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Autore: CaramellaAlCioccolato94    24/09/2013    1 recensioni
Martina è una ragazza di 19 anni, appena diplomata al liceo classico e con una voglia irrefrenabile di costruire un futuro tutto nuovo lontano dal suo piccolo paesino natale di Gubbio. Trova la possibilità di poter frequentare l'università a Roma grazie alla sua migliore amica Giada e a Massimiliano, fratello di quest'ultima e studente da già due anni all'università romana. Andando contro il parere dei suoi genitori, deciderà comunque di partire e si troverà catapultata in una nuova realtà. Nel mitico scenario degli anni '80 tra coinquilini semi sconosciuti, lezioni universitarie, spese da dividere, feste da sballo, serate al solito pub del centro, Martina coglierà finalmente il vero potere della gioventù e dei sogni.
Genere: Fluff, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Storico
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 

Benvenuta a questa nuova vita.
 
 
“And now we meet in an abandoned studio
We hear the playback and it seems so long ago
And you remember the jingles used to go”

 
Video killed the radio star – The Buggles

 
 
 
 
20 settembre 1986.
Sabato pomeriggio-sera.

 
Un voce metallica interruppe il mio dormiveglia. Una voce metallica che annunciava l’avvicinamento alla nostra meta. Mancavano solo altri cinque minuti e finalmente saremmo arrivate in quella che gli antichi chiamavano “caput mundi”.
Eravamo quasi a Roma. Gubbio era ormai lontano svariati chilometri, ma già mi sentivo come se fossi partita secoli prima.
Al momento non avevo nostalgia e soprattutto la voglia di tornare indietro non c’era affatto. Ero sempre più determinata nell’andare avanti per la mia strada e nulla mi avrebbe bloccato, soprattutto se decidevo che quello doveva essere il mio futuro. Ero molto testarda e determinata in fatto di scelte e forse era stato anche per quel motivo che miei genitori si erano arresi ad ogni tentativo di dissuadermi nel partire.

«Eccoci! Siamo arrivate!», esclamò Giada euforicamente.
«Bè, ce l’abbiamo fatta alla fine.», notai sorridente mentre recuperavo le mie valigie.
«Sì, sì, sì. Siamo a Roma e la nostra nuova vita può finalmente avere inizio.», disse la mia migliore amica prendendomi le mani ed esprimendo tutto il suo entusiasmo nel suo contagioso sorriso a trentadue denti.
Ricambiai lasciandomi andare alla sua gioia. La sua gioia che in quel momento era anche la mia. La sua gioia che sembrava essere il sole che spuntava dopo una lunghissima tempesta. La sua gioia che mi spinse a maggior ragione a scendere da quel treno per assaporare l’aria della capitale.
Recuperammo tutte le nostre valigie, uscimmo dal nostro scompartimento e finalmente toccammo i nostri piedi per terra.
Mi sentivo un po’ come Neil Armstrong quando nel lontano 1969 aveva messo piede sulla Luna. Quel primo uomo sul famoso satellite della Terra fu ripreso in televisione e le immagini dell’epoca le ricordavo in maniera molto sfocate, poiché avevo poco più di due anni. Ricordavo solo che si trattò di un avvenimento fin troppo importante per la storia dell’umanità. Un vero e proprio passo avanti per la scienza e analogamente quel giorno avevo compiuto un altro pezzo di percorso verso la mia crescita e la mia libertà.
Mi guardai attorno e la prima cosa che notai in assoluto fu che c’era un sole splendente. Era ancor più caldo e avvolgente rispetto a quando eravamo partite da Gubbio circa tre ore prima. Il pomeriggio romano era splendido e metteva un sacco di allegria anche il semplice vedere tutto quell’enorme viavai di gente che scendeva o saliva sui vari treni in arrivo e in partenza.
A prima impatto non mi sentivo fuori luogo, anzi stavo benissimo perché era come se avessi trovato dopo tante ricerche il mio habitat ideale.

«Massi! Siamo qui!», urlò Giada sventolando il braccio verso la nostra destra.
Tra la folla comparve un’alta e possente figura maschile che riconobbi in un lampo. Massimiliano ci venne incontro con il suo solito passo lungo e appena si ritrovò a pochissimi metri da noi, notai un grandissimo cambiamento rispetto ad un anno prima. Si era fatto crescere i capelli che ricadevano disordinati sulla sua nuca. Inoltre il nuovo pizzetto che sfoggiava gli conferiva un’aria da vero adulto. Non sembrava quasi che avesse vent’anni, bensì ne dimostrava almeno cinque in più.

«Sorellina, come stai?», domandò lui abbracciando Giada con grande entusiasmo.
«Io bene. Ma tu invece? Non sapevo nulla di questa barbetta!», esclamò la rossa poggiandogli una mano sul viso per osservarlo meglio.
«Era per cambiare.», rispose sorridendo divertito.
«Strano. Proprio tu che fino a poco tempo fa correvi a raderti, appena vedevi spuntare anche un pelo piccolissimo.», sghignazzò la mia amica riprendendolo.
«E vabbè, è andata così. Ciao Martina.», salutò Massimiliano notando finalmente la mia presenza.
«Ciao Massi. E’ da una vita che non ci vediamo.», notai mentre gli davo due baci sulla guancia.
«E’ vero. Sono contento che alla fine sia riuscita a venire qui. Vedrai che non te ne pentirai.», disse il ventenne dandoci una mano con le valigie.
«Ne sono sicura.», aggiunsi dirigendomi insieme ai due fratelli verso la macchina che aveva posteggiato fuori dalla stazione.
Non appena ci ritrovammo per strada, quasi non riuscii a trattenermi dallo spalancare la bocca per lo stupore.
Roma non era bella. Era bellissima.
Le strade. Le macchine. Le persone. I palazzi. I monumenti. Tutto rendeva quella città a dir poco magica e quel bellissimo tramonto che volgeva dietro gli edifici dai vari colori sembrava coronare quello spettacolo irripetibile.

«Cavolo, sembra che sta avendo un’apparizione della Madonna.», scherzò Giada rivolgendosi a Massimiliano.
«Che ci puoi fare? Anch’io ho avuto la sua stessa reazione quando arrivai qui due anni fa.», commentò quest’ultimo comprendendo a pieno ciò che stavo provando in quel momento.
Per me che ero una semplice ragazza di provincia, di famiglia media e senza avere chissà quali caratteristiche fondamentali, Roma sembrava essere un altro mondo.
Mi spaventava, ma allo stesso tempo mi attraeva da morire.
Era una sensazione indescrivibile e che solo in pochi avrebbero potuto provare allo stesso modo. Sembrava davvero che avessi avuto un’apparizione. Avevo avuto un’apparizione di quella che sarebbe stata la mia vita da lì in poi.
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio in macchina, arrivammo finalmente a casa “nostra”. Si trovava propria nel cosiddetto quartiere Tiburtino e precisamente ad angolo con via Vecchia Tiburtina. Si trattava di un condominio con un piccolo cortile interno dove posteggiare le auto. Il luogo mi piaceva un sacco e appena scesi rivolsi lo sguardo intorno studiando ogni minimo particolare.
Ero ancora incredula del fatto che stesse davvero accadendo, ma alla fine era la realtà.
Io ero davvero a Roma. Non era assolutamente un sogno.

«Siete fortunate. Sapete che l’università è distante da qui cinque minuti a piedi?», domandò Massimiliano scendendo dalla macchina dopo aver parcheggiato.
«Davvero? Che figata! Così non verrà scomodo spostarci!», esclamò Giada mettendosi in spalla la sua tracolla grigia.
Ascoltai parola per parola ciò che i due fratelli si dissero, ma senza prestarci troppa attenzione. Ero troppo intenta ad osservare ogni minimo particolare di quel posto che senza alcun valido motivo già ritenevo “magico”.
Era magico perché finalmente racchiudeva quel tipo di serenità che cercavo da una vita. Era magico perché era semplice, ma allo stesso tempo unico. Era magico perché sembrava rispecchiare totalmente la mia anima.

«Forza, Sisani. Andiamo.», mi incitò Giada giocando come al solito con il mio cognome.
Continuai ad osservare per bene il portone, le scale e persino la porta di casa che sfoggiava la targhetta “Studenti”.
Massi pescò un mazzo di chiavi dalla tasca destra del suo giubbotto di pelle, prese la chiave più lunga di tutte e la inserì nella toppa. La porta si aprì dopo un paio di scatti.

«Eccoci qua. Sono arrivate le nostre due matricole.», annunciò il ventenne entrando con me e sua sorella in casa.
La casa era molto luminosa e spaziosa. L’ingresso era abbastanza grande, con qualche mobile e le pareti verde chiaro. A sinistra c’era un corridoio che probabilmente portava alle camere da letto, mentre a destra c’era la cucina, dalla quale sbucò una ragazza alta, con gli occhi azzurri, i capelli castano chiaro e la frangetta.
Non era la prima volta che la incontravo. Era proprio lei.

«Laura!», salutò felicemente Giada correndo ad abbracciarla.
«Ciao piccolina! Cavolo, come sei cresciuta!», esclamò Laura dando un bacio enorme sulla guancia alla mia migliore amica.
Non sapevo che fra loro due ci fosse una profonda amicizia. Ero da sempre convinta che si erano limitate alla semplice conoscenza, ma forse quel grande saluto caloroso era dovuto al fatto che in fondo sia Giada, sia Laura erano due ragazze solari e fondamentalmente compagnone.

«Dove sono gli altri?», domandò la rossa sciogliendo l’abbraccio con la nostra nuova coinquilina.
«In cucina.», indicò lei con lo sguardo.
Giada e Massimiliano andarono un attimo in cucina per salutare quelli che dovevano essere gli altri abitanti della casa, mentre io e Laura rimanemmo sole all’ingresso. Quest’ultima si avvicinò a me con passo deciso e soprattutto con un sorriso enorme stampato in faccia.

«Ma noi due già ci conosciamo.», osservò la castana.
«Sì. L’estate scorsa a Gubbio, ricordi? Io sono Martina, la migliore amica di Giada.», mi ripresentai sorridendo quasi intimidita dalla nuova situazione che stavo cominciando ad affrontare realmente.
«Certo che ricordo! Eri quella che aveva dei problemi con i propri genitori per poter frequentare l’università, ma a quanto vedo alla fine ce l’hai fatta a venire qui.», constatò lei facendomi l’occhiolino per farmi sentire a mio agio.
«Abbiamo avuto un bel po’ di discussioni, ma alla fine ne è valsa la pena.», affermai con fierezza.
Avevo lottato duramente per ottenere tutto ciò che avevo desiderato con tutto il mio cuore e niente e nessuno me l’avrebbe portato via. Dovevo difenderlo come non mai con le unghie e con i denti.
Nonostante alcuni piccoli momenti di titubanza, in fondo sapevo benissimo che quello era il mio futuro e che non stavo assolutamente facendo nulla di male. Magari un giorno i miei alla fine mi avrebbero dato ragione su tutto.

«Ehi, che fate lì impalate all’ingresso?», domandò un tizio che sbucò improvvisamente dalla cucina.
Poteva avere poco più di vent’anni. Era alto, con un fisico palestrato, i capelli rossi ricci e disordinati, la barba rossa leggermente incolta e soprattutto un paio di occhi castano scuro.
Feci immediatamente due considerazioni alla vista di quel ragazzo. La prima era che non doveva essere presente l’estate scorsa a Gubbio, poiché non me lo ricordavo affatto. La seconda invece la manifestai chiaramente ad alta voce senza pensarci due volte.

«Ma sei il gemello separato alla nascita di Giada!», esclamai aprendo la bocca per lo stupore.
Non appena udirono la mia considerazione, Laura e lo sconosciuto scoppiarono a ridere a crepapelle. Ciò significava solo una cosa.
Lista figure di merda. Numero uno: Scambiare il tuo nuovo coinquilino per un fantomatico fratello della tua migliore amica.

«No, mi dispiace. Io ho solo un fratello rompiscatole di quattordici anni che nemmeno mi assomiglia.», specificò lui ridendo divertito.
«Però non sei l’unica che ha fatto questa osservazione. Sarai almeno la millesima persona che lo dice.», disse Laura portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Ah bene.», sussurrai quasi mortificata.
Possibile che solo io aveva l’immensa capacità di farmi riconoscere subito appena conoscevo qualcuno di nuovo? La risposta era sì e se avessi potuto, avrei girato i tacchi, preso il primo aereo per la Groenlandia e scavato una fossa per nascondermi lì dentro.
Sarei ritornata indietro solo alla venuta del prossimo millennio.

«Comunque io sono Mirko. Piacere di conoscerti.», si presentò il rosso con un sorriso abbastanza gentile e non più divertito.
«Martina, piacere mio.», risposi con evidente imbarazzo.
Improvvisamente la porta di casa, dove mi trovavo davanti in quel preciso istante, si aprì e istintivamente mi voltai dietro per vedere chi fosse.

«Eccomi con i caffè.», annunciò una voce maschile che riconobbi all’istante.
Era la stessa voce che avevo conosciuto l’estate prima e che avevo imparato a mantenere intatta nei miei ricordi. Il proprietario di quella voce era quel dolce ragazzo che si era in qualche modo offerto di aiutarmi per la mia situazione familiare e per fare in modo che io frequentassi l’università. Quel dolce ragazzo che ricordavo alla perfezione e al quale sorrisi felice di rivederlo.

«Ale, ti ricordi di Martina? La ragazza che avevamo conosciuto al paese di Massi le scorse vacanze.», intervenne Laura passandomi un braccio sulla spalla.
Alessandro in un primo momento mi squadrò dalla testa ai piedi quasi titubante, ma dopo qualche attimo di amnesia sembrò ricordarsi perfettamente di me.

«Ma certo che ricordo! Cavolo, sono contento di rivederti!», esclamò il castano sorridendo enormemente.
«Anche a me fa piacere rivederti.», dissi ricambiando la sua contentezza.
«Allora questi caffè? Li dobbiamo fare raffreddare?», chiese Mirko prendendo la busta del bar che Alessandro teneva fra le mani.
«Oh, certo che no. Andiamo di là in cucina.», rispose quest’ultimo accompagnandomi con sua sorella nella stanza accanto.
L’ingresso era delimitato da una tenda a fili dai vari colori dell’arcobaleno e al di là di questa c’era la cucina. Appoggiato alla parete c’era un piano di cottura, due banconi per cucinare, il lavandino, il frigorifero con sopra attaccati diversi magneti e al centro un tavolo bianco per sei persone con un altrettanto numero di sedie di legno. Nella parete accanto c’erano non solo diverse dispense e credenze, ma persino una lavagna, dove si attaccavano post-it di diversi colori. Un modo simpatico per comunicare fra coinquilini se ci fosse bisogno di fare la spesa, se qualcuno avesse cercato qualcuno al telefono e avvisi di ogni genere.

«Vi piace?», domandò Massimiliano a me e sua sorella mentre sgranocchiava un biscotto che aveva recuperato da un pacco della dispensa.
«E’ bellissimo qui.», affermò Giada con entusiasmo sempre maggiore.
«Volete del caffè?», chiese Mirko distribuendo i bicchierini di plastica del bar d’appartenenza.
«No, a me non piace.», rispose la mia amica rifiutando.
«Martina?», domandò rivolgendosi a me.
«No, grazie.», rifiutai non sentendo la stretta necessità di tenermi sveglia con quell’invitante bevanda calda.
I ragazzi cominciarono a chiacchierare del più e del meno. Non ascoltai granché della loro discussione perché ero troppo concentrata ad analizzare ogni centimetro quadrato di quella casa che mi piaceva sempre di più. Era sicuramente più semplice nell’arredamento rispetto a casa mia, ma trasmetteva comunque un sacco di calore e sembrava essere un ambiente perfetto per poter trascorrere le giornate a studiare per i diversi esami che avrei dovuto sostenere all’università, le cui lezioni sarebbero iniziate il lunedì successivo.

«Ragazze, vi faccio vedere la vostra camera?», propose Laura per cominciare a far sistemare le valigie mie e di Giada ai loro rispettivi posti.
«Sì, dai.», rispose quest’ultima andando a recuperare nell’ingresso la sua roba.
«Potremo davvero stare in stanza insieme?», domandai con molta contentezza.
«Certo. Considera che ci sono tre camere molto spaziose e in ciascuna possono stare benissimo due letti. Mirko e Massimiliano sono nella stanza di fronte a voi, mentre io e Alessandro in quella accanto alla stanza da pranzo.», informò la castana indirizzandoci nella seconda camera a destra.
«Quale stanza da pranzo?», chiese Giada non capendo dove si trovasse.
«Quella vicino alla cucina, ma sicuramente non l’avete notata.», rispose la nostra coinquilina ridendo.
Io e la mia migliore amica entrammo nella stanza e potemmo osservare non solo che c’era un letto affiancato alla parete di destra e uno accanto a quella di sinistra, ma erano presenti anche un armadio a quattro ante e una scrivania spaziosa per studiare.

«Non avete ancora visto nulla. Guardate oltre la scrivania cosa c’è.», ci incuriosì Laura indicando la tenda che c’era davanti alla scrivania in questione.
Andai subito verso quella direzione e non appena discostai la tenda, rimasi quasi stupita di ciò che c’era oltre.

«Non ci credo!», esclamai aprendo la porta finestra che dava sul balcone.
Dire che da lì sopra si vedeva tutta Roma era poco. Eravamo al quarto piano, ma sembrava quasi di essere al millesimo di uno di quei grattacieli che si vedono nei film ambientati a New York City.
Il panorama era davvero mozzafiato.

«Che meraviglia.», sussurrò la rossa non riuscendo a trovare parole più adatte.
«Vi piace? All’inizio in questa camera c’erano Denise e Michele, ma poi si sono trasferiti per i fatti loro in un appartamento che dista quindici minuti da qui.», disse Laura appoggiando le braccia sulla spalla mia e di Giada.
«Ma se ne sono andati perché sapevano che dovevamo venire qui a Roma?», domandai pensando che li avessero sfrattati con il nostro arrivo.
«A dire la verità no. Questo è successo circa cinque o sei mesi fa.», rispose la ragazza con gli occhi azzurri dopo aver calcolato all’incirca quanto tempo fosse trascorso.
Improvvisamente il telefono di casa cominciò a squillare imperterrito.

«Scusate, vado a rispondere. Voi fate pure come se foste a casa vostra. Anzi, adesso è casa vostra.», si congedò la castana facendoci l’occhiolino.
Una volta che Laura uscì dalla nostra camera, io e Giada ci guardammo negli occhi e dopo qualche attimo di smarrimento, stupore e sorpresa ci abbracciammo più felici che mai.

«Se è un sogno, non voglio essere svegliata.», sussurrai sentendomi salire le lacrime agli occhi per la felicità.
«Nemmeno io. Nemmeno io.», ripeté la mia migliore amica nascondendo la sua faccia sulla mia spalla.
Giada era un po’ più bassa di me, quindi per fortuna non vide che mentre mi perdevo a guardare il cielo azzurro e il sole che tramontava dietro i palazzi più bassi, mi scappò qualche piccola goccia salata che cadde dai miei occhi.
Sembrava assurdo e soprattutto impossibile, ma grazie a quella pazzia ero riuscita a ritrovare solo uno dei tanti pezzi di felicità che ormai ricercavo da tanto, troppo tempo. Mi sentivo davvero in pace con me stessa e avrei tanto voluto che quel momento pieno di magia non finisse mai.
 
 
Dopo circa mezz’ora avevo già disfatto gran parte delle mie valigie. Avevo posato tutti i miei vestiti e la mia biancheria intima nell’armadio, mentre tutti i libri, le musicassette e le restanti cose che mi ero portata da casa avevo deciso di sistemarli in un secondo momento.
Avevo assolutamente bisogno di concedermi una pausa.

«Io vado in cucina. Tu che fai?», domandai a Giada prima di spostarmi.
«Ormai finisco. Lo sai che non lascio mai le cose a metà.», rispose la rossa dopo aver ripiegato alcuni maglioni nel cassetto.
«Come vuoi.», dissi oltrepassando l’uscio della nostra stanza.
Mentre attraversai il corridoio, notai che Laura si trovava ancora a parlare al telefono con un’amica, Massimiliano invece si era appena rinchiuso in bagno per farsi una doccia e Mirko doveva essere in camera a fare chissà cosa.
Arrivata in cucina, notai che c’era Alessandro che trafficava con alcune stoviglie nel lavandino. Era di spalle, perciò non si era ancora accorto della mia presenza e volevo fare in modo tale che io passassi inosservata. Peccato che il mio tentativo andò in totale fallimento perché per sbaglio diedi una gomitata ai bicchieri di plastica con i residui di caffè, i quali si rovesciarono subito a terra creando un tonfo abbastanza assordante e qualche macchia sul pavimento.
Il castano udendo il rumore, si voltò per vedere cosa fosse successo.
Lista figure di merda. Numero due: Far cadere dei bicchieri con il caffè a terra sotto gli occhi del tuo nuovo coinquilino.

«Oh cacchio. Scusami, non volevo.», mi scusai recuperando i recipienti da terra e cercando una pezza bagnata per pulire il caffè rovesciato.
«Non ti preoccupare. Pulisco io qui.», mi perdonò Alessandro sorridendo dolcemente e chinandosi di fronte a me per pulire.
Finii di raccogliere i bicchieri che immediatamente gettai nella pattumiera per evitare danni ulteriori, quando improvvisamente udii provenire dalla radio accesa una canzone degli Spandau Ballet.
Ricordavo di avere ascoltato quella canzone svariate volte e dovevo assolutamente ammettere che mi piaceva particolarmente. Era così dolce e melodica che quasi mi rilassava tanto. D’altronde quella band per me copriva una posizione molto alta nella mia hit dei miei cantanti preferiti. Erano bravissimi e di loro adoravo tante altre canzoni.

«Ti piacciono gli Spandau Ballet?», chiese Alessandro dopo aver finito di pulire e notando che ascoltavo parecchio interessata.
«Sì, sono bravi.», risposi affascinata ancora di più dalle loro voci soavi.
«Sono la mia band preferita insieme ai Queen, i Rolling Stones e i Beatles.», aggiunse lui depositando i piatti sciacquati sulla credenza.
«Allora non sono l’unica nostalgica che ascolta anche un po’ di musica degli anni ’60.», commentai contenta del fatto di aver trovato un altro ascoltatore dei Beatles.
«No, affatto. Anzi, quasi mi dispiace di essere nato nel ‘64. Non ho potuto vivere a pieno quel periodo. Ero piccolo e non ricordo granchè.», confessò Alessandro sorridendo con un pizzico di malinconia.
«Un po’ come me. Io però sono nata nel ’67, quindi renditi conto che io non ho vissuto nulla di quel decennio.», dissi prendendo una bottiglia d’acqua per versarla in un bicchiere.
«Allora sei piccola. Hai diciannove anni, giusto?», domandò il mio coinquilino dopo qualche calcolo veloce.
«Sì. Tu ventidue, no?», chiesi di rimando.
«Esatto.», rispose sorridente.
Quel sorriso era a dir poco contagioso. Ogni volta che quel ragazzo sorrideva, non potevo fare a meno di fare altrettanto. Non sapevo come facesse, ma sembrava che avesse un qualche sconosciuto superpotere su di me per darmi il buonumore anche quando andava tutto storto.

«Finisco di lavare i piatti.», annunciò ritornando a lavare le ultime stoviglie presenti nel lavandino.
«Ti aiuto?», proposi offrendomi volontaria per quei primi lavori di casa.
«No, grazie. Faccio da me.», rifiutò lui rassicurandomi.
Era molto gentile e galante a non sottopormi a quel piccolo compito, ma io presi comunque uno strofinaccio per asciugare i piatti, le posate e le padelle.

«Ogni volta tutti se la svignano pensando che queste cose si lavino da sole dopo pranzo, quindi non mi resta ogni volta che pensare io a riordinare.», confessò Alessandro quasi divertito.
«Bè, da oggi puoi stare tranquillo perché io e Giada siamo delle buone donne di casa e quindi ti daremo una grossa mano.», affermai offrendomi nuovamente volontaria.
«Grazie, ma piuttosto parliamo di te. Com’è andata con i tuoi genitori? Ti hanno lasciata andare senza problemi oppure sei scappata di casa?», domandò il castano curioso.
Ecco. Via con gli argomenti tabù.
Avrei preferito piuttosto parlare della fame nel mondo o della Guerra Fredda.

«Diciamo che l’espressione “scappata di casa” non è appropriata. Ho avuto discussioni molto accese con i miei nel corso di quest’anno, ma alla fine hanno ceduto con la solita frase che dicono tutti i genitori.», raccontai ripercorrendo in pochi flash le liti furibonde che avevo avuto con mia madre e mio padre.
«Fai come vuoi?», domandò lui centrando esattamente ciò che mi dissero appena due mesi prima.
«Già.», affermai con tono quasi mogio.
Ancora stentavo a credere che avevo rotto nel giro di pochi mesi il rapporto pacifico che c’era con mia madre e mio padre. Ero sempre andata d’accordo con loro, ma quella volta per il mio bene avevo dovuto protestare fino all’esasperazione e giustamente alla fine si erano arresi.
Non solo. Avevano pure deciso di non volerne più sapere nulla di me e addirittura il giorno della mia partenza, ovvero quel giorno stesso, erano usciti di casa senza dirmi nemmeno un “ciao”.
In fondo però lo sapevo benissimo che quella sera, tornando a casa, non mi avrebbero trovato a casa e non vi avrei fatto ritorno per molto tempo. Almeno finché non mi sarei laureata entro i prossimi cinque anni, se tutto sarebbe andato secondo i miei piani.

«E’ la stessa frase che hanno detto i miei prima a me e poi a Laura quando siamo andati via di casa.», confessò il ventiduenne dopo qualche secondo di silenzio.
Mi voltai immediatamente verso lui con grande sorpresa.

«Anche tu nella mia stessa situazione?», chiesi con la bocca semi spalancata.
«Non esattamente. Diciamo che io conosco Mirko da dodici anni perché eravamo compagni di classe alle medie e siamo dall’epoca migliori amici. Io e lui pur rimanendo in stretti contatti, abbiamo frequentato due scuole superiori diverse. Io il liceo classico e lui l’istituto tecnico industriale. Avevamo il desiderio di diventare coinquilini una volta entrati all’università, ma c’erano stati diversi problemi da parte delle nostre famiglie che ritenevano del tutto inutile il fatto che andassimo a vivere in un’altra casa sempre qui a Roma.», spiegò mentre finiva di lavare i piatti.
«Quindi tu, Laura e Mirko siete di Roma?», domandai cercando di capire sempre meglio.
«Nati e cresciuti qua. Poi dopo i primi due anni all’università, Mirko ha cominciato ad avere problemi perché non riusciva mai a superare il primo anno ad Ingegneria Industriale. Lui a quel punto ha messo i suoi alle strette con un ultimatum. O gli davano la possibilità di andare a vivere per i fatti suoi, o avrebbe mollato gli studi. Ovviamente si fece strappare la promessa che avrebbe studiato e devo dire che ce l’ha fatta. Il semplice fatto che è arrivato al secondo anno è già qualcosa.», disse Alessandro ultimando il pezzo di racconto riguardante il ragazzo dai capelli fulvi.
«E tu invece?», incalzai sempre più incuriosita.
«Studio Giurisprudenza e cercavo semplicemente l’indipendenza. Venendo a vivere qui dentro, ho pure aiutato Mirko per convincere i suoi dell’utilità di questo progetto. I miei mi hanno liquidato dopo un paio di discussioni con la frase che hanno detto i tuoi a te.», rispose fissandomi con i suoi profondi occhi castani.
«Fammi indovinare. Laura è corsa da te non appena ha compiuto diciotto anni perché voleva anche lei la sospirata indipendenza?», domandai deducendo il motivo che aveva spinto sua sorella a vivere in quella casa.
«Già, per poi seguirla a ruota la sua migliore amica Denise e il suo fidanzato Michele.», affermò lui sedendosi su una sedia.
«E Massimiliano come l’avete conosciuto?», chiesi cercando di ricollegare l’ultimo tassello mancante.
«Avevamo un posto in più qui dentro, quindi siamo andati alla ricerca di un sesto coinquilino attraverso degli annunci. Considera che l’affitto è trecentomila lire al mese, quindi pagarlo in sei persone è abbastanza semplice e inoltre ci rimangono soldi in più per le bollette e le altre spese che dobbiamo fare. Perciò un giorno si è presentato da noi questo strambo ragazzo dell’Umbria e da lì Massimiliano è entrato a far parte della nostra ciurma.», affermò il castano con una mezza risata.
«Tua sorella però mi ha detto prima che qualche mese fa Denise e Michele se ne sono andati.», aggiunsi sedendomi nella sedia davanti a lui.
«Sì, vivono adesso in un appartamento da soli. Sai com’è, sono fidanzati e cercavano un po’ di intimità in più. Qua c’era un grandissimo via vai e inoltre fino a poco tempo fa eravamo addirittura in sette.», mi informò Alessandro.
«Sette? Ma ci sono solo sei posti!», esclamai cercando di far tornare i conti.
«C’è lo sgabuzzino. Era lì che stava Amedeo, il migliore amico di Massimiliano.», disse indicando con la testa lo stanzino che c’era in fondo al corridoio.
Abbozzai un sorriso enorme e improvvisamente mi sentii molto contenta. Non vedevo quasi l’ora di vedere Amedeo, del quale non avevo più notizie ormai da tantissimo tempo.
Forse in quel momento non era in casa perché era a lavoro.

«A che ora torna?», domandai per informarmi.
«Chi?», chiese Alessandro aggrottando la fronte perplesso.
«Come chi? Amedeo. Di lui stiamo parlando.», risposi con una certa ovvietà.
«Ehm… Martina, veramente Amedeo un paio di mesi fa si è trasferito a Milano.», balbettò lui quasi dispiaciuto.
«Come a Milano? A fare che?», sussultai spiazzata da quella rivelazione.
«A Roma non aveva trovato granchè di lavoro. Per i primi mesi si era arrangiato con qualche lavoretto part-time, ma poi ha deciso di andarsene per trovare qualcosa di migliore al Nord.», spiegò giocherellando con l’anello di metallo che portava al pollice.
Ammirai quell’anello e soprattutto il modo in cui lo portava. In generale avevo un debole per i ragazzi che sfoggiavano gli anelli al pollice. Era un particolare quasi stupido, ma a me piaceva tantissimo perché rendeva in generale più figo colui che lo portava.
Improvvisamente una nuova canzone si diffuse per la cucina. Fin dalle prime note spensierate riconobbi il brano in questione e fu dall’espressione schifata di Alessandro che potei intuire ciò lui voleva assolutamente fare, ovvero cambiare stazione alla radio.

«No, non cambiare! E’ bellissima!», lo fermai bloccandogli il polso.
«Ma quale bellissima! Fa schifo! Sembra una canzone di bambini dell’asilo!», esclamò il castano dimostrando di odiarla profondamente.
«Bè, intanto il videoclip di “Video killed the radio star” è stato il primo che hanno trasmesso su MTV nell’ ‘81.», lo informai citando quell’avvenimento avvenuto cinque anni prima.
«Grazie, in quegli anni erano in pochi a fare i videoclip. Non avevano una così larga scelta.», aggiunse Alessandro mentre cercava invano di andare verso la radio.
Gli avevo bloccato il passaggio con la sedia, ma ciò non servì a molto visto che cominciò a farmi il solletico ai fianchi.
Il solletico sui fianchi. Proprio la cosa per cui soffrivo di più al mondo.

«Smettila! Alessandro, ti prego!», urlai in preda alle risate cadendo col sedere per terra.
«Questo è perché non volevi farmi passare.», sghignazzò lui continuando quell’atroce tortura.
La voce del cantante dei Buggles si fondeva con quel suono e quel ritmo travolgente, proprio come le risate che uscivano dalle nostre bocche e che sembravano coordinate in un un’unica.

«Ragazzi, cosa state facendo?», domandò Laura entrando in cucina e osservando la scena.
Da che ero totalmente sdraiata a terra con suo fratello di sopra che mi stuzzicava i fianchi, scattai subito all’in piedi per cercare di camuffare l’ennesima figuraccia che avevo fatto.
Lista figure di merda. Numero tre: Farsi beccare dalla tua nuova coinquilina mentre scherzi esageratamente con il fratello appena conosciuto.

«Dice che questa canzone è bella. Diglielo che invece è brutta.», disse Alessandro incitandola nel dargli ragione.
«Fratello, confermo per l’ennesima volta che tu non capisci un cavolo di musica. Ha ragione Martina.», affermò Laura andando contro il mio persecutore.
«Bella!», esclamai dandole il cinque.
Avevo sicuramente recuperato i punti persi nelle ultime due ore e soprattutto ero riuscita ad ottenere la simpatia della ragazza dagli occhi azzurri, la quale si stava godendo intanto il finale di “Video killed the radio star” ondeggiando la testa a ritmo e facendo scuotere i lunghi capelli lisci.

«Ho parlato poco fa con Denise. Chiede se stasera ci incontriamo al solito pub alla solita ora.», informò lei non distogliendo la sua attenzione sulla canzone.
«Per me va bene. Penso che anche gli altri saranno d’accordo.», rispose suo fratello confermando quell’uscita organizzata all’ultimo minuto.
Erano già le otto di sera e fuori stava facendo buio. Quella prima sera che stavo trascorrendo a Roma l’avrei passata fuori di quella casa e quell’effetto mi faceva sentire strana. Forse perché non ero quasi per nulla abituata ad uscire la sera. Il mio prototipo di serata era al massimo a casa di Giada con qualche nostra amica in comune e basta. Le uscite di gruppo non le facevamo più da ormai troppo tempo.

«Ragazzi, prepariamoci. Stasera si esce.», annunciò Alessandro andando in corridoio.
«Ma a che ora dovremmo vederci con Denise?», domandai prima di entrare in camera per andarmi a cambiare.
«All’una.», rispose lui con tanta nonchalance.
«Come scusa?!», domandai non riuscendo a credere alle mie orecchie.
«Allo Scottish pub all’una di notte. Perché quella faccia sconvolta?», si informò notando la mia faccia totalmente sconvolta.
«Ma… Ma io… Io non posso venire.», balbettai rendendomi conto dell’orario assurdo.
«Perché? Che problemi ci sono?», incalzò il mio coinquilino inarcando un sopracciglio.
«Io solitamente già a mezzanotte dovrei essere a casa.», dissi preoccupata.
Dopo appena tre secondi di silenzio tombale, Alessandro scoppiò a ridere e sembrava non volere smettere.

«Non c’è nulla da ridere.», borbottai quasi offesa.
«Scusami, ma non ne posso fare a meno.», accennò il ventiduenne con una risata soffocata.
Lo guardai e fu allora che in un certo senso capii ciò che davvero distingueva me da lui. Alessandro era un ragazzo di città abituato ad uscire tutte le sere per andarsi a divertire e che non doveva dar retta a due genitori che aspettavano che rincasasse ad una certa ora. Io invece era una ragazzina di paese abituata ad una vita monotona e a seguire delle regole molto strette.

«Martina, sei a Roma e puoi tornare benissimo anche alle tre di notte come siamo abituati a fare. Non ci sono più tua madre e tuo padre che ti tengono alle strette.», mi spiegò il castano regalandomi un'altra delle sue occhiate amichevoli.
«E se mi scoprono?», domandai quasi impaurita di infrangere le regole.
«Non ti hanno salutata oggi sapendo che partivi. Figuriamoci se stasera ti chiameranno.», mi rassicurò con un occhiolino.
Forse non aveva tutti i torti. Forse era proprio la serata adatta per andarsi a divertire. Tanto i corsi sarebbero iniziati solo due giorni più tardi, quindi per qualche ora mi potevo assolutamente concedere un po’ di puro svago notturno.

«Signorina, tu vieni con noi. Niente storie.», mi incitò Giada che aveva sentito tutto il discorso.
«Appunto. Dai, senza di te non ci divertiamo.», disse Laura passandomi un braccio sulla spalla.
Ci riflettei appena due secondi e dopodiché diedi la mia risposta definitiva.

«Okay, andiamo a divertirci!», esclamai correndo subito a prepararmi.
 
 
Il divertimento di quella sera fu allo stato puro. Non mi ricordavo nemmeno l’ultima volta che avevo fatto un’uscita così spensierata in compagnia di altri ragazzi della mia età.
Prima andammo a mangiare un panino da un paninaro sempre vicino casa nostra sulla Tiburtina e dopodiché con le macchine di Alessandro e Mirko ci spostammo a piazza Navona. Nel corso di quella serata ebbi modo di conoscere diversi amici di Laura e Massimiliano, i quali godevano di una certa popolarità per il loro carattere estroverso e a volte positivamente “egocentrico”. Persino al pub dell’una di notte ci fu tanto divertimento.

«Buonasera gruppo!», ci salutò Denise con grande entusiasmo al bancone.
«Ehi, Deni. Guarda chi abbiamo portato con noi.», disse Laura indicando me e Giada.
«Ciao bellissime! Immagino che siate arrivate oggi!», esclamò la mora dando a ciascuna un bacio sulla guancia.
«Esatto. Ci siamo intrufolate nell’ex stanza tua e di Michele.», rispose la rossa con un sorriso.
«A dire il vero in quella stanza c’eravamo io e Laura. Michele era in stanza con Alessandro.», specificò Mirko intrufolandosi nella discussione.
«Ora però io mi sono spostata in stanza con mio fratello per lasciare posto a loro.», aggiunse Laura tenendo fra le mani due cocktail.
«Sarà dura allora. Abituata com’eri alla tua libertà da Ale.», commentò Denise afferrandone uno dalla mano destra dalla sua ex compagna di stanza.
«Figurati, alla fine non mi dispiace così tanto stare in stanza con mio fratello. Giustamente non potevo mettere né Giada, né Martina in stanza con lui.», disse la castana cominciando a bere.
«Ma cosa bevete?», domandai incuriosita.
«Mojito e Fun on the beach. Assaggiate pure.», offrì Mirko afferrando altri due bicchieri che si era fatto preparare dal barista.
Giada si buttò subito con il Mojito che cominciò ad assaporare goccia dopo goccia. Io invece guardai riluttante quel drink alcolico, poiché non ero una grandissima ubriacona e avevo quasi paura di lanciarmi a bere cose così pesanti.

«Non avere paura. Un bicchiere non ti fa male. Io non posso bere perché devo guidare.», insistette lo studente di Ingegneria porgendomi quella bevanda rossa.
Afferrai la cannuccia e la succhiai. Non era in fondo così male quel Fun on the beach. Era molto buono e soprattutto dovetti dare ragione a Mirko, cioè che non faceva così male. In fondo bere un solo cocktail alcolico a stomaco pieno non faceva né venire la sbronza, né ti faceva salire il senso di vomito.
Mentre bevevo, osservai con la coda dell’occhio Alessandro chiacchierare con Michele. I due erano presi da una fitta discussione e lì per lì vissi una specie di déjà vu risalente all’estate prima. La stessa scena che avevo vissuto al mio paese mentre osservavo il ventiduenne dialogare con il ragazzo di Denise, si stava ripetendo allo stesso modo. L’unica differenza fu che in quel momento Alessandro si voltò verso di me e mi sorrise.
Non ci feci caso più di tanto perché Giada e le altre ragazze mi stavano trascinando da un’altra parte per presentarmi altre persone.

«Piacere.», borbottai dimenticandomi già dei nomi dei ragazzi presentati.
«Piacere nostro e benvenute a Roma.», disse gentilmente un tizio con la cresta bionda.
Benvenute. Io e Giada eravamo le benvenute.
Sorrisi come una deficiente e, quando guardai il cielo notturno animato da qualche timida stella qualche ora dopo, pensai che forse era proprio il caso di dare il benvenuto a quella nuova vita che avevo immaginato esattamente come la stavo vivendo.














La parola all'autrice

Ciao a tutti! :)
Finalmente posto il secondo capitolo e già qui cominciamo ad entrare nel vivo della storia ;)
A poco a poco la storia prenderà sempre più pepe, vedrete ;)
Non ho molto da dire anche perchè ho ricevuto una sola recensione lo scorso capitolo.. Grazie Bertu perchè se non fosse stato per te, non penso che avrei trovato il coraggio di pubblicare il secondo capitolo
Grazie mille geme ^___^
Oggi vi lascio con un nuovo prestavolto e alla fine ho deciso di mettere una foto dove immagino le sembianze di Giada, visto che è un po' la "co-protagonista" di questa trasferta che Martina ha appena iniziato!
La prossima volta sarete voi a decidere chi sarà il prossimo prestavolto :)
Un bacione e a presto! 
♥ 

  
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