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Autore: Taylor72    27/09/2013    4 recensioni
Ho sempre amato la figura del vampiro, sia nella letteratura che nel cinema/TV.
Uno dei miei preferiti è il vampiro protagonista del telefilm Blood Ties, del 2006, dove è evidenziata una delle caratteristiche che più mi colpiscono: la solitudine di queste creature.
In Blood Ties, così come nei romanzi da cui è tratto, i vampiri, oltre ai problemi che incontrano con gli umani, non possono nemmeno convivere nella stessa città.
In questa fanfiction ho voluto regalargli una possibilità di non essere più solo: saprà coglierla?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 6 - LEGAMI DI SANGUE
Chi ti dice che non centro?
Quelle parole avevano ammutolito Alex.
Cosa ti aspettavi? Che davvero ti dicesse di non aver mai ucciso nessuno? E’ un vampiro.
Henry continuava a tenere in mano le foto, lo sguardo cupo.
La ragazza ci mise qualche minuto a ritrovare la voce.
“Henry io...” si interruppe.
“Tu cosa Alex? Cosa?”
Il dolore nella sua voce le fece stringere il cuore e le fece capire un’altra cosa: non le importava nulla di quelle foto.
Non le importava nulla di quello che Henry poteva aver fatto.
Conservava soltanto ricordi belli del periodo in cui lui faceva parte della sua vita. Avrebbe trovato il modo di convivere con quella parte di lui che stava appena scoprendo. Se lo voleva nella sua vita doveva accettare tutto, di Henry, compreso questo.
Se sono viva, pensò, è soltanto perché lui mi ha salvata, mettendo a rischio la sua vita.
Non voleva perderlo di nuovo, perciò doveva accettare Henry per quello che era.
In qualche modo ce l’avrebbe fatta.
E comunque, ora aveva cose più importanti a cui pensare, come un inquisitore pazzo sopravvissuto ai secoli che stava architettando chissà cosa.
Si era avvicinata alla vetrata e girava le spalle ad Henry, che non aveva più detto una parola.
Alex si schiarì la voce, poi disse:
“Non…non mi interessa cosa hai o non hai fatto, Henry. Dico sul serio. E’ di Mendoza che dobbiamo preoccuparci, adesso. E’ lui che mi fa paura, non tu. Il resto lo affronteremo a suo tempo.”
Le sue parole avrebbero dovuto tranquillizzarlo, ma Henry era teso come la corda di un violino, preoccupato per Delphine e per ciò che la sua sparizione poteva significare. Era spaventato.
La rabbia divampò in lui, alimentata dalla paura.
Paura del giudizio di Alex.
Paura che lei, nonostante tutto, non riuscisse ad accettare quello che aveva fatto, quello che non poteva cambiare. Quello che era.
Paura di perderla, proprio adesso che l’aveva ritrovata.
Quello che aveva sempre temuto era diventato realtà, cambiando le carte in tavola da un minuto all’altro.
Alex non sapeva con cosa aveva a che fare, quello che ricordava era un ragazzo gentile che giocava con lei quando era piccola.
Non aveva idea di cosa lui fosse realmente. Di cosa fosse un vampiro.
Tutto il nervosismo e la tensione di quei giorni vennero fuori senza che potesse controllarli.
Alex fissava le luci della città senza in realtà vederle, il cuore in subbuglio per le emozioni contrastanti che provava. Non vide gli occhi di Henry diventare più neri della notte e non percepì nessun pericolo fino al momento in cui le sue braccia non la immobilizzarono come in una morsa.
Rimase raggelata, il respiro fermo in gola. Non l’aveva neppure sentito muoversi.
Henry la teneva da dietro, bloccandole le braccia, e la ragazza sentiva il suo respiro solleticarle l’orecchio.
“Henry…” bisbigliò.
Lui la strinse ancora più forte.
“Potrei ucciderti in un secondo, non te ne accorgeresti nemmeno,” disse, con la voce diventata più profonda e più roca.
Alex non cercò nemmeno di muoversi. Henry continuò:
“Non dimenticarlo mai. Posso sembrare un uomo, ma non lo sono. Non sottovalutare mai quanto i vampiri siano letali per gli essere umani. Mai.”
Alex si rese conto di una cosa che la lasciò stupefatta.
In quel momento era Henry ad avere paura, lei non ne aveva. Non era la paura a farle battere così forte il cuore. Era lui. Alex sentiva il corpo di Henry aderire al suo, sentiva i muscoli guizzare sotto la camicia, mentre la teneva ferma.
Il vampiro avrebbe potuto squarciarle la gola senza che potesse fare niente, ma questo non cambiava ciò che sentiva per lui.
Fiducia. Fiducia assoluta. Quella fiducia che era scolpita nel suo cuore, perché sentiva di essere nel giusto.
Sapeva che lui meritava un’occasione.
Il respiro di Alex si fece affannoso, ma, di nuovo, non per la paura.
Si sentiva la pelle in fiamme…se avesse potuto muoversi…guardarlo negli occhi...
Gli direi di prendere ciò che vuole, di spegnere questo fuoco, e allora sarebbe mio. Lui sarebbe mio.
“Henry…ho capito…lasciami, per favore…” disse in un soffio, mentre pensava: fallo Alex, diglielo, digli cosa vuoi…
Henry continuò a tenerla stretta.
“Dopo la trasformazione, non vediamo più le persone, vediamo le prede. Nutrirsi senza uccidere richiede un controllo che si ottiene soltanto con gli anni, molti anni. Oggi cerco di non uccidere. Quasi sempre riesco a non farlo. Quasi.”
Henry fece una pausa e il momento passò.
“Posso sembrarlo, ma non sono umano. E ogni tanto…qualcuno muore.”
Le dita di Henry affondarono ancora di più nelle braccia di Alex.
Mi resteranno i lividi, pensò lei. Ma rimase immobile.
“Questa è una lezione che non devi mai scordare, Alex. Non se vuoi avere a che fare con me. Posso diventare un pericolo, o potresti incontrare altri vampiri. Devi sapere con cosa hai a che fare. Ignorarlo potrebbe costarti la vita.”
“Henry…mi fai male,” bisbigliò Alex.
Henry la lasciò andare, allontanandosi da lei come se si fosse scottato.
Alex si girò soltanto quando sentì lo scricchiolio del divano di pelle, e capì che Henry si era nuovamente seduto.
Il cuore le batteva contro la gabbia toracica come se volesse schizzarle fuori dal petto. Ma quando guardò Henry si rese conto che non solo non si era accorto dell’effetto avuto su di lei, ma che non era il momento per…certe cose.
Henry aveva nuovamente preso in mano le foto.
Ne mise due sul tavolino.
“Le ho uccise io, Alex” disse, indicandole.
La sua voce era triste, ma decisa.
“Mi dispiace averlo fatto. Ma sono un vampiro. Siamo predatori. L’istinto è sempre quello di uccidere. Ogni tanto capitava…che non riuscissi a fermarmi. Capiterà ancora. Questo è quello che sono. Se non sei in grado di accettarlo, allora è meglio che ci fermiamo qui.”
Alex si avvicinò con cautela, sfregandosi le braccia dove lui l’aveva tenuta stretta.
Le dita di Henry avevano lasciato il segno.
Non avrebbe potuto fare niente, si disse, se lui avesse perso il controllo e avesse cercato di farle del male.
Ma sapeva senza ombra di dubbio che Henry non l’avrebbe fatto.
Razionalmente non avrebbe saputo spiegarlo...ma lo sapeva, semplicemente.
Si tirò giù le maniche della maglia e si fermò senza parole.
I lividi erano spariti. Sollevò un braccio alla luce e scosse la testa.
Impossibile, si disse, li ho visti, c’erano.
Controllò anche l’altro braccio. Niente. Un brivido le attraversò la schiena.
Forse ho visto male, forse era un gioco di luci.
Henry non si era accorto di niente, continuava a osservare la foto che ancora teneva in mano.
Dopo un attimo di silenzio stupito, Alex ritrovò la voce e disse:
“E quella?”
Indicò la foto.
Il tono di lui si addolcì.
“Questa è Delphine.”
Alex si avvicinò ancora.
“Hai…hai ucciso anche lei?” gli chiese.
“No. Mi ha chiesto di trasformarla. Eravamo amici.”
Henry accarezzò con il pollice il viso della donna, in un gesto di inequivocabile affetto.
“L’hai fatto?”
“Si.”
“Quindi lei è ancora viva…”
Henry sentì di nuovo la paura attanagliargli il cuore.
Guardò Alex e lei vide chiaramente la disperazione nei suoi occhi.
“Non lo so. Dovevamo vederci ieri sera, ma non è venuta e non mi ha chiamato. Nessuno la vede da giorni. Non so che fine abbia fatto.”
Henry si alzò per prendere la bottiglia di whiskey e Alex istintivamente si ritrasse. Forse era meglio se non lo toccava più, per quella sera. Non era sicura di riuscire a controllarsi. Henry fraintese e un lampo di tristezza incupì il verde profondo dei suoi occhi.
“Mi dispiace, Alex. Non volevo spaventarti, non voglio che tu abbia paura di me. Non ti farei mai del male, non volontariamente. Ma non posso cambiare ciò che sono. Né quello che ho fatto. Non posso prometterti che non succederà più.”
Si versò una dose abbondante di liquore e lo bevve tutto d’un fiato, prima di riempirsi nuovamente il bicchiere.
Vide che Alex lo fissava con uno sguardo indecifrabile negli occhi scuri.
Pensa di avermi spaventata, capì lei.
Ci pensò un minuto, poi disse, decisa:
“Non ho paura di te. Henry...so che devi nutrirti, in fondo sapevo che questo era possibile, anzi probabile che fosse successo…è un po’ inquietante,” indicò le foto. “Voglio dire, capisco che sia la tua natura, non mi hai spaventata, è solo che...” balbettò senza riuscire a trovare le parole.
“Solo che saperlo in astratto e toccarlo con mano è diverso. Lo so. Alex…prima o poi avremmo dovuto parlarne, prima o poi…avresti dovuto saperlo comunque. Non voglio mentirti, né adesso né mai. Ti prego…”
Si avvicinò nuovamente a lei e questa volta Alex non si mosse. Henry non aveva capito a cosa si riferisse e forse era meglio così, pensò Alex.
Henry le si fermò di fronte, guardandola negli occhi e prendendole le mani, stringendole nelle sue.
“Ti prego, non avere paura di me. Non voglio…non posso perderti. Non un’altra volta, non…non lo sopporterei.”
Alex tolse una mano dalle sue e gli accarezzò la guancia.
“Nemmeno io voglio perderti, Henry. Non ho paura di te.”
Al diavolo, si disse. Lo tirò verso di sé e lo abbracciò appoggiandogli la guancia sulla sua spalla.
“Non voglio perderti mai più,” gli bisbigliò.
Quando Henry si staccò da lei Alex percepì il suo sollievo.
“Grazie,” le disse lui. “Non volevo spaventarti, davvero. Volevo solo…”
“Mettermi in guardia,” lo interruppe lei. “Messaggio arrivato.”
Henry la lasciò e si versò un altro generoso bicchiere di liquore.
“Posso averne un altro anche io? Credo di averne bisogno.”
Henry la guardò con un timido sorriso sulle labbra, mentre le riempiva il bicchiere.
Alex ne bevve metà in un sorso, poi disse:
“Dobbiamo trovare Mendoza, Henry. Dobbiamo fermarlo.”
“Lo so. Alex…ma se hai ragione, se Mendoza è davvero il Mendoza che conoscevo io…devi lasciare che sia io a occuparmene. Non hai idea di quanto sia pericoloso. Quell’uomo era pazzo, godeva a torturare la gente. Era un fanatico e niente poteva distoglierlo dalla missione che gli era stato affidato da dio, così diceva. Era…un vero mostro.”
“Voglio aiutarti Henry…”
“No, Alex, devi starne fuori. Io ho paura che abbia preso Delphine…e se ho ragione, adesso sa dove abito.”
“Non è possibile che lei sia…non lo so…partita?”
“Senza dirmi niente? Non la vedevo da quasi vent’anni, Alex. Toronto è il mio territorio, lei non aveva il permesso di cacciare, per nutrirsi poteva andare soltanto all’Amnesia e là non la vedono da più di una settimana. Non può non essersi nutrita per così tanto tempo e non mi avrebbe mai sfidato cacciando nel mio territorio senza il mio permesso.”
Alex rabbrividì.
“Credi che l’abbia presa e che lei…lei ti abbia tradito?”
“Si. Se è finita nelle mani di Mendoza ha sicuramente parlato. Nelle sue mani avresti confessato qualsiasi cosa, credimi. Lo so.”
Alex tornò a sedersi sul divano, di fianco ad Henry.
Lui continuò:
“E una volta che hai parlato…” lasciò la frase in sospeso, ma il dolore nella sua voce era palpabile.
“Credi che l’abbia uccisa?”
“Non lo credo, Alex…lo so. Mendoza non lascia testimoni.”
Alex gli appoggiò la mano sulla spalla e strinse, cercando di dargli un conforto che non c’era.
“Mi dispiace, Henry. Davvero.”
Alex prese la bottiglia di liquore dal tavolino e se ne versò un altro bicchiere.
Henry trovò la forza di sorridere:
“Ehi, vacci piano, finirai per ubriacarti,” le disse.
Alex sorrise:
“Anche tu,” disse, indicando il bicchiere di Henry, di nuovo vuoto.
“I vampiri reggono meglio l’alcol…” cercò di scherzare lui, senza riuscirci molto bene.
Alex riflettè per qualche minuto, poi gli chiese:
“Henry…perché Mendoza ce l’ha con te? Voglio dire…se sono trecento anni che ti cerca, se ha addirittura trovato il modo di prolungare la sua vita per continuare a darti la caccia…”
Henry sospirò:
“Sei sicura di volerlo sapere?” le chiese.
Alex lo guardò dritto negli occhi.
“Si,” rispose decisa.
Henry sostenne il suo sguardo.
“Gli sono sfuggito. E in più…ho trasformato una persona a lui cara. Anche se è stato…è stato un incidente.”
“Un incidente?”
“Si. Mendoza odiava in particolar modo i vampiri. Non so dirti perché. Dopo avermi catturato, mi tenne chiuso in una cella umida, nei sotterranei di un convento, per giorni. Mi aveva affamato, le uniche fonti di sangue che riuscivo a procurarmi erano i ratti. Il sangue animale può permetterti di sopravvivere, ma…non è sufficiente. Ero debole. Così debole da non potermi liberare da solo.”
Alex rabbrividì, immaginandosi Henry chiuso in una cella buia, affamato e solo.
Lui parve non vederla, perso nei suoi ricordi.
“Maria era la ragazza che ogni tanto mi portava l’acqua. Venerava l’Inquisitore, solo dopo qualche giorno ho capito che era innamorata di lui, di Mendoza. Anche se non sempre condivideva i suoi metodi. Quando Mendoza non c’era, Maria era gentile con me. Iniziammo a parlare. Cercai di convincerla a liberarmi, cercai di farle capire che non ero il demonio. Lei era la mia unica possibilità di sfuggire a Mendoza. Ogni giorno lui…lui mi torturava.”
Alex lo ascoltava in silenzio, sconvolta al pensiero di quello che Henry doveva aver subito.
“Ti risparmio i particolari. Ma ero arrivato al punto che avrei confessato a Mendoza qualsiasi cosa volesse. Solo che lui non faceva domande. Mi torturava e basta.”
Alex ascoltava in silenzio, senza parole.
Aveva studiato la storia, il periodo dell’Inquisizione, ma sentirlo raccontare da qualcuno che lo aveva vissuto la riempiva di orrore. Non riusciva nemmeno a immaginarlo.
“Come…” si schiarì la voce. “Come poteva amarlo? Maria, voglio dire, come poteva amare qualcuno che torturava la gente?”
“Noi non eravamo niente, per uomini come Mendoza. In quel periodo chi agiva in nome di dio aveva carta bianca, Alex. I vampiri, le streghe e chiunque fosse sospettato di avere a che fare con il soprannaturale faceva paura e veniva ritenuto uno strumento del demonio. Era…normale combattere il male, distruggere i mostri. Maria non faceva eccezione. Finchè non sono riuscito a convincerla che io non ero un’incarnazione del demonio.”
Alex rabbrividì.
Forse non dovrei stupirmi di lei, io sono innamorata Henry.
Il pensiero le attraversò la mente senza che si rendesse pienamente conto del suo significato, perché Henry riprese a parlare.
“Un giorno Mendoza fu particolarmente crudele e quando Maria venne a portarmi l’acqua, come faceva ogni giorno, era sconvolta da ciò che gli aveva visto fare. Mi disse che non approvava, perchè non mi vedeva più come un mostro. Capii che quella era la mia unica occasione. La convinsi ad aprire la cella e a lasciarmi andare.”
Lo sguardo di Henry era di nuovo triste.
“Era l’ultima persona a cui avrei voluto fare del male. Ma avevo fame, così…così quando fui libero non riuscii a trattenermi dall’aggredirla. Sentivo l’odore del sangue che scorreva sotto la sua pelle, era…era irresistibile. Riuscii a fermarmi un attimo prima che fosse troppo tardi, ma avevo preso troppo e lei sarebbe morta comunque…”
“Così l’hai trasformata?”
“Si. Era l’unico modo perché sopravvivesse. Le ho dato il mio sangue e le sono rimasto vicino, ho sentito il suo cuore smettere di battere. Sapevo che si sarebbe risvegliata la notte dopo, ma non potevo restare, l'alba era vicina, ed ero troppo debole per portarla via con me. Mi ripromisi di tornare a prenderla e fuggii.”
Alex vide gli occhi di Henry farsi lucidi.
“Non so come spiegartelo. Il legame che si crea con il vampiro che ti trasforma è un legame forte, simile a quello tra un genitore e un figlio. Il nuovo vampiro diventa una parte di te, del tuo essere, della tua…famiglia.”
Alex restò in silenzio, lasciandogli il tempo di trovare le parole. Pensava di aver capito com'era andata a finire.
“Volevo portarla via con me, insegnarle tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno per sopravvivere, ma…Mendoza è arrivato prima. Quando l’ha trovata ha capito immediatamente cosa fosse successo. Ha aspettato che lei si svegliasse e…”
Una lacrima scese sulla guancia di Henry.
“E l’ha uccisa,” concluse Alex per lui.
Henry si asciugò gli occhi con un gesto noncurante della mano.
“Si,” disse. “Io sono scappato. Avevo troppa paura di lui, paura che mi catturasse di nuovo. Sono scappato.”
Alex sentì il senso di colpa che gravava su quelle parole.
“Henry…non avevi altra scelta, cos’altro avresti potuto fare?”
“Lasciarla stare…morire in quella cella…lei era innocente, Alex. Ho imparato a convivere con i miei sensi di colpa, ma non posso perdonarmi per quello che le ho fatto. È morta perché ha avuto pietà di me.”
Alex gli prese la mano e la strinse.
“E’ stato lui ad ucciderla, Henry, la colpa è sua, non tua.”
“Lo so. Ma lei è morta per salvare me. La responsabilità di quello che è successo, di quello che Mendoza le ha fatto, è mia.”
In quel momento suonò il cellulare di Henry.
Lui sospirò e si alzò dal divano, prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans.
Era Augustus.
“Augustus…dimmi,” rispose.
La profonda voce baritonale di Augustus era mortalmente seria, mentre gli diceva:
“Henry…non ho buone notizie, purtroppo. Forse è meglio se ti siedi.”
“Parla…” gli disse Henry, la voce piatta, priva di emozioni, in contrasto con il tumulto che sentiva dentro di sé.
“Ho parlato con le mie fonti in Europa. Non so come dirtelo, ma…anche Christine è sparita. Credono che sia morta.”
Alex vide Henry sbiancare.
“Henry, che succede?” gli chiese.
Lui le fece cenno di aspettare e mise il vivavoce.
“Cosa vuol dire credono che sia morta, Augustus?”
“Hanno trovato dei resti in una cripta. Cenere…e in mezzo alla cenere hanno trovato il medaglione di Christine, quello con la stella, quello che portava sempre.”
“Quello che le avevo regalato io…” mormorò Henry.
“Si,” disse Augustus.
Henry si sentì come se qualcuno gli avesse strappato il cuore, si sentì vuoto.
“Non è tutto,” aggiunse Augustus.
Henry si sedette nuovamente sul divano, non era sicuro che le gambe lo avrebbero retto.
Alex lo guardava in silenzio.
“Anche James, Lora e alcuni dei loro discendenti sono spariti, nessuno ne ha più notizie da mesi. Credono che siano morti tutti, Henry.”
Henry chiuse gli occhi. Il dolore gli stava frantumando il cuore in mille pezzi.
“Sei ancora lì, Henry?” chiese Augustus.
“Si,” disse Henry, che riusciva a malapena a parlare.
“In molti hanno parlato di un prete che faceva domande su di loro, su Christine e tutti gli altri. Su tutti i vampiri della stirpe di Marcus, per essere precisi. Capisci cosa significa, Henry?”
“Si, capisco. Grazie Augustus, grazie di tutto.”
“Stai attento Henry, stai attento sul serio, stavolta. Chiunque sia, se è riuscito a prendere Christine e gli altri…”
“Starò attento Augustus, contaci. E Marcus…qualche notizia da parte sua?” chiese Henry.
“Hanno cercato di rintracciarlo, ma lo sai com’è Marcus. Non lo troveranno mai, se non vuole essere trovato. Probabile che sia in qualche posto sperduto del mondo e non sappia niente di quello che è successo, altrimenti sarebbe intervenuto. A meno che…”
Augustus lasciò la frase in sospeso.
Henry rabbrividì:
“Marcus non è morto, Augustus, lo avremmo saputo, tutti noi…lo avremmo sentito.”
“Lo spero. Stai attento, amico mio,” disse Augustus.
“Lo farò,” disse Henry.  
Posò il telefono sul tavolino e si prese il viso tra le mani, cercando di digerire quello che Augustus gli aveva appena detto.
Alex lo guardava senza sapere cosa fare. Come sempre seguì l’istinto.
Gli si avvicinò e lo abbracciò, per la seconda volta quella sera.
Henry resistette per un attimo, poi lasciò che lei lo stringesse tra le braccia.
“Henry…mi dispiace, mi dispiace davvero tanto,” gli mormorò nell’orecchio.
Restarono così per qualche minuto, poi Henry si alzò dal divano.
Alex vide lo sforzo che lui fece per parlare con voce ferma.
“Mendoza…” si schiarì la voce. “Pensavo ce l’avesse solo con me…per la storia di Maria, ma adesso…”
“Henry chi è Augustus? Un altro vampiro? ”
Henry scosse la testa:
“No, Augustus è…un amico. Lui si occupa degli affari dei vampiri, la sua famiglia lo fa da centinaia di anni. Ci sono cose che noi non possiamo fare e lui…quelli come lui…si occupano di tutto, dall’assegnazione dei territori ai documenti falsi di cui abbiamo bisogno. Una volta era più facile nascondersi…” la sua voce morì, lo sguardo perso in lontananza.
“C’è…c’è la possibilità che si sbagli? Voglio dire…su Christine e gli altri?”
Henry la guardò, lo sguardo di nuovo fuori fuoco.
È sotto shock, si rese conto Alex.
Prima che potesse dire qualcosa, Henry rispose:
“Non credo. Christine non si separava mai da quel medaglione. Se l’hanno trovato in mezzo alla cenere…può voler dire soltanto una cosa,” concluse.
Si sedette nuovamente sul divano.
“Sta uccidendo tutti i vampiri della mia stirpe…”
“Della tua stirpe? Che…che cosa vuol dire?”
Henry la guardò, mentre un po’ di colorito gli tornava sulle guance.
“I vampiri che Mendoza ha ucciso appartengono tutti alla mia…linea di sangue.”
Alex lo guardò confusa.
“Cos’è una linea di sangue?” gli chiese.
“E’…immaginala come una famiglia. Marcus è il patriarca, colui da cui discendiamo tutti. Christine, James, Lora, io, Delphine…tutti i vampiri trasformati da lui, e da coloro che lui ha trasformato, sono la sua stirpe, la sua linea di sangue, la sua famiglia, se vuoi vederla così. Siamo legati, Alex, un legame che ci permette di riconoscerci quando ci incontriamo, anche se non ci siamo mai visti…è come riconoscere un profumo.”
Qualcosa si agitò nuovamente nella mente di Alex…come un profumo…la stessa cosa che aveva pensato lei, quando aveva rivisto Henry…un attimo e il pensierò svanì, cancellato dalla voce di Henry.
“Mendoza sta uccidendo tutti i vampiri della mia linea di sangue,” riflettè ad alta voce. “Per vendicarsi di me?”
La sua espressione era di incredulità totale.
“Henry, se quell'uomo è pazzo è possibile.”
Henry scosse la testa:
“A parte Christine, James e Lora, tutti gli altri non li ho nemmeno mai visti. Non ha senso, non ha nessun senso…”
“Un senso deve esserci, Henry. Solo che non riusciamo a vederlo. Dobbiamo indagare, cercare di scoprire cosa…”
“No.” La voce di Henry non ammetteva repliche. “No, Alex. Non noi, io. Tu devi starne fuori, è troppo pericoloso.”
“Ma…”
“Niente ma. Se Mendoza è riuscito a prendere Christine, e James, che erano tra i più antichi di noi, il pericolo è troppo grande. Questa non è la tua battaglia, è la mia. Credo sia…credo che dovresti andare a casa, adesso.”
Henry si alzà e andò a prenderle la giacca.
Alex scosse la testa, ma si alzò, recuperò la borsa e la busta con i disegni e lasciò che lui l’aiutasse a infilare la giacca e la accompagnasse alla porta.
“Henry…”
Lui le mise un dito sulle labbra e disse:
“Voglio che tu sia al sicuro. Se dovesse succederti qualcosa…non potrei mai perdonarmelo. Vai a casa, mi farò sentire io.”
Le sorrise, ma era un sorriso triste, tirato.
“Non vuoi che…posso restare, se vuoi…”
“No, Alex…io…ho bisogno di restare solo. Mi dispiace ma…devo restare solo.”
“Ok, come vuoi…” disse lei, uscendo dalla porta.
“Buonanotte,” disse Henry.
“Buonanotte,” rispose lei. Fece qualche passo verso l’ascensore, poi d’impulso si girò e tornò indietro.
Henry fu paralizzato dallo stupore, quando Alex lo baciò.
I suoi occhi si sgranarono a quel contatto, quando sentì la morbidezza delle sue labbra sulle proprie. Il vago sapore di whiskey che ancora vi aleggiava.
Fu solo un attimo, un bacio leggero, casto.
Alex lo guardò con dolcezza..
“Alex…cosa…” balbettò Henry.
Stavolta fu Alex a mettergli un dito sulle labbra.
“Per farti sapere che ci sono, Henry. Solo questo. Non mi importa quello che hai fatto prima ancora che io nascessi. Forse non mi credi, ma so chi sei. Nel mio cuore, io so chi sei.”
Lui le accarezzò la guancia con affetto.
“Sei proprio come lei, sai? Come Elizabeth. Hai il suo stesso spirito. Il suo stesso cuore.”
Alex sorrise a quelle parole:
“Buonanotte Henry.”
Si girò e stavolta raggiunse l’ascensore senza voltarsi indietro.
Per un attimo Henry desiderò chiamarla, desiderò che lei restasse, desiderò sentire di nuovo quelle labbra sulle sue…ma si costrinse a non farlo. Le notizie di quella sera avevano implicazioni pericolose.  
Se aveva ragione, se Mendoza aveva davvero ucciso Christine e gli altri, era molto meglio che Alex stesse lontana da lui.

Sara chiuse il libro che stava leggendo, con un sospiro.
Non riusciva a concentrarsi, il pensiero sempre fisso a quella busta che adesso sembrava fissarla dal comodino.
Si alzò e andò in cucina a prepararsi una tazza di te.
Inutile rimandare ancora, si disse.
Stava prendendo il cellulare per chiamare Henry quando il telefono iniziò a vibrare. Era lui.
“Henry,” disse. “Stavo per chiamarti.”
“Sara…”
Sara si allarmò subito. Lo conosceva troppo bene per non notare la disperazione nella sua voce, solo sentendolo pronunciare il suo nome.
“Henry, cos’è successo? Stai bene?”
Il silenzio all’altro capo del telefono la fece rabbrividire.
“Henry…”
“Christine è morta. E anche Delphine,” disse lui con un filo di voce.
“Cosa?!? Henry, cosa stai dicendo? Come…cos’è successo?” chiese lei, mentre il terrore la faceva balbettare.
“Mendoza,” rispose Henry.
Quell’unico nome le fece sprofondare il cuore in fondo ai piedi.
Henry le aveva raccontato di lui, di quello che gli aveva fatto, ma…
“Mendoza è morto Henry, me l’hai detto tu,” disse.
“A quanto pare mi sbagliavo. Mendoza è vivo e mi sta cercando.”
Sara ci mise qualche secondo a ritrovare la voce, sconvolta dalla sorpresa.
“Ma come…com’è possibile, Henry? E’ diventato un vampiro?”
“No, ma credo che Alex abbia ragione. Mendoza deve aver scoperto che bere sangue di vampiro rallenta l’invecchiamento, credo che sia così che è sopravvissuto fino ad oggi e adesso è qui, a Toronto…” la voce di Henry si spense.
“Alex? Cosa centra Alex? L’hai rivista, Henry?”
Sara sentì di nuovo la ruota del destino che girava, gli ingranaggi che si incastravano con uno scricchiolio sinistro.
Henry sembrò stupito della domanda.
“Si, io…noi…le ho disegnato la copertina per il suo ultimo romanzo, lei è…”
Si azzittì, poi riprese:
“Mi mancava Sara. Mi è mancata per 25 anni e adesso…”
“Non vuoi perderla di nuovo,” disse Sara semplicemente, sorridendo con affetto, anche se Henry non poteva vederla.
“No, non voglio,” disse Henry.
“Sapevo che sarebbe successo. Lo so da quando l’ho vista entrare nella mia classe all’università, tanti anni fa. Henry…cos’è successo? Come fai a sapere di Mendoza, Christine e Delphine, cos’è successo?”
Henry le raccontò tutto quello che era successo dalla sera della mostra.
“Ho sempre pensato che Mendoza mi desse la caccia a causa di Maria, ma adesso...sta uccidendo tutti i vampiri della stirpe di Marcus, anche quelli che io non ho mai nemmeno incontrato, ma perché?” concluse esasperato.
Quando sentì il nome di Marcus, Sara ripensò alla lettera che Elizabeth le aveva consegnato e al segreto che vi era contenuto.
E’ arrivato il momento…
Aveva pensato quelle parole, ma fu come se qualcuno gliele avesse bisbigliate nelle orecchie.
“Henry…se quello che dici è vero, se hai ragione, allora forse…è davvero possibile che Mendoza voglia colpire Marcus.”
Marcus era uno dei vampiri più antichi e Sara non capiva che legame ci potesse essere tra lui e Mendoza, ma lo schema le pareva evidente.
“Colpire Marcus? Ma perché, Sara?”
“Non lo so, Henry, ma se sta togliendo di mezzo la sua linea di sangue…”
Henry rimase in silenzio.
Sara si fece coraggio e con decisione disse:
“Henry, devo assolutamente vederti. Tu ed Alex, devo parlare con entrambi. Ci sono cose che dovete sapere, tutti e due.”
La voce di Henry era tesa:
“Sara se sai qualcosa di questa storia…”
Sara lo interruppe:
“Non al telefono Henry. Non so se Mendoza è coinvolto ma devo parlarvi. È importante. Alex è lì con te?”
“No, è appena andata via…”
“Chiamala. Venite a casa mia, domani sera, appena ti svegli. E’ importante Henry. Per te e per lei.”
Conosceva Sara, se diceva che era importante, allora lo era sul serio.
“Ok, la chiamo subito,” le disse.
“A domani, Henry. Mi dispiace moltissimo per quello che è successo. Ti voglio bene.”
“Lo so,” disse lui. “Anch’io.”
Sara appoggiò il cellulare sul ripiano della cucina e si versò una tazza di thè bollente, rischiando di rovesciare la teiera da tanto che le tremava la mano.
La sola idea che Mendoza avesse scoperto il segreto del sangue di vampiro e che, grazie a questo, fosse arrivato vivo e vegeto fino al presente la riempiva di un terrore che faticava a tenere sotto controllo.
Henry le aveva raccontato della sua prigionia, delle torture che aveva subito.
Non voleva nemmeno pensare che quel pazzo fanatico potesse fargli di nuovo del male.
Che si stesse accanendo contro i vampiri che appartenevano alla stirpe di Marcus era pazzesco. Ma se era lui che Mendoza voleva colpire, per qualche motivo che nessuno di loro conosceva, questo metteva anche Alex era in pericolo.
Forse era quello il pericolo che Elizabeth aveva visto, tanti anni prima.
Quando quell’ombra li raggiungerà, saranno insieme…
Sara prese la lettera dal comodino e se la rigirò tra le mani.
Per un attimo pensò di buttarla nel caminetto, lasciando che il fuoco cancellasse per sempre quello che vi era scritto. Per un attimo la tentazione fu talmente forte che faticò non poco a trattenersi.
Ma non poteva. Aveva fatto una promessa, ed era giunto il momento di mantenerla.
Forse, conoscere quella verità li avrebbe aiutati a capire, li avrebbe aiutati a proteggersi.
Andò a letto ma non si addormentò che alle prime luci dell’alba, quando fu certa che Henry, almeno per quel giorno, dormiva al sicuro.

Chiusa la telefonata, Henry sedette nuovamente sul divano, appoggiando la testa alla spalliera e fissando il soffitto senza in realtà vederlo.
Aveva ancora sulle labbra quel bacio leggero. Si sentiva come una barca in balia del mare in tempesta.
Si arrabbiò con sé stesso, mentre si trovava costretto ad ammettere che aveva bisogno di lei. Che non poteva più fare a meno della sua voce, del suo sorriso...
Il bisogno di essere abbracciato, di essere amato, era così intenso da essere quasi insopportabile.
La ragazza aveva appena saputo che lui era un assassino, ma nonostante quello gli era rimasta accanto.
L’assoluta fiducia con cui lo aveva guardato, anche dopo la sua piccola dimostrazione, era stato un miracolo, per Henry.
Se Alex non l’avesse colto di sorpresa, se si fosse aspettato il suo bacio, non l’avrebbe lasciata andare via.
Non quella sera, non con quel dolore che gli straziava l’anima.
Christine, Delphine…morte entrambe. Henry non riusciva ancora a crederci.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime brucianti, mentre al dolore si mescolava la rabbia.
Doveva trovare Mendoza, doveva toglierlo di mezzo, una volta per tutte.
Respirò profondamente, cercando di calmarsi.
Gli tornò in mente la strana telefonata di Sara.
Cosa doveva dirgli di così importante da non poterlo fare al telefono? E cosa centrava Alex?
Stava digitando il numero di Alex  sul cellulare quando si bloccò, ripensando ad una cosa che Sara aveva detto e a cui, sul momento, non aveva fatto caso.
Sapevo che sarebbe successo. Lo so da quando l’ho vista entrare nella mia classe all’università, tanti anni fa.
Henry sgranò gli occhi per lo stupore.
Sara era stata una delle insegnanti di Alex?
Non è possibile, pensò. Non mi ha mai detto di averla rivista. Nemmeno quando parlavamo di lei.
Sara sapeva quanto Alex gli fosse mancata. Perché non gli aveva detto niente?
Adesso che ci pensava, Sara non gli aveva mai detto nemmeno che Alex era tornata a Toronto, nè che teneva lezioni nella stessa università in cui insegnava anche lei. Non gli aveva detto niente fino a quando lui non le aveva chiesto di rintracciarla e darle il suo numero di telefono.
Sara gli era sembrata stupita, come se non sapesse che Alex teneva lezioni proprio in quell’università.
Ma non poteva non saperlo, insegnava lì da più di vent’anni, conosceva praticamente tutti…perché…perché gli aveva mentito?
Sempre più stupito, Henry premette il pulsante di chiamata e ascoltò il telefono fare tre squilli prima che Alex rispondesse.
“Pronto?” disse lei esitante.
“Alex, sono Henry,” disse lui.
Sentire la sua voce lo calmò un poco il tumulto che si sentiva dentro.
“Lo so,” rispose Alex. “Vedo il numero.”
Henry sentì il sorriso nella sua voce anche senza vederlo.
“E’ successo qualcosa?” aggiunse lei, preoccupata.
“No, niente,” si affrettò ad aggiungere Henry. “Ho chiamato Sara e le ho raccontato tutto. Vuole vederci, Alex, mi ha detto che deve parlarci. Parlare con tutti e due.”
“Oh,” rispose Alex. “Quando?”
“Domani sera, quando mi sveglio.”
“Va bene…ma perché vuole parlare anche con me?”
“Non lo so, non mi ha voluto dire niente per telefono,” sospirò lui, prima di continuare: “Alex, quando…quando hai conosciuto Sara?” le chiese.
Alex sembrò sorpresa dalla domanda:
“Al primo anno di università. Ero nella sua classe di…scienze esoteriche, mi pare che il corso si chiamasse così. Ma…non te lo aveva detto?”
“No. Non mi aveva detto nemmeno che eri tornata a Toronto e che tenevi lezioni nella sua stessa università.”
“Che strano…non le hai chiesto perché?”disse Alex.
“Lo farò domani sera. Hai ragione è strano. Ma anche lei era strana, al telefono.”
Henry fece una pausa, poi aggiunse:
“Alex…grazie.”
“Per cosa?” chiese lei.
“Per tutto. Per non avermi giudicato per…” esitò prima di continuare: “Per quello che ho fatto. Perché hai accettato quello che sono, anche se so che non è facile.”
“Giudico quello che ho visto di te, Henry. E quello che ho visto non…non è un assassino. Sento che non è così, che non lo sei. Sei un vampiro e anche se hai ucciso delle persone...io sono viva soltanto perché tu mi hai salvato. Questo è quello che so.”
In qualche modo, le parole di Alex lenirono un po’ il dolore che provava in quel momento.
“Quello che hai detto è importante, per me, non sai quanto, io…”
Ti amo, stava per dire. Si morsicò la lingua e si rimangiò quelle due parole, dicendo invece:
“Ci vediamo domani sera, al campus.”
“Ho lezione, domani. Ti aspetto nel mio ufficio, Henry. E’…” rispose lei.
“Lo troverò, buonanotte.” Henry chiuse bruscamente la chiamata.
Le hai quasi detto ti amo, idiota!
Si abbandonò di nuovo sul divano.  
Sono innamorato di lei, si disse. Che il cielo mi aiuti, mi sono innamorato di lei.

“Ciao Henry,” disse Alex al telefono muto, mentre scuotendo la testa rimetteva il cellulare nella borsa.
Lo hai spaventato a morte, con quel bacio, si disse. Scrollò le spalle.
Si chiese perché Sara volesse vederli entrambi, poi ripensò  alle foto che le aveva dato Mike.
Doveva parlare di nuovo con lui, doveva tentare nuovamente di convincerlo a lasciar perdere.
Ma come, si chiese? E cosa poteva dirgli delle foto? Sicuramente non poteva raccontargli quello che Henry aveva rivelato a lei.
Riprese il cellulare e chiamò Mike.
Lui rispose al primo squillo.
“Pronto?”
“Mike sono io,” disse Alex.
Mike rimase in silenzio.
Alex sospirò. Non le piaceva raccontare bugie, ma dentro di sé seppe che se voleva Henry nella sua vita, quella sarebbe stata la prima di molte. Seppe anche, con assoluta certezza, che avrebbe fatto tutto quello che era necessario per proteggere lui e il suo segreto.
È questo che si fa quando si ama qualcuno. Si è disposti a tutto.
Si stupì lei per prima di quell’ammissione.
Capì che era vero. Non sapeva dove questo l’avrebbe portata, ma lo amava. Nonostante tutto, lo amava.
“Mike, ho…ho parlato con Henry. Non ha mai visto quelle donne,” disse decisa.
“E tu gli hai creduto? Così, come niente?”
“Io lo conosco Mike, meglio di quanto tu creda. Henry non centra.”
“Non ci posso credere…” lo sentì dire, quasi come se parlasse tra sé.
Cercò di restare calma, non voleva litigare di nuovo con lui, non doveva farlo se voleva sperare di riuscire a convincerlo.
“Mike, qualsiasi cosa ti abbia detto Mendoza, ha mentito. Hai solo la sua parola, perché sei così sicuro che Henry sia colpevole?”
“Alex…quell’uomo non esiste, ne abbiamo già parlato…”
“Lo so Mike. Ma c’è una spiegazione anche per questo, e non è quello che pensi tu.”
“Allora spiegamelo,” disse lui.
“Non posso. Mike…mi conosci. So che non ti fidi di lui, ma fidati di me. E’ Mendoza quello pericoloso, non Henry.”
“Alex…”
“Mike…fidati di me,” ripetè lei.
“Fammi parlare con lui.”
“Mike…”
Lui la interruppe:
“Fammi parlare con lui, Alex. Se non ha niente da nascondere non dovrebbe avere problemi a parlare con me.”
Alex ci pensò su un attimo.
“Ti richiamo,” disse e riattaccò.
Richiamò Henry e gli spiegò velocemente la situazione.
“Alex, non so se sia una buona idea incontrarlo,” disse lui pensieroso.
“Henry…io credo che se lo incontrassi e parlassi con lui sarebbe più facile convincerlo che è Mendoza il pazzo, non tu. E se non funziona…”
“Se non funziona posso sempre mangiarlo!” disse Henry.
Alex impiegò un secondo a capire che Henry aveva fatto una battuta.
Lo sentì fare una risatina nervosa:
“Stavo scherzando…pessima battuta, comunque.”
Alex si rilassò, poi ebbe un’idea:
“Henry…se non riusciamo a convincerlo puoi sempre…puoi sempre soggiogarlo a dimenticare tutta questa storia. Puoi farlo vero? I vampiri possono…”
“Si, possono, Alex. Ma…dici sul serio?”
“Sono serissima. Non mi piace l’idea, ma se è l’unica soluzione che abbiamo…”
Henry riflettè un attimo, prima di dire:
“Ok. Se credi che possa servire, lo incontrerò.”
“Potremmo incontrarlo al campus, domani sera, prima di andare da Sara.”
“Va bene,” rispose Henry, anche se nella sua voce si sentiva ancora il dubbio.
“Lo richiamo. Henry…Mike è anche l’unico aggancio che abbiamo con Mendoza. Forse lui sa dov’è che si nasconde.”
Henry ci aveva pensato.
“Alex…promettimi solo una cosa. Che se il tuo amico sa dov’è Mendoza lascerai che me ne occupi io.”
“Ma…”
“Promettimelo, Alex.”
“Ok, te lo prometto,” disse lei.
“A domani, Alex.”
“Si, a domani,” rispose lei, mentre Henry chiudeva la chiamata.
Sospirando, Alex chiamò di nuovo Mike.
“Allora?” disse lui.
Alex scosse la testa. Sentendo il suo tono non era più così sicura che fosse una buona idea, ma che alternative avevano?
“Ha accettato di incontrarti.”
“Bene. Dove?”
“Domani sera. Possiamo prendere qualcosa da bere alla caffetteria del campus…”
Alex aveva pensato che incontrare Mike in un posto affollato fosse la cosa migliore per evitare che lui facesse qualche stronzata.
“Alle otto.”
“Ci sarò,” disse Mike e chiuse la chiamata.
Alex sospirò, appoggiandosi allo schienale del taxi, mentre l’inquietudine tornava a tormentarla.

Mike appoggiò il telefono sulla scrivania e lo fissò pensieroso.
Tirò fuori dalla tasca dei calzoni il biglietto che gli aveva dato Mendoza.
Per un attimo fu combattuto.
E’ un assassino…ucciderà ancora…
Le parole di Mendoza gli riecheggiarono nella mente.
Vuole solo parlargli…come me, si disse. Alex si fida troppo di qualcuno che nemmeno conosce.
Prese il cellulare e digitò il numero che il prete gli aveva lasciato.
Mendoza rispose al primo squillo.
“Ispettore…non mi aspettavo di sentirla così presto,” disse, in tono mellifluo.
“Padre Mendoza…sono…incontrerò Fitzroy domani sera.”
“Dove?” la voce di Mendoza aveva uno sgradevole tono esultante, pensò Mike.
Non gli piacque, ma disse:
“Al campus dell’università, alle otto. Padre Mendoza…” si interruppe un attimo, poi continuò: “Credo sia meglio che lo incontri da solo. Lasci che ci parli io, poi…”
“No!” rispose con veemenza Mendoza. “Lei non sa con cosa ha che fare, ispettore, io si. Non può affrontarlo da solo. Se Fitzroy dovesse insospettirsi la ucciderà. Si ricorda cosa le ho detto, no?”
“Si, ma…padre, non si aspetterà davvero che creda a quello che mi ha raccontato…”
“Ispettore Dowson, le conviene credermi,” disse Mendoza.
Mike notò quanto fosse diventata gelida la sua voce.
“Conosco il campus,” continuò. “Lo porti nel vecchio cimitero. C’è la statua di un angelo, davanti ad una delle tombe. Io sarò lì.”
“E come dovrei fare per convincerlo a seguirmi in un cimitero?” gli chiese Mike sarcastico.
“Questo è compito suo, ispettore. Lo convinca. Una volta lì usi il medaglione che le ho dato, nel modo che le ho spiegato. Ma stia attento. Deve coglierlo di sorpresa, non deve dargli il tempo di reagire.”
“A cosa…a cosa serve il medaglione?” chiese Mike.
“Gliel’ho detto, ispettore. Henry Fitzroy è un vampiro. Quel medaglione lo metterà fuori combattimento, così potremo parlargli.”
Mike restò in silenzio. Quella faccenda gli piaceva sempre meno.
Mendoza notò la sua esitazione e riprese a parlare:
“Ispettore…non ha niente da perdere. Non deve credermi sulla parola, lo vedrà con i suoi occhi. Se ho torto il medaglione non gli farà assolutamente niente. Ma non andrà così, vedrà che ho ragione.”
Il discorso filava, pensò Mike. E i vampiri non esistono, si disse per l’ennesima volta.
Ma Mendoza aveva ragione, cosa aveva da perdere?
Sicuro che il medaglione non avrebbe fatto a Fitzroy niente di niente, Mike disse:
“D’accordo padre. Farò in modo di portarlo nel vecchio cimitero. Userò il medaglione…”
“Sarò lì, ispettore. Lei faccia la sua parte e io farò la mia,” lo interruppe Mendoza, prima di chiudere la chiamata.
Mike posò il cellulare sulla scrivania, sentendosi avvolgere da una sensazione di inquietudine.
Cosa diavolo stai facendo, Mike?
Scosse la testa.
Mendoza vuole soltanto parlargli, si disse, esattamente come me. Si, ma questo a che serve?
Si stava rigirando tra le mani la Illumination del Sol. Lo osservò attentamente, ma non vi vide niente di strano. Era soltanto un medaglione. Sembrava d’oro ed era pesante, ma a parte questo appariva del tutto innocuo.
Per la seconda volta quella sera Mike se lo appoggiò sul petto, prima in un senso e poi nell’altro.
Non successe assolutamente nulla.
Mike prese il soprabito, se lo infilò e uscì dall’ufficio, diretto verso il parcheggio.
Domani sera avrai le tue risposte, si disse.
Avrebbe dovuto avvicinarsi a Fitzroy abbastanza da riuscire a usare il medaglione e poi…
E poi cosa farai?
Cosa avrebbe fatto se il medaglione avesse funzionato? Se lui fosse stato davvero…
Smettila, si disse, i vampiri non esistono. Quell’aggeggio non gli farà assolutamente niente, ma almeno chiariremo questa faccenda una volta per tutte.
Mike strinse le dita attorno al medaglione, che aveva infilato nella tasca del soprabito.
Stai tradendo Alex, stavolta la perderai per sempre.
Mike scosse la testa. Alex avrebbe capito.
Avrebbero fatto due chiacchiere con Fitzroy, avrebbero parlato con Mendoza e avrebbero chiarito tutto.
Convinto di questo, Mike avviò la macchina e si diresse verso casa.

L’indomani Alex tenne la sua lezione all’università senza riuscire a scrollarsi di dosso una fastidiosa sensazione di disagio.
Più si avvicinava l’incontro con Mike e più si sentiva agitata.
Sentiva che c’era qualcosa che non andava, ma senza riuscire ad identificarlo.
Almeno sarebbe stata insieme ad Henry e questo la faceva sentire più sicura.
Finite le lezioni, sempre più in ansia, si chiuse nel suo minuscolo ufficio che, per quanto piccolo, era però dotato di una finestra. Da lì Alex guardò il sole tramontare, contando i minuti che ancora mancavano all’arrivo di Henry. Vide la notte avvolgere lentamente il campus.
Era così soprapensiero che quando sentì bussare alla porta fece un salto e il cuore quasi le schizzò fuori dal petto.
“Si?” disse.
“Sono Henry,” rispose la morbida voce del vampiro.
Alex aprì la porta. La luce soffusa del corridoio lo illuminava da dietro, catturando riflessi ramati dai suoi capelli. Era bellissimo.
Quando le sorrise il desiderio le arrossò le guance.
Voleva che lui la baciasse, voleva sentire la sua pelle sulla propria, voleva sentire il suo corpo su si sè, dentro di sé, come nel sogno che aveva fatto. Lo voleva come non aveva mai desiderato nessun altro in tutta la sua vita.
Da quando lo desidero così tanto?
“Ciao,” gli disse, cercando di non far trasparire dalla voce quello che le stava passando per la testa. “Aspetta, prendo la giacca.”
Corse a prendere la giacca appoggiata alla spalliera della sedia, sperando che lui non si fosse accorto di quanto fosse arrossita. Il vago sorriso intravisto sul volto di Henry le fece sospettare che lui ne fosse invece perfettamente consapevole.
Usciti dall’ala del campus che ospitava l’ufficio di Alex, lei lo prese sottobraccio.
Henry si irrigidì un attimo, ma soltanto un attimo.
La naturalezza con cui lei aveva fatto quel gesto gli fece tornare in mente ricordi ormai sbiaditi. Ricordi di quando non era solo, di quando aveva qualcuno con cui condividere la vita. Lo fece sentire…bene.
Arrivati al primo incrocio Alex sentì suonare il cellulare.
Lo tirò fuori dalla borsa.
“E’ Mike,” disse mentre rispondeva: “Pronto?”
“Alex…dove sei?” le chiese.
“Stiamo andando alla caffetteria, cosa c’è?”
“Ho…ho un problema. Puoi…potete raggiungermi al vecchio cimitero del campus?”
Alex notò le esitazioni di Mike e disse:
“Mike cosa c’è? Sei strano…”
“C’è…un uomo che sta male, credo che sia ubriaco. Dove c’è l’angelo di marmo. Ho chiamato l’ambulanza, la sto aspettando. Se mi raggiungete qui poi possiamo andare alla caffetteria insieme,” disse lui tutto in un fiato.
“D’accordo,” disse Alex, mentre Henry inarcava un sopracciglio, lo sguardo interrogativo negli occhi verdi.
“Vi aspetto,” disse Mike.
Alex rimise il telefono nella borsa.
“Hai sentito?” chiese ad Henry.
“Si,” rispose lui. “Andiamo, raggiungiamolo lì e…”
Alex gli mise la mano sul braccio:
“Aspetta. Mike era strano, Henry, non vorrei che avesse in mente qualcosa…” lasciò la frase in sospeso, mentre l’inquietudine che l’aveva tormentata tutto il giorno tornava, forte più che mai.
Henry scrollò le spalle.
“Non ho paura di lui. E’ un umano e io so badare a me stesso.”
“Ok…” disse lei, anche se non era per niente convinta. In quel momento il suo istinto le diceva di andarsene, di lasciar perdere, che c’era qualcosa che non andava.
Quando arrivarono al cimitero, la sensazione divenne ancora più forte.
Si fermò appena oltre il vecchio cancello arrugginito:
“Henry,” disse.
Lui, che aveva fatto qualche passo in più si girò a guardala.
“Credo che dovremmo tornare indietro. Non mi…non mi piace questa storia, per niente.”
Henry le si avvicinò e le appoggiò le mani sulle spalle.
“Stai tranquilla. Parlerò con il tuo amico e risolveremo questa faccenda, in un modo o nell’altro,” disse, guardandola negli occhi.
“Ma…”
“Tranquilla. So badare a me stesso, te l’ho detto. Andiamo.”
Quando arrivarono in vista della statua, Mike sbucò fuori dai cespugli che fiancheggiavano il vialetto.
“Mike,” disse Alex, mentre la sensazione di pericolo si faceva più forte. Non vedeva nessun altro, nessuna persona che stesse male.
“Alex finalmente,” disse lui. Si avvicinò ad Henry tendendo la mano destra:
“Lei deve essere Henry Fitzroy,” disse. “Mike Dowson.”
Quella scena si impresse a fuoco nella mente di Alex.
Henry che sorrideva, mentre prendeva la mano di Mike.
Alex, dietro di lui era impallidita. All’improvviso le era mancata l’aria e una paura rovente l’aveva quasi paralizzata.
Tutto accadde in pochi secondi, senza darle il tempo di fare alcunché.
Nel momento in cui le loro mani si strinsero, Mike estrasse velocemente qualcosa dalla tasca del soprabito e lo appoggiò sul petto di Henry.
Nemmeno lui ebbe il tempo di reagire.
Alex sentì un rumore umido mentre gli otto raggi del medaglione si piegavano come se fossero stati vivi e si piantavano profondamente nel petto del vampiro. Che crollò a terra, uno sguardo stupefatto sul bel viso.
Si accasciò sulla ghiaia del vialetto senza emettere un suono.
Vederlo cadere infranse l’immobilità di Alex.
“Henry,” gridò.
Mike si riprese in un attimo dalla sorpresa per l’effetto del medaglione e fu più svelto di lei. La afferrò, trattenendola.
Alex si divincolò furiosamente.
“Mike…lasciami. Lasciami,” gridò. “ Che diavolo stai facendo! Lasciami!”
“Alex aspetta, calmati. Vogliamo soltanto parlargli…”
“Di chi stai parlando, Mike…cosa hai fatto?” gli chiese con la voce piena di orrore.
Capì senza bisogno che lui rispondesse, nell’attimo in cui vide un uomo alto e magro, con i capelli biondi e ispidi, avvolto in una tunica nera, spuntare proprio da dietro l’angelo di marmo. Cercò di nuovo di liberarsi, ma Mike la teneva saldamente.
“Fermi, tutti e due,” disse esultante Mendoza.
“Padre Mendoza, cosa sta succedendo?” chiese Mike, incerto.
Mendoza si avvicinò ancora e il suo ghigno si allargò quando vide Alex.
“Ah…” disse. “La puttana del vampiro. Ha usato lei per attirarlo in trappola. Ottimo lavoro, ispettore.”
“Cosa…come…ma che sta dicendo padre Mendoza? Cosa c’era nel medaglione? Una droga, un veleno? Cosa sta succedendo?”
“Due piccioni con una fava,” disse di nuovo Mendoza, come se non l’avesse nemmeno sentito.
Mike si portò la mano alla cintura, verso la pistola.
“Fossi in lei non lo farei, ispettore,” disse Mendoza in tono piatto.
Mike vide finalmente cosa teneva in mano. Una vecchia pistola a tamburo. Con cui li teneva sotto tiro.
“Mendoza…metta giù la pistola,” disse Mike, lasciando andare Alex, che restò immobile accanto a lui, impotente.
Guardò Henry, che non si muoveva.
“Indietro,” disse Mendoza, facendo cenno con la pistola. “Prenda la sua pistola, ispettore. Lentamente. La butti verso di me.”
“Maledizione,” ringhiò Mike. “Che diavolo sta facendo? Ha detto che voleva soltanto parlargli…”
“Ed è quello che farò, ispettore. La pistola.”
Mike prese la pistola dalla fondina alla cintura con due dita.
“La butti,” disse Mendoza, sogghignando. “Non faccia lo stupido, ispettore. So usare un’arma e la userò…su di lei,” aggiunse indicando Alex con la canna della pistola.
Mike gettò la sua arma ai piedi di Mendoza, che la prese e la buttò lontano, in mezzo ai cespugli.
“Indietro,” disse di nuovo Mendoza. “Là dentro.”
Solo allora Mike vide che il cancello della tomba di famiglia che aveva alle spalle era aperto.
Lui e Alex vi entrarono.
“Allontanatevi dal cancello.”
Ubbidirono entrambi. Mendoza, sempre tenendoli sotto tiro con la pistola, chiuse il cancello con un grosso lucchetto.
“Ha fatto un ottimo lavoro, ispettore, non avrei sperato di meglio,” disse Mendoza, mentre si dirigeva verso Henry.
“Si fermi, maledizione, non erano questi i patti!” gridò Mike.
Mendoza si girò a guardarli.
“Non si fanno patti quando si tratta di demoni ispettore.”
Alex afferrò le sbarre del cancello e le scosse.
“Lascialo stare brutto bastardo,” gridò.
“Arriverà anche il tuo turno. Chi fornica con il demonio merita la stessa punizione,” disse truce Mendoza.
Afferrò Henry per il colletto del cappotto e iniziò a trascinarlo via.
“Henry!” gridò Alex.
Scosse ancora le sbarre, imitata da Mike, senza nessun risultato.
“Cazzo,” disse lui.
Si girò a guardare nella piccolo spazio in cui erano rinchiusi, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse servire a spezzare il lucchetto.
Vide la panca di legno ed ebbe un’idea.
“Alex dammi una mano,” le disse.
Lei lo guardò come se non lo avesse mai visto prima, con un misto di orrore e rabbia.
Mike rovesciò la panca di legno, afferrò la sbarra di ferro che ne univa le assi e tirò fin quasi a slogarsi le spalle. La sentì cedere e perse l’equilibrio quando la sbarra si staccò.
“Spostati,” le disse.
Colpì il lucchetto con tutte le forze che aveva, finchè non cedette con uno schianto e furono liberi.
Alex volò fuori senza degnare Mike di uno sguardo.
“Henry!” gridò.
Corse via nella direzione in cui aveva visto sparire Mendoza.
“Maledizione,” disse Mike, mentre cercava nei cespugli la sua pistola. “Alex, aspetta!”
Trovò la pistola e seguì Alex.
Quando la raggiunse, lei era seduta sul cordolo che delimitava la stradina di ghiaia, con la testa tra le mani.
“Alex…” disse avvicinandosi. “Io…”
Lei si alzò e tornò verso il campus, senza degnarlo di uno sguardo.
Stavolta l’hai fatta davvero grossa, pensò Mike. Non gli restò che seguirla.

Il cielo era buio. Le nuvole oscuravano la luna e le stelle e aveva iniziato a cadere una pioggerellina fitta e fredda.
Buia e gelida, quella notte.
Come il mio cuore, pensò Alex.
Tenebre. Freddo. Paura.
Alex rabbrividì, stringendosi nella giacca di pelle.
Si fermò a guardare l’acqua scura del laghetto del campus infrangersi in piccole onde sulla riva sassosa, indifferente.
Alex si sentiva sospesa in una bolla, mentre il terrore le impediva di pensare lucidamente. Il tempo si era fermato.
Il tempo si ferma sempre, in bilico tra speranza e disperazione, quando non sai ancora se hai perso qualcuno, pensò rabbrividendo.
La paura le toglieva quasi il respiro.
Mendoza era la morte. E adesso aveva Henry.
Mike la raggiunse.
“Alex ti prego, fermati…”
“Vai al diavolo, Mike,” disse lei con rabbia.
“Mi dispiace. Non pensavo…non sapevo…mi aveva detto che voleva solo parlargli…”
Alex si girò e lo spinse via, facendolo quasi cadere:
“Come hai potuto? Come? Ti avevo detto che era tutto a posto, di lasciar perdere, ma tu non potevi vero?”
“Alex…”
“Sta zitto! Non voglio ascoltarti, non hai nessuna giustificazione per quello che hai fatto, nessuna” gli gridò lei.
“Ero preoccupato per te…quel tizio mi ha detto che Fitzroy era un assassino, un mostro…volevo solo proteggerti…”
“Non eri preoccupato, eri geloso!” gli rinfacciò Alex furiosa. “Vattene, Mike, sparisci. Non voglio vederti, non voglio sentirti, voglio solo restare sola, vattene!”
Mike l’afferrò per un braccio.
“Lasciami!”
“Ok…ok…” Mike la lasciò. “Ma stammi a sentire, va bene? Ok, hai ragione, ero geloso, ma non avevo idea di cosa volesse fare Mendoza. Sono un poliziotto, maledizione! Fitzroy è un fantasma, non esiste, quel tizio è venuto da me a raccontarmi di omicidi, di demoni e un sacco di altre stronzate, quindi ero davvero preoccupato per te, va bene? Non sapevo che intenzioni avesse. Qualsiasi cosa abbia fatto il tuo amico, non avrei mai permesso a quel prete di farsi giustizia da solo!”
Alex aveva iniziato a scuotere la testa:
“Dio Mike! Tu non hai idea di quello che hai fatto! Mendoza vuole uccidere Henry…” Alex si zittì.
“Cazzo…” Mike si passò le mani tra i capelli bagnati. “Non glielo permetterò,” disse deciso.
“Ah davvero? E come pensi di impedirglielo? L’ha portato via, potrebbe averlo già ucciso, tu non sai…lui è…” di nuovo Alex tacque.
“E’ cosa? Alex…è cosa?”
“Non posso dirtelo,” disse lei sottovoce.
Mike scosse la testa:
“Alex…non posso aiutarti se non mi dici cosa sta succedendo.”
“Aiutarmi…se siamo in questa situazione è colpa tua, vaffanculo Mike!”
Alex riprese a camminare.
“Alex…”
“Sta zitto. Devo pensare…”
Mike la seguì in silenzio, sentendosi un idiota.
Come ho fatto a cascarci, si chiedeva, come?
Avrebbe dovuto fidarsi di Alex e invece si era fatto fregare da un perfetto sconosciuto.
Si, davvero un idiota completo, si disse.
Si affiancò ad Alex, che continuava a restare in silenzio.
“Dimmi che Henry non ha ucciso quelle donne…” le disse a voce bassa.
Alex respirò profondamente, cercando di calmarsi, poi disse:
“E’ un po’ più complicato di così,” rispose.
“Allora spiegamelo, fammi capire cosa sta succedendo!”
Lei continuò a camminare, senza guardarlo.
“Permettimi di rimediare, Alex…” mormorò lui.
Alex si fermò e finalmente lo guardò fisso negli occhi.
Fanculo si disse, mentre la rabbia e la paura venivano sostituite da una fredda determinazione.
“Ok,” gli disse. “Vuoi sapere la verità? Vuoi sapere chi è Henry? Henry è un vampiro.”
Alex si azzittì, osservandolo con aria di sfida.
“Un…cosa?! Alex non è divertente…” la voce di Mike morì di fronte allo sguardo furioso di Alex.
Devo essere finito in un episodio di Ai Confini della Realtà, pensò, passandosi di nuovo una mano tra i capelli.
“Mendoza ha detto la stessa cosa, ma…non ci ho creduto davvero, i vampiri non esistono…non…”
“E’ la verità. Henry è un vampiro. Per questo non compare nei tuoi fottuti database. Mendoza, invece, è un Inquisitore spagnolo del 17° secolo che gli da la caccia da più di trecento anni.”
Mike la guardava esterefatto.
“Cristo santo, sei seria, vero?”
“Mai stata più seria, Mike. Se succede qualcosa ad Henry, se Mendoza lo…” non riuscì a continuare. Deglutì a vuoto, poi aggiunse:
“Se Mendoza lo uccide, Mike, sarà solo colpa tua. Non te lo perdonerò mai. Adesso, se vuoi davvero aiutarmi, sta zitto e vieni con me.”
Alex si avviò decisa verso la zona residenziale del campus, dove abitava Sara.
Se c’era qualcuno che poteva aiutarla a trovare Mendoza era sicuramente lei.
Mike restò fermo per qualche secondo, guardandola allontanarsi.
Scosse di nuovo la testa.
Vampiri, si chiese? Inquisitori spagnoli centenari? Non poteva essere vero.
Eppure…non si era fidato di Alex e aveva combinato un disastro. E il medaglione aveva funzionato, su Fitzroy.
Possibile che fosse tutto vero?
Quale che fosse la verità, l’unica cosa che poteva fare adesso era cercare di rimediare a quello che aveva combinato.
Pregò che non fosse troppo tardi.
  
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