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Autore: Invader_from_Hell    21/10/2004    9 recensioni
[Primo racconto per la serie " Le Storie".] Nella figura che inginocchiata nella neve si preparava, probabilmente, alla sua ultima ora, avevamo trovato tutti un punto di interesse. La sua stravaganza e il suo mistero avevano ricordato a tutti quanti l’avessero visto la varietà in ciò che si vede.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’Uomo Neve

L’Uomo Neve

 

Nessuno sapeva chi fosse.

Tutti, però, sapevano chi fosse l’Uomo Neve.

Si dice che fosse apparso dopo poche settimane dall’inizio dalle scuole. Si può affermare con una certa sicurezza, in quanto i primi ad accorgersi del suo arrivo furono i ragazzi che lo incontravano all’uscita dalle scuole del centro e che si trovavano a viaggiare sull’autobus insieme a lui.

Non apparve in perfetta contemporaneità con l’inizio delle scuole, però, bisogna precisarlo. Cosa facesse nella vita, proprio non si sapeva, ma era chiaro che il suo lavoro doveva essere prevalentemente estivo. Un uomo che vagabondava – sebbene il suo fosse un vagabondaggio proselita e altezzoso- a tutte le ore del giorno, non poteva certo lavorare, a meno che non fosse uno scrittore o un letterato. Proprio a questo proposito, alcuni giuravano di aver partecipato alla presentazione di un suo libro. Ma, si sa, di uomini neve ce ne sono tanti e non ce n’è nessuno, come si poteva dare credito a quelle voci così incostanti?

L’uomo neve, freddo di nome, pupazzo ghiacciato a sangue caldo di fatto.

Fu un gruppo di ragazzi a coniare questo appellativo, e a tutti sembrò calzare così bene, che nessuno sentì più il bisogno di indagare sulla sua identità. Era per tutti – forse anche per l’anagrafe – l’Uomo Neve. Tutto e niente risiedeva in quel nome, e se qualcuno avesse dovuto esporre denuncia nei suoi confronti o render conto di una sua eventuale malefatta, avrebbe detto di riferirsi all’Uomo Neve, e tutti avrebbero capito. E si sarebbero sorpresi.

Certo, perché era davvero di difficile concezione il pensiero che potesse nuocere ad anima viva.

Per spiegare meglio questa difficoltà irrazionale, è giusto spendere qualche parola riguardo l’apparizione dell’uomo Neve e il suo aspetto fisico.

Si è già detto che apparve dopo l’inizio delle scuole. Si era circa alla fine del mese di Settembre dell’anno xxxx, e furono certo le condizioni metereologiche a  favorire l’incontro.

Non è raro, infatti, che la fine di settembre inneggi ingannevolmente al gran freddo, esibendosi in mattine brinate e in pomeriggi scuri e ventosi. I ragazzi, mattinieri obbligati, assistevano in quei giorni a quelle evoluzioni ventose e gelide, tanto da doversi munire di cappotto talune mattine. Era quello il periodo in cui le mani iniziano a diventare lente e pesanti, e timbrare il biglietto dell’autobus si trasforma in un vero sentiero della passione. I pomeriggi, poi, un vento ammantato e calcolatore si distendeva sulla città, facendo impennare le vendite delle collezioni invernali.  La fine di settembre, quell’anno più di altri, appariva come un chiaro e preciso annuncio di inverno prematuro che di lì a poco avrebbe sfondato anche le porte dell’ultimo anticiclone e sarebbe piombato impietoso sulla città.

Fu proprio nella più fredda di queste giornate che lo videro. I ragazzi rimasero colpiti innanzitutto dal suo aspetto fisico. Parlavano tutti di un uomo sulla sessantina, basso e tarchiato, leggermente incurvato sul peso della sua testa. Era completamente calvo, e la sua carnagione era talmente pallida che la sua testa rotondissima poteva essere scambiata per una maschera carnevalesca. Aveva occhi piccoli e chiari, qualche rado filo di barba ben rasata, e un naso dalla forma piuttosto schiacciata. Se già le sue sembianze potevano suscitare l’ilarità di coloro che ne sentivano un’accurata descrizione, l’abbigliamento era decisamente la sua peculiarità più incomprensibile e curiosa.

Vestiva infatti un pesante cappotto nero, munito di una cintura che teneva sempre ben stretta sulla sua vita rotonda. Per completare il corredo, il suo collo era avvolto nella morsa ringhiante e lanosa di una sciarpa a scacchi rossi, neri e gialli; non fu mai visto sprovvisto di guanti di lana.

Il lettore ci scuserà se questo tragicomico climax non è ancora terminato… Difatti, come se il suo aspetto e il suo corredo non fossero abbastanza stravaganti, bisogna precisare che sotto quel pesantissimo cappotto l’Uomo Neve tremava. I ragazzi raccontarono di averlo visto stringersi nel cappotto sempre più stretto, quasi fino a togliersi il respiro, e tremare come in preda ai brividi più selvaggi. Il che non era oggettivamente possibile, anche considerata la temperatura più bassa del solito – che non era sufficiente a ridurre un uomo in quello stato. La visione di quell’uomo così agghindato stonava, nello stesso modo in cui avrebbe stonato un bagnante in costume nell’inverno antartico. Tuttavia, si tentò di trovare una spiegazione a quella visione, perché, si sa, per la gente è oggi importante spiegare ciò che appare inopportuno o irrazionale, ciò che nessuno ha mai mostrato prima, un comportamento che non rientra nella media stagionale.

Si disse che l’uomo era in preda alle febbri più terribili, e che non potendo rimandare un suo importante ufficio, era stato costretto a uscire di casa coperto più che poteva per dare sollievo alle membra scosse dai brividi. Questa spiegazione poteva ragionevolmente essere accettata, e di fatto lo fu. Almeno fino a quando la temperatura si alzò improvvisamente, toccando livelli estivi, e l’uomo continuò a comportarsi in quel modo. Era visto dai ragazzi ogni giorno, e ogni giorno l’abbigliamento e l’atteggiamento erano i medesimi. Sempre infreddolito e tremante,  sempre coperto, sempre incredibilmente frettoloso nei movimenti. Mentre i ragazzi, vittime dell’illusione del freddo settembrino, si affrettavano a correre al .. riparo… delle maniche corte e del più leggero cotone, l’uomo Neve continuava a tremare e a spolverare i sedili dell’autobus col suo lungo cappotto nero.

Se quella era febbre, doveva essere una gran febbre, e il suo lavoro doveva essere davvero molto importante… decisamente troppo, per essere vero.

Quell’uomo stava iniziando a far parlare di sé e ad attirare lo sguardo della gente, che se nel periodo di gelo effimero non aveva fatto troppo caso ad uno dei soliti esagerati, passata alle maniche di camicia aveva iniziato a considerare quel nuovo pazzo fuori stagione.

 

Da una conoscenza marginale e sommaria, basata solo su un’osservazione preliminare e poco accurata, spesso l’uomo desidera passare ad un’esperienza più diretta e approfondita. Spesso, si desidera fare propria una realtà molto distante. E forse fu per questo che i ragazzi iniziarono ad osservare meglio quell’uomo, e a dire il vero iniziarono tutti a prestare più attenzione alla presenza di quella figura così stonata e cinerea.

 

Tuttavia, non fu allora che io ebbi occasione di parlarci.

 

Ottobre incalzava senza pietà, e sembrava riecheggiare un’estate incompiuta. I bottoni delle sporadiche camicie bianche si aprirono fin quasi al petto, i maglioni che erano timidamente comparsi per saggiare il terreno si dileguarono, proprio come era accaduto per le giacche inizialmente. Questa tendenza – e alcuni già l’avevano sospettato- non fu accolta dall’ormai nazionale Uomo neve, o uomo di Neve. Continuò, come se per lui fosse assolutamente naturale, a vestire i suoi pesanti indumenti, e anzi, si fece ancora più insistente nel mostrarsi infreddolito e in preda ai brividi.

Questo nuovo rinforzo a quella tendenza non passò inosservato, e l’uomo di neve dovette rassegnarsi a viaggiare seduto nell’ultima fila dell’autobus. E dovette rassegnarsi perché quella fila era stata “cortesemente” lasciata completamente a lui dalla gente che dovendo far spesso uso di quella linea, lo avevano ormai inquadrato. Ricordo che a noi non parve giusto, tant’è che qualche volta ci sedemmo volontariamente accanto a lui, sperando che la gente si decidesse a fare lo stesso. Chi ci conosce sa bene che non siamo solitamente dediti ad atti di solidarietà e di beneficenza, ma credo che in cuor nostro, in quel particolare momento della vita, ci sentissimo più uomini neve di quanto si sentisse lui in persona.  E così, noi piccoli pupazzetti di neve iniziammo ad avvicinarci a lui, mantenendo un rigoroso silenzio, un patto di non interferenza. Questo tacito accordo prevedeva che lui potesse tremare in santa pace, e che noi potessimo avvicinarci, e magari osservarlo di soppiatto. Il nostro patto fece lo stesso rumore che una tigre produce mentre, nascosta tra l’erba alta, aspetta il momento propizio per assaltare la preda. Il suo tremore era lo stesso di un vulcano nei momenti che precedono l’eruzione. Talvolta mi chiedevo se le scosse sotto di me fossero da imputarsi al motore dell’autobus o al tremore del buffo ometto rotondo che sedeva accanto a me.

Lo ammetto, il nostro sentirci in pace con noi stessi e con lui non servì neppure lontanamente a imprimere una svolta significativa alla vicenda. Anzi. La gente iniziò a non dirigere più gli sguardi falsamente indignati solo a lui, ma permise anche a noi di beneficiarne. Questo sicuramente ci spinse a tornare sui nostri passi, e dai posti accanto a lui ci spostammo indietro di una fila, quanto bastava per poterlo vedere ugualmente.

In realtà, credo che non avessimo ben realizzato la stranezza i ciò che vedevamo, un uomo in abbigliamento invernale che trema su un autobus mentre la temperatura esterna è di quasi trenta gradi. Una cosa ben strana, in effetti.  Inutile dire che ognuno di noi se n’era accorto e si era chiesto il significato di una tale curiosità similmente coadiuvata da un adeguamento alla strana novità. Come ho già detto, è probabile che fossimo tutti uomini di neve.

Mi tornarono in mente certi momenti della mia vita nei quali mi era sembrato di provare freddo. Ma non un freddo che scuote le membra, bensì un gelo che fa tremare l’anima e serra le mandibole. Non ero sicuro che fosse proprio quello il freddo che provava il nostro buffo amico, avevo qualche nozione di psichiatria e non credevo possibile che un’anima – anche estremamente infreddolita- fosse capace di somatizzare tutto il proprio sconforto. Avevo letto, certo, di persone che dopo aver lungamente desiderato – per chissà quale ragione- di essere colpite da un tumore, avevano ottenuto esattamente il tipo di tumore che desideravano. Ma a differenza dei giornali più divulgativi che scientifici, io ero sempre stato convinto che – diamine- il caso e la sfortuna fossero nostri invisibili vicini di casa, e che se così non fosse stato, tanto peggio per chi fosse così folle da attirare su di sé ogni male. In fondo, il disprezzo del mondo del fraticello di Todi è cosa lontana.

 

La svolta decisiva e  maledetta  della vicenda arrivò, come in ogni umana vicenda mossa dalla curiosità. Decisiva perché permise a noi di capire qualcosa di più , e al freddo di raggiungere chi tanto a lui anelava. Maledetta, perché fu troppo il nostro coinvolgimento, e perché non fummo capaci di capire dove finisse la nostra curiosità, dove lasciasse il passo alla tragedia.

Mi trovavo un giorno a parlare con un mio amico, e il discorso era casualmente caduto sull’uomo neve.

“ Hai notato che non si ascolta più, in generale?” mi disse lui.

“ cioè, la gente non fa più attenzione a quello che sente?” chiesi io, non capendo dove volesse arrivare.

“ Sì, ecco. Mi sembra che oggi la prima cosa che si fa è il guardare” disse lui. Era vero.

“ Effettivamente… guarda per esempio che succede con la musica…” mi sembrava attinente.

“ Sì, ma anche con quell’uomo, l’uomo neve.” Disse lui. Non afferrai subito.

“ Cosa?”

“ Lo guardiamo sempre, ma l’abbiamo mai ascoltato? Secondo me, sarebbe più utile” disse. E fui profondamente colpito. Era vero, benché  si vedesse chiaramente il movimento del suo labiale, non avevamo mai tentato di ascoltare quello che diceva.

 

E allora l’avremmo ascoltato.

Penso, col senno di poi, che ci fosse stata una scelta implicita nella nostra mancanza di attenzione uditiva. La normale paura di venire a conoscenza di cose troppo grandi e dolorose da essere pensate, o così piccole e ridicole da rendere difficile il contegno del riso. Quali dei due casi avessimo fino a quel momento aggirato, l’avremmo scoperto una mattina verso le due, all’uscita di scuola.

Non c’era speranza di una tregua da parte dell’alone di soffocante pressione che avvolgeva quei giorni dall’alto del cielo bianco, e avevamo finito per sudare copiosamente durante l’ora dei educazione fisica. Ci eravamo lanciati – un po’ per scherzo e un po’ sul serio- in una partita a pallacanestro all’ultimo sangue, nella quale non avevamo risparmiato proprio nulla.

Non facemmo in tempo ad asciugarci il sudore dalle tempie, giacché fummo costretti a lanciarci nella serra della strada e affrontare il fuoco nebulizzato per salire sull’autobus in tempo. Se  l’avessimo perso, infatti, non avremmo potuto ascoltare l’uomo di neve. Istantaneamente gettammo uno sguardo famelico nei posti a sedere sul retro. Come accadeva da ormai un mese abbondante, scorgemmo un ometto basso e tozzo totalmente cacciato sotto il suo cappotto nero. Sembrava avere, quel giorno, particolarmente freddo. Osservai una goccia di sudore rigare la guancia di un mio compagno e morire sul collo. Fu probabilmente in quel momento che mi resi conto dell’assurdità della figura che avevamo strenuamente difeso per così tanto tempo, arrivando persino a non curarci delle maldicenze altrui. E altrettanto probabilmente fu quello uno strano senso di colpa e vergogna che mi spinse ad offrirmi per andare a sentire cosa mormorasse il nostro osservato. Nessuno infatti, d’un tratto, se la sentiva più di avvicinarsi. Sarà stata colpa delle tute da ginnastica sintetiche e del sudore, ma nessuno riteneva più di avere la giusta disposizione per avvicinarsi. Lo feci dunque io.

 

A tratti ricordo di aver temuto che il mio stesso sudore potesse congelarsi man mano che mi avvicinavo all’uomo. Mi avvicinai a passi molto lenti, quasi come se l’uomo fosse diventato oggetto di una mia particolare deferenza, ed ebbi occasione di osservarlo meglio nei suoi particolari. Nel mese che era passato – e ne ero sicuro – si era fatto più magro, ed il suo viso appariva dello stesso colore della neve quando inizia a sporcarsi. Appariva nel complesso malaticcio, rispetto all’apparenza paciosa e buffa dei primi tempi. Osservai anche che le sue mani, parzialmente nascoste sotto il cappotto, stringevano febbrilmente un oggetto difficilmente identificabile, ma terribilmente simile ad una croce. Tremava dalla testa ai piedi, ma le sue braccia e le sue mani restavano estremamente ferme e composte, in una posizione salda e tenace, quasi come una lupa che protegge i suoi cuccioli. Quell’oggetto doveva essere il fulcro della sua stabilità, evidentemente prossima all’attacco di una tempesta.

Effettivamente stava mormorando. Per sentirlo, avrei dovuto avvicinarmi, sedermi vicino a lui. Come ho già detto, esisteva il rischio di venire a sapere cose troppo dolorose e remote per essere sopportate, o di capire di aver miseramente sprecato il proprio tempo tentando di capire  la storia di un pazzo qualunque. Diedi una rapida occhiata ai miei amici dietro di me, i quali timidamente mi fecero cenni d’incoraggiamento in realtà molto blandi e sbrigativi.

Così, mi sedetti.

La maledizione si librò nell’aria col mormorio sommesso del buffo ometto, che adesso appariva chiaro e distinto. Mi perforò i timpani senza chiedere permesso, mi sembrò di non potermi sottrarre a quelle parole.

“ Freddo freddo… non vedi che fa tanto freddo?”

“ Freddo, tanto freddo… tanto, tanto.”

“ Torna, perché fa tanto tanto freddo “

“ Freddo…”

“Tanto…”

 

Non capimmo il significato di quelle frasi, e sebbene fossimo attratti da tanto mistero, ci rendemmo conto che dovesse essere qualcosa di strettamente legato a lui. Non indagammo oltre, ma continuammo ad osservarlo con non minore curiosità.

 

Passarono i mesi, tra sprazzi di freddo e rivincite calde.

Tutto sommato però, verso gennaio il freddo fu universalmente tra noi, e verso la metà del mese ci regalò diverse nevicate insperate.

Se il freddo era diventato onnipresente nelle nostre vite invernali, la stessa cosa non si poteva dire dell’uomo neve.

Si presentava sull’autobus sempre meno spesso, e non tremava più. Nel clima invernale, un uomo vestito come lui era certamente normale, niente di speciale. La gente ormai si era dimenticata delle stranezze autunnali, e sedeva accanto a lui senza problemi. Il vero cambiamento, però, era avvenuto proprio nel nostro uomo neve. Non vedendolo più tremare, fu per noi intuitivo pensare che qualcosa non andasse. Smise di mormorare, e i suoi occhi si fecero fissi e spenti. La sua testa pareva divenire ogni giorno più pesante. Non aveva più nulla di quel buffo ometto che avevamo conosciuto all’inizio di tutto. Nulla, tranne quelle mani chiuse intorno allo strano oggetto. C’era sempre, e arrivammo a pensare che separandolo da quello, sarebbe definitivamente morto.

Di motivi per stupirsi, ce n’erano a bizzeffe. L’uomo pareva desiderare ardentemente il freddo. Adesso che era finalmente arrivato, avrebbe dovuto essere contento, giusto? Pareva invece svanita tutta la magia congelata che lo teneva stretto nel suo cappotto. Sì, pareva quasi che avesse perso una certa speranza, un certo motore, la sua ragione di tanti tremori.

Quando iniziò a nevicare, sparì. Non se n’ebbe più notizia.

 

La giornata più fredda di quel periodo fu il 17 gennaio. Una spessa coltre nevosa ricoprì chiese, palazzi, villette e parchi. Ci trovavamo appunto in un parco situato nel centro storico della nostra città, circondato da case antiche e quasi monumentali. Sebbene la giornata fosse ideale per giocare a palle di neve, eravamo gli unici nel parco. Ci parve strano che la gente si fosse chiusa in casa invece di scendere per godersi una spettacolo ormai rarissimo.

Anche l’ultima coppia se ne andò, piuttosto di fretta, tanto che ci sembrò che fosse stata infastidita da qualcosa di preciso. Qualche albero ci parava la vista, così ci spostammo leggermente.

Sembrerà strano, ma non fummo sorpresi nel vedere l’uomo neve inginocchiato sulla coltre fresca e soffice. Osservava con gli occhi sbarrati i fiocchi di neve che morbidi e silenziosi si posano dovunque, senza fare distinzioni e onori. Si posavano sul suo naso nello stesso modo in cui si sarebbero posati sul nostro. Restammo a guardarlo, un po’ spaventati, ma in cuore rassegnati.

Nella figura che inginocchiata nella neve si preparava, probabilmente, alla sua ultima ora, avevamo trovato tutti un punto di interesse. La sua stravaganza e il suo mistero avevano ricordato a tutti quanti l’avessero visto la varietà in ciò che si vede. Aveva impegnato qualche cuore e qualche mente, aveva popolato qualche pensiero.

Passarono probabilmente le ore, e si era ormai fatta notte.

Lui non si muoveva. Raccolto un ranuncolo, mi avvicinai e glielo depositai accanto, e così fecero anche i miei amici.

L’uomo neve era morto.

 

Non so perché non chiamammo nessuno. Non ci passò neppure per la testa, lui era l’uomo neve e nessuno avrebbe potuto aiutarlo.

Il resto della notte fu dedicato alle congetture. La più gettonata fu la mia.

Sua moglie doveva essere morta un anno prima, di stenti o per un incidente in montagna. Doveva essere una donna di animo generoso e innamorata del marito. Probabilmente, sul letto di morte, aveva detto che quando sarebbero tornato il freddo, lei sarebbe tornata a fargli visita. Lui, in preda al dolore doveva aver preso alla lettera quelle parole. Da allora aveva cercato in tutti i modi di provare freddo per far sì che sua moglie tornasse da lui. Il suo freddo era infine arrivato, e probabilmente gli aveva fatto il regalo più bello.

Ma, ancora una volta, la mia congettura poteva semplicemente essere il tentativo di giustificare la sciocca morte di un pazzo ed il nostro inutile interessamento.

Sul posto, non fu costruita una statua.

E non si dice che il suo fantasma torni ogni 17 gennaio.

L’uomo neve è morto.

  
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