Note
d'autrice: Eccomi
di nuovo qui, insomma... si passa da uno schieramento all'altro,
già. Se la prima ff era sui Targaryen mi sembrava doveroso
dedicarne una seconda ai Lannister. Guardando il telefilm mi
affascinò molto il modo in cui avevano reso visivamente il
rapporto tra Tywin e Joffrey. L'episodio in particolare da cui ho
tratto ispirazione è "L'orso e la fanciulla bionda" della
terza
stagione, in cui si ha un dialogo diretto tra nonno e nipote. La cosa
che più mi ha rapita è proprio questo fatto,
probabilmente. Che seduto sul trono ci sia un ragazzino inesperto e con
poco autocontrollo e ai suoi piedi un uomo maturo che agisce solo
secondo la logica, mai per istinto. Spero di riuscire a ricreare la
giusta atmosfera e di trasmettere qualcosa anche a voi che leggete.
Madness or gloryW.W.
"And know I have finally seen the end
And I not expecting you to care" (Muse)
Quando
le guardie aprirono le porte per lasciarlo passare gli
sembrò
quasi di riuscire ancora a ridere. Quel ragazzino indossava la sua
bella corona d'oro con tale fierezza da farlo sembrare ancora
più sciocco di quanto non fosse già, adagiato in
modo
scomposto su quel trono che sembrava pronto a trafiggerlo alle spalle
come un essere dotato di vita propria. L'idea per un attimo diede quasi
sollievo al vecchio leone, che ormai apriva gli occhi ogni mattina
chiedendosi cosa potesse significare la vita di un solo nipote in
cambio dell'onore della sua stirpe, tra le più potenti e
rispettate di tutti i Sette Regni.
Aveva già sopportato le calunnie, i bisbigli e le frecciatine che ne erano derivati, ma adesso non aveva più la forza di ignorare. Sua figlia era stata un enorme delusione, coi suoi comportamenti frivoli. Il suo gemello, per quanto talentuoso in battaglia, era privo di autocontrollo e basava tutta la sua bravura sulla forza più che sull'intelligenza.
E poi c'era Tyrion.
Tywin si domandava ogni sera perchè l'unico dei suoi figli che valesse davvero qualcosa fosse nato come un essere deforme, ma nessun dio fino a quel momento si era mai degnato di dargli una risposta. Era per questo che li odiava tanto e che ri risparmiava in fatto di preghiere. Gli dei con lui avevano giocato solo brutti scherzi, fin da quando era solo un ragazzo, ed ora che era arrivato quasi al traguardo della sua vita si ritrovava di fronte quel nipote che in quanto tale era solo fonte di vergogna per i Lannister.
Si inchinò appena di fronte a quel trono che lo sovrastava e mormorò «Maestà.»
«Nonno.»
Tywin inchiodò il ragazzino con lo sguardo, per un istante, ritrovandosi a ricordare il Re Folle. I Targaryen si sposavano tra fratelli o cugini, e si diceva che per ognuno di loro gli dei lanciassero una moneta le cui facce rappresentavano pazzia o grandezza. Il destino faceva il resto, e così le monete avevano continuato a cadere per secoli decretando quale drago sarebbe stato un conquistare e quale uno stolto. Adesso il leone, studiando quel nuovo re, immaginava molto bene su quale dei due lati fosse caduta la moneta.
Joffrey non aveva niente di simile a Robert. Non un solo ciuffo di capelli, nè il colore degli occhi o la forma delle labbra. Niente. Quello che si trovava di fronte a lui era un leone a tutti gli effetti, non un cervo, e Tywin non ebbe problemi ad immaginare perchè trattenendo un moto d'ira misto a un forte senso di vergogna. I suoi figli, ecco di cosa si vergognava.
Una volta che ebbe voltato le spalle a quel trono e al bambino che continuava a pavoneggiarsi sopra di esso, Tywin tirò fuori dalla tasca una moneta d'oro e se la rigirò per un attimo tra le dita.
Gloria e Follia. O si vince o si muore.
La lanciò in aria e seguì la sua caduta sul palmo della mano senza stupirsi di vedere il responso. Follia. Morte.
Strinse con forza il pugno e poi sorrise, aspramente. Per una volta gli dei avevano deciso di essere sinceri perfino con lui.
Aveva già sopportato le calunnie, i bisbigli e le frecciatine che ne erano derivati, ma adesso non aveva più la forza di ignorare. Sua figlia era stata un enorme delusione, coi suoi comportamenti frivoli. Il suo gemello, per quanto talentuoso in battaglia, era privo di autocontrollo e basava tutta la sua bravura sulla forza più che sull'intelligenza.
E poi c'era Tyrion.
Tywin si domandava ogni sera perchè l'unico dei suoi figli che valesse davvero qualcosa fosse nato come un essere deforme, ma nessun dio fino a quel momento si era mai degnato di dargli una risposta. Era per questo che li odiava tanto e che ri risparmiava in fatto di preghiere. Gli dei con lui avevano giocato solo brutti scherzi, fin da quando era solo un ragazzo, ed ora che era arrivato quasi al traguardo della sua vita si ritrovava di fronte quel nipote che in quanto tale era solo fonte di vergogna per i Lannister.
Si inchinò appena di fronte a quel trono che lo sovrastava e mormorò «Maestà.»
«Nonno.»
Tywin inchiodò il ragazzino con lo sguardo, per un istante, ritrovandosi a ricordare il Re Folle. I Targaryen si sposavano tra fratelli o cugini, e si diceva che per ognuno di loro gli dei lanciassero una moneta le cui facce rappresentavano pazzia o grandezza. Il destino faceva il resto, e così le monete avevano continuato a cadere per secoli decretando quale drago sarebbe stato un conquistare e quale uno stolto. Adesso il leone, studiando quel nuovo re, immaginava molto bene su quale dei due lati fosse caduta la moneta.
Joffrey non aveva niente di simile a Robert. Non un solo ciuffo di capelli, nè il colore degli occhi o la forma delle labbra. Niente. Quello che si trovava di fronte a lui era un leone a tutti gli effetti, non un cervo, e Tywin non ebbe problemi ad immaginare perchè trattenendo un moto d'ira misto a un forte senso di vergogna. I suoi figli, ecco di cosa si vergognava.
Una volta che ebbe voltato le spalle a quel trono e al bambino che continuava a pavoneggiarsi sopra di esso, Tywin tirò fuori dalla tasca una moneta d'oro e se la rigirò per un attimo tra le dita.
Gloria e Follia. O si vince o si muore.
La lanciò in aria e seguì la sua caduta sul palmo della mano senza stupirsi di vedere il responso. Follia. Morte.
Strinse con forza il pugno e poi sorrise, aspramente. Per una volta gli dei avevano deciso di essere sinceri perfino con lui.