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Autore: ToraStrife    25/09/2013    3 recensioni
L'ultima caccia di uno stupratore seriale
Genere: Angst, Erotico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Cacciatori e prede
Cacciatori e prede


E' laggiù, in piedi, alle prese con il cellulare, nel parco. Le luci fioche dei lampioni rendono lo spettacolo un filo surreale.
E' incantevole, nel suo vestito azzurro che lascia intravedere quelle gambe così innocenti, eppure...
E' completamente sola: un'occasione unica, propizia, irripetibile.
Ma al giorno d'oggi sono ancora così imprudenti? Mi guardo attorno: nessuno in vista.
Quei capelli biondi che cascano sulle spalle...
Sembra una giovane dea.
Mi sento come Zeus, padre di tutti gli dei e fornicatore di dee e umane.
Il paragone fa scattare in me il desiderio, l'impulso, la lussuria.
Deve essere mia.
Ma devo essere prudente, un errore potrebbe essermi fatale.
E solo perché un dannato cane ha fiutato per caso l'ultimo corpo: il diavolo se lo porti!
Guardo ancora con occhi ingordi la mia principessa, mentre messaggia con il cellulare.
A fianco a lei, un vecchio e arrugginito castello di tubi di ferro, una scalcinata altalena, lo scivolo.
E' proprio quest'ultimo che mi riporta  alla mia prima volta. Fu il mio primo letto di nozze: proprio là sopra possedetti la prima vittima.
E mi stupisce di come la donna che ho adesso davanti agli occhi sia così simile all'altra.
Forse è proprio questo che mi sta attraendo: sto vivendo un deja vu.


Le circostanze erano le stesse, fatta eccezione per l'orario, ma il soggetto non cambiava: un angelo senz'ali e senza custodi.
La ricordo in compagnia della madre, poi quest'ultima improvvisamente sparì.
Dov'era finita? Forse rapita dalla conversazione con alcune amiche incontrate per caso, forse da una voce filtrata di un cellulare.
Dopotutto, cosa mai poteva succedere a lasciare da sola la figlia dieci, venti minuti?
E sono stati sufficienti: prenderla da dietro, soffocare la sua voce petulante con una mano ferma, stracciare il vestito con l'altra mano.
I miei occhi non scorderanno mai lo spettacolo.
Nonostante l'età, non era ancora completamente formata.
Quei due boccioli appena abbozzati, ma che inebriavano la vista come due rose selvatiche, una dea acerba.
La mia mano ha indugiato a lungo sulla loro superficie.
Di lì a poco si sarebbero sviluppate in tondi oggetti di desiderio, accessibili alle mani e alla lingua di ogni ragazzo con ormoni galoppanti.
L'innocenza si sarebbe spezzata, la dea sarebbe diventata una volgare puttanella. Non lo avrei permesso.
Con foga, stracciai l'indumento a guardia del giardino segreto.
Come un lombrico che profanava un orto pieno di vita, affondai con un dito.
Un colore rosso vivo mi andò a confermare la sua innocenza. Cosa davvero rara, oggigiorno.
Il mio sguardo esplorava avidamente ogni angolo delle sue virtù.
Ogni tanto i miei occhi si incrociavano con i suoi. Forse erano gli unici attimi in cui la mia coscienza era punzecchiata dai dubbi.
Il suo sguardo era carico di paura, disperazione, sgomento. Occhi che mi rimproveravano in continuazione.
Il suo corpo, dapprima paralizzato, si destò in una disperata resistenza, tuttavia vana: la differenza di forza tra me e lei era tale che tenerla ferma era più un fastidio che un problema.
Nel momento del sangue, doveva aver sentito un forte dolore, perché le lacrime sgorgavano copiose.
Ammetto, in quel frangente, di aver avvertito un vago desiderio di fermarmi. Un ultimo tentativo della mia coscienza di dire "Stop! Sei ancora in tempo".
Ma bastò guardare ancora una volta l'invitante corpo della mia giovane dea che ogni indugio, esitazione, dubbio vennero spazzati via da una bestia famelica che si impossessò di me.
Si impossessò di me mentre sbottonai ogni barriera che tratteneva il mio istinto selvatico, che si mostrò nella sua interezza sotto lo sguardo terrorizzato della mia vittima.
Questa volta il terrore nei suoi occhi mi trasmise un bizzarro senso di euforia.
Mi sentivo Zeus, il maestro degli dei, e lei era la mia piccola divinità illibata.
Ero il cacciatore, e lei era la preda.
Non so se era il fatto che avevo deciso di cedere completamente al mostro, o una sorta di istinto che enfatizzava la vittoria del più forte sul più debole.
L'immagine di un ragno che ghermisce una mosca impigliata nella ragnatela.
Fu forse il ritratto migliore per descrivere l'attimo successivo, quello più infausto, quello che mi spedì nel girone infernale dei mostri più abietti.
Avevo intinto il mio corpo nella sua innocenza, avevo intinto la mia anima nella depravazione più odiosa.
Eppure mi sentivo bene: forse, rotto ogni indugio, la mia parte buona, se mai ce ne fosse mai stata una, era morta in quel momento.
Ignorai i suoi occhi, le cui iridi si erano rimpicciolite fino ad un punticino, e le lacrime che stavano esondando come un torrente in piena.
Stava sicuramente impazzendo di dolore, ma non me ne curai.
Ero diventato un semplice mostro, bramoso di lussuria e dominio.
Un momento dopo, mi prese la paura. Mi resi conto di essere in pieno giorno, in un parco, e di lì a poco, la madre sarebbe tornata.
Che non fossi ancora stato notato doveva essere stata solo una eccezionale fortuna.
Mi staccai immediatamente, cercai di far rientrare il lupo famelico nel recinto di stoffa.
Dovevo agire, ma come? Il panico si impossessò di me.
Fuggire! Fuggire! Cancellare ogni prova! Sparire.
Poi guardai lei. La mia innocente dea non era più tale. Era diventata una corrotta carcassa mortale, sanguinante, sgorgante effluvi misti, miei e suoi.
Non era più un oggetto di desideri. Era solo una scomoda testimone. La mia condanna.
Lei avrebbe raccontato ogni cosa.
Sarei diventato il mostro da prima pagina. Tutti mi avrebbero odiato. La preda sarei diventata io.
Il ragno sarebbe stato schiacciato da mille mani avide. Mi avrebbero linciato, in qualunque caso.
Lei doveva sparire.
Strinsi le mie pesanti mani sul suo fragile collo. Strinsi più forte che potei. Lei si dimenò un po', poi smise di muoversi.
Forse l'avevo strozzata, forse le avevo spezzato il collo.
Gettai  il corpo nel primo cassonetto che trovai e diedi una  veloce controllata sul posto, per essere sicuro di non aver lasciato qualche indizio.
Poi sparii.
Fu appena in tempo, perché la madre arrivò di lì a poco, con tutto quello che potete immaginare.
La cosa finì sui giornali. Ma la polizia non arrivò mai a me. Una fortuna eccezionale.
Quello forse sarebbe stato il momento più saggio per sparire definitivamente, cambiare identità, nazione, mondo. Farmi una nuova vita chissà dove.
Ma mi sentivo strano. L'istinto di un predatore, forse. Morivo dalla voglia di ripetere quell'esperienza. Volevo un'altra dea. Un'altra preda.


Cercai di mantenere un profilo basso.
Una mendicante rom, poi una senzatetto. Ma non mi bastava.
Volevo qualcuna che fosse proprio come lei, la dea che avevo contaminato.
Però poi scoprirono un maledetto botolo trovò per caso il cadavere della senzatetto. Un putiferio mediatico.
Ora è caccia all'uomo. E' caccia a me.
Ma adesso una creatura esattamente uguale alla mia prima dea era lì, proprio davanti a me.
Pigiava tasti a caso sul telefono, quasi incurante. Tutto buio, tutto deserto. Un'occasione troppo ghiotta.
Al diavolo la prudenza.
Solo più un'ultima volta, quella giusta. Poi, smetterò, fuggirò. Farò sparire le mie tracce.
La polizia non mi troverà mai.

Scatto come un predatore, mi avvento su di lei.
Una mano sulla bocca, la prendo e la puntello sullo scivolo.
Proprio come la prima volta.
Il cellulare nel frattempo è caduto nella sabbiera, con un tonfo soffocato.
Il display illumina vagamente i suoi primi attimi di terrore, poi la luce si spegne freddamente.
Le straccio i vestiti, avidamente. Il senso di Deja Vu cresce, insieme al mio desiderio.
Non perdo tempo a indugiare sul suo corpo. Tiro fuori l'oggetto dei miei peccati e mi preparo ad entrare.
Un attimo. Dolore. Un dolore lancinante.
Vedo del sangue. E' il mio. Tolgo le mani dalla ragazza
e le metto sulla zona del dolore.
Vedo qualcosa volare a qualche metro da noi due.
Lo riconosco, e la cosa mi riempe di terrore.
E' il mio membro. Mi chiedo cosa sia successo.
D'istinto guardo gli occhi di lei. Trasalisco. Non possono essere i suoi.

- Mi riconosci? - Mi chiede. La riconosco. Quegli occhi non si dimenticano, erano quelli che mi avevano fatto diventare un predatore. Ma adesso nessuna paura aleggiava in quelle orbite castane.
Riconobbi la sensazione che comunicavano. La stessa che avevo provato io la prima volta. Euforia, desiderio di dominare. Sicuramente anche desiderio di vendetta.

- Non puoi essere tu! - Le urlo, mentre vedo la sua mano sporca di sangue, il mio sangue.
Lei avvicina la mano alla bocca, con la lingua lecca il liquido, e poi lo sputa disgustata.

- Puah, il tuo sangue è marcio come te.

- Come puoi essere qui, viva? Io, io ti...  - Comincio a balbettare. Avrei voluto urlare, ma la ferita di sotto mi procurava insieme dolore e stordimento.

- Sì, mi avevi uccisa. Ma non potevo andarmene da questo mondo senza prima di ringraziarti.

- Ringraziarti, di cosa? - Le chiedo, mentre i miei sensi si fanno pesanti.

- Di avermi mostrato la bellezza di essere predatori. Quella bellezza che lessi, la prima volta, nel tuo sguardo.

- Il mio...? - La mia mente si fa sempre più annebbiata.

- Permettimi di contraccambiare. - In quel momento la mia piccola dea sembrava un demonio vomitato dall'inferno. - Permettimi di essere predatore, e tu preda.

Si avventa su di me, il suo pallido viso di dea si trasforma in una orrenda maschera di zanne e occhi iniettati di sangue.
Grazie al cielo, i sensi mi abbandonano quasi subito.
Un'unica consolazione mi rincuora: ora so per certo che la polizia non mi troverà mai.... vivo.




La ragazza interruppe il pasto. Le sue orecchie avvertirono alcuni passi. Si alzò, in cerca di intrusi, ma si tranquillizzò quando scoprì chi era.

- Maestro! - Si alzò di scatto e corse allegramente ad abbracciare un distinto signore di mezz'età.

- Pulisciti la bocca di sangue, che non sta bene. - Lo ammonì bonariamente l'uomo.

La giovane educatamente tirò fuori un fazzoletto e si pulì il mento.

- Com'è andata la tua prima vittima?

- Bene, maestro!

- Finalmente hai mangiato! - La rimproverò il signore. - Sei stata a digiuno per una settimana, ogni notte a stare qui in questo parco a giocare con  quel cellulare.

- Lo so, - Si giustificò la fanciulla. - Ma il mio primo pasto doveva essere lui, il mio carnefice!

- Ma tecnicamente, il tuo carnefice sarei io. - La corresse l'uomo.

- No, maestro. Tu sei colui che mi ha salvata. Ero ormai spacciata, ma tu mi hai donato il tuo sangue. Mi hai fatta rinascere, anche se ora posso uscire solo di notte.

- E' la condanna di noi vampiri. - Sentenziò seraficamente l'uomo. - Ed è stato un caso che ti trovassi, quella sera, in mezzo ai rifiuti. Qualche minuto ancora e saresti comunque morta.

- Non mi lamento, maestro. - Scosse la testa la ragazza. - Stanotte ho avuto la mia vendetta. E il suo sapore è stato più dolce dello stesso sapore del sangue.

- E adesso che farai? - Chiese il "maestro". - Ti nutrirai come noialtri?

- Farò come ho fatto finora. Il mio metodo di caccia sarà questo!

- Attenderai qui al parco, in attesa di qualcuno che si avvicini?

- Sì, maestro. Sarò come un ragno, e il parco sarà la mia ragnatela. Se saranno persone che vogliono aiutarmi, non le toccherò. Se invece, saranno invece come quel signore di stasera...

Entrambi guardarono il cadavere. Stava già perdendo calore.

- Sarò una predatrice. Predatrice di uomini cattivi. - Disse fieramente la vampirella, battendo un pugno sul suo petto.

- Buona caccia, allora. - Concluse, scherzosamente il vampiro più anziano. - Ma visto che stanotte hai già finito, andiamo insieme a casa?

- Sì! - Esclamò tutta contenta la novizia, mentre prese per mano il suo padrino di... sangue  e insieme sparirono nella notte.

Le luci fioche dei lampioni illuminarono il triste destino di un maniaco sfortunato, che ignorava di quanto possa essere labile in natura la differenza tra un predatore e una preda, un dominatore e una vittima, un uomo e un mostro.


  
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