Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    24/09/2013    2 recensioni
A Sinnoh sta succedendo qualcosa di strano, di molto strano: è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sembra accorgersene.
O forse nessuno ha il coraggio di parlare.
Saranno tre personaggi a dare il via ad una serie di lotte e vicissitudini, tra fedeltà e tradimenti, tra verità e menzogna, tra ciò che può essere svelato e ciò che deve essere tenuto segreto.
Tre allenatori provenienti dalle tre istituzioni più importanti della regione (Gare, Palestre, Lega), che sembra vogliano sbarazzarsi di loro: non sono i protagonisti canonici, ma potrebbero diventarli.
E così, mentre ci sarà chi vuole mettere loro i bastoni fra le ruote, altri più o meno popolari interverranno in loro aiuto, tutti per un unico scopo: il leggendario Cuore di Sinnoh.
...
(I personaggi non sono inventati ma appartengono al manga/videogioco/anime e saranno presenti, in generale, un pò tutti. Presenza di Crack Pairings.)
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Camilla, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note Autrice:
Primo di tutto, un ringraziamento particolarmente sentito a Euphemia, che spende parecchio del suo tempo per leggere la mia ficcy e recensirla con una precisione impeccabile: grazie per la grande soddisfazione che mi dai :')
Questo capitolo, diversamente da quello precedente, riguarda soltanto due dei tre personaggi: questo perchè il "terzo" occuperò tutto il prossimo capitolo!
In questo verranno svelate altre cosucce, ma ne resteranno celate molte, con l'aggiunta di qualche personaggio e soprattutto dei rapporti che intercorrono tra di essi.
Buona lettura!

~ Capitolo Due
 
La terra tremava al suo passaggio, gli zoccoli sfioravano appena la terra da tanto che la velocità era elevata.
Sembrava volasse, quell’elegante e fiero cavallo di fuoco, la crine e la coda incendiate, lo sguardo di un rosso acceso e vivo come la più indomata delle creature.
«Non ti fermare, Rapidash!» La voce soffocata dell’uomo che gli restava saldamente sulla groppa era effimera, quasi distratta, mentre un mantello lo copriva quasi interamente.
Solo qualche ciuffetto rosso si intravvedeva da sotto il cappuccio, mentre quella corsa sfrenata contro il tempo continuava su di un sentiero sterrato.
Non c’era nulla, attorno a lui, nulla: solo distese e distese di terriccio friabile, derivante da una roccia scura non molto distante da dove si trovavano loro.
Il cavallo di fuoco continuò la sua corsa, sin quando un fulmine a ciel sereno colpì una roccia a pochi metri da loro, frantumandola e provocando un consistente boato.
Rapidash si spaventò, imbizzarrendosi e nitrendo con quanto fiato avesse in corpo.
Il suo allenatore restò in sella, dandogli piccole pacche sul morbido collo beige.
«Calmati, piccolo, calmati.» Lo rassicurò mantenendo un comportamento abbastanza tranquillo, per quello che poteva concedersi in un momento del genere.
Sentiva il battito del cavallo accelerare, e con esso il proprio.
Stavano ancora galoppando, ma l’ostacolo che gli si presentò davanti fu spiacevole quanto inatteso.
Alzò lo sguardo davanti a sé, una volta che Rapidash si fu calmato, e le iridi grigie delinearono una figura femminile a lui familiare: corporatura esile, un abito rosa antico ed una chioma di capelli nocciola particolarmente lunghi e voluminosi.
Sorrise amaramente e con non poca ironia dinnanzi a quella ragazza, immobile al centro del sentiero sterrato, a neanche una decina di metri da lui.
Ferma ed impassibile, fredda ed impenetrabile come sempre.
«Ma guarda, la bella addormentata si è svegliata… mi sento quasi onorato!» Asserì con una certa ironia, non v’era nulla di maligno in tali parole ma un piccolo accenno di disprezzo era palese.
«Inutile fuggire, Superquattro di Sinnoh. Il Destino ha scelto al tuo posto.» Era una voce estremamente dolce eppure fredda allo stesso tempo: pacata, quasi non fosse viva, appartenesse ad un altro mondo.
Vulcano sbuffò sonoramente, liberandosi del cappuccio e mostrando quella zazzera di capelli rosso fuoco, mentre Rapidash cominciava lentamente a battere uno zoccolo a terra, nervoso.
«Sempre a parlare in modo enigmatico, voi esperti di psiche… Secondo me avete qualcosa che non va!» Asserì in tutta sincerità, incrociando le braccia sul petto appena muscoloso.
Non era strafottente, il suo tono, ma certamente aveva tutte le intenzioni di irritarla.
L’altra, in tutta risposta, restò calma ed impassibile, le iridi ghiaccio fisse sul ragazzo e su quella sciarpetta rossa che portava al collo, la quale gli ricadeva sul petto.
Un altro fulmine colpì violentemente la terra, lasciando un solco sulle rocce circostanti per via della forza sprigionata, mentre al posto della luce comparve una Gothitelle, lo sguardo truce e perduto quanto la propria allenatrice.
Vulcano roteò le iridi al cielo a quella vista. «Ecco, lei mi mancava ancora meno.» Bofonchiò fra sé e sé, per poi sbuffare apertamente ed allargare le braccia con fare sconsolato.
«Non mi interessa combattere contro di te, Lady Catlina. Sei una Superquattro come loro.» Era un’affermazione più dura e al contempo sentita, il volto prima scherzoso ed ironico scomparve d’improvviso.
Non voleva avere più nulla a che fare con i Superquattro, non dopo quello che era successo.
Catlina non rispose, ma un secondo fulmine cadde di nuovo accanto a lei, dalla parte opposta rispetto a Gothitelle: un Pokémon che pareva gelatinoso, verde e sospeso in aria, una boccuccia rossa aperta come in un gran sorriso.
La Superquattro sbadigliò, portandosi regalmente una mano dinnanzi alle labbra.
«Reuniclus e Gothitelle non la pensano allo stesso modo, temo.» Non si sforzò nemmeno di sorridere ironicamente, tutt’altro: l’espressione dipinta su quel volto fin troppo giovane era quasi annoiata, distante anni luce dalla realtà, come sempre.
Vulcano strinse appena i denti, decisamente innervosito da quella situazione: aveva fin troppe grane perché si intromettesse anche una allenatrice di quel calibro, per di più con poteri paranormali che non gli erano mai piaciuti.
«Vuoi mettermi i bastoni fra le ruote, Catlina? Lavori per loro?!» Le domandò schiettamente e lei gli lanciò la prima occhiata viva che avesse visto da parte sua: determinata, fredda, tagliente, ma almeno non era assente.
«Voglio sapere, semplicemente.» Gli rispose in tutta tranquillità, come se stessero sorseggiando tranquillamente il tea delle cinque.
E questo lo irritò ulteriormente, tanto che alzò la voce.
«Ma dove credi di essere, nel tuo bel mondo fatato? Svegliati, qui non stiamo dormendo, stiamo per combattere una guerra! E tu faresti bene a rimettere i piedi per terra, ogni tanto!»
Le iridi di Catlina si illuminarono dinnanzi a quelle parole, il volto lontano anni luce dalla realtà prese vita solo per un attimo: un bagliore di irritazione, sulla perenne impassibilità, come se le questioni di quel mondo non le interessassero…
Ad eccezione di qualcuna.
«Il Destino ti guiderà verso la tua sorte, Superquattro di Sinnoh. La mia non è né una minaccia né un aiuto, pura e semplice curiosità.» La voce era di nuovo suadente, troppo delicata, troppo artificiale, troppo ingenua.
Vulcano perse totalmente la pazienza, scese dal cavallo infuocato e prese saldamente una sfera tra le mani.
«Questi tuoi discorsi paranoici mi hanno stancato… Se non vuoi lasciarmi passare con le buone, dovrò costringerti con le cattive!» Lanciò la sfera, dalla quale si liberò un Infernape particolarmente aggressivo e voglioso di combattere.
Nei suoi occhi lo stesso ardore del proprio allenatore, la stessa rabbia, la stessa frustrazione, la stessa sensazione di essere in gabbia.
«Ma come siamo permalosi, Superquattro di Sinnoh… Vi scaldate tutti così facilmente?» Domandò con quell’aria da finta ingenua che non poteva che irritarlo ulteriormente.
«Solo con coloro che non sanno distinguere la realtà dal sogno, Lady.» Disse sprezzante, i due Pokémon fuoco pronti ad attaccare ad un qualsiasi ordine.
Ma Catlina ancora non si muoveva, non dava indicazioni, né lasciava trasparire le proprie emozioni.
«Voglio solo sapere se lui ti ha contattato…. Sto parlando di Entei, ovviamente.»
Vulcano restò perplesso per qualche attimo, per poi alzare un braccio, pronto a dare un ordine, sfoderando un sorriso divertito quanto agguerrito.
«E perché mai un Pokémon Leggendario dovrebbe interessarsi a me?» Le domandò retoricamente, ricevendo uno sguardo di sfida altrettanto determinato.
Abbassò il braccio e la battaglia ebbe inizio, senza esclusione di colpi.
Non voleva aggredirla, non voleva farle del male: ma, come era prevedibile, non aveva esplicitato da che parte si fosse schierata e lui non poteva correre il rischio di essere catturato o parlare alla persona sbagliata.
Lui, coi Superquattro, aveva chiuso.
 
*****
 
Era freddo, freddissimo.
La nebbia che avvolgeva ogni cosa indistintamente non accennava a diradarsi in alcun punto, ogni singolo angolo delle vie della cittadella era invaso da quella sostanza densa ed impenetrabile.
Camminavano avvolte da una mantella scura, affinché potessero confondersi in quell’ambiente estremamente ostile.
Non si fermarono, una prima figura avanzava a passo deciso, pur guardandosi intorno con fare circospetto, mentre la seconda pareva più timorosa e la seguiva discretamente.
Non si parlarono, procedettero in silenzio sin quando dinnanzi a loro non si erse un edificio stretto ed altissimo, di un grigio cupo, nessuna luce che provenisse dall’interno.
Amelia ebbe un brivido lungo la schiena nel momento in cui i suoi occhi chiari delinearono il profilo di quell’edificio già macabro all’apparenza.
«Siete… Siete sicura che dovremo entrare proprio lì dentro?» Era insicura ed intimorita, la voce della ragazza, qualche ciocca bionda che le fuoriusciva dal cappuccio mentre si avvicinava ulteriormente alla sua mentore.
«Sì, la Torre Memoria è il solo luogo dove possiamo trovarla, qui a Sinnoh.» Rispose con un tono calmo e dolce, come se ciò che avesse davanti fosse un normalissimo edificio.
Scesero i primi gradini sino a giungere all’entrata, poi Erika aprì lentamente la porta lasciando che un cigolio sordo e fastidioso echeggiasse in quelle tenebre densissime.
Pareva il nulla, l’oscurità più cupa le avvolse in un attimo, tanto che Amelia esitò ad abbandonare la luce alle proprie spalle.
I loro occhi si persero nel nero, senza trovare punti di riferimento: la ragazza strinse istintivamente la mano della Capopalestra, la quale invece rimaneva immobile, ferma nella sua posizione.
«Stai tranquilla.» Le disse benevolmente, ma quelle parole non sfiorarono minimamente la ragazza: potevano chiederle tutto, in quel contesto, ma non certamente di stare tranquilla!
Questione di pochi attimi ed una miriade di occhi rossi cominciò a contornarle, Amelia d’istinto si strinse ulteriormente ad Erika, portando lentamente una mano alle Pokéball che teneva in cintura.
«No, non serve combattere.» Non l’aveva vista, non avrebbe potuto con quel buio, eppure era stata capace di anticipare le sue intenzioni.
Questo spiegava perché Amelia non fosse ancora una Capopalestra.
Attesero ancora, in silenzio. Gli occhi rossi che aumentavano, alcuni si muovevano, molti si avvicinavano sfiorandole e provocando loro spiacevoli brividi.
«Gli spiriti bramano la vostra anima, umane…» Amelia ebbe un sussulto nell’udire quella voce: cupa, tetra, con un vago accento sadico. Nulla di rassicurante.
Echeggiò in quel luogo privo di tempo e di spazio per un paio di secondi, per poi proseguire senza essere interrotta, quegli occhi rossi che volteggiavano attorno a loro.
«Voi che avete osato profanare questo luogo… Ditemi… Quale impavida ingenuità porterebbe mai una creatura dinnanzi a morte certa quale è la vostra?» Davanti a loro cominciò a delinearsi la figura di una donna, appena accennata da un contro violaceo e mistico: snella, molto alta, i lunghi capelli sicuramente scuri, le iridi brillanti.
Amelia perse l’ennesimo battito, soprattutto dopo che altre figure sospese a mezz’aria avanzavano verso di loro assieme a quella donna del tutto inquietante: fantasmi, spiriti, spettri, forse demoni… difficile catalogare ciò che i loro occhi stavano vedendo.
«La sento vibrare, la paura… è viva, è sentita, è segregata dentro di voi e prima o poi vi farà a pezzi dall’interno e…»
«Gennarino!» Quella cantilena macabra quanto una marcia funebre venne bruscamente interrotta dalla voce allegra e felice di Erika, la quale si levò il cappuccio ed allargò le braccia, un sorriso solare e benevolo stampato in volto.
Il tempo sembrò fermarsi per qualche attimo, tutto tacque sin quando un Gengar di dimensioni spropositate non le si fiondò fra le braccia, gustandosi un abbraccio particolarmente affettuoso.
«No, no e no!» Gridò adirata la voce di poco prima, la donna indefinita davanti a loro schioccò le dita ed una serie di torce si accese attorno a loro, illuminando la stanza.
Molti spettri fuggirono dinnanzi alla luce, le ombre delle tombe di svariate dimensioni non contribuirono certamente a migliorare l’atmosfera.
Ma Amelia era ancora lì, impalata, sconvolta, le iridi puntate sulla sua mentore che coccolava uno spettro della peggior specie come fosse un cucciolotto, il quale non si tirava certamente indietro.
«Non puoi fare così, okay?! N-O-N P-U-O-I!» La donna davanti a loro strillò per un attimo, adirata, per poi portarsi una mano alle tempie con fare nervoso.
«Ci ho impiegato un mese per preparare quest’entrata scenica, okay? Un mese! Hai idea di quanto sia difficile coordinare tutta questa banda di spettri senza cervello?!»
Oh sì, era molto adirata, ed il suo sguardo violaceo era puntato sulla figura di Erika che lentamente allontanava quel Gengar coccolone, con tutto il garbo che avesse in corpo.
Sospirò, volgendo un accenno di sorriso alla donna davanti a lei.
«Anche io sono felice di vederti, Sabrina.»
Lo sguardo di Amelia passò rapidamente dall’una all’altra Capopalestra, ancora sconvolta da quella stramba scenetta che era stata messa in atto, di come il rapporto fra le due fosse evidentemente piuttosto particolare.
«Questo non l’ho detto!» Disse a denti stretti, per poi allungare un braccio verso il Gengar, prenderlo per la coda e lanciarlo all’indietro. «E tu che razza di compagno sei, che mi tradisci per due coccole sdolcinate?» Lo rimproverò, il lancio lo portò a schiantarsi contro la parete dietro di lui con un sonoro botto, tanto che la ragazza sbatté le palpebre un paio di volte.
«Ma… ma poverino! Si sarà fatto male» Si preoccupò d’istinto, scostandosi appena dalle spalle di Erika, ma ciò che ricevette fu soltanto uno sguardaccio della nuova conosciuta.
«Poverino? E’ uno spettro, ragazzina, e gli spettri non si fanno male. Lui fa solo della scena, gliel’ho detto di provare col teatro!» Disse osservando le proteste immediate del Gengar a qualche passo dietro di lei, il quale gesticolava e le faceva la lingua.
Lo ignorò con un gesto della mano, tornando alle sue due ospiti.
«Dunque, perché siete qui? Non mi pare di aver invitato nessuno, negli ultimi due o tre anni… o erano secoli?» Si domandò lanciando gli occhi al cielo con fare pensoso, mentre Amelia non poteva che pensare continuamente a quanto fosse bizzarra quella donna.
Bizzarra, folle, matta, con un’intelligenza viva e sveglia che sprizzava da ogni poro.
Gengar, nel mentre, tentò di contare con le dita… inutilmente, visto che non sapeva un tubo di matematica in quanto spettro.
«La mia allieva avrebbe un problema, quindi…» Ma non terminò la frase che Sabrina l’aveva già scostata di lato con una piccola spinta, portandosi ad un passo da Amelia, sempre più sconvolta.
La osservò dall’alto, assottigliando lo sguardo, quasi volesse studiarla.
«Lei ha il problema, lei tratta con me.» Disse ed Erika non oppose resistenza, si limitò ad accarezzare Gengar che era tornato da lei, mentre osservava e sperava per la sua allieva.
«Il tuo nome, mocciosa?» le chiese con ben poco garbo.
«A-Amelia…» Balbettò incredula, ancora timorosa, tanto che la Capopalestra psico sbuffò sonoramente. «Ohsantocielobenedetto, se questo è il tuo tono di voce non capirò una mazza! Allora, parla più forte.» La intimò, scocciata e frettolosa.
Amelia inspirò profondamente, deglutì ed infine riuscì ad avere un tono di voce quantomeno accettabile.
«Amelia. Mi chiamo Amelia.» Disse con più decisione, anche se non riusciva a sostenere lo sguardo violaceo e freddo di Sabrina per più di qualche istante.
Era profondo, penetrante, come se volesse entrarle nella mente e scoprire qualsiasi suo segreto più profondo e celato.
«Dunque, Amelia. Non sai spiegarti né l’entità né l’origine di quella voglia a forma di goccia, hai avuto una condizione psicofisica del tutto altalenante nell’ultimo periodo e ti senti tradita quanto sconvolta. Senza contare che aver visto la tua cara Capopalestra assieme ad un membro del Team Galassia ti abbia lasciata perplessa ancora di più, poiché non sai darti una motivazione e soprattutto non comprendi il nesso logico che potrebbe esserci tra i due. Senza contare che ti sia sentita chiamare “portatore” insieme ad altre due ipotetiche persone, privata di qualsiasi giustificazione a tale definizione poiché non hai mai sentito parlare di qualcosa di simile.» Parlò a raffica, senza fermarsi, senza fare paura, quasi senza respirare.
«Ho tralasciato qualcosa?» Domandò metaforicamente, accennando ad un sorriso beffardo.
Amelia era ulteriormente sconvolta –se possibile- motivo per cui resto con le labbra dischiuse, senza riuscire a dire una parola.
Sabrina le diede un paio di colpetti sulla guancia, una specie di carezza che non aveva assolutamente nulla di amorevole, ma nemmeno di maligno. «Sì, lo so, sono brava.»
Erika sospirò sconsolatamente, incrociando le braccia sotto il petto.
«E’ una veggente, ha previsto che tu le raccontassi tutto questo.» Spiegò alla sua allieva in tutta naturalezza, beccandosi l’ennesima occhiataccia dell’altra, che non sembrò minimamente preoccuparla. «Ma allora lo fai apposta?!»
Sospirò, scocciata, volgendosi di nuovo verso Amelia che a fatica riacquistava il controllo: meno male che non aveva avuto la brillante idea di sfidare tutte le Palestre di Kanto, aveva come l’impressione che scontrarsi con una come Sabrina le avrebbe rivoluzionato la psiche e l’esistenza…
«Allora, ragazzina, possiamo fare un accordo. Io ti dico quello che so su quella voglia: chi te l’ha procurata, quando ti è venuta e quant’altro, okay?» Le domandò e la bionda le sorrise ampiamente con espressione riconoscente, ma non fece in tempo a ringraziarla che la Capopalestra tra i più temuti delle regioni alzò un dito.
«Ma ogni cosa ha un prezzo!» Le rimembrò, sottolineando che un accordo avesse una “duplice facciata”.
Amelia si ricompose, osservando il dito di Sabrina che andava lentamente ad indicare la figura di Erika a pochi passi da loro. «Voglio la qui presente Biancaneve, okay?» Disse in tutta tranquillità e serietà, mentre sul volto di Amelia si dipingeva una discreta preoccupazione.
«Cosa?! Non posso lasciarvi la mia maestr…» Ma venne zittita da un cenno di Erika, la quale le fece segno di accettare.
La questione era grave, molto grave, ed Erika sapeva che il prezzo da pagare sarebbe stato molto alto, forse era addirittura venuta lì proprio per questo.
La ragazza rimase perplessa per qualche attimo, la sua preoccupazione si specchiò nelle iridi verdi della Capopalestra erba ma alla fine acconsentì, stringendo la mano di Sabrina: un sorrisetto soddisfatto comparve sul suo volto, tutt’altro che innocente.
«Molto bene, ora tocca a me.» Disse tutta soddisfatta, schioccò di nuovo le dita ed una serie di spettri si mossero per la stanza, portando poltroncine e sedie, assieme ad un tavolino con dei superalcolici sopra ed esattamente tre bicchieri.
«Servitevi, in fondo sono anni –o secoli?- che non ho ospiti.» Asserì cominciando a versarsi non si sa bene cosa di violaceo nel bicchiere, mentre Amelia rifiutava garbatamente.
«Grazie, ma non bevo ciò che non conosco.» Asserì più sicura di sé, sperando di non sembrare sgarbata.
Sabrina le volse un solo sguardo, preciso ed attento come non mai. «E’ una scelta saggia, anche se banale. Se volessi, potrei ficcartelo in bocca a forza.» La ragazza deglutì, ma non fece in tempo a protestare che la strega continuò. «Ma poi subirei l’ira della qui presente Biancaneve, e poi non mi divertirei più nel tempo che passeremo assieme per via di questo accordo» Disse con una mezza smorfia, mentre Erika restava composta nella propria posizione, le mani giunte in grembo, un sorriso perennemente dolce in volto, come se le parole ironiche e maliziose dell'altra non la toccassero.
No, non era venuta lì a caso, conosceva Sabrina meglio di chiunque altro.
«Cosa puoi dirmi, quindi, riguardo alla voglia?» La sua voce era più tranquilla, nonostante la “padrona di casa” continuasse ad utilizzare termini macabri ed i suoi spettri gironzolassero come cani affamati, danzando attorno a loro in una specie di rito satanico o qualcosa di simile.
«E’ stata Celebi a fartela.» Esordì stappando già le seconda bottiglia – sì, beveva con una velocità impressionante, e non sembrava sentirne alcun effetto.
Amelia miracolosamente non balbettò, né restò colpita in particolar modo da quella rivelazione: rimase così, immobile, seriosa, beccandosi un’occhiata torva di Sabrina. «Sì, lo so, dentro di te, te lo aspettavi. Questo perché lei ti ha fatto perdere volutamente la memoria, affinché tu lo sapessi e non lo sapessi allo stesso tempo.» Versò un quinto bicchiere di un liquido verdastro, passandolo questa volta ad Erika.
Lei lo prese, ringraziandola con un sorriso come sempre, ma appena distolse lo sguardo diede il bicchiere a Gennarino, che trangugiò tutto senza fare una piega.
«Non capisco…» Ammise, dopotutto quella spiegazione era tutto fuorché logica.
Sabrina sbuffò. «Umani…» Biascicò alzando le iridi al cielo, portandosi una bottiglia alla bocca e stappandola con i denti.
Il liquido, questa volta, era rosso. «Tu ed altri due siete destinati a risvegliare una creatura composta da tre parti, una creatura che riconoscerà soltanto coloro che posseggono quella voglia che hai sul collo, vicino alla nuca. Una creatura capace di cose straordinariamente belle quanto orribili. Dipende dai punti di vista.» asserì versandosi il liquido, alzò il capo solo per un attimo.
«Non male come favoletta, eh?» Un commento ironico, ma Amelia questa volta non si lasciò incantare.
«Tu come lo sai?» Le domandò e Sabrina, questa volta, nemmeno le concesse uno sguardo, ma trangugiò quella sostanza rossastra. «Questo non rientra nell’accordo, mi pare che l’argomento fosse la voglia.» Precisò, a prova che l’alcool non aveva sicuramente l’effetto di annebbiarle una mente troppo brillante.
«Tuttavia…» Asserì, aprendo la quarta bottiglia, una puzza incontenibile che costrinse la ragazza a tapparsi il naso, mentre Erika sembrava immune a tutto questo, abituata alle piante e ad ogni genere di odore. «Dirti chi sono gli altri due portatori mi sembra rientri nell’argomento.»
Amelia sorrise, dentro di sé in particolar modo, ma un sorriso le sfuggì dal volto.
No, decisamente quella Capopalestra non era spaventosa e crudele, o meglio, menefreghista ed impassibile come tutti l’avevano descritta.
Ma questo non sfuggì alla donna, la quale alzò il capo di scatto verso di lei, cogliendola impreparata e facendole prendere un mezzo infarto.
«Mi prendo la Capopalestra Erika, nonché tua mentore, come ostaggio, prigioniero o quello che ti pare. Non sai cosa le farò.  Non sono una buona
L’avere l’abilità di leggere nel pensiero le era sfuggita, oppure Sabrina era semplicemente molto intuitiva.
Si alzò improvvisamente in piedi, schioccò di nuovo le dita. «Gennarino, Alakazam, Mismagius.».
I tre Pokémon comparvero immediatamente al cospetto di Sabrina, in particolare i due spettri.
Lei diede ad entrambi una particolare occhiata, poi gli fece un cenno di assenso.
La donna alzò il volto verso il soffitto indefinibile, aprì le labbra e in quell’istante i due spettri le passarono attraverso: il tempo sembrò fermarsi per quei minuti, un rito del tutto anomalo e mistico ebbe inizio.
Una nuvola si creò al di sopra di lei, da quella nebbia densa si composero alcune immagini: un ragazzo, o meglio un uomo, i capelli rossi ed una sciarpa bordeaux sul collo, in un combattimento all’ultimo sangue con qualcuno di indefinito.
Lottava, lottava e lottava, ma nell’attimo di quella visione egli cadde in ginocchio, tutte le sue Pokéball a terra davanti a sé.
Poi la visione si interruppe, un vento sembrò agitare ogni cosa in quel luogo: spiriti, demoni, misticismo.
E la visione cambiò tanto rapidamente quanto era apparsa poco prima: una ragazza dai capelli nocciola e corti ed un abito elegante teneva stretta a sé un Pachirisu, mentre assieme ad altri tre ragazzi salivano sul tetto di un’abitazione. Un biondino, un castano ed una ragazza dai capelli scuri.
«Cough cough…» Tutto si interruppe, i due spettri terminarono il rito, Sabrina si strinse lo stomaco e vomitò un discreto quantitativo di sostanze liquide multicolori.
Amelia si alzò in piedi di scatto, a metà tra lo sconvolta e lo stupita.
«Io credevo… insomma… non pensavo che avesse bevuto per questo…» Balbettò confusa, beccandosi un’occhiataccia dell’altra. «Secondo te bevevo questa robaccia per piacere? Ma sei fumata?! Mica sono così scema!»
Non si sa per quale miracolo, ma la ragazza evitò di palesare il suo consenso a quella definizione: cos’aveva fatto di normale, Sabrina, da quando era arrivata?
«Roserade, Aromaterapia.» La voce delicata di Erika distrusse quell’atmosfera macabra e tesa. Una Roserade dai colori sfavillanti e vivi, segno di una salute invidiabile, si avvicinò a Sabrina, curando lentamente quel malessere dovuto ad un rito tutt’altro che comprensibile.
Ma la Capopalestra non sembrò curarsene più di tanto, nonostante avesse previsto anche questo.
«Non so altro, ma dovete unirvi, trovarvi, voi tre. Celebi ha messo delle informazioni nella tua testa, ma non posso tirarle fuori da te per adesso. Informazioni che nemmeno tu conosci, perché dovrai sfruttarle al momento opportuno senza darle al nemico troppo facilmente.» disse, riprendendosi lentamente.
«Nemico? Quale nemico?» Domandò Amelia senza capire, scambiando un paio di sguardi con la sua mentore, interrogativa.
Sabrina sorrise malignamente. «Non sono mica io l’eroina in questione.» Affermò con un certo accenno sadico, per poi fare un cenno all’Alakazam.
Questo, nel giro di pochi attimi, fu dinnanzi ad Amelia.
«Salutami il caro Saturno quando lo incontri. » Le disse allargando le labbra in un luminoso sorriso ironico e beffardo, come sempre troppo ambiguo per essere compreso.
«Alakazam, Teletrasporto.»

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly