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Autore: _Graysoul    25/09/2013    0 recensioni
Non sapeva nemmeno dove andare. Non c’era nessun posto in cui andare. Erano tutti gli stessi, visti e rivisti mille volte. Li odiava tutti. Odiava anche il fatto di essere diventato così monotono con i pensieri.
Larry || One Shot || no-sense
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sbatté con forza il pugno contro il muro, più e più volte. Fitte di dolore acuto gli trafiggevano la mano, gonfia e di una sfumatura quasi violacea. Si sentiva mancare l’aria. Respirava bruscamente. Nausea. Cadde a terra, la schiena che scivolava lenta contro il muro scrostato e sporco. Voleva urlare con tutto il fiato che aveva in gola, picchiare la parete ancora e ancora con tutta la sua forza. Sentiva la voce preoccupata di sua madre dietro la porta. Un senso di irritazione e fastidio gli fece quasi vedere rosso. Iniziò a tremare febbrilmente. Cosa gli stava succedendo? Il respiro affannoso.
Calma. Calma, Louis, calmati. Non piangere. Calmati, rilassati.
Sentiva i passi delle sue sorelle su e giù per il corridoio. Voleva scappare ma non sapeva dove. Voleva nascondersi ma non aveva un posto adatto per farlo. Quella casa era troppo piccola, stroppo stretta. Nemmeno camera sua lo faceva sentire nascosto e protetto. Era circondato dal caos, dal disordine più totale e la vista di tutto quello schifo gli fece salire ulteriormente il livello di irritazione. Si prese la testa tra le mani. Non ne poteva più, di niente. Odiava quella maledetta famiglia, ne era stanco, annoiato fino alla morte. Era stufo di tutte quelle discussioni inutili con sua madre, di tutte quelle sgridate di cui non gliene fregava niente, delle stupide lacrime di sua madre. Lacrime di delusione. Delusione nell’aver avuto un figlio del genere, delusione nell’essere stata una madre orribile. Patetico. Louis trovava tutto quello patetico.
Cercò di fermare il tremore alle mani respirando profondamente. Il suo stesso egoismo gli diede il voltastomaco. Immagini della sua vita continuavano a tornagli alla mente. Lui che usciva ogni mattina di casa con la stessa faccia diretto a scuola. Scuola. Odiava anche quella. Quel posto più assomigliante ad un ospedale psichiatrico che altro. Quelle persone dalle facce stupide che lo circondavano; le loro chiacchere lo innervosivano di quanto erano insensate e vuote. Preoccupazioni che al solo sentirle nominare Louis voleva correre lontano. Che schifo. L’immagine di lui, spalmato su una panchina al sabato sera. Anche quelli li odiava. I sabati sera. Li aspettava con ansia tutta la settimana e poi quando arrivavano gli toglievano la voglia di fare tutto; finiva sempre con le stesse persone a fare le stesse cose. Ne era talmente stufo che stava impazzendo.
Le lacrime presero a pungergli gli occhi. No, no no. Calmati Louis. Basta piangere. Basta, basta ti prego.
Stava impazzendo. Lo sapeva, ne era consapevole. Da piccolo quando gli dicevano “sei pazzo” lui rideva e “no, non ancora” rispondeva. Beh, ora si. Ora di certo. Rise al pensiero.
Si alzò, barcollante. Aveva bisogno di vomitare. Graffiò la parete con le poche unghie che aveva per non tirare un altro pugno. Poi si fermò. Prese un respiro profondo, l’ennesimo.
Indossò la prima felpa trovata per terra, prese tutti i soldi che trovò in giro per camera, il cellulare con la batteria già in fin di vita e uscì a razzo da camera sua.
La lamentosa, irritante e preoccupata voce di sua madre lo raggiunse urlandogli insulti, parole di conforto, domande. Tutto insieme. Le sue sorelle sbucavano qua e la per casa, con le faccette preoccupate. Lottie, seduta sul divano in salotto quando lo vide attraversare il corridoio ad una simile velocità si tolse una cuffia dall’orecchio e si limitò ad osservare quel fallimento di suo fratello uscire e andare chissà dove a commiserarsi della sua vita.
 
Non pensava che fuori potesse esserci ancora così tanto sole. Lo odiò, quel sole. Possibile che ad ottobre facesse ancora quel tempo? Avrebbe preferito sentirsi congelare l’anima piuttosto che assecondare quel calore così meschino ed ipocrita che si offrivano di donargli.
Con una smorfia infastidita mosse qualche passo lungo il vialetto di casa. Non sapeva nemmeno dove andare. Non c’era nessun posto in cui andare. Erano tutti gli stessi, visti e rivisti mille volte. Li odiava tutti. Odiava anche il fatto di essere diventato così monotono con i pensieri.
Odio, odio, odio, odio. Davvero irritante. Odioso.
Senza un motivo preciso si indirizzò verso il parcheggio della città. Iniziò a salire i gradini, uno dopo l’altro, fino a quando non giunse al nono piano del parcheggio. Lo attraversò per intero fino a giungere alla balconata. Si arrampicò in cima ad una scaletta antincendio, si sedette e finalmente si ritagliò un momento per se stesso. Alzò lo sguardo sulla città. Il cielo pallidamente azzurro lo sovrastava; si stava andando a colorare di un inutile rossastro che sottolineava con scarsa evidenza la fine di un altro anonimo giorno.
Louis si chiese quanti giorni fosse già stato costretto a vivere da quando era nato.
Tirò fuori dalla tasca della tuta tre sigarette, le ultime, tutte mezze distrutte. Una se la accese subito, l’altra la mise dietro l’orecchio e l’ultima la rimise in tasca. Se la fumò lentamente, senza fretta. In fondo, non ne aveva. O forse sì? Non lo sapeva, non gli interessava.
Alzò di nuovo lo sguardo sulla città. Da li poteva vederla tutta. Quell’orribile città più falsa dei sorrisi delle persone che ci vivevano. Falsamente pulita, falsamente mantenuta, falsamente povera. Se quella città fosse stata rasa al suolo o bruciata quel giorno stesso, nessuno ne avrebbe sentito la reale mancanza. La parte più malata di lui un po’ avrebbe sentito la mancanza di quelle vie grigie e quelle facce del medesimo colore… ma l’avrebbe certamente dominata, quella parte.
Quando finì la prima sigaretta, ripescò dalla tasca la seconda e riprese a fumare. Il cellulare in tasca prese a vibrare. Sicuramente sua madre. Poia ancora e ancora. Qualcuno dei suoi amici. Ancora e ancora. Messaggi stupidi che dicevano cose che non gli interessavano, non al momento. Il cellulare lo infastidiva. Per un momento volle prenderlo e gettarlo lontano, nel vuoto. Cancellò l’idea con un battito di palpebre.
Una mano ghiacciata gli sfilò la sigaretta da dietro l’orecchio.
Il cuore gli schizzò in gola. Rimase fermo immobile. Sentì il sangue gelarsi.
Una mano ricoperta di anelli e un paio di tatuaggi entrò nella sua visuale.
Il cuore riprese un battito naturale. Il corpo, piegato in avanti e appoggiato al ferro che gli impediva una caduta libera di circa 20 metri nel vuoto, si rilassò nuovamente.
Una bocca bollente si poggiò sul suo collo nudo.
“Styles” salutò Louis con una smorfia.
Il ragazzo scoprì i denti e morse la sua carne, strappandogli un lamento. Poi si staccò, si leccò le labbra e “Tomlinson” salutò di rimando. Si appoggiò quindi alla ringhiera affianco a lui, di profilo. Si infilò la sigaretta in bocca e “accendino” ordinò. Louis glielo porse, Harry accese la sigaretta e poi buttò l’accendino giù dal parcheggio.
“Perché diavolo l’hai fatto?” chiese Louis.
Harry rispose con un’alzata di spalle, raddrizzando gli occhiali da sole neri. “Era l’ultima sigaretta, no? Non ti serviva più.”
“Che ne sapevi se era l’ultima o no. E poi e avrei comprate di nuove, no?”
“Effettivamente non lo sapevo. Però..”
“Va bene, basta” non aveva voglia di discutere per una questione così insensata. Con Harry Styles c’era poco da fare. Ragionava con chissà quale parte del corpo. Il cazzo, pensò poi sogghignando.
Seguì silenzio. Il solito silenzio.
Non era un silenzio imbarazzato. Non c’era nulla per cui essere in imbarazzo. Non era nemmeno un silenzio pieno di frasi lasciate a metà e doppi sensi. Era semplicemente un silenzio dove nessuno aveva niente da dire. Poi Harry lo interruppe per fare la domanda più banale.
“Che ci fai qui?”
“Non lo so” rispose prontamente Louis. Era vero, non lo sapeva. Che senso aveva mentire? Mentire. Che cosa orribile e scema. Eppure lui lo faceva sempre. Odiava le bugie ma le diceva sempre. Era un suo motto.
Volle ridere e piangere allo stesso momento, senza un preciso motivo. “Non sapevo dove andare e son venuto quassù, non so a fare cosa o perché. Tu, che stimolante motivazione hai?” ricambiò la domanda, stavolta più per curiosità che per cortesia.
“Ogni volta che passo qua sotto alzo lo sguardo. Controllo sempre se c’è qualcuno quassù..”
“Per paura che si suicidi?”
“No”
“Allora perché?”
Già, perché? “Non lo so perché. Lo faccio e basta. Così come sempre ho guardato su e ho visto te.”
“E mi hai raggiunto.”
“E ti ho raggiunto” confermò.
“Perché” volle sapere.
“Perché lo sai che se ti vedo, non riesco a starti lontano. Finché non ti penso e non ti vedo, mi sei indifferente. Se però ti vedo, mi parli, mi guardi, ti guardo ho il bisogno… fisico di sentirti vicino. Di parlarti, di toccarti, di baciarti” spiegò semplicemente.
Louis rispose con un verso di scherno e “romantico” commentò. Come se per lui, alla fine, non fosse lo stesso. Si voltò nella sua direzione, la sigaretta finita ormai venti metri più in basso. Respirò profondamente. Quindi Harry gli si avvicinò del tutto e lo baciò. Louis non rispose al bacio. Rimase fermo. Harry non si arrese. Prese a mordere le sue labbra, leccarle. Si fece spazio nella sua bocca con la lingua. Louis continuò a farsi baciare, quasi tranquillo. Poi però gli cinse prepotentemente la vita con le braccia e se lo spinse contro, come a volerselo imprimere addosso. Sentì il suo sangue scaldarsi lentamente.
Poi sentì freddo. Terribilmente freddo, perché le mani di Harry, come sempre ghiacciate, si erano infilate sotto la sua felpa e poggiate sul suo petto. A Louis cappò un gemito. Harry prese a solleticargli un capezzolo e Louis sentì un brivido attraversarli la schiena. Se lo strinse talmente addosso da sentire i polmoni svuotarsi di aria e le costole piegarsi impercettibilmente. Poi si scollarono, con un suono quasi osceno e bagnato. Louis gli leccò ancora una volta le labbra e poi appoggiò la testa alla sua spalla, nonostante la differenza di altezza. Sospirò pesantemente.
Harry lo abbracciò stretto, ma con una delicatezza che sembrava non avere nulla a che fare con l’Harry di qualche secondo fa. Gli infilò una mano tra i lisci capelli castani, accarezzandoli dolcemente. Gli posò un leggerissimo bacio sulla spalla. Quello era Harry Styles. Un ossimoro vivente. Fuori costantemente vestito di nero e dentro di un bianco accecante. Dalle parole vuote, incolore e leggere, dai gesti pesanti, indimenticabili, importanti, decisi. Scostante e continuo. Buono e cattivo. Sincero e bugiardo.
Tragicamente sbagliato e così terribilmente perfetto per Louis.
Si amavano.
In un modo strano e tutto loro, ma si amavano.
Si amavano quando si incontravano per strada e si scambiavano un semplice ciao. Si amavano quando si scrivevano stupidi messaggi a tutte le ore del giorno e della notte. Si amavano quando l’uno sfogava i propri dispiaceri assieme all’altro nell’alcool di un inutile bar qualsiasi. Si amavano quando facevano l’amore, dolcemente, silenziosamente. Si amavano quando scopavano rudemente, senza scopi o motivi validi. Si amavano quando ridevano insieme, quando uno coglieva con l’indice le lacrime dell’altro, quando fumavano insieme, quando studiavano insieme, quando dormivano abbracciati, quando si sussurravano i segreti più intimi e nascosti, quando si donavano l’uno all’altro co anima e corpo, quando si vomitavano insulti in faccia. Si amavano in un modo sporco, rude, grezzo. Intenso e puro. Sbagliato. Insostituibile.
“Harry” bisbigliò Louis. Un bisbiglio che si perdeva nell’immensità del parcheggio, che si perdeva tra le pieghe della giornata, che si perdeva tra i suoi mille pensieri nella sua mente. Si perdeva. Però Harry riusciva sempre a ritrovarlo.
“Lo so, Lou. Lo so.”
“E’ tutto così… sbagliato. Sto impazzendo, non ci capisco più niente.”
“Lo so” continuò a ripetere, come un mantra.
“Non ce la faccio più. Sono esausto.”
“Anche io” anche lui. Anche Harry stava crollando. In tutta la sua bellezza, in tutta la sua altezza e magrezza. Quella fortezza creata da un bianco sorriso e false parole stava crollando. Si stava sbriciolando, pezzo dopo pezzo. Proprio come quella di Louis.
Louis lo strinse più forte, come a sorreggerlo. Sarebbe caduto lui piuttosto che lasciar cadere Harry.
Di loro stava rimanendo solo un cumulo di briciole, cenere, macerie che giorno dopo giorno si ostinavano a raccogliere e rimettere insieme.





 
Buonasera a tutti.
Non chiedetemi il senso di questa Os che ho scritto perché non esiste.
L'ho scritta perché mi sono sentita male, soffocata da tutti e da tutti e mi è venuto un impellente bisogno di scrivere.
E ho scritto questo.
Ci ho messo davvero me stessa, in ogni parola, frase e pensiero. Ho cercato di esprimere ogni singola emozione, ho tentato di rigettarla qua sopra. Non dovrei nemmeno starle a scrivere qui queste cose. Comunque, spero vi sia piaciuta come OS.
Spero di tornare la prossima volta con qualcosa di più allegro (ci provo, giurin giurello!). Buona serata e grazie per aver letto;
-Claire
  
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