Fanfic su artisti musicali > Blink-182
Segui la storia  |       
Autore: Layla    23/09/2013    2 recensioni
"Jack impallidisce e mi lascia da sola, tanto lo becco a letteratura inglese dopo.
“Sei veramente poco sensibile, DeLonge.”
La teppista della scuola – Maria Gonzalez, detta Ginger– mi rivolge di nuovo la parola.
“Scusa?
“Ho detto che sei poco sensibile, DeLonge.”
“Perché Gonzales?”
“Perché non vedi un ragazzo meraviglioso, anche se ce l’hai sotto il naso.”

Ava DeLonge/Jack Hoppus
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

6) Kate e  Ramon.

 

Ci sono certe mattine in cui ti svegli con strani presentimenti: questa è una di quelle.
Derek si stiracchia pigramente – ci siamo svegliati quando i primi raggi del sole sono entrati dai vecchi vetri rotti e sporchi – io invece sono piuttosto nervosa e ho freddo.
Usciamo dal vagone per ritrovarci faccia a faccia con due tipi dall’aria piuttosto cattiva, ci sono dei guai in arrivo.
“Avete dormito in quel vagone?”
Derek annuisce guardingo.
“Non sapete come vanno le cose qui? Se vuoi dormire nei vagoni devi dare dieci dollari a noi, ci devi venti dollari.”
Derek vorrebbe replicare, ma io gli stringo la mano e scuoto la testa. Ho il sospetto che questi due siano persone che non accettino un “no” come risposta.
Il mio amico gli sgancia venti dollari con aria truce.
“Non fare quella faccia, amico. La tua puttana è stata molto più intelligente di te nel fermarti, noi non accettiamo risposte negative.
Se volete dormire ancora qui dovrete pagarci, noi saremo all’ultimo binario fino all’una di notte.”
Detto questo si allontanano ridendo.
“Perché mi hai fermato, Ava?”
“Chiamami Kate, ti ho fermato perché altrimenti quei tizi ti avrebbero ammazzato. Quella donna ieri sera aveva ragione, saremmo dovuti rimanere sul treno e arrivare fino a Regina, Ramon.”
Derek scuote la testa e poi sbuffa.
“Hai ragione, quando siamo in pubblico è meglio usare i nomi dei documenti.
Andiamocene ora.”
Io annuisco e lo seguo, ci avviamo verso l’ultimo binario usato dai pendolari e poi ci infiliamo nel sottopassaggio. Nella stazione c’è un bar con delle meravigliose brioches, peccato non poterle mangiare perché dobbiamo risparmiare in modo da trovarci quasi subito un buco a Montreal.
Usciamo dalla stazione e veniamo fermati dalla polizia. È un normale controllo dei senzatetto e della gente di passaggio nella cittadina, ma il cuore mi batte come se volesse uscirmi dalla cassa toracica. E se scoprissero che sono documenti falsi?
E se scoprissero che io non sono Kate Leight, ma Ava Elisabeth DeLonge?
Dopo il breve controllo ci lasciano andare.
“Mi raccomando non fate casino, non ci piacciono gli stranieri che fanno casino qui a Calgary.”
Noi due annuiamo, io penso che farebbero meglio a tenere d’occhio e possibilmente sbattere in galera quei due loschi figuri che si fanno pagare l’affitto per far sì che gli altri possano dormire in un vecchio vagone ferroviario in disuso.
Camminiamo per le strade mediamente affollate della cittadina tra la neve, abbiamo fame, ma dobbiamo resistere almeno fino a mezzogiorno.
“Dici che ci sarà una mensa dei poveri anche a mezzogiorno?”
“Non lo so, io spero di sì, ma è molto probabile che dovremo aspettare fino a questa sera prima di mettere qualcosa sotto i denti.”
“Ok.”
Passiamo davanti a una tavola calda e improvvisamente sentiamo una voce urlare dietro di noi, guardandoci confusi torniamo indietro.
“Cosa c’è, signora?”
Le chiedo confusa.
“Entrate, vi offro la colazione gratis.”
“Wow, grazie!”
Lei scuote le spalle.
“Avete l’età dei miei figli, a quest’ora dovreste essere a scuola, non a vivere per strada.”
Io arrossisco, Derek abbassa gli occhi, la donna ci fa entrare nel locale e ci serve una colazione abbondante di caffelatte, muffins, brioches, bacon, uova e persino un hamburger.
Noi mangiamo tutto senza lasciare sul tavolo nemmeno le briciole.
“Grazie, signora!”
Le urliamo prima di andarcene, lei sorride e ci mette in mano un sacchetto.
“Sono panini, per quando ne avrete bisogno.”
Noi annuiamo.
“Grazie mille, signora!”
Usciamo dal bar con la pancia piena e di buon umore, ora possiamo esplorare la città più tranquillamente.
Andiamo in centro, io guardo le vetrine insieme a Derek e ci divertiamo facendo commenti stupidi o gesticolando ampiamente davanti alle facce sconvolte dei clienti e delle commesse che ci sono nei negozi.
Al pomeriggio esploriamo il parco, mi piacerebbe poter suonare qualcosa, ma la mia chitarra è rimasta in camera mia a San Diego.
“Ah, se avessi la mia chitarra…”
Esclamo sognante a un certo punto.
“Beh, magari quando saremo a Montreal potrai comprartene una.”
“Lo spero, mi manca la mia chitarra.”
Ammetto esitante.
“Un giorno sono sicuro che mi farai sentire come suoni.”
“Lo spero, anche se non sono ancora bravissima, mio padre mi dava lezioni, ma poi ecco…”
La mia frase sfuma nel nulla, poi mi ha detto che sono una puttana.
Derek non dice nulla, credo che abbia  capito i sottointesi del mio silenzio.
“Puoi sempre tornare indietro.”
“NO. E poi mi mancheresti.”
Lui non dice nulla, ma sul suo volto affiora un sorrisetto e mi prende per mano ed è bello. Mi sento protetta, mi piace come la stringe, mi ricorda Jack.
Al suo nome qualcosa trema dentro di me, potranno esserci migliaia di chilometri tra me e lui, ma lui – come dice una delle canzoni dei blink – è la voce nella mia testa, il fantasma insepolto che vaga nella valle.
Non potrò ignorarlo ancora a lungo.
“Ti mancherei come ti manca Jack?”
Io lo guardo stupita.
“Come fai a sapere che mi manca.”
“Non so, è la faccia che fai. Non te ne rendi conto, ma ogni tanto il tuo volto diventa di pietra e ti stacchi dal mondo e quando fai così so che stai pensando a lui.
Lui è un grande idiota ad averti lasciato andare, tra parentesi.”
Io sorrido.
“Con lui mi sono comportata in modo orribile, non c’è nemmeno da chiedersi il perché abbia scelto Ginger e non me.
Non importa, non fa niente.
Lontano da lui e da tutti mi dimenticherò di questa storia e un giorno nel nostro appartamento a Montreal ci riderò sopra.”
“Io non credo sarà così facile, ma la vita è la tua, Kate.”
“Perché dici così?”
“Perché non hai messo fine a tutto questo fuggendo,l’hai solo messo da parte e prima o poi tornerà a chiederti il conto.”
Io sbuffo, non può avere ragione.
 

La sera siamo di nuovo in coda alla mensa dei poveri, il cibo è buono e troviamo un gruppetto di ragazzi con cui parlare. Sono quasi tutti o scappati di casa o gente che ha perso il lavoro e la casa.
Non hanno prospettive dicono perché nessuno prende seriamente in considerazione la gente che vive dalla parte sbagliata di qualsiasi città d’America.
Forse hanno ragione, quando si parla della gente che vive nella zona delle roulotte c’è sempre una sfumatura di paura nella voce della gente.
Rimaniamo a chiacchierare fino alle undici attorno a un fuoco improvvisato, poi ci dividiamo, ognuno alla ricerca del proprio vagone.
Paghiamo i dieci euro ai due stronzi e poi ci infiliamo nel vagone della sera prima, ci avvolgiamo stretti nelle coperte, abbracciati, eppure abbiamo ancora freddo.
A movimentare la serata qualcuno fa irruzione nel vagone verso le tre di notte, Derek estrae rapido un coltello a serramanico prima che lo faccia lui.
Si scrutano per un po’ in cagnesco alla luce tenue dell’accendino che ho in mano.
“Cosa vuoi?”
“Dammi i soldi, devo mangiare!”
“Non raccontarmi palle, bucomane. Li conosco quelli come te, volete soldi per la droga.”
“Dammeli!”
“Fuori o ti apro in due!”
Che bella situazione di stallo, qui serve un diversivo. Afferro Derek per la maglia e poi gli indico  un punto imprecisato.
“Arriva la polizia, cazzo! Arriva la polizia!”
Alla parola “polizia”il drogato sparisce alla velocità della luce, il mio amico sorride.
“Ottima pensata!”
“Eravate in una situazione di stallo e mi sembrava l’unica cosa che lo potesse far scappare!”
“Grazie, Ava.”
Un po’ scossi e sicuramente più guardinghi di prima ci rimettiamo a dormire, quel tossico maledetto ci ha fatto venire un infarto.
Domani, per fortuna, prenderemo un treno per Regina e daremo addio a Calgary.
Ai primi raggi di sole ci ritroviamo con i ragazzi della sera prima e grazie a loro rimediamo un pasto mattutino, il che è assolutamente una buona cosa.
Sono esperti, sanno a chi rivolgersi e a quale commercianti i ragazzi di strada fanno pena e li nutrono, è stato meraviglioso averli trovati.
Con loro trascorriamo un pomeriggio bellissimo, sembra quasi di essere tornati in una gita scolastica, era da un po’ che non mi sentivo così bene.
Alla sera siamo di nuovo in fila per la mensa dei poveri.
“Stasera c’è un treno merci per Regina, io e Kate lo prendiamo.”
“Veniamo anche noi.”
Ci dice una coppia, lei è visibilmente in dolce attesa.
“Siamo originari di Regina e speriamo che i suoi ci aiutino ora che lei è incinta.”
“Dovrebbero farlo.”
Rispondo cauta alla ragazza,che si chiama Ashley.
“Non è detto, quando ho detto loro che stavo con Mickey mi hanno buttato fuori di casa senza pensarci due volte. I miei sono abbastanza conservatori.”
“Ma sei incinta! Per quanto conservatori possano essere non potranno ignorare questo!”
Lei scuote la testa con uno strano ghigno.
Alle undici prendiamo il dannato treno e ci organizziamo per la notte, Mickey si preoccupa che Ashley stia al caldo e alla fine si addormentano abbracciati, lui ha una mano sulla pancia della sua compagna, come per proteggere il piccolo.
“Che carini che sono!”
Dico al mio amico, che annuisce.
“Sono una bella coppia, spero che non la caccino di nuovo.”
“Sarebbero dei genitori di merda.”
“Il mondo è pieno di genitori di merda.”
Mi risponde lui prima di addormentarsi.
Ha ragione, mi dico, non ci avevo mai pensato prima con l’esempio degli Hoppus e dei Barker sempre sotto gli occhi.
Che strana la vita, mi dico prima di addormentarmi anche io.
La mattina dopo ci svegliamo insonnoliti e affamati, il treno non accenna a fare una sosta, forse la farà per il pranzo o almeno lo speriamo con tutto il cuore.
Fuori il paesaggio è innevato e verso le dieci inizia a nevicare, fortunatamente non entra nel vagone, ci mancherebbe solo questo.
“Dici che si fermeranno per il pranzo?”
Chiede Ashley al nulla.
“Io devo andare in bagno.”
“Spero di sì, piccola, ma non ne siamo sicuri.”
Risponde Mickey, guardando fuori dalle lame che ci fanno da finestre sul mondo esterno.
Alle due si fermano in una stazione e scendiamo tutti, per una sosta bagno e per sgraffignare del cibo da mangiare una volta ripartito il treno.
Sono riusciti a rubare dei panini e – cosa più importante – dell’acqua. Mangiamo e chiacchieriamo.
“Voi cosa fate dopo essere arrivati a Regina?”
Ci chiede Mickey.
“Proseguiamo per Winnipeg e poi ci fermeremo a Montreal. La meta è quella.”
“Buona fortuna. Montreal è grande, troverete qualcosa da fare e anche un appartamento, credo.”
“Ma sì.”
“Al massimo vi raggiungiamo, temo proprio che i miei mi ricaccino di casa.”
Ride amara Ashley.
“Rimarremo in contatto.”
Lui annuisce e poi decidiamo di fare una partita a carte tutti insieme, in attesa che il tempo passi e che il treno raggiunga Regina.
Lo sappiamo che ci vorrà un po’, ma io voglio allontanarmi sempre di più dalla California, dal sole, dalle palme, dalla gente che parla spagnolo, da mio padre e dai miei amici.
Voglio correre più forte di loro e lasciarli indietro, in un posto dove non possano farmi del male.
Forse è sbagliato e sto solo agendo come una codarda, ma davvero non ce la faccio più a ricordarmi di loro e pensare a come sia finita: in un completo disastro.
Landon a quest’ora si sarà già fatto un’altra ragazza e Jack sarà felice con Ginger,che saprà dargli quello che io non sono stata in grado di dargli.
Saranno tutti felici senza di me.
“Kate, sei tra noi?”
La voce di Ashley mi richiama alla realtà, io annuisco.
Li guardo: i capelli biondi di Ashley sono ormai ridotti a rasta disordinati, ma non faccio fatica ad immaginarmi la ragazza che era. Probabilmente una di quelle dai lunghissimi capelli con una madre sadica che le fa vestire fuori moda, con camicette, gonne oltre il ginocchio e mocassini.
Mickey invece è pieno di tatuaggi – qualcuno gemello con Ashley – ed ha i capelli neri e disordinati con qualche ciocca bionda segno di una passata colorazione accesa, un piercing al labro e gli occhi verdi vagamente truccati di nero. Deve avere finito la matita da poco, forse l’ha lasciata solo ad Ashley perché lei è una ragazza.
Non è esattamente il ragazzo che una madre come quella di Ashley vorrebbe accanto a sua figlia.
Può esser il ragazzo migliore del mondo – dolce, simpatico, comprensivo, con la testa a posto in fatto di soldi – eppure a lei non piacerà mai.
Povera Ashley.
“Ashley, se i tuoi non vi danno una mano, fateci sapere, cercheremo qualcosa.”
La mia voce esce da sola e colgo l’occhiata positiva che mi lancia Derek: approva.
“Va bene. Come mai questa offerta?”
Mi chiede Mickey.
“No, niente. Ho pensato a come potessero essere i genitori di Ashley e mi è venuta spontanea.”
Lui sorride.
“Ne hai di cervello, piccoletta.”
Io arrossisco.
“Ehi, non sono piccola, ho solo la crescita ritardata!”                           
Ridiamo tutti.
 

Dopo qualche giorno di viaggio arriviamo a Regina, scendiamo tutti.
Camminiamo verso l’ultimo binario attivo e poi imbocchiamo un sottopassaggio pieno di graffiti, che fanno sorridere Ashley e Mickey.
“Questo l’abbiamo fatto noi!”
Esclamano a un certo punto indicando un ragazzo e una ragazza stilizzati che si tengono per mano,sorridendo.
“Bello.”
Arrivati fuori dalla stazione, le nostre strade si devono dividere. Con una punta di tristezza abbraccio Ashley e saluto Mickey.
“Buona fortuna, ragazzi.
Ricordatevi di noi.”
Ash sorride.
“Puoi giurarci, Katie. Molto presto saremo coinquilini, credo.”
“Spero di no, non che non mi stiate simpatici, ma speri che i vostri genitori non siano così bastardi da lasciarvi in mezzo a una strada.”
Li salutiamo e dopo la solita sosta in bagno e di rifornimento di cibo saliamo su un treno diretto a Winnipeg, guardando la cartina, abbiamo deciso che dopo Winnipeg ci fermeremo  a Thunder Bay,
Il tratto Winnipeg-Montreal è troppo lungo.
Le giornate sul treno sono monotone, ma arriviamo a Winnipeg e da lì partiamo per Thunder Bay.
I problemi iniziano quando scendiamo da quel treno. Non ci sono treni per Ottawa, ci sono solo salendo più a nord, il che significa autostop o più probabilmente giornate di marcia nella neve.
Il paese che dobbiamo raggiungere è Nipigon.
A malincuore usciamo dalla stazione di Winnipeg e cerchiamo un posto dove sia possibile rimediare da mangiare in modo da metterci in forze.
Troviamo un proprietario gentile verso la marina del Superior Lake e mangiamo come se non ci fosse domani, come al solito ci portiamo via qualcosa da mangiare più avanti.
Con il cibo negli zaini iniziamo ad attraversare Winnipeg, è un posto carino, ma non è ancora la Meta. La Meta è Montreal e ci arriveremo, parola mia.
Ci vuole quasi un giorno per attraversare Winnipeg, per cena usufruiamo delle varie mense dei poveri sparse per la città e dormiamo anche lì quando troviamo posto.
Qui fa più freddo rispetto alle altre città, non ci volevano delle giornate di marcia proprio ora!
La faccia di Derek è scura, nemmeno lui sembra contento della situazione.
“Questo è un casino, ho il sospetto che dovremo farcela tutta a piedi e sperare che non ci colga una tempesta, altrimenti siamo fottuti, rischiamo di morire congelati.”
Io annuisco, prego il Signore – sebbene siano anni che non lo faccia – di farci raggiungere quel fottuto posto.
Ci mettiamo in marcia e all’inizio sembra procedere tutto bene, troviamo persino una macchina che ci dà un passaggio per un pezzo, il peggio deve ancora venire.
“Hold on the worst is yet to come.”
Cantava Mark ed è in effetti così, quando manca poco a Nipigon iniziano a cadere larghi fiocchi di neve che poi iniziano a vorticare sospinti da un vento gelido che ulula feroce.
Iniziamo a non vedere più in là del nostro naso, è iniziata una tempesta, io stringo la mano di Derek, ma la sua presa mi sembra debole.
“Cosa c’è?”
Urlo per sovrastare il vento che è sempre più forte.
“Sono stanco, Ava, e ho fame.
Lasciami qui che mi faccio una dormita!”
“Sei matto? Rischi di morire! Andiamo!”
Lo trascino, mi sembra che lui sia diventato una bambola inerte e non il ragazzo forte che ho sempre conosciuto.
“Forza Derek, troveremo un posto per riposare!”
Urlo, più per spronarlo che per reale convinzione.
Non ho idea di dove trovare un posto per riposare riparati, in ogni caso arriviamo a una piazzola e tra la neve che vortica, grazie alla pila di Derek mi pare di scorgere un capanno poco lontano.
“Forza, c’è un capanno, andremo lì!”
Inizio a essere stanca anche io e  non mi piace il fatto che lui ormai non mi risponda più.
Scavalchiamo il guardrail e ci dirigiamo verso un capanno di legno, con un po’ di fatica forzo la serratura ed entriamo.
È pieno di paglia e fieno, siamo fortunati. Tiro fuori le coperte e ci avvolgo Derek, appoggio una mano sulla sua fronte e mi accorgo che scotta: ha la fronte che scotta.
Merda! Ha la febbre.
Tiro fuori la cassetta del pronto soccorso dal mio zaino, fortunatamente c’è anche dell’aspirina.
Ora sono agitata, verso un po’ di acqua in un bicchiere di plastica e poi l’aspirina che inizia subito a fare quel caratteristico fischio che ha.
Io guardo il mio amico, è pallido e stanco.
Una volta che la pastiglia ha finito di sciogliersi, faccio bere Derek.
“Starai meglio, tranquillo.”
Lo copro con un po’ di paglia e poi mi sdraio al suo fianco sotto la paglia e le coperte e lo abbraccio più forte che posso, pregando che domani stai meglio.
Mi addormento così.
La mattina dopo la sua fronte sembra meno calda e la tempesta di neve è cessata, con fatica rimettiamo le nostre cose negli zaini.
Usciamo dal capanno con fatica – vista la neve caduta – e ci troviamo davanti a un paesaggio bianco e puro e se non fossimo in questa situazione direi che è quasi incantato.
Per noi non lo è, non adesso.
Torniamo sulla strada che stavamo seguendo e proseguiamo lentamente, Derek è ancora debole, ma non siamo lontano.
Al tramonto iniziamo a vedere le prime case in lontananza e questo ci rincuora e sprona ad andare avanti.
“Siamo quasi arrivati a Nipigon, laggiù troveremo qualcuno che ci aiuterà. Ti prego, Derek, cerca di resistere.”
Lui annuisce, troppo stanco per parlare.
Entriamo a Nipigon sotto un cielo limpido trapuntato di stelle che sembrano così vicine da poterle toccare, nonostante il bel tempo la notte rimane comunque gelida e il vento soffia contro di noi impietoso.
Con grande difficoltà arriviamo a quella che sembra la mensa dei poveri, io busso con vigore e dopo un po’ una donna in vestaglia ci apre.
“La prego ci aiuti, il mio amico sta male.”
Lei annuisce, ci fa fare la doccia, mangiare e poi ci dà un pigiama e ci accompagna ai letti, a Derek dà un’altra aspirina visto che la febbre gli è risalita.
Dio, fa che ce la faccia.
Poco dopo cado in un sonno senza sogni né incubi che mi fa riposare fino alle nove, quando vengo svegliata dalla donna in vestaglia della sera prima.
“Come sta Ramon?”
Chiedo con una voce ancora intontita per il sonno.
“Oggi verrà un medico, la febbre non scende.”
Io impallidisco.
“Come ti chiami?”
“Kate.”
Rispondo con un filo di voce.
“Kate, il tuo amico ce la farà. È stato fortunato perché qualcuno deve avergli già dato qualcosa per far scendere la febbre.
“Io.. Io gli ho dato un’aspirina.”
“È stata una buona mossa. Adesso scendi a fare colazione e poi potrai andare a trovarlo.”
Io annuisco e mi cambio i vestiti, i miei sono probabilmente a lavare. Indosso un paio di jeans stretti neri, una maglietta dei Sex Pistols, una felpa dei Rancid e – visto che nell’edificio fa abbastanza caldo – tralascio la camicia felpata a quadri neri e rossi.
Mangio di fretta per vedere Derek.
In effetti non è conciato tanto bene, è pallidissimo, ma sorride quando mi vede.
“Ehi, scricciolo! Sembra che io ti debba la vita.”
“Così siamo pari adesso, oggi pomeriggio verrà un medico a visitarti.”
Poi scoppio a piangere senza averlo premeditato.
“Ho avuto tanta paura che morissi, non giocarmi mai più un tiro del genere!”
Urlo tra le lacrime, lui me le asciuga e poi mi cenno di stendermi accanto a lui.
“Andrà tutto bene, Ava.”
Mi sussurra in un orecchio.
“Ce la faremo, te lo giuro. Non abbiamo attraversato mezzo Canada solo per fermarci adesso.”
Io annuisco, lui mi scompigli i capelli.
Se lui dice che andrà bene gli credo, lui è l’ultima persona che mi è rimasta.
Ce la faremo, me lo ripeto mentre mi addormento di nuovo tra le sue braccia.
Ce la faremo.

Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie per la recensione.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Blink-182 / Vai alla pagina dell'autore: Layla