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Autore: ELE106    23/09/2013    6 recensioni
[ATTENZIONE: QUESTA ONE-SHOT SI INSERISCE NEL CONTESTO NARRATIVO DI OCCHI BUI. Sarebbe preferibile averla letta per proseguire.] Nella vita di Nasir, Elena, la schiava romana che lo ha allevato come Tiberio nei suoi primi anni di vita, è una figura importante. Crescendolo, seppur con l'intenzione di proteggerlo, lei è stata fautrice e partecipe della sua trasformazione nello schiavo Tiberio. La sua vita si è però spenta presto, troppo forse, lasciando quello che considerava il suo bambino da solo, senza la sua guida. Vittima di violenze inaudite, Tiberio ha finito col diventare quello che abbiamo conosciuto all'inizio di 'Occhi Bui'; lo schiavo carnale, obbediente e 'vuoto', del suo Dominus. Ora che Nasir e Agron sono felici insieme, nelle terre della Germania celtica, dopo la fine delle battaglie e la morte di Spartacus, l'unica donna che lui ha conosciuto come madre, torna a parlargli nei suoi sogni. Buona lettura ;) [Post Spartacus]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Nasir'
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Elena

Disclaimer: Agron e Nasir non mi appartengono, questa è una storia di fantasia, l’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Elena




L’ultima volta che l’avevo sognata mi chiamavo ancora Tiberio e avevo quattordici, forse quindici anni.

Il Dominus mi domandava di toccarlo, ma io ero ancora troppo giovane e inesperto per soddisfarlo, come invece sarebbe stato mio compito.

Un bambino... con le gambe aperte e le mani di altri in posti dei quali nemmeno comprendevo l’importanza.

Durante il sesso rimanere immobile e subire passivamente sarebbe equivalso all’ozio, ovvero un lusso che a nessuno schiavo è mai stato concesso.

 

L’ultima volta che avevo sognato Elena, il Dominus mi aveva fatto frustare a sangue perché il corpo di quel bambino che usava per sfogarsi, non partecipava al suo gioco.

Come poteva? Il bambino non sentiva nulla.

 

 

-Non mi sono ribellato, madre... perché fa così male? Dicevi che il dolore sarebbe sparito in fretta.-

-Madre, mi senti? Madre?-

 

La notte che seguì quelle frustate ricordo che aprii gli occhi con molta fatica e mi trovai in un luogo che non riconobbi immediatamente, completamente al buio. 

Sentivo bruciare la carne a causa delle ferite aperte e le palpebre a causa del pianto.

Pochi attimi di confusione prima di capire dove mi trovassi.

L’aria puzzava di sterco e piscio di cavallo. Io tastai a terra con le mani e strinsi qualcosa tra dita, che riconobbi essere paglia.

Ero nelle stalle, come fossi stato una bestia.

La mia punizione era sempre la stessa: l’umiliazione. Perché mi fosse ben chiaro quale sarebbe stato il mio posto, se di nuovo avessi mancato ai miei doveri, nel letto del Dominus.

 

-Continuo a sognarti, madre. Vorrei chiederti qualcosa di importante.-

 

Da qualche parte, tra il dolore delle frustate e la perdita dei sensi, avevo sognato di lei. Delle parole con le quali usava convincermi ad accettare remissivo i miei compiti. Della tenerezza delle sue mani che mi accarezzavano gentili, del buio nei suoi occhi quando non li posava nei miei e non si accorgeva che la guardavo.

 

-Voglio chiederti perché hai voluto questo per me? Mi odiavi, madre? Mi odiavi perché non ero davvero il tuo Tiberio?-

 

Ricordo che a terra c’era umido. La paglia doveva essersi mischiata al mio sangue.

Mi stesi sulla pancia e attesi. Attesi di morire per rivederla ancora una volta e chiederle di amarmi comunque, anche se non venivo dal suo ventre.

Perché lei era l’unica madre di cui rammentavo il profumo e il calore, l’unica che amavo.

Chiusi gli occhi e persi conoscenza.

 

Da qualche parte, di nuovo tra i ricordi, i sogni e i sensi che si risvegliavano, sentii il fresco di un panno sulle palpebre e la pressione di una mano sul polso.

Quando aprii gli occhi, non ero più al buio e non ero più solo.

Il Dominus mi guardava distante, sulla soglia, dietro la figura chinata di un vecchio schiavo intento a curare le mie ferite. Mi guardava come si guardano gli oggetti, come si guardano i vasi vuoti, di scarso valore.

 

-Sei fortunato ad avere questo aspetto, piccolo Tiberio. E che tua madre sapesse bene come ricattarmi. Vedi di non sfidare la mia pazienza un’altra volta! Mi dispiacerebbe dovermi privare di te.-

 

Chiusi gli occhi, sentendo lacrime bollenti rigarmi le guance, pallide e sudate per la febbre. Persi di nuovo conoscenza.

 

-Tiberio...-

-Madre?-

-Tiberio... No che non ti odio, figlio mio, non potrei mai. -

-Madre, voglio stare con voi. Perché mi avete dato a lui?-

-Tiberio, mio splendido bambino... il neonato che mi fu strappato aveva una testolina di capelli nerissimi, proprio uguali ai tuoi. E quando me lo portarono via gridava terrorizzato, proprio come facesti tu in quel fiume, quando ti salvai dalle sue acque.-

-Portatemi con voi! -

-Sei tu il mio Tiberio, il mio vero figlio. E io ti amo più di ogni altra cosa al mondo, perché in te non c’è traccia del romano che uccise il suo stesso sangue, guardandomi negli occhi.-

-Madre perché avete permesso questo? Madre!-

-Tu sei la mia vendetta, Tiberio.-

 

Come detto, quella fu l’ultima volta che Tiberio la sognò.

 

 

 

La prima e unica volta che l’avevo sognata, da quando il mio nome era diventato Nasir, deliravo preda alla febbre. La ferita aperta sul costato bruciava la mia carne, esattamente come le frustate del mio Dominus.

La prima e unica volta che Nasir aveva sognato Elena, la rincorreva senza mai riuscire a raggiungerla, poiché nemmeno nei sogni mi sono mai state concesse risposte.

Elena la favorita, Elena la traditrice. Rinnegata e regredita a sguattera, per aver permesso che il suo grembo si gonfiasse del seme del suo padrone.

Elena, mia madre.

 

-Tu sei la mia vendetta, Tiberio. -

 

Agron dorme in parte a me proprio ora. Il suo respiro è tiepido e regolare, il suo petto appoggia appena contro la mia schiena.

Sotto le mie dita non c’è l’umido della paglia sporca di sangue, né il freddo dei sotterranei di un tempio romano, ma il morbido calore delle pellicce sotto cui riposiamo io e lui, ogni notte.

Non so perché ho sognato Elena dopo tanti anni.

Ma quando mi sono svegliato, poco fa, per un secondo ho creduto di rivivere il buio di quella stalla e risentire il fetore dell’umiliazione subita.

 

Qualche volta mi chiedo se sono ancora suo figlio... o se lo fosse soltanto Tiberio.

Una parte di me è turbata tutt’oggi al ricordo di chi ero... e si domanda spesso se Tiberio sarebbe stato lo stesso, con Elena al suo fianco ancora per qualche anno. Se la sorta di ‘mutazione', che era avvenuta per proteggerlo dalle violenze che subiva, si sarebbe completata in modo migliore, con Elena a guidarne i cambiamenti.

 

Lei si era ribellata, in un certo senso. Aveva voluto quel bambino, aveva sperato di dargli un futuro, contro doveri e obblighi. Ma la sua ribellione si era spenta nel più orribile dei modi. E la lezione che ne aveva ricavato, era stata che ribellarsi al Dominus, portava sofferenze peggiori delle umiliazioni.

-Non ribellarti, Tiberio. Il dolore sparirà in fretta...-

Per questo mi volle nelle grazie del suo padrone, pur covando un odio e un rancore difficili da comprendere, per lui e per ciò che le aveva fatto. Per questo mi volle al sicuro e fece in modo di mettermi nella posizione più agiata per uno schiavo. Quella del favorito.

 

-Tu sei la mia vendetta, Tiberio. Il mio lascito all’uomo che ha ucciso suo figlio. Tu...  glielo ricorderai per sempre.-

 

A me, la ribellione aveva insegnato l’amore.

Io avevo Agron. E tutto ciò che volevo era che, guardandomi, lui vedesse un suo pari.

 

-Sei la mia vendetta, Tiberio.-

 

Senza voltarmi, accompagno in avanti la mano che Agron tiene appoggiata al mio fianco e mi stringo tra le sue braccia più che posso.

 

-Madre... mi senti? Sono felice, ora. Vorrei che tu vedessi.-

-Io ti amo, Tiberio.-

 

-Smetti di rimuginare, siriano. Sento il rumore dei tuoi pensieri.-

-Perdonami, Agron...-

Mi giro lentamente, così da poterlo abbracciare in vita e appoggiare la fronte al suo petto.

Lui resta immobile, sembra essersi riaddormentato.

-Agron?-

-Hai ancora un paio d’ore di sonno, prima di andare a caccia, Nasir. Sicuro di volerle occupare parlando?-

Al buio, sento le sue mani scivolare lungo le mie gambe nude. Scorrono leggere, dal basso verso l’alto. Mi afferrano appena sotto le natiche e si portano una mia gamba intorno alla vita.

Gli sorrido e gli accarezzo una guancia, delineandone i lineamenti con le dita. Sono caldissime, così come il suo corpo. Posso quasi sentire il sangue scorrere tra noi, talmente siamo vicini, l’uno all’altro.

-Di certo non intendevo occuparle come stai pensando tu!-

I suoi baci, che già aveva iniziato a far piovere sul mio collo, si arrestano di colpo.

-Allora come?-

-Pensavo...-

-Si, me n’ero accorto.-

Gli do uno spintone, premendo la mano al centro del suo petto e sorridendo ancora.

-Pensavo che avrei voluto che conoscessi mia madre. Voglio dire, la donna romana che mi ha allevato.-

Non risponde.

Si accoccola contro di me e prende ad accarezzarmi distrattamente l’addome. Riesce quasi a coprirne gran parte con il solo palmo aperto di una mano, che appoggia e ferma sul mio ventre.

Indugia appena sopra l’inguine, sento il calore irradiarsi da sotto le sue dita.

-Ora sei tu che rimugini, Agron. A cosa pensi?-

-Penso che devi essere gravido, piccoletto! Non fai che parlare di madri.-

Ridiamo.

Gli piace scherzare su questo, lo fa spesso. Mi spaventava all’inizio, temendo di perderlo al termine di un immaginario scontro, dal quale mai sarei potuto uscire vincitore, contro la possibilità di un figlio suo.

Poi ricordai che io e lui ci eravamo scelti in mezzo a mille possibilità, perché insieme eravamo migliori, più forti. E così sarebbe stato, finché fossimo stati in grado di renderci felici.

 

Non è più buio fuori. L’alba sta sorgendo e la luce filtra tenue tra le assi della capanna.

Osservo i colori intorno a noi accendersi e mutare pian piano, colpiti dai raggi del sole tiepido e freddo del mattino.

Agron continua a stringermi tra le braccia e ad accarezzarmi.

Vuole fare l’amore.

E lo voglio anche io.

-Il giorno in cui io sarò gravido, tu potrai davvero vantarti di scopare come un Dio, Agron!-

-Allora ci provo subito!-

E ridiamo ancora.

 

Fare l’amore all’alba vuol dire vedere tutto, oltre che sentire.

Guardarlo negli occhi, mentre si perde dentro di me.

Sentirlo tremare, mentre faccio scorrere le mani su di lui.

Osservare la sua espressione quando ascolta i miei lamenti, quando sente che lo chiamo, mentre mi chiede cosa voglio... ed esegue.

Fare l’amore all’alba vuol dire donarsi per davvero, senza maschere e protezioni.

 

 

-Io ti amo, Tiberio.-

-No, madre. Un giorno, quando ci rivedremo, ti racconterò di tuo figlio. Non di Tiberio, lo schiavo carnale che sopravvisse al buio, nel letto di un Dominus. Ma di Nasir, il guerriero che visse alla luce, combattendo per amore di Agron.-

 

 

 

Fine.

 

 

 

Nda: credo di essere in un certo qual modo (un pochino, tantissimo, praticamente ‘na malattia grave!) ossessionata dal personaggio di Elena... che vi ricordo essere completamente di mia invenzione! XD ecco, tutto qui! È solo per questo motivo che ho deciso di rovinare a tutti l’esistenza con questa one-shot. E ringraziate che è solo una one-shot, poteva andarvi peggio! T___T

Grazie a tutti per aver letto! Approfitto (ANCORA) di questo spazio per mandare una carezzina sulla guancia a tutti i lettori di Occhi Bui, che mi hanno fatta sentire importante e mi hanno fatta contenta con tutti i loro bellissimi commenti e complimenti ;) In particolare thiniasPearLina vampiredrug , che hanno segnalato la storia per le scelte del sito. E insomma, non mi era mai successo e mi avete sinceramente commossa. Quindi facciamo che questo ‘seguito’ è un po’ per voi.

Gratitude, dalla vostra(???) Elena... no, non quella, IO!

Baci ^^

   
 
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