6) Kate e
Ramon.
Ci
sono certe
mattine in cui ti svegli con strani presentimenti: questa è
una di quelle.
Derek si
stiracchia pigramente – ci siamo svegliati quando i primi
raggi del sole sono
entrati dai vecchi vetri rotti e sporchi – io invece sono
piuttosto nervosa e
ho freddo.
Usciamo dal
vagone per ritrovarci faccia a faccia con due tipi dall’aria
piuttosto cattiva,
ci sono dei guai in arrivo.
“Avete dormito in
quel vagone?”
Derek annuisce
guardingo.
“Non sapete come
vanno le cose qui? Se vuoi dormire nei vagoni devi dare dieci dollari a
noi, ci
devi venti dollari.”
Derek vorrebbe
replicare, ma io gli stringo la mano e scuoto la testa. Ho il sospetto
che
questi due siano persone che non accettino un “no”
come risposta.
Il mio amico gli
sgancia venti dollari con aria truce.
“Non fare quella
faccia, amico. La tua puttana è stata molto più
intelligente di te nel
fermarti, noi non accettiamo risposte negative.
Se volete dormire
ancora qui dovrete pagarci, noi saremo all’ultimo binario
fino all’una di
notte.”
Detto questo si
allontanano ridendo.
“Perché mi hai
fermato, Ava?”
“Chiamami Kate,
ti ho fermato perché altrimenti quei tizi ti avrebbero
ammazzato. Quella donna
ieri sera aveva ragione, saremmo dovuti rimanere sul treno e arrivare
fino a
Regina, Ramon.”
Derek scuote la
testa e poi sbuffa.
“Hai ragione,
quando siamo in pubblico è meglio usare i nomi dei documenti.
Andiamocene ora.”
Io annuisco e lo
seguo, ci avviamo verso l’ultimo binario usato dai pendolari
e poi ci infiliamo
nel sottopassaggio. Nella stazione c’è un bar con
delle meravigliose brioches,
peccato non poterle mangiare perché dobbiamo risparmiare in
modo da trovarci
quasi subito un buco a Montreal.
Usciamo dalla
stazione e veniamo fermati dalla polizia. È un normale
controllo dei senzatetto
e della gente di passaggio nella cittadina, ma il cuore mi batte come
se
volesse uscirmi dalla cassa toracica. E se scoprissero che sono
documenti
falsi?
E se scoprissero
che io non sono Kate Leight, ma Ava Elisabeth DeLonge?
Dopo il breve
controllo ci lasciano andare.
“Mi raccomando
non fate casino, non ci piacciono gli stranieri che fanno casino qui a
Calgary.”
Noi due annuiamo,
io penso che farebbero meglio a tenere d’occhio e
possibilmente sbattere in
galera quei due loschi figuri che si fanno pagare l’affitto
per far sì che gli
altri possano dormire in un vecchio vagone ferroviario in disuso.
Camminiamo per le
strade mediamente affollate della cittadina tra la neve, abbiamo fame,
ma
dobbiamo resistere almeno fino a mezzogiorno.
“Dici che ci sarà
una mensa dei poveri anche a mezzogiorno?”
“Non lo so, io spero
di sì, ma è molto probabile che dovremo aspettare
fino a questa sera prima di
mettere qualcosa sotto i denti.”
“Ok.”
Passiamo davanti
a una tavola calda e improvvisamente sentiamo una voce urlare dietro di
noi,
guardandoci confusi torniamo indietro.
“Cosa c’è,
signora?”
Le chiedo
confusa.
“Entrate, vi
offro la colazione gratis.”
“Wow, grazie!”
Lei scuote le
spalle.
“Avete l’età dei
miei figli, a quest’ora dovreste essere a scuola, non a
vivere per strada.”
Io arrossisco,
Derek abbassa gli occhi, la donna ci fa entrare nel locale e ci serve
una
colazione abbondante di caffelatte, muffins, brioches, bacon, uova e
persino un
hamburger.
Noi mangiamo
tutto senza lasciare sul tavolo nemmeno le briciole.
“Grazie, signora!”
Le urliamo prima
di andarcene, lei sorride e ci mette in mano un sacchetto.
“Sono panini, per
quando ne avrete bisogno.”
Noi annuiamo.
“Grazie mille,
signora!”
Usciamo dal bar
con la pancia piena e di buon umore, ora possiamo esplorare la
città più tranquillamente.
Andiamo in
centro, io guardo le vetrine insieme a Derek e ci divertiamo facendo
commenti
stupidi o gesticolando ampiamente davanti alle facce sconvolte dei
clienti e
delle commesse che ci sono nei negozi.
Al pomeriggio
esploriamo il parco, mi piacerebbe poter suonare qualcosa, ma la mia
chitarra è
rimasta in camera mia a San Diego.
“Ah, se avessi la
mia chitarra…”
Esclamo sognante
a un certo punto.
“Beh, magari
quando saremo a Montreal potrai comprartene una.”
“Lo spero, mi
manca la mia chitarra.”
Ammetto esitante.
“Un giorno sono
sicuro che mi farai sentire come suoni.”
“Lo spero, anche
se non sono ancora bravissima, mio padre mi dava lezioni, ma poi
ecco…”
La mia frase
sfuma nel nulla, poi mi ha detto che sono una puttana.
Derek non dice
nulla, credo che abbia capito
i
sottointesi del mio silenzio.
“Puoi sempre
tornare indietro.”
“NO. E poi mi
mancheresti.”
Lui non dice
nulla, ma sul suo volto affiora un sorrisetto e mi prende per mano ed
è bello.
Mi sento protetta, mi piace come la stringe, mi ricorda Jack.
Al suo nome
qualcosa trema dentro di me, potranno esserci migliaia di chilometri
tra me e
lui, ma lui – come dice una delle canzoni dei blink
– è la voce nella mia
testa, il fantasma insepolto che vaga nella valle.
Non potrò
ignorarlo ancora a lungo.
“Ti mancherei
come ti manca Jack?”
Io lo guardo
stupita.
“Come fai a
sapere che mi manca.”
“Non so, è la
faccia che fai. Non te ne rendi conto, ma ogni tanto il tuo volto
diventa di
pietra e ti stacchi dal mondo e quando fai così so che stai
pensando a lui.
Lui è un grande
idiota ad averti lasciato andare, tra parentesi.”
Io sorrido.
“Con lui mi sono
comportata in modo orribile, non c’è nemmeno da
chiedersi il perché abbia
scelto Ginger e non me.
Non importa, non
fa niente.
Lontano da lui e
da tutti mi dimenticherò di questa storia e un giorno nel
nostro appartamento a
Montreal ci riderò sopra.”
“Io non credo
sarà così facile, ma la vita è la tua,
Kate.”
“Perché dici
così?”
“Perché non hai
messo fine a tutto questo fuggendo,l’hai solo messo da parte
e prima o poi
tornerà a chiederti il conto.”
Io sbuffo, non
può avere ragione.
La
sera siamo di
nuovo in coda alla mensa dei poveri, il cibo è buono e
troviamo un gruppetto di
ragazzi con cui parlare. Sono quasi tutti o scappati di casa o gente
che ha
perso il lavoro e la casa.
Non hanno
prospettive dicono perché nessuno prende seriamente in
considerazione la gente
che vive dalla parte sbagliata di qualsiasi città
d’America.
Forse hanno
ragione, quando si parla della gente che vive nella zona delle roulotte
c’è
sempre una sfumatura di paura nella voce della gente.
Rimaniamo a
chiacchierare fino alle undici attorno a un fuoco improvvisato, poi ci
dividiamo, ognuno alla ricerca del proprio vagone.
Paghiamo i dieci
euro ai due stronzi e poi ci infiliamo nel vagone della sera prima, ci
avvolgiamo stretti nelle coperte, abbracciati, eppure abbiamo ancora
freddo.
A movimentare la
serata qualcuno fa irruzione nel vagone verso le tre di notte, Derek
estrae
rapido un coltello a serramanico prima che lo faccia lui.
Si scrutano per
un po’ in cagnesco alla luce tenue dell’accendino
che ho in mano.
“Cosa vuoi?”
“Dammi i soldi,
devo mangiare!”
“Non raccontarmi
palle, bucomane. Li conosco quelli come te, volete soldi per la
droga.”
“Dammeli!”
“Fuori o ti apro
in due!”
Che bella
situazione di stallo, qui serve un diversivo. Afferro Derek per la
maglia e poi
gli indico un punto
imprecisato.
“Arriva la
polizia, cazzo! Arriva la polizia!”
Alla parola
“polizia”il drogato sparisce alla
velocità della luce, il mio amico sorride.
“Ottima pensata!”
“Eravate in una
situazione di stallo e mi sembrava l’unica cosa che lo
potesse far scappare!”
“Grazie, Ava.”
Un po’ scossi e
sicuramente più guardinghi di prima ci rimettiamo a dormire,
quel tossico
maledetto ci ha fatto venire un infarto.
Domani, per
fortuna, prenderemo un treno per Regina e daremo addio a Calgary.
Ai primi raggi di
sole ci ritroviamo con i ragazzi della sera prima e grazie a loro
rimediamo un
pasto mattutino, il che è assolutamente una buona cosa.
Sono esperti,
sanno a chi rivolgersi e a quale commercianti i ragazzi di strada fanno
pena e
li nutrono, è stato meraviglioso averli trovati.
Con loro
trascorriamo un pomeriggio bellissimo, sembra quasi di essere tornati
in una
gita scolastica, era da un po’ che non mi sentivo
così bene.
Alla sera siamo
di nuovo in fila per la mensa dei poveri.
“Stasera c’è un
treno merci per Regina, io e Kate lo prendiamo.”
“Veniamo anche
noi.”
Ci dice una
coppia, lei è visibilmente in dolce attesa.
“Siamo originari
di Regina e speriamo che i suoi ci aiutino ora che lei è
incinta.”
“Dovrebbero
farlo.”
Rispondo cauta
alla ragazza,che si chiama Ashley.
“Non è detto,
quando ho detto loro che stavo con Mickey mi hanno buttato fuori di
casa senza
pensarci due volte. I miei sono abbastanza conservatori.”
“Ma sei incinta!
Per quanto conservatori possano essere non potranno ignorare
questo!”
Lei scuote la
testa con uno strano ghigno.
Alle undici
prendiamo il dannato treno e ci organizziamo per la notte, Mickey si
preoccupa
che Ashley stia al caldo e alla fine si addormentano abbracciati, lui
ha una
mano sulla pancia della sua compagna, come per proteggere il piccolo.
“Che carini che
sono!”
Dico al mio
amico, che annuisce.
“Sono una bella
coppia, spero che non la caccino di nuovo.”
“Sarebbero dei
genitori di merda.”
“Il mondo è pieno
di genitori di merda.”
Mi risponde lui
prima di addormentarsi.
Ha ragione, mi
dico, non ci avevo mai pensato prima con l’esempio degli
Hoppus e dei Barker
sempre sotto gli occhi.
Che strana la
vita, mi dico prima di addormentarmi anche io.
La mattina dopo
ci svegliamo insonnoliti e affamati, il treno non accenna a fare una
sosta,
forse la farà per il pranzo o almeno lo speriamo con tutto
il cuore.
Fuori il
paesaggio è innevato e verso le dieci inizia a nevicare,
fortunatamente non
entra nel vagone, ci mancherebbe solo questo.
“Dici che si
fermeranno per il pranzo?”
Chiede Ashley al
nulla.
“Io devo andare
in bagno.”
“Spero di sì,
piccola, ma non ne siamo sicuri.”
Risponde Mickey,
guardando fuori dalle lame che ci fanno da finestre sul mondo esterno.
Alle due si
fermano in una stazione e scendiamo tutti, per una sosta bagno e per
sgraffignare del cibo da mangiare una volta ripartito il treno.
Sono riusciti a
rubare dei panini e – cosa più importante
– dell’acqua. Mangiamo e chiacchieriamo.
“Voi cosa fate
dopo essere arrivati a Regina?”
Ci chiede Mickey.
“Proseguiamo per
Winnipeg e poi ci fermeremo a Montreal. La meta è
quella.”
“Buona fortuna.
Montreal è grande, troverete qualcosa da fare e anche un
appartamento, credo.”
“Ma sì.”
“Al massimo vi
raggiungiamo, temo proprio che i miei mi ricaccino di casa.”
Ride amara
Ashley.
“Rimarremo in
contatto.”
Lui annuisce e
poi decidiamo di fare una partita a carte tutti insieme, in attesa che
il tempo
passi e che il treno raggiunga Regina.
Lo sappiamo che
ci vorrà un po’, ma io voglio allontanarmi sempre
di più dalla California, dal
sole, dalle palme, dalla gente che parla spagnolo, da mio padre e dai
miei
amici.
Voglio correre
più forte di loro e lasciarli indietro, in un posto dove non
possano farmi del
male.
Forse è sbagliato
e sto solo agendo come una codarda, ma davvero non ce la faccio
più a
ricordarmi di loro e pensare a come sia finita: in un completo disastro.
Landon a quest’ora
si sarà già fatto un’altra ragazza e
Jack sarà felice con Ginger,che saprà
dargli quello che io non sono stata in grado di dargli.
Saranno tutti
felici senza di me.
“Kate, sei tra
noi?”
La voce di Ashley
mi richiama alla realtà, io annuisco.
Li guardo: i
capelli biondi di Ashley sono ormai ridotti a rasta disordinati, ma non
faccio
fatica ad immaginarmi la ragazza che era. Probabilmente una di quelle
dai
lunghissimi capelli con una madre sadica che le fa vestire fuori moda,
con
camicette, gonne oltre il ginocchio e mocassini.
Mickey invece è
pieno di tatuaggi – qualcuno gemello con Ashley –
ed ha i capelli neri e
disordinati con qualche ciocca bionda segno di una passata colorazione
accesa,
un piercing al labro e gli occhi verdi vagamente truccati di nero. Deve
avere
finito la matita da poco, forse l’ha lasciata solo ad Ashley
perché lei è una
ragazza.
Non è esattamente
il ragazzo che una madre come quella di Ashley vorrebbe accanto a sua
figlia.
Può esser il
ragazzo migliore del mondo – dolce, simpatico, comprensivo,
con la testa a
posto in fatto di soldi – eppure a lei non piacerà
mai.
Povera Ashley.
“Ashley, se i
tuoi non vi danno una mano, fateci sapere, cercheremo
qualcosa.”
La mia voce esce
da sola e colgo l’occhiata positiva che mi lancia Derek:
approva.
“Va bene. Come
mai questa offerta?”
Mi chiede Mickey.
“No, niente. Ho
pensato a come potessero essere i genitori di Ashley e mi è
venuta spontanea.”
Lui sorride.
“Ne hai di
cervello, piccoletta.”
Io arrossisco.
“Ehi, non sono
piccola, ho solo la crescita
ritardata!”
Ridiamo tutti.
Dopo
qualche giorno
di viaggio arriviamo a Regina, scendiamo tutti.
Camminiamo verso
l’ultimo binario attivo e poi imbocchiamo un sottopassaggio
pieno di graffiti,
che fanno sorridere Ashley e Mickey.
“Questo l’abbiamo
fatto noi!”
Esclamano a un
certo punto indicando un ragazzo e una ragazza stilizzati che si
tengono per
mano,sorridendo.
“Bello.”
Arrivati fuori
dalla stazione, le nostre strade si devono dividere. Con una punta di
tristezza
abbraccio Ashley e saluto Mickey.
“Buona fortuna,
ragazzi.
Ricordatevi di
noi.”
Ash sorride.
“Puoi giurarci,
Katie. Molto presto saremo coinquilini, credo.”
“Spero di no, non
che non mi stiate simpatici, ma speri che i vostri genitori non siano
così
bastardi da lasciarvi in mezzo a una strada.”
Li salutiamo e
dopo la solita sosta in bagno e di rifornimento di cibo saliamo su un
treno
diretto a Winnipeg, guardando la cartina, abbiamo deciso che dopo
Winnipeg ci
fermeremo a Thunder
Bay,
Il tratto
Winnipeg-Montreal è troppo lungo.
Le giornate sul
treno sono monotone, ma arriviamo a Winnipeg e da lì
partiamo per Thunder Bay.
I problemi
iniziano quando scendiamo da quel treno. Non ci sono treni per Ottawa,
ci sono
solo salendo più a nord, il che significa autostop o
più probabilmente giornate
di marcia nella neve.
Il paese che
dobbiamo raggiungere è Nipigon.
A malincuore
usciamo dalla stazione di Winnipeg e cerchiamo un posto dove sia
possibile
rimediare da mangiare in modo da metterci in forze.
Troviamo un
proprietario gentile verso la marina del Superior Lake e mangiamo come
se non
ci fosse domani, come al solito ci portiamo via qualcosa da mangiare
più
avanti.
Con il cibo negli
zaini iniziamo ad attraversare Winnipeg, è un posto carino,
ma non è ancora la
Meta. La Meta è Montreal e ci arriveremo, parola mia.
Ci vuole quasi un
giorno per attraversare Winnipeg, per cena usufruiamo delle varie mense
dei
poveri sparse per la città e dormiamo anche lì
quando troviamo posto.
Qui fa più freddo
rispetto alle altre città, non ci volevano delle giornate di
marcia proprio
ora!
La faccia di
Derek è scura, nemmeno lui sembra contento della situazione.
“Questo è un
casino, ho il sospetto che dovremo farcela tutta a piedi e sperare che
non ci colga una tempesta, altrimenti siamo fottuti, rischiamo di
morire congelati.”
Io annuisco,
prego il Signore – sebbene siano anni che non lo faccia
– di farci raggiungere
quel fottuto posto.
Ci mettiamo in
marcia e all’inizio sembra procedere tutto bene, troviamo
persino una macchina
che ci dà un passaggio per un pezzo, il peggio deve ancora venire.
“Hold on the worst is yet to come.”
Cantava Mark ed è
in effetti così, quando manca poco a Nipigon iniziano a
cadere larghi fiocchi di
neve che poi iniziano a vorticare sospinti da un vento gelido che ulula
feroce.
Iniziamo a non
vedere più in là del nostro naso, è
iniziata una tempesta, io stringo la mano
di Derek, ma la sua presa mi sembra debole.
“Cosa c’è?”
Urlo per
sovrastare il vento che è sempre più forte.
“Sono stanco,
Ava, e ho fame.
Lasciami qui che
mi faccio una dormita!”
“Sei matto?
Rischi di morire! Andiamo!”
Lo trascino, mi
sembra che lui sia diventato una bambola inerte e non il ragazzo forte
che ho
sempre conosciuto.
“Forza Derek,
troveremo un posto per riposare!”
Urlo, più per
spronarlo che per reale convinzione.
Non ho idea di
dove trovare un posto per riposare riparati, in ogni caso arriviamo a
una
piazzola e tra la neve che vortica, grazie alla pila di Derek mi pare
di
scorgere un capanno poco lontano.
“Forza, c’è un
capanno, andremo lì!”
Inizio a essere
stanca anche io e non
mi piace il fatto
che lui ormai non mi risponda più.
Scavalchiamo il
guardrail e ci dirigiamo verso un capanno di legno, con un
po’ di fatica forzo
la serratura ed entriamo.
È pieno di paglia
e fieno, siamo fortunati. Tiro fuori le coperte e ci avvolgo Derek,
appoggio
una mano sulla sua fronte e mi accorgo che scotta: ha la fronte che
scotta.
Merda! Ha la
febbre.
Tiro fuori la
cassetta del pronto soccorso dal mio zaino, fortunatamente
c’è anche
dell’aspirina.
Ora sono agitata,
verso un po’ di acqua in un bicchiere di plastica e poi
l’aspirina che inizia
subito a fare quel caratteristico fischio che ha.
Io guardo il mio
amico, è pallido e stanco.
Una volta che la
pastiglia ha finito di sciogliersi, faccio bere Derek.
“Starai meglio,
tranquillo.”
Lo copro con un
po’ di paglia e poi mi sdraio al suo fianco sotto la paglia e
le coperte e lo
abbraccio più forte che posso, pregando che domani stai
meglio.
Mi addormento
così.
La mattina dopo
la sua fronte sembra meno calda e la tempesta di neve è
cessata, con fatica
rimettiamo le nostre cose negli zaini.
Usciamo dal
capanno con fatica – vista la neve caduta – e ci
troviamo davanti a un
paesaggio bianco e puro e se non fossimo in questa situazione direi che
è quasi
incantato.
Per noi non lo è,
non adesso.
Torniamo sulla
strada che stavamo seguendo e proseguiamo lentamente, Derek
è ancora debole, ma
non siamo lontano.
Al tramonto
iniziamo a vedere le prime case in lontananza e questo ci rincuora e
sprona ad
andare avanti.
“Siamo quasi
arrivati a Nipigon, laggiù troveremo qualcuno che ci
aiuterà. Ti prego, Derek,
cerca di resistere.”
Lui annuisce,
troppo stanco per parlare.
Entriamo a
Nipigon sotto un cielo limpido trapuntato di stelle che sembrano
così vicine da
poterle toccare, nonostante il bel tempo la notte rimane comunque
gelida e il
vento soffia contro di noi impietoso.
Con grande
difficoltà arriviamo a quella che sembra la mensa dei
poveri, io busso con
vigore e dopo un po’ una donna in vestaglia ci apre.
“La prego ci
aiuti, il mio amico sta male.”
Lei annuisce, ci
fa fare la doccia, mangiare e poi ci dà un pigiama e ci
accompagna ai letti, a
Derek dà un’altra aspirina visto che la febbre gli
è risalita.
Dio, fa che ce la
faccia.
Poco dopo cado in
un sonno senza sogni né incubi che mi fa riposare fino alle
nove, quando vengo
svegliata dalla donna in vestaglia della sera prima.
“Come sta Ramon?”
Chiedo con una
voce ancora intontita per il sonno.
“Oggi verrà un
medico, la febbre non scende.”
Io impallidisco.
“Come ti chiami?”
“Kate.”
Rispondo con un
filo di voce.
“Kate, il tuo
amico ce la farà. È stato fortunato
perché qualcuno deve avergli già dato
qualcosa per far scendere la febbre.
“Io.. Io gli ho
dato un’aspirina.”
“È stata una
buona mossa. Adesso scendi a fare colazione e poi potrai andare a
trovarlo.”
Io annuisco e mi
cambio i vestiti, i miei sono probabilmente a lavare. Indosso un paio
di jeans
stretti neri, una maglietta dei Sex Pistols, una felpa dei Rancid e
– visto che
nell’edificio fa abbastanza caldo – tralascio la
camicia felpata a quadri neri
e rossi.
Mangio di fretta
per vedere Derek.
In effetti non è
conciato tanto bene, è pallidissimo, ma sorride quando mi
vede.
“Ehi, scricciolo!
Sembra che io ti debba la vita.”
“Così siamo pari
adesso, oggi pomeriggio verrà un medico a
visitarti.”
Poi scoppio a
piangere senza averlo premeditato.
“Ho avuto tanta
paura che morissi, non giocarmi mai più un tiro del
genere!”
Urlo tra le
lacrime, lui me le asciuga e poi mi cenno di stendermi accanto a lui.
“Andrà tutto
bene, Ava.”
Mi sussurra in un
orecchio.
“Ce la faremo, te
lo giuro. Non abbiamo attraversato mezzo Canada solo per fermarci
adesso.”
Io annuisco, lui
mi scompigli i capelli.
Se lui dice che
andrà bene gli credo, lui è l’ultima
persona che mi è rimasta.
Ce la faremo, me
lo ripeto mentre mi addormento di nuovo tra le sue braccia.
Ce la faremo.
Angolo di Layla
Ringrazio DeliciousApplePie
per la recensione.