemi, ma i tempi di aggiornamento saranno più o meno così nei periodi buoni. Chiedo ancora umilmente scusa per il mio sadismo, ma ecco…Venus è pazza e sadica. Amiamola lo stesso. Vado molto di fretta quindi per qualsiasi spiegazione o domanda scrivetemela in una ben accetta recensione o in un messaggio privato.
Ovviamente, il pezzetino della canzone che sta accompagnando la mia piccola Venere è Wish You Were Here dei Pink Floyd (canzone che amo in assoluto).
Ringrazio Flor0699, Clove_HungerGames e BlackSwan Hawtorne per avermi detto cosa pensano sulla mia storiella. Come sempre spingo chiunque a comunicarmi un suo parere, negativo o positivo che sia. Mi serve solo per migliorare me stessa e la mia storia.
Ora scappo.
Baci *-*
Shinny
  
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