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Autore: Harmony394    27/09/2013    7 recensioni
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.
Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì.
(...)
«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».
Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto.
Loki ghignò. «Vi sono mancato?».

[SEQUEL DI: LA VOLPE E IL LUPO] [LokixNuovopg] [Accenni al film THOR:TheDarkWorld]
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Volpe e il Lupo.'
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~Flawed Design
Then when I got older
I began to lie to get exactly
What I wanted, when I wanted it
And I wanted it

Now, I'm having trouble
Differentiating between
What I want and what I need
To make me happy

 
 
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.

Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì; i capelli corvini che gli ricadevano pesanti sulle spalle e gli occhi assottigliati in due fessure maligne che saettavano da una persona all’altra.

Pochi metri distante da lui, a fissarlo con sguardo grave e austero, stava quello che una volta chiamava Padre; il volto solcato dalle rughe e le labbra sottili e fini. Dietro di lui, invece, si ergevano una schiera di guardie armate di lance e di spade, e la schiera di Sif e i Tre Guerrieri, che lo fissavano con lo stesso sguardo con cui si osserva un morto che cammina.

Thor gli si avvicinò, gli occhi pieni di rancore e frustrazione e il Tesseract stretto tra le dita possenti, e gli tolse il bavaglio, rivelando così il ghigno che aveva dipinto sulle sue labbra alla luce del sole. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, ma bruciavano più del fuoco.

«Loki, per i crimini che hai compiuto durante la tua dipartita nei confronti del Regno di Midgard e per esserti macchiato dell’omicidio dei suoi abitanti, nonché tradimento verso Asgard stessa, io chiedo a Odino, Padre degli dèi, di sottoporti ad un processo nella quale verrà decisa la tua punizione in merito, in modo tale da avere giustizia», dichiarò, il timbro della voce forte e chiaro, tirandolo verso di lui con uno strattone. Loki si lasciò sfuggire uno sbuffo di disapprovazione, probabilmente dovuto più al fastidio che alle parole del fratellastro in sé, ma non diede segno di volersi ribellare. Thor sospirò e il suo sguardo si fece cupo, quasi angosciato, ma quando si voltò verso di lui, Loki constatò che sul suo volto non c’era più spazio per “Thor il Fratello Maggiore”, poiché era rimasto solo lo sguardo del “Thor il Dio del Tuono” che lui tanto detestava.

«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».

Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto. Solo Odino sembrava estraneo a tutto ciò: il suo sguardo era quello di un uomo che aveva perso tutto, rammaricato oltre ogni limite e incredibilmente stanco. Eppure, osservandolo, Loki non provò né tristezza né rimorso, bensì rabbia. Perché se c’era  una cosa che non aveva mai sopportato era l’indifferenza. E Odino lo stava volutamente ignorando.

Sputò un grumo di sangue a terra, poi si rigirò la lingua dentro la bocca nel tentativo di togliere quel sapore ferroso e agre, e rimase in silenzio per alcuni minuti, conscio del fatto che tutti stessero pendendo dalle sue labbra, finché il suo sorriso irriverente si incurvò ancor di più, rendendo il suo volto affilato e aguzzo, e la plebe trattenne il fiato.  

«Vi sono mancato?».
 

 
«Madre, guardate! Sono riuscito a centrare il bersaglio! Lo avete visto? Sono stato bravo, non è vero?».

 La voce minuta ed eccitata di Vàlì le arrivò lontana come un’eco alle orecchie, impegnata com’era nel rifinire quello stramaledettissimo ricamo, ma Emily riuscì comunque ad udirla e un sorriso bonario le si dipinse sul volto pallido. Si voltò verso di lui, gli occhi azzurri sorridenti e tranquilli, e finse un sospiro per lo stupore.

«Ma come sei diventato bravo! Un vero arciere! Thor sarebbe fiero di te!», esclamò con gioia, arruffandogli i capelli neri.

La fronte chiara di Vàlì si aggrottò, infierendogli un aspetto sinceramente confuso. «Ma lui dice sempre che il tiro con l’arco è per i debol… »
Emily gli impedì di terminare la frase e gli poggiò un dito sulle labbra sottili, ammiccando complice. «Thor dice sempre un mucchio di sciocchezze che non pensa mai sul serio, però in realtà è orgoglioso di vederti imparare cose nuove», disse, sorridendogli affabile. Vàlì ricambiò il sorriso, un po’ incerto, e annuì mestamente. Poi ritornò a tirare con l’arco.

Erano passati sei anni dalla dipartita di Loki, e nel frattempo Vàlì era diventato un bambino sano e forte; la somiglianza con il padre era tanta che, alle volte, quando lo guardava Emily aveva l’impressione di scorgere il suo stesso sorrisetto beffardo. Solo una cosa li differenziava: gli occhi. Ricordava ancora con spietata nitidezza il pallido verde che tingeva gli occhi di Loki, lo stesso nella quale si era persa tante e tante di quelle volte, e nella sua mente era ancora vivo il ricordo di come riuscisse ad assottigliarli quando era infuriato o, semplicemente, infastidito.

Quelli di Vàlì invece erano differenti: non malinconici o costantemente lampeggianti di furbizia e astuzia, bensì grandi, intelligenti e di un chiarissimo azzurro. Aveva solo sei anni, eppure era incredibilmente curioso e iperattivo per la sua età, tanto che per tenerlo a bada Frigga aveva deciso di regalargli un arco e una faretra di frecce, cosicché utilizzasse quella sua vivacità per qualcosa di utile in caso di pericolo, piuttosto che per cacciarsi nei guai.
Inoltre, come suo padre, nelle vene di Vàlì, oltre al sangue asgardiano, scorreva quello di uno Jotun, e questo lei aveva cercato di farglielo capire nella maniera più delicata e gentile possibile, senza mai dirglielo direttamente, in modo tale da non sconvolgerlo come invece era successo con Loki. Se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a vedere la paura impressa nei suoi occhi quando lo aveva scoperto.

Non era mai stata certa del fatto che suo figlio ignorasse la verità, né del contrario, ma probabilmente non doveva importargliene molto poiché non le poneva mai domande al riguardo, troppo impegnato com’era a giocare con i suoi amici e ad esercitarsi col tiro con l’arco. Probabilmente, Vàlì era ancora troppo giovane per porsi certi problemi, e di questo lei non sapeva se esserne sollevata o frustrata, perché la sola idea di ferirlo la faceva stare male ma mentirgli o rimandare il problema non migliorava di certo la situazione.

Nonostante ciò, se l’argomento “origini” non lo tormentava affatto, quello di non avere un padre sembrava assillarlo più di ogni altra cosa: capitava spesso che le domandasse perché non lo avesse mai conosciuto, o perché non fosse lì con loro, e lei provava sempre un profondo senso di tristezza quando doveva rispondergli, quasi come se qualcuno le stesse artigliando il cuore in una stretta di ferro. Quindi gli accarezzava i capelli con dolcezza e gli sorrideva accondiscendente, per poi cambiare discorso e invogliarlo a fare qualche altra cosa. Si sentiva sempre un verme per questo, ma forse per Vàlì era meglio vivere in una bella bugia piuttosto che in un’amara verità.

Emily conosceva bene il dolore sordo che si provava nel non avere dei genitori, nel sentirsi soli, ed era proprio per questo che aveva sempre cercato di far capire a suo figlio quanto lo amasse, che non sarebbe mai stato da solo, finché col passare del tempo Vàlì aveva incominciato ad identificare in Thor una figura paterna, qualcuno con cui condividere il divertimento della lotta e ricevere protezione quando litigava con dei bambini prepotenti, e lui sembrava essere ben lieto di tutto ciò perché in quel modo cercava, nonostante tentasse di non darlo a vedere, di recuperare attraverso lui il tempo che aveva perduto con Loki.

Adesso però anche Thor era andato via – partito per una di quelle strane missioni di cui non le aveva voluto dire niente – e lei era rimasta nuovamente sola, ad attendere il suo ritorno. Proprio come era successo con Loki.

Sospirò, frustrata dai suoi stessi pensieri. Alle volte, non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stata la sua vita se fosse semplicemente scappata via da tutto e tutti, se avesse potuto dimenticare, ricominciare daccapo. Ma quando poi Vàlì le sorrideva felice, la osservava colmo di speranza e aspettazione mentre le chiedeva di guardarlo tirare con l’arco, dimenticava tutto. E forse era meglio così.

«Mia signora, vi sentite bene? Posso fare qualcosa per voi?» La mano gentile e delicata di Hlìn si posò sulla sua spalla, facendola sussultare. Si voltò verso di lei e, cercando di scacciare via i brutti pensieri, le sorrise mestamente.
«Sì, non preoccuparti», rispose, indicando la coperta che reggeva fra le dita. «Aiutami a finire questo ricamo, io non sono mai stata portata per il cucito».

Hlìn era l’ancella che Frigga le aveva affidato dopo la nascita di Vàlì, rassicurandola che era una delle sue serve predilette e che poteva fidarsi ciecamente di lei. Aveva lunghi capelli biondi e il suo sguardo lasciava trasparire tranquillità ed armonia; inoltre era sempre molto cortese e di questo Emily le era grata.

La ragazza fece per mostrarle come finire un ricamo di una rosa e lei le sorrise dolcemente mentre la osservava di sottecchi, pensando che era proprio bello avere qualcuno di cui fidarsi dentro quell’ammasso di lupi sempre pronti a parlar male di lei e di suo figlio. Inoltre, da quando sua zia Kim era morta di vecchiaia, Hlìn era stata la sua unica confidente e amica.

Rimase assorta nei suoi stessi pensieri per alcuni minuti, proprio come quando era bambina, finché improvvisamente i portoni vennero spalancati e una Frigga che si guardava attorno con occhi sgranati e ansiosi, agitata e bianca come un lenzuolo si fece strada verso di loro. Subito, Emily si alzò per andare in suo soccorso e capire cosa fosse successo, ma Hlìn la precedette e, presa sottobraccio la padrona, l’aiutò a sedersi sulla panchina.

«Madre degli dèi», pigolò Emily sottovoce, sfiorandole la mano con delicatezza. «Cosa succede? Perché siete così agitata?», domandò, sinceramente confusa. Frigga sembrava una statua di sale tanto era pallida.
«Mia Signora!», esclamò Hlìn, cingendole, preoccupatissima. «La prego non ci faccia preoccupare, ci dica cos’è successo!».

Frigga tremava come una foglia: sembrava aver visto un fantasma, ma Emily era certa che sotto ci fosse qualcosa di ben più grave, qualcosa che faceva fatica persino a rivelare, e la cosa la inquietava non poco. Poi, la Regina si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo colmo di emozione ed ansia, e le strinse mani come a volerle farle capire quello che stava succedendo. Subito, il battito del cuore di Emily accelerò e si sentì mancare, era come se le avessero portato via tutta l’aria.  

Poi, sul viso di Frigga si allargò un enorme sorriso e lei comprese cosa stesse per rivelarle un attimo prima di udire la sua voce.

«È tornato».
 
 
«Non capisco davvero a cosa sia dovuta tutta questa agitazione» La voce di Loki era chiara e mitigata, ma nel silenzio innaturale della sala rimbombò forte come un grido. Odino non rispondeva, si limitava a fissarlo in silenzio, vigile, e questo lui non riusciva più sopportarlo.

Si erano momentaneamente trasferiti in una delle sale del palazzo, a discorrere in privato con solo qualche guardia a controllare le entrate. Thor aveva insistito per poter partecipare alla discussione, ma alla fine Odino gli aveva ordinato di restare fuori per tenere a bada la folla e, alla fine, lui era stato costretto ad obbedire.

Loki aveva ancora le catene ai polsi ma la mordacchia gli era stata tolta e il dolore, seppur di poco, si era alleviato. Nonostante ciò, il fastidio che provava nel discorrere con il Padre degli dèi era ancora lì, e non sembrava avere alcuna intenzione di sparire.

«Intendevo regnare su Midgard con la stessa mano ferma con cui tu governi sui Nove Regni! Per mostrare all'umanità la stessa clemenza che hai accordato ai tuoi oppositori!», esclamò, portandosi i pugni al petto, quasi come a voler rafforzare il valore della sua tesi, e le manette emisero un suono fastidioso e metallico. « E se ne avessi avuto la possibilità, avrei potuto perfino rubare un bambino mortale e crescerlo come se fosse mio!», aggiunse, la rabbia che gli montava forte nel petto come se fosse stata un fiume in piena. I ricordi di quando era ancora il principe cadetto di Asgard gli ritornarono prepotentemente alla mente, facendolo fremere d’irritazione, e un fastidioso senso di vuoto gli riempì le viscere quando rimembrò che, anche allora, nessuno aveva mai provato a capire le sue vere intenzioni.

«Le tue azioni sono state quelle di un infante, dettate da un criterio irresponsabile e irriconoscente. Dici di voler regnare su Midgard come un sovrano giusto ed impeccabile, eppure hai condotto alla morte milioni dei suoi abitanti, strappandoli alle loro famiglie solo per capriccio! Dichiari di aver pensato di prendere un fanciullo e allevarlo come tuo, ma ignori il fatto che, lì fuori, il tuo vero figlio ha già sei anni di vita e tu li hai persi tutti solo per una tua visionaria inferiorità! Per questa follia!», urlò Odino, improvvisamente furioso, e la sua voce riecheggiò tonante nei meandri della sala, azzittendo tutto il resto.

Inizialmente, Loki non riuscì a comprendere appieno il significato delle sue parole. Era come se la sua mente si fosse fermata alle parole “ Tuo figlio”, impedendogli di andare oltre, di ragionare. Tutto si era fatto confuso, quasi ovattato, e la testa continuava a girargli vorticosamente, facendogli salire la bile.

Di cosa stava parlando, Odino? Figlio? Quale figlio? Lui non aveva alcun figlio e la sola idea era così assurda da farlo ridere. Eppure, per quanto ci provasse, non riusciva proprio a sorridere e, al contrario, le parole di Odino continuavano a rimbombare forti nella sua mente, confondendolo.
Sentì il Padre degli Dèi sospirare frustrato, e la sua voce risuonò alle sue orecchie forte e tremenda; non per il tono, ma per il significato.

«Lady Emily ti ha aspettato molto a lungo, Loki, e durante tutto questo tempo non ti è mai stata infedele. Dovresti essere orgoglioso del fatto che sia la madre di tuo figlio», dichiarò, e Loki si sentì come morire. Non capiva più nulla, o forse, più semplicemente, non voleva capire; non era ancora pronto per farlo.

Emily…

Da quanto tempo non pronunciava quel nome? Da quanto si imponeva di non pensarci, di dimenticarlo? Eppure quel ricordo era ancora lì, ardente e vivo più che mai, e faceva un male cane. Era un dolore straziante, una memoria antica, e il rievocarlo fu come un colpo di coltello dritto nell’anima.

Ricordò i suoi capelli rossi, costantemente in disordine e pieni di nodi; la curva rotonda delle sue guancie; il timbro acuto della sua voce; il fatto che fosse sempre e costantemente goffa e impacciata. Ricordava tutto perfettamente, come se non fosse mai caduto dal Bifröst e fosse ancora lo stesso di sei anni prima, lo stesso Loki Laufeyson che credeva ancora di poter diventare l’erede al trono di Asgard, ma il dolore che quei ricordi gli inflissero fu troppo forte da sopportare, troppo potente, e lui non riuscì più a reggere tale pressione.

Poi, improvvisamente, le porte furono spalancate e una donna fece il suo ingresso: aveva lunghi capelli color del grano e il volto era segnato da alcune rughe che le davano un’aria adulta e lungimirante; nel suo sguardo, Loki rivede il proprio viso mentre da bambino lei gli accarezzava dolcemente i capelli, risentì le sue labbra sottili che gli baciavano le guance e la fronte, gli abbracci caldi e amorevoli con cui lo avvolgeva quando tornava a casa pieno di irritazione per colpa di Thor e dei suoi stolti amici, e subito lo pervase il desiderio scalpitante di correre ad abbracciarla, come un assetato che necessitava di acqua.

Ma quando incrociò lo sguardo ceruleo pieno di tristezza e commozione di Frigga, desiderò ardentemente sparire, subire tutte le torture più cruente di Thanos, cadere altre mille e mille volte dal Bifröst, piuttosto che dover sostenere quello sguardo. Quegli occhi. Sua madre non aveva detto una sola parola, eppure era bastato un solo sguardo per farlo sentire come il peggiore dei mostri.

Lei gli si avvicinò con passo da prima contenuto per poi diventare, via via che avanzava, sempre più veloce e trafelato; i suoi occhi erano sgranati, fissi su di lui e gravi come se temesse che potesse sparire da un momento all’altro. Ma fu solo quando gli arrivò dinanzi e gli sfiorò la guancia e il collo, trattenendo i singhiozzi quando notò le ferite ancora fresche presenti sui suoi zigomi, che Loki desiderò urlare e fuggire via, perché non riusciva a guardarla negli occhi, a reggere il tocco leggero delle sue dita o anche solo il suo sguardo.

Ad un tratto, Frigga si allontanò, gli occhi ancora lucidi e le mani tremolanti, e si avvicinò a Odino. Nello stesso frangente in cui si staccò da lui, Loki vide un’altra sagoma in lontananza e, quando comprese di chi si trattasse, sentì il fiato mozzarsi. In quel momento, nella sala, c’erano solo loro due.

I suoi occhi erano sgranati e la bocca sottile era dischiusa in piccolo ovale sorpreso che lasciava trasparire tutta la sua incredulità; il suo viso era paffuto e con alcune lentiggini sul naso proprio come lo ricordava; i capelli rossi erano legati in un’acconciatura strana, troppo raffinata, che a lui non piacque per niente. Indossava vesti eleganti dal colore azzurrino e da dietro di lei faceva capolino la testa scura di un bambino dall’espressione spaurita e preoccupata che gli somigliava fin troppo.

Infine, spietata e gelida come una secchiata d’acqua fredda, la realtà gli piombò addosso e Loki realizzò cosa stesse succedendo con la stessa irruenza con cui ci si accorge di non star sognando: Emily era lì, davanti a lui, e lo stava guardando.

Nella stanza calò un silenzio pesante, quasi opprimente: nessuno muoveva un muscolo e la tensione era palpabile, sembrava dovesse succedere qualcosa di tremendo da un momento all’altro. Poi, ad un tratto, Emily mosse un passo verso di lui, poi un altro, poi un altro ancora, finché la camminata divenne una corsa e lui si ritrovò con le sue braccia gettate al collo prima ancora che potesse rendersene conto. Sentì le sue dita stringergli con forza i vestiti, quasi come se temesse che potesse sgusciare via da un momento all’altro, e il suo respiro affannoso contro il proprio collo; Emily profumava di pulito e di fresco e la sua pelle nivea, sotto le sue dita fredde, sembrava scottare come il fuoco. Avrebbe preferito che lo prendesse a schiaffi, che gli urlasse contro che fosse stato un idiota, forse così sarebbe stato tutto più semplice e lui non si sarebbe sentito come se nella sua testa ci fosse stata una guerra e nelle viscere avesse avuto un mostro che si dimenava con la stessa forza di mille soli.

Poi però Emily si allontanò, lo osservò in silenzio e con insistenza, quasi come se volesse accertarsi che fosse davvero lui, e infine improvvisò un sorriso breve e emozionato.

«Ti sono cresciuti i capelli», sussurrò, gli occhi lucidi e colmi di una tenerezza che non le aveva mai visto prima di allora.
Lui non rispose, ma quando il suo sguardo si posò nuovamente sulla figura di quel bambino di circa sei anni che lo fissava con curiosità e sospetto da dietro i portoni in noce e acciaio della sala, la sua fronte si aggrottò e il suo battito mancò un battito, facendolo sudare freddo.

Quel bambino…

«Basta così. Dobbiamo andare, Loki» I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da Odino che, quasi con strazio, lo prese per una spalla e lo tirò verso di sé, cercando di farlo camminare. Subito, una vampata d’irritazione lo travolse, facendogli digrignare i denti per la rabbia. «La legge asgardiana non consente che un prigioniero abbia diritto ai suoi alloggi, né che si facciano favoritismi in suo onore. Nonostante in tutti questi anni tu non sia mai stato un prigioniero per me, Loki, bensì un figlio, ciò che hai fatto è troppo grave per poterlo giustificare ed io devo agire principalmente come sovrano di questo Regno, piuttosto che come padre», dichiarò, austero.

Con la coda dell’occhio, Loki vide Emily sbiancare e Frigga affiancare Odino in fretta e furia, sussurrandogli delle cose all’orecchio, agitata. Questi fece una pausa, lo sguardo chino e imperturbabile, e infine prese ad accarezzarsi la folta barba bianca. Dopodiché, gli rivolse uno sguardo grave e frustrato.

«Il figlio che conoscevo è morto. Adesso, al suo posto, rimane una creatura che non riconosco. La giustizia asgardiana sentenzierebbe la morte per quelli come te ed io non potrei oppormi al riguardo», esclamò, e a quelle parole Loki non poté fare a meno di serrare la mascella, mentre un fastidioso senso d’inquietudine lo prendeva per il collo e lo stringeva forte a sé come un pitone. Respirò forte, più per acquietare la rabbia che per altro, ma il mostro dentro di lui continuò a dimenarsi con irruenza nel suo stomaco, facendogli salire il sangue al cervello.

«Nonostante ciò», continuò Odino, la voce bassa e nervosa, «la legge di Asgard prevede che ci sia un processo, in cui si deciderà se revocare o no la tua condanna. Come Re e Sovrano di tutti i Nove Regni non farò nulla per oppormi.» Fece una pausa e il suo sguardo divenne più intenso, quasi come se stesse cercando di scavargli a fondo per fargli capire quello che stava provando. Odino possedeva un unico occhio, ma lo sguardo che gli riservò fu così tagliente e inquisitrice che per un momento Loki si sentì a disagio, quasi inadeguato. Durò solo per momento perché, immediatamente, l’impellente senso di rabbia tornò a fargli visita, e questa volta più forte e fastidioso di prima. In quel momento, l’unica cosa che desiderava, era togliersi dai piedi quel dannato vecchio una volta per tutte.

 «Ma in veste di padre», continuò il Padre degli dèi, «non posso permettere che mio figlio muoia per mano mia, dunque cercherò di aiutarti quanto più mi sarà possibile. Ad ogni modo, non posso cancellare ciò che è stato, Loki. Sai anche tu che non è in mio potere», dichiarò, solenne, e Loki non poté trattenere un verso stizzito con le labbra e roteare gli occhi. Ormai la sua pazienza era arrivata al limite.

«Non sei mio padre», ribatte, le mani che gli tremano per l’irrequietudine. «Ed io non ho mai chiesto che mi venisse riservato un trattamento speciale per scontare le mie pene», continuò, la voce gutturale e carica di astio. Un piccolo sorrisetto derisorio gli si disegnò sulle labbra sottili, affilando i suoi lineamenti. Rise e allargò le braccia, sardonico. «Non è incredibile come, improvvisamente, tutti voi sembriate tanto preoccupati per me quando, per tutti questi secoli, non avete fatto altro che tenermi all’ombra di tutto, mentirmi?» Il suo sguardo si oppose a quello di Odino, che, qualche metro più avanti, lo fissava con espressione seria e le labbra ridotte a un filo. Stava rigirando il dito nella piaga, questo Loki lo sapeva benissimo, ma non aveva alcuna intenzione di smettere. «Non è ironico che proprio tu mi rinfacci di non desiderare la mia morte, Padre degli dèi?» Sentì Emily dietro di sé mormorare un «Loki…» con voce tremante e le sue dita posarsi sull’avambraccio, quasi come a volerlo calmare, ma lui se la scrollò di dosso con un movimento secco e deciso senza distogliere lo sguardo dal suo interlocutore, che continuava a fissarlo in silenzio. Un ghigno gli incurvò nuovamente le labbra, questa volta più spietato e tremendo di prima, e Loki rise. «Tu!», esclamò, avvicinandosi, gli occhi assottigliati a due fessure verdi di crudeltà e perfidia. «Tu che mi hai scaraventato nell’abisso e non hai fatto nulla per aiutarmi!».

Sul volto di Odino calò un velo d’angoscia e, impercettibilmente, abbassò il capo, afflitto. Agli occhi di Loki, sembrò quasi l’imitazione di un grosso corvo appollaiato sul suo trespolo, il volto scuro e la malinconia negli occhi.

Patetico.

«No…», mormorò Odino, alzando lo sguardo su di lui. «Non capisci. Io non ho mai… ».
«Hai sbagliato, Padre degli dèi, hai fatto male i tuoi calcoli. Speravi forse in una mia redenzione, dopo tutti questi anni trascorsi in esilio? O che, magari, io avessi dimenticato tutto? Il fatto di essere stato tradito dai miei stessi sudditi e dalla mia famiglia come un cane: un bastardo utile solo per asservire dei piani politici? Credevi sul serio, in tutta la tua lungimiranza, che mi piegassi come un fuscello al tuo cospetto? Che il pensiero della morte mi intimorisse e ti pregassi di risparmiarmi? Ho visto mondi, Padre degli dèi, a cui persino tu sei cieco, e ti assicuro che esistono cose ben peggiori della morte.» Il suo volto si era trasformato in una smorfia ringhiante, tutto di lui sembrava emanare odio e rancore, ma Odino non raccolse e continuò a fissarlo con occhi vitrei, deluso. Ciò non fece altro che farlo infuriare ancora di più.

«Hai ragione», sussurrò a un tratto Odino. «Ho sbagliato… a pensare che in te ci fosse ancora un briciolo del ragazzo che conoscevo.» Alzò lo sguardo, puntandolo su quello di Loki, che a quella risposta era rimasto interdetto, e si voltò per afferrare Emily e Frigga per le braccia, esortandole ad andare avanti. Emily cercò di opporre resistenza, a divincolarsi dalla sua stretta di ferro, finché improvvisamente delle guardie entrano e portarono via sia lei che Frigga con la forza, facendo uscire anche la serva bionda; nonostante ciò, con la coda dell’occhio, Loki fu certo di aver visto il ragazzino di poco prima andare a nascondersi dietro un vaso nel tentativo di restare in sala. Il momento durò solo pochi secondi, perché di colpo la voce tonante e forte di Odino irruppe nella sala, rimbalzando forte fra le mura, e lo distolse nuovamente dai suoi pensieri.

«Frigga ed Emily sono gli unici motivi per cui sei ancora in vita, ma questa sarà l’ultima volta che le vedrai. Spenderai il resto dei tuoi maledetti giorni nelle prigioni fino a quando il Consiglio ed io non prenderemo una decisione in merito alla tua condanna… Loki Laufeyson», disse, e subito le guardie giunsero a prenderlo di peso e trascinarlo fuori dalla sala; Loki fece poca resistenza ma era evidente che stesse fremendo di rabbia e che, se avesse potuto, li avrebbe uccisi tutti lì e subito.

Prima di uscire, la sua voce tuonò forte nei meandri della sala e le sue parole furono tremende e iraconde, proprio come il suo stato d’animo.

«Non è con urla e catene che riuscirai a tenermi prigioniero, Padre! Non più!» Le guardie lo spronavano ad andare avanti, ma lui pestava i piedi e cercando di rimanere in sala. «Mi hai sentito, Padre degli dèi?! Non sono un tuo prigioniero, non faccio più parte del tuo disegno imperfetto! Non più… Non più!!» Urlò, finché le sue parole si persero nell’oscurità e le porte furono chiuse, lasciando un Odino stanco ed emaciato in preda ai suoi stessi demoni e lui, figlio illegittimo, a combattere una verità che aveva sempre cercato di evitare: quella della sconfitta.

 
Odino sospirò pesantemente e si passò una mano callosa sul viso, sperando che quel gesto potesse portar via tutte le inquietudini.  Le parole di Loki erano state come una stilettata al fianco. Da anni, ormai, si tormentava riguardo la sua dipartita e la sua immaginaria inferiorità. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il tocco debole e delicato delle minuscole dita di suo figlio la volta in cui lo aveva raccolto dalla neve nelle lande desolate di Jötunheimr. A quei tempi Loki era ancora un infante, e lui ricordava perfettamente lo sguardo di Heimdall nel momento in cui, durante il ritorno al palazzo, lo aveva visto.

Spero tu sappia cosa stia facendo, Padre degli Dei.
Un giorno potremo unificare i due Regni, grazie a lui.

Heimdall l’aveva scrutato con occhi pieni di lungimiranza e preoccupazione, ma alla risposta di Odino aveva taciuto. Ed aveva annuito.
Solo in quel momento si rese conto del fatto che Loki per lui non era mai stato una semplice reliquia rubata, ma il bambino studioso e attento che aveva cresciuto come suo e a cui si era affezionato. Suo figlio.

Una mano piccola e fredda si posò sulla sua schiena e lui non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse. Un sorriso amaro gli incurvò le labbra secche e sottili, mentre nella sua mente memorie passate fecero capolino, tracciando un sentiero doloroso e angosciante al loro arrivo.

Anche Loki da bambino si nascondeva sempre.

«Chi era quell’uomo, Padre di Tutti?».

Si voltò e la figura piccola e smilza di Vàlì gli si presentò davanti, la copia esatta di Loki da bambino. Per un attimo, una parte di sé, chissà quale, sperò ardentemente che quello fosse davvero il bambino che aveva raccolto dalla terra fredda e inospitale di Jötunheimr e che aveva cresciuto come suo, che nonostante tutto non poteva – e non riusciva – a smettere di considerare suo figlio, cosicché potesse recuperare tutto il tempo che aveva perduto, distoglierlo dai suoi piani fuorvianti e far sì che non si tramutasse nella creatura deviata che era diventata.

Ma poi incontrò gli occhi di un azzurro pallidissimo di Vàlì, così pieni di curiosità e simili a quelli di lady Emily da non lasciare dubbi, e allora capì che no, quello non era Loki. In realtà, il suo Loki era morto da un pezzo, e al suo posto si era fatto largo un essere che non conosceva ma del quale, lo sapeva, ne era l’artefice.

Si avvicinò lentamente a Vàlì, il volto stanco e spossato di chi sembrava aver combattuto contro un esercito intero, e gli appoggiò una mano sulla spalla; cercò di improvvisare un sorriso bonario mentre tutto, dentro di lui, era in subbuglio. Strinse forte i pugni e sospirò pesantemente.

Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte.
 
«Vàlì, ti ho mai raccontato della storia dei Giganti di Ghiaccio?».
 

 
 
 
 


- Note di Harmony394.
 

Ebbene, eccomi qui!
Scrivere questo primo capitolo è stato faticosissimo, perché non avevo proprio idea di come iniziare la fan fiction. Spero di non aver scritto delle idiozie!
Come ho già detto la scorsa volta, la fan fiction contiene degli Spoiler sul film di Thor 2, che uscirà a Novembre. Non per niente, il ritorno di Loki è descritto proprio così nel Comic!Verse trattato dalla Marvel da cui – credo – sia ispirato il film.
Ma comunque parliamo di Vàlì: adesso il signorino ha sei anni ed è la copia esatta di Loki da piccolo. Personalmente, mentre scrivevo di lui ero un “AWWW” continuo, ma questi ‘son dettagli XD. Tenetelo d’occhio perché sarà un tassello importantissimo per tutta la saga!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, cercherò di aggiornare quanto prima possibile!
Baci.

P.S: vi lascio il mio indirizzo Facebook, caso mai qualcuna\o di voi volesse contattarmi!
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P.S.S: La canzone sopra è degli Stabilo: Flawed Design.

P.S.S.S: Domenica è il mio compleanno. E sì, lo so che non c’entra ‘na mazza, però mi andava davvero, davvero tanto di scriverlo da qualche parte. Fatemi gli auguri! :P (ma anche no. Nd. Lettori)
   
 
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