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Autore: Alison Sincler    24/09/2013    2 recensioni
Non ho mai creduto a quella favola in particolare. C'era sempre qualcosa di sbagliato, che non mi quadrava.
Allora l'ho ricostruita e ho capito.
Penso che le cose siano andate così in realtà, ma da piccoli ci hanno addolcito la pillola.
Partecipante al Contest "I titoli del maestro"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'isola non trovata.



La pioggia scroscia pesantemente. Una coperta di nuvole scure avvolge il firmamento.

Un lampo squarcia d’improvviso il cielo, un tuono scuote le fronde degli alberi già martoriati dal vento incessante.

Le gocce si schiantano al suolo con violenza.

In fondo alla strada c’è un cane che corre alla ricerca di riparo. Un ombrello isolato danza tra le strisce pedonali.

Dalla distanza si percepiscono delle grida.

Un urlo straziato.

L’acqua non copre il dolore.

“AVEVA PROMESSO CHE L’AVREBBE RIPORTATA DA ME! AVEVA PROMESSA CHE L’AVREBBE SALVATA!”

La disperazione di una donna inginocchiata sull’asfalto bagnato del colore sbagliato rimbomba sopra la furia della natura.


1 ora prima


“Ho deciso che odio i libri.”

“Ma tu ami leggere.”

“Ho detto che odio i libri, non leggere.”

“C’è una differenza?”

Un silenzio pesante cadde nella stanza. Dopo qualche istante Wendy rilasciò il Dottor Foster dallo sguardo gelido con cui lo stava trafiggendo.

Nei suoi occhi non vi era altro da leggere se non disgusto e derisione. Il suo volto impassibile. Il suo corpo che pigramente si poggiava sulla poltrona. Le gambe accavallate. Sembravano non esserci reali punti di contatto tra la ragazza e il cuscino in pelle che si piegava sotto il suo peso. Quasi fosse una figura eterea.

C’era un’aria di imperscrutabilità che aleggiava attorno a lei. Un’aurea che la rendeva impenetrabile al mondo, ma che allo stesso tempo non metteva il mondo al sicuro da lei.

I suoi occhi grigi erano freddi, gelidi. Davano a chiunque li guardasse l’impressione di essere scrutato nell’anima.

Ma non mostravano mai sentimenti. La loro sfera emotiva non conteneva altri scenari se non quelli di scherno o noia. Non necessariamente in quest’ordine.

Superiorità era emanata dalla sua persona: distaccata, impassibile, indifferente.

Nessuno era mai stato in grado di avvicinarla. Pochi si erano avventurati nell’impresa, molti, sopraffatti dal disagio di sottostare alla sua presenza, non avevano osato. A volte però si riferiva a persone che solo lei aveva conosciuto; tendeva a confondere sogno e realtà.

Era per questo che sua madre, esasperata dall’ambiguità della figlia, aveva alla fine deciso di chiedere aiuto.

Da quando era nata Wendy aveva dimostrato di essere speciale. Con forza aveva affrontato il mondo e lo aveva piegato ai suoi piedi. Un vulcano di energia che si compiva in esplosioni di emozioni. Guardava lo sfondo della sua vita con occhi curiosi, adoranti, ansiosi di scoprirne i misteri. Spesso il suo volto si contorceva in una smorfia frustrata quando non riusciva a risolvere uno dei tanti quesiti che si poneva continuamente.

Ma poi un giorno, come se fosse riuscita a districare la questione più grande, tutto finì. Si chiuse dentro sé, come se ciò che aveva scoperto non le fosse piaciuto. Sembrava avesse capito qualcosa di incredibilmente importante che però ancora sfuggiva a tutti gli altri.

Lentamente la madre la vide trasformarsi nella regina di ghiaccio che era ora.

Il panorama che le interessava non era più il mondo, ma le persone. Passava ore seduta in una panchina a guardare i bambini giocare con i piccioni, donne affannate che rincorrono il tempo che sfugge loro di mano, e vecchi che si rilassano sotto il loro ultimo tramonto.

Non parlava quasi mai. Non aveva contatti umani. Non aveva interazioni sociali. Usava le parole solo quando era necessario. Il resto era rumore superfluo.

Però c’erano occasioni in cui spariva per giorni. Non avvertiva, non lasciava tracce; era inutile il panico dei genitori o l’affanno degli uomini in divisa. Alla fine ricompariva sempre; dava l’impressione di essere diversa dopo le sparizioni. Sembrava quasi tendente alla felicità.

Dopo che gli esami ebbero escluso il coinvolgimento di droghe, non restava che la costante frustrazione per l’assenza di risposte. Sembrava quasi che non vivesse nella stessa dimensione degli altri. I genitori avevano disperatamente cercato di farle riavere contatto con la realtà, avevano tentato di portarla vicino a una normalità che, se non completamente rassicurante, sarebbe stata almeno meno inquietante. Quando Wendy arrivò a compiere i suoi diciassette anni, si arresero.

Affidarla alle mani esperte del Dottor Foster sembrava l’unica soluzione in un orizzonte altrimenti tetro.

Foster si schiarì la gola, segnalando di essere ancora in attesa di risposta. La ragazza infatti guardava svogliatamente fuori dalla finestra alla sua sinistra, non dimostrando il minimo interesse per la conversazione. Non che fosse una novità.

C’era il sole oggi. Il tramonto si stava avvicinando. Le dita di rosa sul cielo lo confermavano, ma i raggi esplodevano ancora potenti.

Si costrinse a trascinare lo sguardo sull’uomo. Di mezz’età, occhi scuri, capelli radi.

Sul viso di lei si dipinse un ghigno meccanico. Era quasi una smorfia. Le sue labbra erano incurvate leggermente verso l’alto, ma non era un sorriso. Era una maschera che le copriva il volto.

Annuì distrattamente.

Il dottore prese nota.

Si guardarono per qualche istante. Wendy era immobile. Bloccata all’interno della sua mente; i suoi occhi, totalmente privi di messa a fuoco, fissavano un preciso punto del tappeto di fianco ai suoi piedi; la sua testa leggermente inclinata verso la spalla destra.

I suoi lunghi capelli castani erano scialbamente raccolti in uno chignon. Delle ciocche le ricadevano sul volto e brillavano quando la luce che filtrava dalla finestra le colpiva senza pietà.

“Ti va di parlarne?” La voce profonda di Foster sferzò l’aria. Il silenzio che la seguì sembrava riempito dall’eco della sua frase.

Attese paziente.

“Wendy,” tentò di richiamarla gentilmente quando lei non diede segno di averlo sentito.

“Perché non porta più la fede?” Fu l’unica risposta che ottenne. Gli occhi ancora fissi, il tono piatto.

L‘uomo sospirò. Si leggeva nel suo volto che non era stato sorpreso dal cambio d’argomento, né tantomeno dal riferimento personale che la paziente aveva fatto nei suoi confronti. Nulla di nuovo.

Attesa ancora qualche attimo. Guardava intensamente la giovane.

Erano un paio di anni ormai che i genitori di lei l’avevano affidata alle sue cure, ma per quanto lo infastidisse ammetterlo, non aveva avuto risultati.

Non era una ragazza difficile. Non urlava, non si dimenava, non lo insultava, non si lamentava della costrizione che i genitori le avevano imposto.

Ma era senza dubbio una paziente difficile. Si sedeva in quella poltrona per i quarantacinque minuti che doveva. Si copriva gli occhi con quella patina di ghiaccio sul quale si poteva solo scivolare, e non parlava.

Stava semplicemente lì, chiusa in una scatola intricata, piena di giochi di cui solo lei sapeva le regole, a cui solo lei giocava, e ai quali nonostante ciò non si stancava mai di perdere. Il mondo era solo il suo teatrino.

Non era leggibile, non era comprensibile. C’erano momenti in cui si ricollegava a quello che la circondava. In quegli attimi di lucidità batteva le palpebre e fissava il suo dottore.

Tutto quello che diceva era un enigma. Una qualche deduzione a cui era arrivata alla fine di un lungo dibattito interno.

Quando il silenzio si prolungò, Foster fece per dire qualcosa, ma fu interrotto.

“Ti illudono, è questo che fanno”

Il dottore la guardò, cercando di interpretare le sue parole. La scrutò per tentare di percepire qualche emozione che, fuggiasca, potesse essere trapelata. Ma Wendy non si era neanche degnata di scostarsi i capelli dal viso mentre continuava a trovare di estremo interesse il motivo di cui era tratteggiato il tappeto rosso che aveva già studiato innumerevoli volte.

“Non è proprio questo il motivo per cui si leggono i libri?” Chiese cautamente lui, guardandola con occhi dubbiosi.

Lei sollevò lo sguardo. La testa ancora inclinata. Sembrava che alzare gli occhi le fosse costata un’immensa fatica. E ora guardava il suo dottore come se fosse lui il responsabile di tale sforzo. Per essere così stupido. Così poco intuitivo. Per un attimo lo guardò e basta. Dava l’impressione di soppesare se fosse meritevole di una spiegazione o lasciarlo nell’ignoranza fosse una giusta punizione.

“Ti danno giusto quella piccola speranza. Un’illusione è per sempre.”

“E tu non la vuoi quelle speranza? Tutti abbiamo bisogno di quella speranza.” Incalzò lui.

Un sorriso spaccato davanti ad un vetro infranto.

“Lo sa cosa dicono della speranza,” i suoi occhi guizzarono verso la finestra, persi di nuovo alla ricerca della fine di qualche arcobaleno nella sua testa. “Non porta altro che eterna miseria.” Concluse con voce calma e lenta. Distaccata, fredda. Un ghigno modellato a stirare le sue guance. Foster rimase silente qualche minuto. Si potevano sentire le rotelle del suo cervello incastrarsi e districarsi, girando laboriosamente per far illuminare la lampadina.

“È Peter? È per lui che continui a guardare fuori?” Chiese in tono quasi pietoso. “È lui il motivo di tutto questo?”

Non ottenne nessuna reazione.

L’orologio alle spalle della ragazza gli segnalava che non avevano molto tempo rimasto. Trasse un profondo sospiro, considerando anche la sessione odierna conclusa miseramente e senza progressi. Ad essere onesto con se stesso, non sapeva neanche perché continuasse a tentare. Due anni che pateticamente erano andati sprecati. Orgoglio professionale, forse. I soldi, probabilmente.

La voce di Wendy interruppe i suoi pensieri. “Lui era un codardo.”

Foster si interruppe a mezz’aria mentre stava richiudendo il suo blocco. La guardò curioso, ma in silenzio, attendendo che continuasse.

“Lui ha avuto la sua grande occasione, quella di cui i libri ti fanno sognare, ma è scappato.” Voce vuota. Ma non priva di emozioni, semplicemente svuotata.

“Perché?” Si avventurò il dottore senza nemmeno pensarci.

“Perché l’amore fa paura.”

E la lancetta lunga puntò il suo dito accusatore verso il nove.

Wendy si alzò, senza attendere un congedo.

Il dottor Foster la seguì con gli occhi mentre attraversava la porta. Nella sua mente stava ancora cercando di processare quello che era appena successo quando notò che la ragazza si era fermata sulla soglia e fissava il pavimento. Sembrava indecisa.

“Io non ho paura, sa?” Chiese. Era retorico. Ma anche una sfida a contraddirla. Il fuoco nei suoi occhi che non riusciva a sciogliere il ghiaccio.

Foster non ebbe tempo di fare altro che rimanere stupidamente con le labbra leggermente socchiuse quando fu preceduto ancora. Inchiodato sul posto dallo sguardo duro di lei “Voglio sentire qualcosa.” E in un attimo era andata.


Presente


L’asfalto brilla in una maniera innaturale. Luci rosse e blu lampeggiano. Abbagliano la strada; in controluce il cielo è tratteggiato d’acqua.

Una donna bionda è inginocchiata, accartocciata su stessa. Così fragile e bagnata. Eppure la pioggia sembra essere più gentile con lei, come se cercasse di confortarla, come se si posasse cautamente su di lei, accarezzandola, soffiandole nelle orecchie con garbo di lasciarla andare, di lasciare andare quella mano.

E di contrasto, come se fosse arrabbiata con tutto il resto del mondo, l’acqua si scaglia impietosa sopra piante e rocce. Il suo ruggito scuote i palazzi, spazza via il silenzio.

“LO AVEVA PROMESSO!” continua a gridare lei, come se ribadendo il concetto, il tempo potesse in qualche modo provare pietà di lei e, bloccandosi, tornare indietro a quando ancora c’era il sole.

Le lacrime si distinguono facilmente dalle gocce di pioggia: sono quelle che le solcano il viso, che le lasciano le cicatrici indelebili. Quelle che bruciano in una notte in tempesta, ma non la scaldano.

E il dottor Foster era lì, in piedi di fronte a lei. Lo shock dipinto sul suo volto. Gli occhi spalancati, la bocca aperta. Le parole morte in gola. Come se si potesse aggiungere qualcosa, in ogni caso. Come se ci fosse una parola abbastanza potente da non sembrare completamente inutile in quel momento.

Lentamente le sue scarpe affondano in alcune pozzanghere, mentre incerto indietreggia, allontanandosi dal lenzuolo bianco, senza riuscire però a strappare via lo sguardo.

C’erano persone, maree di persone attorno a loro ora. Gente in divisa, gente curiosa, gente con le mani alla bocca.

Sopraffatto, soffocato, strozzato. L’orrore dipinto sul suo volto. L’uomo si piega sotto il peso che la sua coscienza porta. Le sue spalle si curvano, si deformano.

Attonito di fronte a quella donna, che con la sua energia potrebbe illuminare il buio, ma la notte rimane scura. Perché è in lutto, e il nero è l’unico colore concesso.

Urla e gemiti accoltellano l’aria, ma nessuno li interrompe.

Tra le sue mani la donna ne stringe un’altra. Che è fredda, è pallida, è immobile.

È innaturalmente naturale la leggerezza con la quale emerge dal telo bianco.

E ci si aggrappa Cissy, con la forza di mille buoi tenta di vincere il braccio di ferro contro una figura incappucciata.

Sembra quasi impietosita, la Morte, da quel gesto tanto disperato quanto poderoso.

Ai loro piedi un mare di polvere dorata vela l’asfalto scuro.


“Lo aveva promesso,” ormai è solo un sussurro tra i singhiozzi. Si dondola avanti e indietro, cerca conforto nel contatto con la mano fredda e inerme. La stringe a sè, la bacia, la affoga di lacrime.

“Non potevo fare niente per fermarla. Non avrebbe mai smesso di cercare.” È quasi una supplica quella del Dottor Foster. Ma nessuno lo sente, nessuno gli presta attenzione. Lo spettacolo della vita si sta già compiendo sotto gli occhi di tutti, e siamo già ai titoli di coda.


Non l’ha trovata l’isola che non c’è, Wendy.

Aveva seguito la seconda stella a destra, aveva fatto tutto secondo indicazioni.

Brillava come non mai quella notte, quasi fosse un richiamo. Doveva essere il suo cammino.

Ma ora l’unica cosa che alimenta la luce di quell’astro è la pietà, che le dà la forza di splendere ancora sopra lo strazio illuminato dal suo bagliore. Aveva provato ad inseguire Peter, ad avere il lieto fine che la sua storia si meritava. Perché la sua storia meritava, meritava davvero. Era così simile a quelle che aveva letto. Era quasi una favola.

Un sogno da cui nessuno poteva svegliarla.


Non si sveglierà mai dal suo delirio incantato Wendy, non saprà mai che l’isola che tanto angosciosamente cercava, non c’era davvero.

  
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