Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: formerly_known_as_A    25/09/2013    4 recensioni
Armin passa in rassegna i propri lividi ogni sera, come se ancora faticasse a credere di aver scelto quella via. Concentrarsi sulle ferite visibili riesce a distrarlo dalle immagini che la sua mente gli ripropone in incubi sempre uguali.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non possono permettersi uno specchio, ma Armin può ugualmente constatare, sollevando fino alla pancia la veste da notte, come il modulo 3D abbia fatto scempio della sua pelle.

Sulle gambe questo è particolarmente evidente e riesce a seguire i lividi che gli hanno lasciato le cinghie nel contrastare ogni singolo movimento.

Dopo giorni dall'ultima missione sente ancora la schiena in fiamme, dai lombi alle scapole.

Armin passa in rassegna i propri lividi ogni sera, come se ancora faticasse a credere di aver scelto quella via. Concentrarsi sulle ferite visibili riesce a distrarlo dalle immagini che la sua mente gli ripropone in incubi sempre uguali.

Un fruscio alle proprie spalle lo avverte che Jean è sceso dal letto. Nemmeno lui dorme molto.

Si volta, intenzionato a dire qualcosa, ma cade ancora una volta nel silenzio di chi ha perso qualcuno di importante, ma non sa ancora che tipo di reazione avrebbe voluto dagli altri.

Durante quelle due settimane, l'unica cosa che è riuscito a fare è stata posargli la mano sul braccio quando il suo sguardo era troppo strano per non spaventarlo.

Cerca sempre di mandare via ciò che pensa a riguardo, ma questo non allontana la paura che prova, il bisogno di portarlo indietro, anche con un gesto così semplice e vedere i suoi occhi posarsi di nuovo sul presente, su di lui.

Jean non protesta, socchiude appena gli occhi ed annuisce, prima di tornare a fare quello che aveva interrotto. Armin si accontenta di quello.

Si guardano, il più giovane che abbassa la camicia lunga, coprendosi le gambe con il lenzuolo.

Non prova imbarazzo. Jean ha altro a cui pensare e non è come se non si fossero mai visti nelle docce.

“Non riesci a dormire?” chiede, in un mormorio appena accennato. È una banalità, considerando che nessuno di loro ha un sonno molto regolare, ma ha bisogno di rompere il silenzio.

“Ti sento girarti nel letto.” risponde Jean, esitando e guardando il pavimento.

“Mi dispiace.” si affretta a ribattere, ma l'altro scuote la testa. “Dovresti provare a bere un infuso.”

O qualcosa di più forte delle erbe per dormire che ci sono in cucina.

Un'altra banalità. Questa volta si vergogna davvero.

Abbassa la testa e si fissa le mani, strette sul lenzuolo, chiedendosi perché non gli venga nulla di sensato da dire.

Jean non risponde. Sente il suo sguardo addosso, poi un sospiro.

“Non devi comportarti in modo diverso dal solito solo perché ti impietosisco, Armin.” dice infine, la voce ferma.

Dovrebbe suonare infastidito, ma è monocorde, stanco.

Armin solleva la testa ed aggrotta le sopracciglia, scendendo dal letto per vestirsi a metà.

“Andiamo.”

L'altro lo fissa per un lungo momento, lo sguardo stanco sottolineato da occhiaie scure e, per un momento, il ragazzo biondo si chiede se non si stia illudendo sul loro rapporto.

Non sono esattamente amici, non come considera amici Eren e Mikasa, ma sono compagni e lo rispetta. È deciso a stargli vicino.

Dopo quella che sembra un'eternità, anche Jean si alza, vestendosi di fretta e finendo per seguirlo fuori dal dormitorio.

“Mio nonno diceva sempre che è inutile starsene a rigirare nel letto. Una passeggiata svuota la mente e dopo è più facile dormire.” spiega, guidandolo su per un sentiero roccioso. Il bosco intorno a loro è fitto, ma la luna è abbastanza luminosa da mostrarne la fine.

Rimangono in silenzio abbastanza da mandare nel panico chiunque, ma Armin è contento di poter condividere quel silenzio. È già importante, camminare semplicemente, senza pensare troppo, nonostante la schiena ora gli mandi delle fitte fino al ginocchio.

Si siedono quasi di comune accordo su una roccia che permette loro di vedere la città, lontano da loro abbastanza da essere riconoscibile dalle luci delle torri di guardia.

Piega la schiena da una parte e dall'altra, cercando di sciogliere i muscoli e sobbalza quando Jean gli posa le mani sui reni, sorpreso.

Le mani sono calde e grandissime e gli portano sollievo anche solo rimanendo così. Socchiude gli occhi, le guance arrossate ma non visibili all'altro, chiedendosi se fosse davvero così evidente, quel disagio.

“Sto bene.” mormora, apprezzando il contatto nuovo, ma preoccupandosi di sembrare un peso.

“Senza divisa sembri un ragazzino.” ribatte l'altro, offendendolo nonostante sia una realtà evidente.

Sono ragazzini, entrambi. Forse Jean è più alto, più muscoloso, più abile in battaglia, ma sono giovani, molto giovani, nonostante quello a cui hanno assistito.

La prospettiva che si presenta loro davanti non è una vita piena ed ordinaria ed entrambi lo sanno perfettamente.

Ancora una volta, Armin vorrebbe dire qualcosa di rassicurante e bello, ma riesce solo a voltarsi, le mani dell'altro sui fianchi, ancora impossibilmente calde. Il contatto lo confonde, ma il suo sguardo è sicuro e triste e il ragazzo biondo è felice di vedere qualcosa di diverso dall'apatia e la rabbia.

Finisce per dire una banalità, volgendo gli occhi di lato e concentrandosi sul fungo che ricopre la corteccia dell'albero più vicino.

“Mi dispiace per Marco.”

Jean lo lascia andare, le braccia improvvisamente pesanti. “Lo so.”

Scuote la testa prima che possa aggiungere altro, pensando ad altre frasi capaci di integrare quella evidente. Gli viene in mente che potrebbe parlare dei suoi genitori o di suo nonno o della mamma di Eren, ma il seguito gli nasce naturale.

“Ti prego, però, non fare l'eroe. Non buttarti in battaglia senza pensare, non cercare di morire.” soffia, rendendosi conto di averci pensato tante volte, dalla morte di Marco. Jean che impazzisce, segue la strada di una vendetta impossibile e smette di essere Jean.

Armin ha paura di questo pensiero che accetta per la prima volta ed allunga la mano verso il suo polso. La pila di morti gli ha fatto capire quanto i propri compagni siano diventati importanti. È infantile, se desidera con tutto se stesso di non vedere nessuno di loro in quel mucchio di braccia e gambe, visi irriconoscibili e corpi intrecciati tra loro?

Jean scuote la testa, ma non sembra sorpreso. Deve averci pensato. Deve aver pensato che quello fosse un buon modo per andarsene, buttarsi nella mischia, uccidere più Titani possibile e morire da stupido.

Ma non è stata quella la conclusione a cui il dolore l'ha fatto arrivare.

“E mi comporto in modo diverso perché ho paura. E non voglio che tu muoia.” riesce a dire, scuotendo la testa come se persino parlarne potesse ferirlo.

Vuole Jean vicino perché è un compagno, è importante e per motivi che ancora non gli sono del tutto chiari. Ma sa quanto soffrirebbe e gli basta sapere quello per agitarsi.

“No. Non farò niente di questo.” conferma, ruotando il polso e prendendo la sua mano. “Devo prendermi cura di quello che rimane.” ribatte, le dita ben strette intorno al suo palmo, come se fosse ovvio, come se Armin avesse dovuto accorgersi prima dell'importanza che aveva per lui.

Non sa se sorridere o scoppiare a piangere.

Il terrore di perdere Jean, però, nasce in quel momento e non lo lascia.

   
 
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