MISTERI.
Di
MrsLyla_90.
Fuoco.
Fiamme.
Un
urlo acuto squarciò l'aria.
“Hector!!!” aveva gridato
Elizabeth.
Hector.
Eravamo
in una battaglia di fuoco, la casa in fiamme. Ogni cosa era offuscata
dalle fiamme, attorno a noi era come un gioco di lingue rosse che si
muovevano in una danza veloce, quasi capace di agitarti e di
soffocarti.
Sentivo la sua voce. Ma non si sentiva quella di
Hector. Eravamo gli uni dispersi dagli altri. Nessuno era con
nessuno. Completamente divisi, in punti divisi della casa.
Lo
dicevo io, quindici anni fa che questa casa non andava bene. Ero
piccolo, ma abbastanza intelligente. In questa casa è
successa una
cosa brutta. Qui mia madre è morta, nessuno ha mai saputo
come. Un
giorno avevo scritto una letterina per lei, ero salito per le scale,
nell'ultimo piano: il terzo. Con le pareti opache e il pavimento che
sembrava di ferro tutto adornato di graffi, argentati e rosso ramati.
Dalle scale la intravidi accasciata a terra. C'era la porta della
stanza da letto aperta, sul fianco c'era un mobile di mogano e
dall'altra parte si vedeva un po' il letto, e lei era proprio stesa
lì sul fianco, era chiaramente dietro il letto ma dal torace
alla
testa si poteva vedere, la testa infatti finiva toccando il mobile di
mogano.
Il suo volto sembrava marmoreo, e gli occhi erano
spalancati. Erano sempre stati azzurri, ma in quel momento sembrava
ci fossero delle chiazze bluastre nelle iridi. Era spenta, morta. E
da dietro di lei, c'era il balcone, da dove entrava tutta la luce.
La mia mente ritornò alla realtà rapidamente, le
fiamme
continuavano a bruciare ogni strato della casa, ogni pezzo, ogni
ricordo, i quadri, la libreria di mio padre.
“Hector!!
Alexander!!”
Lei era ancora viva, ma perchè Hector non si
faceva sentire? Scesi le scale, lì sembrava tutto sparito,
tutto
completamente distrutto. Passai vicino ad una scrivania metà
in
fiamme, e mi cadde distrattamente l'occhio su una agenda che usava
mio padre quando era ancora vivo, non ce la faceva nemmeno toccare.
Era
nera con delle ricamature sui bordi color oro. Mi avvicinai e la
sfogliai. Le pagine erano ingiallite e vecchie. Poi vidi una tabella
fatta a mano, con delle cifre e delle crocette a fianco, e poi in
mezzo alle due pagine c'era un foglietto ben ripiegato, lo aprii
appoggiando l'agenda sulla scrivania.
“Uccidila o noi
uccideremo te”, aggrottai la fronte.
E poi come un'immagine, tanti pezzi di un puzzle che si mettono insieme. Ma certo. Qualcuno minacciava mio padre, loro lo hanno costretto ad ucciderla.
“Elizabeth!!” gridai.
Volevo dirglielo, non mi importava proprio, che c'era in corso un incendio. Non potevo non farglielo vedere quel foglietto, lo misi nella tasca posteriore. Cambiai stanza, con la pesante pressione di volerla trovare subito.
“Alexander!!!
Hector!”
Passai per una camera da letto dove anche il
lampadario di ebano aveva preso fuoco, quella stanza era di
Elizabeth, sulle pareti vi erano attaccate delle foto, molte di
queste c'erano lei con Hector. Ci fu un periodo dove lei ed Hector
erano molto amici, non so per quale motivo poi smisero di
frequentarsi, ricordo solo che un giorno ero in cima alle scale
dell'ingresso e l'avevo vista entrare con le braccia incrociate e lo
sguardo basso, mi aveva visto e l'unica cosa che fece fu sorridermi
mesta, e da fuori si sentì il rombo della Mercedes di
Hector.
Misteri.
Nella mia vita ci sono stati un diluvio di misteri. Mai risolti.
Tutte porte rimaste aperte.
Andai
avanti.
“Elizabeth! Hector!!” gridai.
Scesi al piano di
sotto. Il pianoforte che suonava Elizabeth, si era fracassato con una
trave infuocata infilata in mezzo. Camminai poco più avanti,
voglioso di ritrovare Elizabeth. Dovevo dirle tutto. Volevo chiederle
cos'era successo con Hector. Perchè? Perchè hanno
smesso di
frequentarsi? E mio padre, perchè non ha lottato per mia
madre?
Hector, per un periodo era giù, lui si è sempre
preso
cura di me, ero un tipo molto solitario e quasi misterioso, molti mi
vedevano anche come una persona un po' tenebrosa, lo diceva anche
Hector.
“HECTOR!
ELIZABETH!!” gridai
più forte.
Tutto,
qualsiasi cosa, qualsiasi ricordo, si stava distruggendo, consumato
da quelle fiamme apocalittiche. C'era ancora tempo, tempo per
risolvere i misteri che avevano influenzato molto la mia vita. Che
l'avevano condizionata in ogni istante, alcuni segreti che mi sono
sentito addosso mi hanno fatto sentire escluso dalla vita di tutti.
Il parquet di ciliegio, era sporco e bruciato in molti punti, i
quadri ad olio erano fiammeggianti, tutti. Nessuna cosa era
sopravvissuta in quella casa.
Finalmente, dal fondo del corridoio,
vidi Elizabeth, voltata, e sembrava cercasse qualcuno. Era
disperata.
“ELIZABETH!!”
gridai, correndo
verso di lei con calma.
“ALEXANDER!!”
gridò venendomi incontro.
Mi strinse la mano brevemente come per
assicurarsi che fossi vero.
La guardai un po' sconcertato e molto
ansioso, dovevo chiedergli...
“Hector, non lo trovo!!” Emise
un verso strozzato simile ad un “oh!”.
“Elizabeth, hai mai visto questo?” e gli parai davanti il foglietto che avevo trovato nel diario di mio padre.
“Uccidila o noi uccideremo te”.
Elizabeth lo guardò come se non se lo ricordasse, lo scrutava quasi lo perforava con i suoi occhi. Potevo vedere attraverso di essi tutti i ricordi che stava rivivendo nella sua mente, un turbine di ricordi che la turbavano e sembravano svegliarla da un sonno lungo.
Poi mi guardò. “Alex, è una storia lunga. Adesso dobbiamo fuggire e trovare Hector” disse guardandomi drasticamente e poi mi voltò le spalle, ripercorrendo il corridoio. La segui continuando a parlare. “Perchè papà la uccise?” dissi stringendo le dita attorno al foglietto. “HECTOR!!” gridò mia sorella ancora più disperata. Corse al piano di sopra e dovetti seguirla.
“Elizabeth!” la chiamai correndole dietro.
Eravamo
proprio dove ero prima io, vicino alla stanza dove mia madre
è
morta. Non so da dove era sbucato, ma lo trovai alle prese di una
trave infilzata, fortunatamente non era ricoperta dalle fiamme, ma
lui era poco distante dalle fiamme, stava cercando di liberare la
maglietta che si era impigliata ad uno spacco appuntito di legno
della trave.
“Hector!” gridò Elizabeth, lanciandosi
verso di
lui.
Li guardai, e mi chiesi se tra loro ci fosse mai stato un bacio. Si sfioravano le mani, ma le loro espressioni erano come immutabili. La faccia di mia sorella era come terrorizzata, la sua era sempre immutabile, aveva un'espressione disinteressata e dura.
“Andiamo!” disse tirando per una manica Hector e prendendo per un braccio me.
Mia
sorella era sempre stata quella di cui cui si occupava di tutto,
quella che sapeva ogni cosa ogni segreto brutale, e se ne prendeva le
responsibilità, era sempre pronta a sacrificare tutto, ma lo
faceva
come fosse un dovere, per lei la vita era un dovere, un dovere sacro.
Anche Hector era un po' così, ma poco, la sua vita era
programmata,
se lo si vedeva in giro non lo vedevi mai sorridere, lo vedevi sempre
con uno sguardo serio e disinteressato. Il mio migliore amico.
Strano, è veramente strano tutto questo. Tutto quello che
sta
succedendo.
Scendemmo al piano di sotto.
Li segui. Poi mi affiancai a Elizabeth: “Elizabeth, per favore, perchè papà non ha lottato per la mamma?”.
La
vidi sospirare. “E' una lunga storia, mamma aveva beccato
papà che
scambiava delle mazzette ad un signore, ma è stata zitta,
anche se
era un po' impaurita, cominciò ad indagare e
scoprì che papà era
minacciato dalla mafia, quando anche gli “uomini”
della banda se
ne accorsero, minacciarono papà di ucciderlo se lui non
uccideva
lei.”
La guardai mentre raccontava, sembrava essere preoccupata
solo di uscire di lì. Sperai fosse solo una mia impressione.
“E
perchè tu e Hector avete smesso di frequentarvi? Cosa
successe quel
pomeriggio?”
Per un attimo sembrò che Elizabeth si stesse per
fermare, ma non successe e il suo volto fù attraversato da
ricordi e
da emozioni indecifrabili.
Sentii Hector irrigidirsi, non lo
vedevo perciò mi voltai per guardarlo ma fissava davanti a
sé con
il suo solito sguardo disinteressato e duro, ma sapevo che dentro di
lui qualcosa si era mosso.
“Lo abbiamo fatto per te, avevamo
paura che non avresti accettato la nostra relazione” disse
guardandomi con la fronte aggrottata e uno sguardo indecifrabile.
“Ma tu volevi stare con lei, vero?” dissi
immediatamente a
Hector.
Per la prima volta mi guardò negli occhi.
“Sì”
disse semplicemente, piantando i suoi occhi nei miei.
“Ne
avevamo discusso ma poi decisi che era meglio per tutti non fare
niente”
“Ma...” sussurrai confuso.
Ad
un certo punto ci fu come un terremoto, la casa stava crollando.
Dovevamo muoverci.
“..abbiamo fatto tanti sacrifici per te
Alexander, per non crearti mai problemi, tu odiavi i
problemi...”
disse con voce consapevole.
Lo guardai un po' sconvolto.
“Ti ho sempre voluto bene, come un fratello, per me è sempre stato un dovere proteggerti. Tu sei ed eri il mio migliore amico Alex” disse guardandomi.
E
poi vidi attraverso i suoi occhi tutto quello che aveva fatto per me,
tutti suoi sacrifici, i suoi affetti nei miei confronti. Era troppo
tardi. Tardissimo. Successe troppo in fretta, una trave di legno
cadde addosso a a Hector.
“No!” Non seppi mai chi urlò.
Io
ed mia sorella cercammo di togliere di dosso la trave da Hector. Ma
era troppo tardi. La sua maglietta era sporca di sangue,
fortunatamente i suoi occhi erano chiusi. No. Hector no. Elizabeth lo
guardò quasi piegata in due gemendo dal dolore.
“No....Mi
dispiace Hec, mi dispiace, avevi ragione tu...”
sussurrò.
Non
seppi come ma mi ritrovai a terra, ansante e stanco cercavo di tirare
su il suo cadavere.
“No...Alex no! Dobbiamo andare via! Lascia
stare” disse tra le lacrime tirandomi per la manica. Mi feci
trascinare. Avevo perso la persona più importante della mia
vita....
Corremmo,
corremmo, ma non si poteva proprio dire che ne saremo usciti, non si
poteva proprio dire.
Un esplosione, fiamme feroci, ci fecero
saltare in aria. Io finii a terra, ma avevo sentito un piccolo botto.
Mi alzai con la vista accecata per il troppo fumo e la troppa luce
che emanava il fuoco. La trovai accasciata a terra con una
pozzanghera di sangue proprio che proveniva dalla testa, il volto era
coperto da un braccio.
Mi avvicinai, ma tanto lo sapevo già.
Le
scoprii il volto. E la fissai con lo sguardo inerme. Le accarezzai
una guancia.
“Grazie. Grazie per tutto quello che hai fatto per
me. Ti voglio bene.” le diedi un bacio sulla fronte.
E con gli
occhi lucidi scesi l'ultimo piano. Attraversarlo fu come attraversare
la via Crucis. Mi erano morte le uniche persone che mi erano rimaste.
Attorno a me, regnava l'inferno.
Addio casa dei misteri.
Ci
voleva un incendio per risolverli e poi portarmi via tutto.
Addio
Hector.
Addio Elizabeth.
Addio Mamma.
“Mi dispiace per
voi.”
Pensai
mentre attraversavo tragicamente l'ultimo piano vicino alla porta di
casa di legno e vetro, con le lacrime che scendevano sul mio
volto.
Gridai violentemente mentre acceleravo il passo.
Ero
vicinissimo alla porta.
La porta di quella casa.
Una casa
ricca di misteri, che hanno regnato la mia vita.
Una casa dove è
iniziata una storia e questa storia con la casa è finita con
un
incendio, spazzando via tutto di quella vita. Tutto.
Addio.
Avevo
appena poggiato la mano sulla maniglia di ferro della porta.
Era
l'inizio di una nuova vita.
Aprii la porta e uscii sotto il
portico. Dovevo avere l'aria di chi era uscito da una dura impresa,
che non comprendeva solo un incendio, ma che comprendeva anche una
vita ricca di misteri.
Ero l'unico uscito illeso da quella casa
spaventosa. L'unico rimasto vivo da quella serie di eventi
sfortunati. L'unico ricordo che avevo di loro era la fotografia di
Hector e Elizabeth e il foglietto della minaccia dei mafiosi rivolta
a mio padre.
Guardai la foto. Elizabeth cingeva con una braccio
la schiena di Hector, e la foto era stata fatta un po' dall'alto, in
una bella giornata di sole. Guardai il loro volti. Erano felici, e
sarebbero stati una bella coppia.
Fissai intensamente la
foto.
Non mi dimenticherò mai di voi. Mai.
Addio Hector,
soprattutto tu.
Ti
voglio bene.
Addio.