Crossover
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Autore: Registe    26/09/2013    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 10 - Il suono del silenzio





Vexen nel laboratorio del Castello



Con ogni sforzo la purezza del sangue deve essere preservata, perché essa è nostro valore supremo, e massimamente deve essere tenuta da conto. Ciò non vale solo nei riguardi degli altri esseri inferiori, ma anche il demone maggiore mai dovrà unirsi al minore, ché il sangue di questo è più vile et infimo e insozzerebbe il suo. E' manifesto che le cose che la natura ha fatto dissimili non devono essere mescolate per cagione alcuna.
da “Sangue e onore” del nobile Sharan del casato di Ixial, primo Arcivescovo Stregone della famiglia demoniaca, sotto il regno del Grande Satana Eluyne.




“Sono felice che ti sia ripreso”.
Ripreso era un’esagerazione, ma Zaboera sapeva di non essere mai stato così vicino alla morte come in quei giorni. Se era ancora in piedi lo doveva solo alla prontezza di riflessi di alcuni suoi assistenti e all’enorme potere guaritivo delle Vasche di Recupero; era uscito da quel bagno di fluidi verdastri solo un paio d’ore prima, e quando i demoni gli avevano raccontato l’accaduto si era subito recato nella sala del trono del Baan Palace.
Il viso del Grande Satana era segnato da rughe più profonde del solito. Lo sguardo del demone antico era fisso sulle sue stesse mani, che si muovevano lentamente intorno ad un globo dalla luce candida, ipnotica. Zaboera inspirò a fondo il potente incantesimo che scaturiva da quelle dita, sentendolo attraversare la stanza e penetrare nelle pareti, nel pavimento, fino alla base del palazzo e alla torre più alta; per rendere invisibile l’intera mole del Baan Palace sarebbero stati necessari oltre cinquanta demoni minori tra i più dotati, va vi erano alcune cose che il suo signore preferiva fare di persona. “Non potremmo utilizzare le Pietre Dimensionali, Grande Satana? Quelle che abbiamo preso ai Membri dell’Organizzazione.” disse, cercando di non disturbare la concentrazione dell’altro.
“Una l’ho assegnata a Killvearn per trasportare i nostri soldati a Coruscant. E l’altra … preferirei utilizzarla per le emergenze. Non ho intenzione di allontanarmi da Cephiro e dai miei demoni finché non sarà davvero necessario”.
Zaboera sospirò. Se fosse dipeso da lui avrebbe allontanato subito il Baan Palace dal loro mondo, anche a costo di farsi dare del vigliacco da gente come Hadler, Crocodyne, o peggio, da Baran. Sapeva che l’incantesimo del demone maggiore avrebbe illuso qualsiasi congegno di rilevamento dei viscidi umani, ma questo non diminuiva il senso di agitazione che provava tutte le volte che il Grande Satana si spingeva vicino al campo di battaglia. Comandare l’intero corpo del Maegudan richiedeva molta concentrazione, ed il demone maggiore cercava di diminuire lo svantaggio portandosi vicino alle armature senzienti e alle zone di combattimento.
“Lo che mi consideri un insopportabile testardo” disse quello, come in risposta ai suoi pensieri.
“G … Grande Satana, non mi permetterei mai di …”
“Lo pensi da più di tremila anni, Zabo. Me ne sono fatto una ragione. Noi demoni non siamo come gli umani, che cambiano parere con il passare degli anni, con il vento e con il sole” sospirò “Ma se io non riesco a cambiare te, è anche vero il contrario. Sai bene che stare nelle retrovie non è un posto che mi soddisfi”.
Zaboera annuì. Conosceva il suo signore da quando era nato, e sapeva quali incredibili sforzi stesse facendo per rimanere seduto su quel trono invece che caricare gli umani con tutta la sua furia. Sapeva quanto non amasse lasciare quel compito al Cavaliere del Drago. Da quando era iniziato l’attacco dell’Impero Galattico temeva ogni giorno di entrare in quella sala del trono e trovarla vuota, silenziosa, con una vetrata distrutta come unico segno del suo passaggio. Rimaneva immobile in quella fortezza volante perché sapeva che senza di lui, l’unico demone maggiore rimasto a Cephiro, l’intera famiglia demoniaca sarebbe crollata. “La sua vita è preziosa per noi, Grande Satana”.
“Lo so. Ma è una sola. Sono riuscito ad imbrogliare il Tempo per due volte, ma siamo in guerra e non posso escludere di morire a priori, eternità o meno”. Zaboera sapeva bene cosa volesse dire. Lo scettro nero che avevano rinvenuto tra gli effetti personali dei Membri dell’Organizzazione era riuscito a concedere una vita lunghissima, potenzialmente eterna, al Grande Satana ed a tutti loro. Senza l’aiuto di quel manufatto probabilmente al suo signore non sarebbero rimasti più di cinque secoli di vita, ma l’immortalità conferita dallo scettro non metteva nessuno al sicuro da un turbolaser imperiale o da un attacco diretto dei suoi soldati. “Senza altre demoni maggiori la mia razza è ad un punto morto. E se mi accadesse qualcosa …”
“E una demone minore, mio signore? Ha mai considerato …”
“Credi che non ci abbia pensato almeno una volta? Vorrebbe dire annacquare in maniera irreversibile il nostro sangue. Lo farò solo se sarà impossibile trovare un’altra soluzione”. Interruppe per qualche istante il movimento delle mani, e sorseggiò un bicchiere di limonata demoniaca. Quando riprese l’incantesimo, Zaboera vide che gli occhi antichi erano velati da un’ombra. “Tutto sarebbe più facile se Mistobaan fosse qui”.
“Stiamo combattendo per lui, Grande Satana. Il suo Dono rappresenta il nostro passato ed il nostro futuro”.
Sospirò, e nella sala del trono cadde un silenzio imbarazzante. L’arcivescovo stregone non era ancora riuscito ad abituarsi alla scomparsa del Braccio Destro e della sua voce instancabile: era l’unico, oltre al Grande Satana, a conoscere la vera natura della figura che mandava solo degli sguardi luminosi da sotto il cappuccio. Era forse l’unico a cui mancassero i continui rimbrotti, le urla, i lamenti, le declamazioni, tutto ciò che accompagnava Mistobaan e precedeva i suoi passi: ogni volta che Mistobaan emetteva il più piccolo suono, a Zaboera sembrava di essere trascinato in un passato lontano, colmo di gloria, ma allo stesso tempo sapeva che sotto quel mantello bianco vi era la Speranza per tutti loro. Qualcosa che nemmeno creature onnipotenti come Baran potevano comprendere. In quel momento Mistobaan era nelle mani dell’Imperatore, trattato come un burattino; ma ciò che il Grande Satana temeva davvero era che gli imperiali potessero capire la vera natura del Dono ed usarlo a loro piacimento. Non osava pensare alle conseguenze.
Stava per andarsene, ma una debole folata di vento apparve alle sue spalle e gli gonfiò l’abito. L’arcivescovo stregone capì subito chi fosse. Solo una creatura poteva avere tanta sfacciataggine.
“Passato? Futuro? Parole un po’ grosse per il nostro Braccio Destro, trovo. A meno che qualcuno non si degni di illuminarmi”.
“Killvearn, co …?”
“Come oso, dici? Oso perché grazie al cielo non sono uno di voi. E perché credo che quello che ho da dire sia più importante di quattro chiacchiere da salotto, specie perché nessuno dei vostri piccoli lacchè avrebbe il coraggio di interrompere la vostra amabile riunione privata”. Prese un bicchiere di vetro da un tavolino. Lo portò davanti alla maschera, proprio a livello delle labbra, poi lo lanciò in aria: l’oggetto disegnò quattro eleganti giri, poi atterrò sul palmo della mano sinistra; il suo assistente monocolo comparve dal nulla, e lanciò al suo padrone altri due bicchieri, stavolta colmi di limonata. Atterrarono tra le sue dita senza versare nemmeno una goccia. La tetra figura mandò da sotto la maschera qualche suono divertito quando lanciò con un rapido movimento del polso tutti e tre i bicchieri sul tavolo, e questi atterrarono uno sopra l’altro con un delicato tintinnio. Piroro si profuse in un applauso ed una risatina nel silenzio generale. “Lo so che combattere l’Imperatore Palpatine è la moda del momento, ma alcuni vostri esploratori hanno trovato tracce della Resistenza della principessa Leona a sud del regno di Carl, non lontano da dove il buon Baran sta liberando tutta la sua furia”.
Dal nulla estrasse un bastoncino, ed agitò pigramente la limonata nel bicchiere più alto della pila “Di sicuro Dai è con loro. Avranno raggiunto forse un migliaio di combattenti. Fatemi fare il conto … Baran è su nel cielo con i suoi draghi, Hadler e Hyunkel si trovano proprio in un’altra dimensione, Mistobaan probabilmente combatterà contro di noi, Crocodyne non è quello che suol dire un asso nella manica e tu, Zaboera, hai salvato i tuoi teneri ossicini per miracolo …” disse con il suo fare malizioso “ … perché non mi sorprende che la Resistenza voglia tentare qualcosa di grosso? Mi sembra chiaro che non avremmo dovuto intraprendere una guerra senza prima risolvere le questioni interne. E per quanto quel Dai sia soltanto un bambino, tutte le volte che è sceso personalmente sul campo abbiamo dovuto ricorrere o a Hadler o a Baran”.
“Mi prendi per uno stupido, Killvearn?” rispose il Grande Satana con una nota minacciosa nella sua voce.
“Non sia mai, Grande Satana! Ma trovo che sarebbe davvero ilare vincere una guerra contro l’Imperatore Palpatine per poi farsi soffiare tutto dalla Resistenza”.
Il sovrano lo fissò da sotto i ciuffi bianchi dei capelli. Le sue mani non tradivano alcuna agitazione, e continuavano pigramente ad elevare l’incantesimo di invisibilità, ma l’arcivescovo stregone sapeva che quel globo cinereo si sarebbe potuto trasformare in una palla di fuoco nel giro di pochi istanti. Il nuovo venuto si chinò ed appoggiò uno dei bicchieri sulla sua testa, trattandolo come un tavolino. Zaboera si voltò per congelarlo, ma Killvearn lo sottrasse al suo incantesimo e lo riportò di nuovo nel suo palmo.
“Invero” sibilò il Grande Satana, interrompendo la scena incresciosa “Le nostre migliori forze sono impegnate. Ma non tutte. Una è ancora libera”.
“E chi sarebbe?”
“Tu, Killvearn”.
L’arcivescovo stregone si godette i preziosi attimi di silenzio che seguirono quella frase.
“Ma, Grande Satana … non dovrei occuparmi di teletrasportare i vari corpi d’armata con le Pietre?”
“Certo. Ti occuperai anche di quello. Sono convinto che con la tua innata capacità di apparire nei luoghi meno opportuni tu possa gestire questo importante compito senza troppi sforzi; visto che hai avuto una solerzia impeccabile nel riportarmi i dettagli sulla Resistenza sono certo che la questione ti stia cuore. Motivo in più per non trattenerti, sbaglio?” sentenziò. “Ah, un’ultima cosa …”
I tre bicchieri esplosero insieme. Le schegge volarono tutte in una direzione, inchiodando il vestito ed il cappello di Piroro ad una parete. Le gocce del liquido giallo che raggiunsero il pavimento emisero del fumo nero, e Zaboera vide che il resistente marmo demoniaco era adesso pieno di crepe. Una di quelle gocce aveva raggiunto il braccio del nuovo arrivato, praticando un foro nell’armatura scura. “Un altro insulto ai miei sottoposti e dovrò proprio riconsiderare il mio accordo con il tuo padrone. E vedere allo stesso tempo se sei immortale come pretendi di essere”.




Narratore: “A me la coppa della cicuta... “
REGISTE: *sospiro* “Devi proprio farla così tragica ogni volta?”
Narratore: “E' che non riesco ad abituarmi... è più forte di me... pensare che un ridicolo scienziato in preda a crisi di coscienza possa soffiarmi il posto... “
REGISTE: “Il pubblico sembra gradire, Narratore. Perciò ora ti metterai buono buono in un angolino e aspetterai con pazienza il tuo turno.”
Narratore: “Sigh... mi tocca ingoiare anche questa umiliazione. Ma un giorno... UN GIORNO... !!”


Il giorno dopo l'arrivo di Zexion al Castello il Superiore insistette per scattare una foto commemorativa della fondazione dell'Organizzazione.
Quando entrai nella sala riunioni con Zexion al seguito Xigbar era già impegnato a calibrare un apparecchio a me sconosciuto fissato su un cavalletto di metallo a tre piedi. Era la prima volta che vedevo una macchina fotografica, e spinto dalla curiosità mi avvicinai al numero II per osservare il suo lavoro.
“Buongiorno numero IV! Com'è andato il primo giorno da babysitter?”
Davvero divertente. Sto morendo dal ridere.
Feci del mio meglio per ignorare l'ironia di Xigbar, concentrandomi invece sul funzionamento della macchina fotografica. A onore del numero II va detto che il suo commento era del tutto bonario e privo di malizia, ma non ero dell'umore giusto per apprezzarlo.
In effetti fino a quel momento avevo apprezzato davvero ben poco dei miei nuovi compagni: come aveva detto il Superiore erano tutti soldati, guerrieri per i quali gli allenamenti, le armi, le risse e le serate a ubriacarsi in taverna rappresentavano i massimi interessi nella vita. Non esattamente i tipi che io avrei definito “custodi della conoscenza”, né tanto meno persone con cui sentivo il desiderio di condividere alcunché.
Alle mie spalle gli altri membri salutavano Zexion con entusiasmo e facevano a gara per strappargli un sorriso, esibendosi in smorfie idiote e imitazioni patetiche. Xaldin lo sollevò e gli fece fare una capriola in aria, ridendo come un matto con la sua vociona fragorosa.
Se sono tanto contenti di averlo qui perché non se ne occupano loro?
“Zexion. Suona bene.”
Da un portale dell'oscurità il Superiore era apparso accanto a Xigbar e mi guardava con approvazione. “Un bel nome per il nostro numero VI.”
“Grazie, Superiore.”
“Come ti stai trovando con lui? Hai bisogno di qualcosa... ?”
Sì, che lei se ne vada a.....
In quel momento mi sentii tirare l'orlo della tunica.
“... Zexion?”
Il ragazzino era sfuggito alla presa di Xaldin e cercava senza successo di rifugiarsi tra le pieghe del mio abito mentre gli altri lo guardavano con un misto di stupore e divertimento.
“Ehi, ti ho spaventato?” Xaldin si chinò verso Zexion con aria colpevole, con il solo risultato che il ragazzino sprofondò ancora di più il viso nella mia tunica. “Dai, volevo solo giocare!”
Non mi stupiva che il ragazzino avesse paura di quel bestione del numero III. Lui e il numero V, Lexaeus, erano degli armadi di stazza impressionante, e incutevano una certa soggezione persino a me.
“Oh, bene!” il Superiore batté le mani come un bimbo felice per il gelato “vedo che si è già affezionato a te, Vexen! Splendido!”
Peccato solo che il sentimento non sia reciproco.
“Avanti, ora prendilo in braccio e prepariamoci tutti per la foto!”
Xigbar impostò un ultimo comando e ci invitò tutti ad allontanarci dall'obiettivo, facendoci disporre in piedi attorno a una poltrona di velluto rosso sulla quale prese posto il Superiore. Io sollevai Zexion, e mi stupii di quanto fosse leggero. Ora che lo guardavo bene, la tunica che il Superiore gli aveva procurato (appartenuta a un ben più giovane Xigbar) gli andava decisamente troppo grande: annegato nella massa di stoffa nera sembrava ancora più piccolo di quanto non fosse.
Lo spavento, se non altro, gli passò presto: al sicuro nella nuova postazione sopraelevata azzardò persino un sorriso tremolante, e agitò timidamente la manina verso l'obiettivo.
Il flash lampeggiò, abbagliandoci per un attimo.
Con quello scatto veniva ufficialmente fondata l'Organizzazione VI.



I giorni successivi li ricordo soprattutto come un'ubriacatura di colori e sensazioni.
Finalmente il Castello dell'Oblio mi riconobbe tra i suoi padroni e io ne ottenni i poteri, tra cui quello di viaggiare a piacimento tra i mondi con i corridoi oscuri.
Non riuscivo a smettere. Ogni volta mi dicevo che era l'ultimo, che dopo sarei tornato al Castello, ma era più forte di me. C'era così tanto da vedere oltre i confini soffocanti del mio mondo, così tanto da scoprire, milioni di domande in attesa di risposta... per una volta nella vita non mi venivano imposti limiti, e io ero giovane, volevo tutto, e lo volevo subito.
Tornavo al Castello solo quel poco tempo che bastava per dormire e mangiare. Zexion era straordinariamente docile e obbediente, dove lo mettevo stava, e mi aspettava senza fiatare né mettere nulla in disordine, tanto che smisi quasi subito di chiudere il laboratorio a chiave prima di andarmene. In una parola, era il paradiso.
Ovviamente sapevo che qualcosa non andava. Avevo visto la paura spropositata nei suoi occhi quando avevo provato a fargli il prelievo, avevo capito che doveva essergli successo qualcosa di spiacevole, forse addirittura traumatico. Non era normale che un bambino di quell'età fosse così passivo e apatico... ma dèi ladri, era comodo, molto comodo, e il richiamo degli altri mondi era troppo invitante per resistere. Per il momento, evitavo semplicemente il problema. In fondo non lo avevo voluto io: le mie priorità erano altre.
Gli unici momenti in cui mi soffermavo a osservarlo meglio erano i pasti. Ogni giorno scendevo nelle cucine a prendere qualcosa per entrambi, e insieme cenavamo a un angolo del tavolo più grande del laboratorio. Zexion mangiava tutto quello che gli veniva messo davanti senza protestare, lo sguardo basso, le spalle chine, senza mai parlare.
Le nostre cene erano sempre molto, molto silenziose.
Non che il silenzio fosse una novità per me. Ci ero abituato: la solitudine era la strada che mi ero scelto volontariamente da ormai più di dieci anni. Altre persone avrebbero venduto la madre per essere al mio posto: una casa bella e spaziosa, un patrimonio cospicuo, un avvenire sicuro. Mio padre era un mercante di vini, uno dei pochi esponenti di una classe intraprendente che lottava per affermarsi nel nostro mondo primitivo, e in anni di lavoro aveva messo su una discreta fortuna, quel tanto che bastava a consentire a mia madre di non dover lavorare e a me di collezionare libri e oggetti rari. Avrei potuto ereditare quella fortuna e vivere tranquillo per il resto dei miei giorni, magari sposando una qualche aristocratica in disgrazia così che i miei figli avrebbero ereditato un bel titolo nobiliare oltre che una discreta dose di quattrini.
Ogni volta che ci pensavo mi veniva da vomitare.
Quella vita senza scopo non faceva per me. Invece avevo scelto di essere uno studioso e un medico girovago, di viaggiare alla ricerca di nuovi libri e fonti di conoscenza, imparando tutto ciò che potevo: magia, chimica, astronomia, alchimia, non c'era disciplina che non catturasse il mio interesse. La parola con cui definivo me stesso era odiata e temuta dai sacerdoti, pronunciata con un misto di paura e disprezzo dalla gente comune che non capiva neppure cosa significasse: scienziato. La conoscevo per averla letta su libri, ma oltre a me non avevo incontrato nessuno nel mio mondo che si definisse in quel modo o che la considerasse una cosa di cui andare fieri. Forse non c'era nessun altro.
Ora, dopo tanto tempo, mi trovavo di nuovo a vivere a stretto contatto con un'altra persona per un periodo più lungo di qualche giorno. E con stupore mi accorsi che per la prima volta il silenzio mi pesava davvero.
Era innaturale.
Una sera tornai al Castello dopo quasi dieci ore di assenza e trovai Zexion rannicchiato sul letto nella stessa posizione a riccio che assumeva sempre per dormire. I suoi occhi però erano aperti, e sollevò leggermente la testa quando mi vide teletrasportarmi nella stanza.
“Ti ho svegliato?” gli chiesi.
Scosse la testa.
“Prima di addormentarti però è meglio se mangi qualcosa. Hai proprio tanto sonno?”
Scosse la testa. Estorcergli una sola parola di bocca era un'impresa da far sembrare la quadratura del cerchio un gioco da ragazzi.
“E allora che stavi facendo lì?”
“Niente.”
Mi sentii raggelare, io che avevo perso per sempre la capacità di provare freddo. Niente. Detto con quel tono neutro, assente, come se stesse parlando di un’altra persona. “Sei stato tutto il giorno… a non fare niente?”
Cenno di assenso.
Una cosa era essere coscienti del problema e scegliere di ignorarlo. Un'altra cosa era sentirselo dire in faccia da una vocina talmente flebile e rassegnata da non sembrare più neanche triste.
Suonava tremendamente come un'accusa. Uno schiaffo in piena faccia.
Mi sentii in dovere di provare a rimediare: “Beh... non è possibile che tu non voglia fare niente. Ci sarà pure qualcosa che ti piacerà, no? Un gioco, non so… prima di venire qui cosa facevi tutto il giorno?”
“…”
“Non ricordi proprio nulla?”
“…”
“Non importa. Ma adesso c’è sicuramente qualcosa che vorresti fare… basta che tu me lo dica.”
“…”
“Non devi avere paura di dirmi le cose. Non ti faccio niente.”
“…”
“Ma che cosa c’è? Cosa c’è che non va bene? Io non posso fare nulla se tu continui a tacere…”
“…”
Se mi fossi voltato verso la parete dicendo: “Muro, amico mio, vuoi che ti racconti qualcosa della mia vita?” avrei sortito lo stesso identico effetto.
Il giorno dopo tornai alla carica. Poiché nell'ultimo mondo visitato ero riuscito a procurarmi il secondo volume di “Le scoperte alchemiche dei fratelli Elric” decisi di restare in laboratorio per leggerlo e fare qualche esperimento; ma stavolta ero determinato a trovare un'occupazione anche per Zexion. Gli portai in camera un mucchio di fogli e una scatola di pennarelli e gli mostrai come funzionavano disegnando un omino stilizzato su un pezzo di carta.
“Guarda, ti ho trovato qualcosa da fare. Di solito ai bambini piace disegnare… ecco, puoi riempire questi fogli di tutto quello che vuoi. Io sono di là, e se ti serve qualcosa vieni pure a chiedermelo, mi raccomando. Ah… scrivi solo sui fogli, non voglio vedere scarabocchi sul tavolo o peggio sulla coperta del letto!”.
Stavolta riuscii a non perdere il senso del tempo, non troppo almeno, e dopo un paio d'ore fui di ritorno. Trovai Zexion sdraiato sul letto, ancora intento a disegnare; dell’enorme pila che avevo portato avanzavano solo quattro o cinque fogli bianchi alla sua destra, mentre alla sua sinistra si ergeva un miscuglio di centinaia di pezzi di carta pieni di ghirigori senza senso, alcuni dei quali erano caduti dal letto.
“Dèi ladri, mi hai consumato tutti i fogli per gli appunti!!”.
Prima che avessi il tempo anche solo di maledirmi per l’improvviso scatto di rabbia, Zexion aveva già lasciato cadere la penna e si era buttato sul letto rannicchiandosi a riccio, mandando i suoi disegni a volare da tutte le parti.
Dèi ladrissimi! Non potevo starmene zitto? E ora chi lo schioda da lì?
Raccolsi i disegni da terra e li osservai. Erano tantissimi, fogli e fogli tutti uguali attraversati da miriadi di linee curve e onde che si contorcevano con spire sinuose in ogni angolo della pagina, come a voler circondare e soffocare ogni traccia di bianco. Un intrico senza fine in cui l’occhio si perdeva. Non so perché, ma lo trovai agghiacciante.
“Zexion…”
Il bambino era immobile, gli occhi chiusi, sembrava si sforzasse persino di non respirare. Lo osservai per un tempo che mi parve lunghissimo, ed era come stare a guardare una statua. O un cadavere.
Mi sedetti sul letto accanto a lui. Il muro di silenzio che ci separava e ci impediva di comunicare... ero stato anche io a erigerlo. Se volevo fare dei progressi con Zexion dovevo fare qualcosa per distruggerlo.
“Senti Zexion, dobbiamo parlare. Io non so di cosa hai paura esattamente, ma qui sei al sicuro. Non hai nulla da temere. Il Castello dell'Oblio è un luogo magico, dove sei protetto e non ti può succedere niente di brutto.”
Vidi che aveva aperto gli occhi e mi ascoltava con attenzione, e lo presi per un buon segno. Cercavo di usare parole semplici e di parlare nel tono più rassicurante che mi riuscisse.
“Il Superiore ti vuole molto bene, e ora tu fai parte della sua famiglia, come noi. Xigbar, Xaldin e Lexaeus sono dei guerrieri fortissimi, e non permetteranno a nessuno di farti del male. E io... “
Solo in quel momento mi resi conto di non avergli mai detto nemmeno il mio nome. Il primo giorno lo avevo bombardato di domande su di lui, ma non avevo neppure pensato a presentarmi.
Inaspettatamente Zexion sollevò una manina e mi indicò: “Tu sei Vexen.”
Il ragazzino aveva un buono spirito di osservazione, e io sorrisi senza rendermene conto: “Sì, bravo. Mi hai letto nel pensiero!”
Feci una pausa prima di continuare. Non era facile scegliere le parole giuste, e prima di allora non avevo mai avuto a che fare con un bambino così piccolo. Mi sembrava di camminare su un pavimento di cristallo a rischio di infrangersi al primo passo imprudente.
“Se c'è qualcosa che non va, puoi dirmelo. Se hai bisogno di qualcosa, se vuoi fare qualcosa non devi avere paura di venirmi a chiamare. Lo so, in questi ultimi giorni non ci sono stato molto, ma ora cercherò di stare via di meno, va bene?”
Stavolta il suo cenno di assenso non sembrava particolarmente convinto.
“E poi, se ti annoi puoi sempre andare dagli altri qualche volta, a loro fa piacere.”
Nessuna risposta. Mi parve quasi di vederla, la crepa che iniziava a propagarsi nel pavimento di cristallo. Passo falso! Non dovevo dargli l'impressione di volerlo scaricare agli altri!
Lo avevo detto io che avevano scelto la persona sbagliata!
Mi venne un'idea per salvare la situazione. “Facciamo così: io ti prometto di tornare un po' prima la sera. Tu invece mi prometti di venirmi a dire ogni volta che c'è qualcosa che ti fa paura, che non ti piace o che vorresti fare, d'accordo?”
Ancora nessuna risposta.
Non mi arresi. “E se posso, io cercherò di aiutarti. Va bene? E' una promessa seria, questa. Uno scambio equivalente, come i patti tra gli antichi alchimisti” dissi in tono volutamente solenne. “Io do una cosa a te, e tu in cambio me ne dai un'altra dello stesso valore. Così funziona.” Gli tesi la mano: “Ci stai?”
Per qualche momento pensai che non si sarebbe mosso, che avevo fatto una mossa troppo azzardata. Forse non c'era altro da fare che tornare dal Superiore e confessargli il mio fallimento; oppure continuare come avevo fatto fino ad ora, ignorando il problema, ignorando che insieme a me nel laboratorio viveva anche un'altra persona...
Eppure, almeno stavolta, le mie intenzioni erano sincere.
Stavo per ritirare la mano sconfitto quando Zexion la afferrò all'improvviso, stringendola debolmente. Lo aiutai a rimettersi seduto, e lui annuì con la testa e ripeté come per imprimersi nella mente le parole: “Uno scambio equivalente.”
“Esatto” dissi, e subito mi venne un'altra idea. “E per dimostrarti che faccio sul serio, ho deciso che da domani ti insegnerò a leggere.”


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Fonte della fanart a inizio capitolo: http://maevachan.deviantart.com/
  
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