FUOCO, GHIACCIO
Il panorama di rocce aguzze e ghiaccio abbagliante che si stendeva
davanti ai suoi occhi stretti a fessura lo lasciava indifferente.
Insensibile al gelo dell'aria rarefatta per l'altitudine, invulnerabile
al freddo del ghiaccio perenne che copriva il picco svettante ove si
trovava, aveva ben altro a cui pensare. Non temeva le raffiche impetuose
che staccavano la neve dalle bianche cime circostanti stendendo sfrangiati
lenzuoli di aghi gelidi nel cielo cristallino. Non temeva la bassa temperatura
che, nonostante il sole brillasse alto, era rigida più di qualsiasi inverno.
Tanto che il ghiaccio e la neve non si scioglievano mai. Certo, prima o poi
avrebbe dovuto andarsene o sarebbe diventato anche lui un blocco di
ghiaccio. Era longevo, ma non immortale. Trascorrere la notte tra quei
picchi avrebbe potuto rivelarsi fatale perfino per
lui.
Eppure quelle rocce aguzze e bianche di ghiaccio, ostili e taglienti come i
denti della bocca di un mostro enorme, erano di gran lunga preferibili a
quello che aveva visto. Non poté trattenere la sua mente dal rivivere i recenti
avvenimenti, ancora una volta. Quasi gli parve di sentire nuovamente il richiamo
magico dell'Iniziata della Sorellanza. Non se l'era aspettato: non l'avrebbe detta
capace di tanto. Evidentemente un notevole potere albergava in lei se era in grado di
osare tanto. In virtù dell'antico sodalizio fra lui e la Sorellanza non aveva potuto
fare a meno di intervenire. Aveva fatto appena in tempo: aveva impedito una morte
importante. L'aveva fermata, quella lama assassina. Sperava d'averlo fatto per
sempre, anche se in fondo al suo cuore sapeva che non v'era alcuna certezza di
ciò. L'aveva trasportata, viva e ribelle, fino in quel posto inaccessibile e
remoto. Lì l'aveva abbandonata sapendo di fare bene. Aveva voltato le spalle a
lei che invocava il suo nome. Non l'aveva ascoltata.
Ma non poteva lasciarla sola. Non riusciva a farlo. Il pensiero di non averla
nascosta bene, di non averla abbandonata in un posto sufficientemente difficile
da trovare e arduo da raggiungere lo tormentava. E lei ne godeva. Lo sentiva,
ma proprio non poteva resistere.
- Torni sempre... dunque mi temi così tanto?
Girò la testa quel poco che bastò a inquadrarla. Era lì, una bianca apparizione
in mezzo al candore del ghiaccio eterno. Il forte vento gelido non la turbava
anche se sferzava con violenza la sua leggera veste di lino. Capiva perché poteva
fare ciò di cui era capace. Capiva perché era così difficile resisterle. Dovette
riconoscere lui stesso che era splendida. Il vento la investiva da tutte le
direzioni, trasformandole i capelli in una fiamma d'oro. Una torcia bianca accesa
di una fiamma d'oro frustata dal vento. Si avvicinò a lui.
- Non rispondi? Non sai più parlare?
Grugnì una risposta senza parole e distolse lo sguardo da lei. Non la temeva, ma
trovava più confortevole il paesaggio di quei denti di roccia coperti di ghiaccio. La
roccia era roccia e rimaneva tale qualsiasi cosa fosse successo. Per quanto fosse lunga
la sua vita, non avrebbe potuto vedere cambiare la roccia. Si poteva spaccare,
sgretolare e trasformare in finissima ghiaia, ma non sarebbe mai stata altro che
roccia. La sentì avvicinarsi ancor di più: il suo potere era davvero grande.
- Posso quasi sentire i tuoi pensieri...
La sua voce era la più dolce che avesse mai sentito uscire da una gola umana. Deliziosa
quanto il suo aspetto, snello e giovane.
- Tu mi temi.
Stavolta si lasciò andare a una rauca risata. Il fiato si condensò bianco davanti
a lui ma il vento sferzante lo inghiottì in un battito di ciglia.
- Non puoi nulla contro di me – le disse calmo.
Era al suo fianco. La sentì posare una piccola mano affusolata e pallida sulla
sua spalla. Non avrebbe dovuto sentire nulla e invece dal punto di contatto si fecero
strada nel suo corpo sensazioni contrastanti. Il dolce tepore estivo, il gelo del
ghiaccio, l'estrema durezza dell'acciaio, il morbido conforto dell'abbraccio di un
amante e il lontano ma profondo disprezzo del nero potere che possedeva. Non poté
fare a meno di voltarsi verso di lei.
Occhi del colore dell'acciaio lo fissavano fermi e duri fra il turbinare dei capelli
dorati. Occhi affilati come una lama, occhi che gli avrebbero trapassato il cuore alla
prima occasione. Occhi crudeli in un viso pallido, tagliente, severo e bello. Doveva
stare attento.
- Torna al tuo nascondiglio. È inutile che ti mostri a me. Non hai potere su di me.
Lei sorrise alle sue parole. Le labbra rosee si schiusero a mostrare i piccoli denti
regolari. Sollevò la mano dalla sua spalla e lui si rese conto di sentirsi meglio. Gli voltò
le spalle: dal vestito scollato davanti come dietro la pelle di lei splendeva pallida
al sole. Tornò indietro di qualche passo, camminando scalza sul ghiaccio eterno che
rivestiva quel picco con il lungo abito che le sbatteva sul corpo, svelandone a
tratti le sinuose forme. Quel luogo sembrava scavato nella roccia viva dalla mano
dell'uomo, invece non era mai stato calcato da creatura viva. Lo aveva scelto
perché poteva sostarvi agevolmente, perché era impraticabile da chiunque altro,
spazzato com'era da un vento che avrebbe staccato la carne dalle ossa. La vide
fermarsi contro la stretta parete di roccia, un dente di gigante che si innalzava
sopra di lui proiettando una corta ombra. Si sedette a ginocchia unite e la
leggera tunica di lino immacolato le salì un poco lungo le gambe svelando
piedi aggraziati e caviglie snelle e sottili.
- Non ancora... non ancora.
Distolse nuovamente lo sguardo. Sapeva che non stava mentendo. Sarebbe stato
difficile, ma possibile. Poteva trovare la strada verso il suo cuore e spaccarlo
in due. Avrebbe davvero posto termine alla sua vita? Non poteva saperlo. La cercò
con gli occhi ma contro la roccia dove lei si era seduta c'era ora la lucida spada
così come lui ve l'aveva abbandonata. Stretto intorno all'impugnatura il nero e
macabro trofeo. Da lui stesso strappato subito sotto l'ascella appena in tempo per
salvare una vita, il braccio putrescente dell'ultimo a impugnare Anvinae.
Per un lungo istante percepì cosa avrebbe potuto fare quella splendida lama. Sì,
avrebbe potuto spaccargli il cuore. Il suo potere era grande e, cosa ancor più
nefasta e irrimediabile, contribuiva a rendere maggiore il potere di colei che
l'aveva incantata.
Nesfia. La sua ingordigia di potere era così grande che poteva quasi
sentirla. Non era nuovo alle arti magiche, sapeva cavarsela. Ma quella
lama era tanto intrisa di potere da rendere evidente a lui l'identità della
strega. Il suo sangue urlava ancora la sua presenza, le criptiche rune
serpentine sulla lama sembravano brillare come se l'acciaio celasse una fiamma
inestinguibile. La strega aveva donato un'anima a quella lama, uno spirito dal
bacio letale ora albergava in essa.
Tese il collo in un gesto istintivo per studiare il vento, la sua forza,
la sua direzione. In meno di un battito di cuore scelse il momento e, distese le
ampie ali membranose, spiccò un poderoso balzo e fu in volo.
Compì qualche evoluzione nei pressi del picco dove aveva abbandonato quella
pericolosissima spada come per accertarsi che non ci fosse nessuno che stesse
tentando di raggiungerla. Il richiamo di Anvinae era forte, fortissimo. Molti
potevano udirlo e prima o poi qualcuno l'avrebbe trovata. Mentre sceglieva una
corrente ascensionale adatta, Dokko si propose di impedire che ciò avvenisse. Finché
il fuoco avesse riscaldato il suo cuore, nessun mortale avrebbe dovuto impugnare
Anvinae.