L’atmosfera
che si respira lungo i corridoi di Hogwarts, quando gli studenti e i
professori
si sono ritirati nelle loro stanze, ha qualcosa che riesce ad
affascinarmi: è
insieme austera e accogliente, invitante e misteriosa. Adoro
semplicemente questo
posto.
Stasera
sono rimasta a lungo in biblioteca, a cercare informazioni,
suggerimenti che possano
tornarmi utili per ottenere da Piton un voto degno della mia
reputazione. Mi
irrita terribilmente il suo atteggiamento di favoritismo nei confronti
dei suoi
adorati Serpeverde: troppo spesso in questi quattro anni e mezzo
l’ho visto dare
voti ingiustamente troppo generosi a lavori molto più scarsi
dei miei. Ma nel
prossimo esame non potrà che riconoscere la mia bravura, ne
sono certa. Cammino
lungo queste pareti, portando tra le braccia due pesanti tomi, sono
sottili, ma
rilegati in cuoio, e le pagine ingiallite sono spesse;
perciò, nonostante le
ridotte dimensioni, avverto già la stanchezza alle braccia.
Mi godo l’aria un
po’ fredda, le candele che illuminano il mio percorso, con le
loro fiammelle
tremule, e i vecchi baffuti che sonnacchiosi sbadigliano oltre le
cornici che
tappezzano qualsiasi angolo del castello.
Assorta
nei miei pensieri, arrivo alle scale:
anche loro sembrano addormentate, solo un paio si spostano lente: salgo
la
prima rampa, approdando su uno dei piccoli pianerottoli di pietra: da
questo
partono due corridoi, illuminati dalla luce fioca dei candelabri in
ferro
battuto disposti per tutta la loro lunghezza, a perdita
d’occhio. Mentre
attendo che una delle scalinate si muova in modo da farmi raggiungere
il quadro
della Signora Grassa, mi giunge all’orecchio un suono
flebile, come una musica.
Proviene dal corridoio alla mia destra, ma ancora non riesco a
distinguerlo,
allora faccio qualche passo in quella direzione, e sì,
finalmente capisco: è un
pianoforte. Lentamente, quelle poche note strimpellate si trasformano
in una
melodia, ancora un po’ indistinta, lontana. Le dita che
scorrono sui tasti
sembrano esperte, e vorrei tanto sapere a chi appartengano.
Un
rumore prolungato ora copre la musica, mi volto: la mia scala
è arrivata. Ora
sono indecisa, non so se tornarmene alla mia Casa Comune, o scoprire
chi stia
suonando quel pianoforte. C’è pericolo di
imbattersi in Gazza, ma a quest’ora,
quasi sicuramente starà andando a serrare il portone. E poi,
la mia proverbiale
curiosità non ha mai conosciuto limiti. Allora è
deciso: cauta comincio a
seguire le note, e passo davanti a delle porte, sulla destra. Mi
avvicino a
tutte, posando l’orecchio contro ognuna di loro, per vedere
se lo sconosciuto
pianista si trova dietro una di quelle. Finalmente riesco a catturare
ogni
suono, sono quasi arrivata: la quinta porta in cui mi imbatto
è socchiusa:
intravedo la penombra in cui è avvolta la stanza oltre
quella: faccio ancora
qualche passo, e mi convinco che in effetti la musica proviene da
lì: mi
soffermo sull’uscio, senza nemmeno guardare dentro. Voglio
godermi quella
musica. Non l’ho mai sentita prima, non sembra un pezzo
conosciuto, ma è così
malinconica, e mi trasmette delle emozioni…Un brivido mi
corre lungo la
schiena. Ora la curiosità mi divora nuovamente, e decido di
entrare: non voglio
muovere la porta, ho paura che cigoli, e rischierei di interrompere
quell’esecuzione
perfetta, se il pianista si accorgesse di me. Ma per fortuna la porta
è
dischiusa abbastanza da permettermi di passare senza spostarla di un
solo
millimetro…
Ogni
tanto, di sera, vengo a rintanarmi quassù… Questa
vecchia aula di musica è una
specie di rifugio segreto, anche se poi tanto segreto non è:
è qui, alla
portata di tutti… Ma a chi importano una stanza polverosa,
un mucchio di banchi
di legno tarlato accatastati in un angolo, e un pianoforte a coda con
una gamba
più corta delle altre, un po’ sghembo, e
totalmente scordato?
Io
la scoprii durante il mio primo anno, girovagando alla ricerca di una
classe
che non riuscivo a trovare. Appena ne ebbi l’occasione, di
nascosto, venni qui
e accordai il piano meglio che riuscii. Da allora, ogni volta che mi
sento a
pezzi per l’astio e lo stress accumulato durante le giornate,
torno nella mia
personale tana, e sfogo il mio malumore su questi tasti ingialliti. Le
lezioni
che prendevo da bambino mi sono state decisamente utili: so di essere
bravo, ma
non me ne è mai importato granché. Suonare
è diventato solo un passatempo per
distendere i miei nervi deboli.
Ma
ad essere del tutto sinceri, le ultime sere passate qui sono state
assillate
sempre dallo stesso pensiero, o meglio, dalla stessa persona.
L’unica che sia
riuscita davvero a farmi vacillare qui dentro in tutti questi anni.
Suono la
mia musica per lei, sempre per lei, ormai. Anche quella su cui scorrono
agili
adesso le mie dita è stata composta per lei, ed è
triste, nostalgica e
rassegnata. Perché è così che mi sento
quando penso che non potrò mai nemmeno
tentare di farle capire quello che provo, quando realizzo vividamente
nel mio
cervello che il nostro è un rapporto razionalmente
impossibile. Non ricordo
nemmeno quando è stato il giorno in cui tutto è
cambiato: prima non sentivo nulla
per quella ragazza; qualche mese fa, rivedendola scendere dal treno, ho
trovato
che fosse diventata davvero bella, durante l’estate appena
finita, ma niente di
più… Poi lentamente un’idea ha
cominciato a farsi largo nei miei pensieri, fino
ad instaurarcisi definitivamente.
Sono
sempre stato abbastanza sicuro di me, ma in questo caso
l’autostima non serve a
niente. Penso di essere innamorato di lei, ma cerco di non
convincermene
troppo: la consapevolezza di qualcosa di irraggiungibile mi
infastidisce. Ma
chi prendo in giro?
Io
l’amo.
Adesso
le dita vanno più lente, per poco non sbaglio una nota, ma
tutto fila liscio e la
sonata riprende frenetica e tormentata come prima.
Ormai
rovinarle l’esistenza non è più mio
interesse…
Avrò
anche tutto il necessario e il superfluo, nella vita, ma non ho
l’unica cosa
che desidero veramente…
Trattengo
il respiro, non credo ai miei occhi… La figura della persona
seduta al
pianoforte impolverato è così familiare, ma
così fuori posto, che fatico a
essere sicura di non averla scambiata per quella di qualcun altro. La
luce
della luna oltre le grandi bifore illumina debolmente quello che sembra
un
dipinto: le mani bianche che intravedo a tratti muoversi sui tasti, le
spalle
larghe sotto una giacca nera, il capo leggermente chino… E
il i tre fuocherelli
dorati e tremolanti sui mozziconi di cera incastonati nel candelabro
appoggiato
sul piano nero un po’ obliquo, che litigano con i raggi
azzurrini della luna,
donano dei riflessi innaturali a quella chioma biondo platino che si
riconoscerebbe lontano un miglio…
Draco
Malfoy… Il viscido, strafottente, lo snob e prepotente Draco
Malfoy… Ma bello
ed elegante. Sì, bello: è un aggettivo che non
gli si può negare, almeno dall’inizio
di questo semestre.
Rimango
ammaliata da quella visione, cercando
di riempirmene gli occhi. Possibile che quel serpente abbia un anima?
Perché è
questa la sensazione che mi da ascoltare quella sua musica
così malinconica:
che a suonarla sia un animo sensibile e tormentato.
Mi
batte il cuore… Chissà cosa succederebbe se si
accorgesse della mia presenza.
Vorrei uscire e continuare ad ascoltarlo da fuori, ma adesso ho paura
perfino
di muovermi, di sollevare un filo d’aria facendomi scoprire.
E poi chi me lo fa
fare di uscire? Questo è un genere di spettacolo a cui
raramente capita di
assistere: una persona che di notte butta giù la maschera
che indossa durante
il giorno. Forse il cuore di Malfoy non è ancora del tutto
marcito… Chiudo gli
occhi. Chissà a cosa pensa mentre suona. Forse si pente di
tutto il male che fa
ogni giorno. Questa supposizione mi fa quasi tenerezza. Sono
così presa dalle
note che mi dimentico dei pesanti tomi che tengo, anzi, tenevo, tra le
braccia.
Due
tonfi ravvicinati mi interrompono bruscamente: d’istinto
premo i polpastrelli a
caso sui tasti, creando un accordo totalmente dissonante. Mi giro
irritato, di
scatto, per vedere chi sia entrato, e… Non posso crederci.
Sembra un sogno, quello
che vedo è così surreale, come se la mia musica
avesse parlato chiaramente e
l’abbia attirata fino a qui: Hermione.
Lì
in piedi dalla parte opposta della stanza, così bella.
Vorrei avvicinarmi a lei
e sfiorare le sue labbra, con le mie. Solo un piccolo innocente bacio,
lieve,
non chiederei di più. Ma non posso nemmeno pronunciare il
suo nome, sarebbe
come pugnalarmi da solo, e allora:
“Granger!
- la appello con il tono più acido che mi riesca in quel
momento in cui mi
sento così inopportunamente scoperto e fragile, - Vedo che
sei sempre la solita
impicciona. Ora ti sei messa anche a pedinarmi?” la mia unica
difesa è
l’attacco. Non posso mostrarmi gentile con lei. Se si venisse
a sapere in giro
cosa provo per lei, sarei rovinato.
“No:
non rientra nei miei numerosi interessi. Piuttosto, non dovresti essere
nel tuo
dormitorio, a quest’ora?” mi risponde con la sua
solita saccenteria. Cosa darei
per sentirla parlarmi nel modo gentile in cui fa coi suoi amici.
“Anche
tu dovresti, o sbaglio?”
“Ci
sarò in una manciata di secondi, non preoccuparti per
me…-dice
sarcastica-…Invece a te ci vorrà molto di
più per raggiungere i sotterranei…
Senza contare il rischio di trovarsi davanti
Gazza…”
“Non
ti dispiacerebbe se mi beccasse, vero? Adesso ti dispiace
sparire?”
Lei
si china elegantemente a raccogliere i libri che hanno causato quel
rumore
irritante, e si volta orgogliosa afferrando la maniglia della porta
scricchiolante.
Prima
di trascinarsela dietro, però, mi dice, un po’
insicura:
“Malfoy…”
La
guardo negli occhi, perché finisca la frase:
“…Sei
bravo…” termina seria, senza risentimento,
accennando al pianoforte. Poi
sparisce dietro la porta chiusa.
Ridicola,
sciocca, dolce Mezzosangue, così spontanea e priva di
pregiudizi…
Dovrei continuare "Per Amore" lo so... Ma quando l'ispirazione viene non le si può dire di no...
Spero lasciate un commento.
Dovrei continuare "Per Amore" lo so... Ma quando l'ispirazione viene non le si può dire di no...
Spero lasciate un commento.
the
Fighting Temptations