Aspetto, rannicchiata sul pavimento, so già cosa succederà.

Come ogni sera la paura invade il mio corpo, fa si che i muscoli si irrigidiscano, che l’udito si sviluppi in modo da avvertire il suo ritorno.
Il portone si spalanca, lui si avvicina lentamente a me. Puzza di alcol e sigarette, non è più l’uomo che ho sposato.

Accende lo stereo a tutto volume e inizia a gridare finchè non mi si avvicina del tutto. Aggrappa la mia maglietta e mi costringe ad alzarmi per poi scaraventarmi contro la parete.

Mi sta di fronte, i nostri visi separati da pochi centimetri, il suo alito mi fa venire il voltastomaco.
Con una mano mi afferra il collo, non riesco a respirare, non ce la faccio. La mia vista si sta appannando e la mia mente ripensa a come siamo arrivati a questo punto.

La prima delusione che gli ho dato è stato quando abbiamo scoperto che ero sterile, desiderava tanto diventare padre.
Era un grande uomo d’affari finchè per via della crisi economica e di un investimento andato a male, la sua azienda fallì. Non ne capivo molto d’affari e quindi mentre lui stava perdendo tutto io non potei fare nulla.
Lo sgabello del bar diventò il suo miglior amico e la vodka la sua amante.

Ed io? Io chi sono per lui? Sono diventata uno di quei palloncini antistress, ma quando mi rompo non esce della semplice farina.

Finalmente ha mollato la presa, sono sfinita.
Lo guardo andare verso il frigorifero a prendersi una birra e arrabbiarsi perché non riesce ad aprirla.

Nel frattempo ritrovo le forze e raggiungo il bancone.
“Questa non è vita” penso e finalmente trovo la forza per farla finita.
Una coltellata dritta al cuore e cado a terra senza vita, la mia sofferenza era svanita.