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Autore: kellinsqueen    27/09/2013    2 recensioni
-Bambolina, rimani qui.- mi supplicò ridacchiando, mentre evitavo il suo sguardo palesemente terrorizzata.
Il mio cuore batteva all’inverosimile, la paura si faceva strada con violenza nel mio stomaco. La metropolitana rallentò. Percepivo ancora l’alone di calore sulla mia coscia, e il disagio che provavo mi scorreva sulla pelle come acqua.
Mi concessi un sospiro di sollievo, appoggiando le punte delle dita contro la porta e attendendo che essa si aprisse.
Uno sbuffo, il caos del binario.
Non appena mossi un primo passo fuori dal treno, sentii qualcosa stringere la mia mano destra.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Writer's corner:
Buonasera a tutti, da quanto non scrivo una het!
Ho abbandonato momentaneamente lo slash causa l'ispirazione che mi ha portato a scrivere questa piccola One Shot.
E' parzialmente ispirata ad un fatto realmente accaduto, e non ho potuto evitare di scriverlo.
Vi informo anche del fatto che non so se renderla una Long o lasciarla così, perchè ho già immaginato come proseguirla ahah.
Il titolo è tratto da uno dei dannatissimi trentacinque esercizi di latino che hanno occupato quattro ore del mio pomeriggio. Almeno sono serviti a qualcosa.
Comunque, spero vi sia piaciuta e vi pregherei di lasciarmi il vostro parere in una recensione.
Anche consigli, ne ho davvero bisogno.
Bacioni.
xx-SheDreamsMalik







Timeo et amo.


Una ciocca ribelle di capelli mi precipitò lieve sulla fronte, facendo sfuggire un infastidito sospiro alle mie labbra, laccate di un rossetto fin troppo audace per una ragazza anonima come me.
Spostai due sacchetti rosa dalla mano destra alle dita affaticate della sinistra, facendo poi scivolare la mia piccola borsetta di cuoio e altre due borse attorno alla spalla, così da riuscire con la mano destra libera a spostare il ricciolo di capelli castani dietro l’orecchio.
Poi ripresi a camminare rapida, maledicendo il fruscio cartaceo dei sacchetti che mi portavo appresso e stringendo fra le dita il mio biglietto per la metropolitana.
In stazione, attorno a me, dozzine di persone si dirigevano verso binari differenti, creando una folla ampia e compatta. Il rumore dei miei passi sul marmo chiaro del pavimento era completamente soffocato dal vociare concitato della folla, mentre la mia camminata rapida e decisa era rallentata dai corpi che mi sfrecciavano accanto, molti dei quali ignoravano la mia presenza  non risparmiandomi gomitate o spintoni.
Dire che avevo in mano molte borse era riduttivo: ne ero completamente sommersa.
Ogni sacchetto era molto elegante, e firmato da case di moda o profumeria che avevano optato per tinte che variavano dai rosa ai lilla.
Se mi fossi guardata allo specchio, credo mi sarei paragonata ad una grande torta alle fragole.
Scacciai questo pensiero scuotendo impercettibilmente la testa, orripilata.  
Convalidai il biglietto con velocità, per poi dirigermi verso il binario.
Non appena raggiunsi uno scrostato e sporco 7 in vernice rossa sulla parete annerita che avevo costeggiato con agitazione mi fermai, tirando un impercettibile sospiro di sollievo.
Potevo già sentire gli sbuffi della metropolitana in avvicinamento, pochi istanti di ritardo e l’avrei persa. Mi rilassai leggermente, sperando di non aver perduto lungo la strada qualche borsa.
Poi il treno sfrecciò rapido sul binario, producendo dolci folate di vento caldo, che mi solleticarono le gambe scoperte dalla leggera gonna al ginocchio.
L’argento della carrozzeria rifletté per brevi istanti le persone in attesa al binario, fra cui me.
Il mio riflesso fu decisamente migliore in confronto alle aspettative, strappandomi un sorriso.
Si udì uno sbuffo metallico, e un istante dopo le porte trasparenti della metro di aprirono.
Il battito del mio cuore era ancora accelerato a causa della velocità con la quale mi ero diretta verso il binario, e finalmente mi concessi qualche attimo per respirare, dopo aver fatto ingresso nel treno ed essermi posizionata di fronte alla porta centrale.
Strinsi la mano attorno ad un arrugginito palo, mentre il mio sguardo cadeva sulla colorata copertina del libro che un’anziana signora stava leggendo, seduta comodamente nel sedile davanti a me.


Sentii l’allarme annunciare la chiusura imminente delle porte del treno, e mi strinsi nell’inutile golfino che racchiudeva le mie spalle, colpite da un pungente soffio di aria gelida.
Osservavo distrattamente la plastica trasparente delle ante delle porte che si incontravano, facendo aderire i cuscinetti di gomma alle estremità di queste ultime.
Però qualcosa, interruppe il loro meccanico movimento. Il mio cuore perse un battito.
Delle mani.
Due mani maschili, ambrate e fuligginose si erano prepotentemente intromesse fra le due ante dell’ingresso del treno, che ormai erano già chiuse.
Vidi le falangi di quelle mani sbiancarsi, facendo forza sulla scura gomma che le stritolava e spalancando nuovamente le porte con violenza.
Dai vetri emerse la figura di un ragazzo, che sgusciò sul treno e si appoggiò al palo al quale la mia mano era saldamente stretta, senza dire una parola.
Non avrei saputo dire se fosse consapevole di tutti gli sguardi colmi di stupore che lo scrutavano, e del pericolo che aveva appena corso, rischiando di essere letteralmente tranciato in due.
Eppure sui suoi lineamenti vidi tracce di abitudine, di quotidianità.
Una voce profonda interruppe l’intricato filo dei miei pensieri, giungendo a me ovattata, dal fondo dell’intero vagone.
–Attenzione, borselli!-.
A quelle parole, vidi gli altri passeggeri stringere a sé i loro bagagli o le loro borse, lanciando occhiate sprezzanti al giovane appena salito. La scura divisa di un poliziotto emerse dalla folla raggiungendomi, per poi ignorarmi completamente e rivolgersi al moro accanto a me, i cui occhi erano fissi al pavimento.
-Zayn, giù.- intimò l’agente, mentre le porte si aprivano per l’ennesima volta.
Il ragazzo alzò lo sguardo, non proferendo parola.
-Giù ho detto.- ribadì con violenza l’uomo in divisa, artigliando la sua grande mano alla spalla del giovane, e scaraventandolo giù dalla metro, sul binario.
Sentii mormorare un’imprecazione dal ragazzo, più giovane di me di almeno due anni, per poi vederlo iniziare a correre lungo il marciapiede affollato del binario.
Le porte si chiusero, e la metropolitana finalmente partì.
-Zingari.- mormorò il poliziotto ai passeggeri con veemenza, come a scusarsi per l’inconveniente.
Non appena il treno riprese a sferragliare, mi accorsi di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Percepivo una particolare ansia inumidirmi la pelle, il battito del mio cuore tumultuoso nel petto. Allentai la stretta con la quale avevo protetto le mie innumerevoli borse, considerando la facilità con la quale il ragazzo avrebbe potuto strapparmele.
Un piccolo sospiro mi sfuggì dalle labbra, mentre la mia mente dipingeva le immagini di poco prima. Mi scoprii intenta ad accarezzare con lo sguardo i lineamenti puri dell’estraneo, o meglio, di Zayn. Riaffiorarono i suoi occhi color terra bruciata, sembravano gridare ad ogni sguardo.
Insieme ad essi ogni suo lineamento comparve, il pronunciato tratto che gli delineava la mascella e le labbra rosee. Approfondendo ogni suo particolare, riuscivo a rammentare la polvere e la sporcizia che gli inscuriva le mani da ragazzino, o l’accenno di barba sulle sue guance e sul mento.
I vestiti trasandati non dovevano essere passati inosservati agli occhi critici e diffidenti degli altri passeggeri, tanto meno a quelli della signora con il libro.
Vidi diversi uomini alzarsi dai loro posti, avvicinandosi all’uscita.
La metropolitana rallentò fino a fermarsi con un lieve e acuto fischio, alla prima fermata di quella corsa. Sospirai, cercando di dimenticare l’ansia che mi aveva assalita poco prima.
Quasi per dispetto ai miei pensieri, insieme a due anziane intravidi nuovamente il giovane salire, e appoggiarsi esattamente accanto a me, come pochi minuti prima.
Doveva aver raggiunto correndo la fermata successiva.
I passeggeri si lanciarono sguardi preoccupati, borbottandogli poi qualche:-Hai sentito? Ti avevano detto di scendere.-, senza troppa concreta convinzione.
Il ragazzo ignorò totalmente i commenti, rispondendo indirettamente con un sorriso di sfida, e rivelando fra le labbra una candida linea di denti.
Distolsi lo sguardo, arrossendo senza motivo.
Il poliziotto non tardò a raggiungere Zayn, alzando gli occhi al cielo.
Non reagì però come in precedenza, si limitò a incrociare le braccia al petto, e a rimanere di guardia allo zingaro, che rideva sommessamente.
-Cosa fai qui, Gerard? Sai che ti fotto sempre, in ogni caso.- lo prese in giro il ragazzo, mentre vidi l’agente stringere i denti profondamente irritato.
-Sta zitto e impara a vivere, è grazie a quelli come te che guadagno.- rispose tagliente l’adulto, il viso contratto da un’espressione di vago disprezzo.
L’altro non rispose, ma incrociò il mio sguardo facendomi sussultare.
Rise della mia reazione, passando le dita affusolate fra i suoi capelli mori.
-La signorina è spaventata da me.- asserì in tono canzonatorio, mentre cercavo di reprimere l’imbarazzo, stringendo le dita attorno ad ognuno dei miei sacchetti e borse.
-Lo ignori, è patetico.- mi suggerì serio l’agente, mentre mi accorsi che la diffidenza fra gli altri passeggeri non accennava a svanire, le borse strette fra le mani.
-Non mi spaventa affatto.- mentii solo, sospirando.
Lanciai un’occhiata in tralice a Zayn, il quale mi scrutava curioso, quasi divertito.
Vidi la sua mano posarsi sulla mia coscia, il respiro mi inciampò in gola, sgranai gli occhi.
-Lasciala stare.- lo fermò l’uomo in divisa, afferrandogli la mano e bloccandola con estrema forza  attorno ad un palo. Il moro rise di nuovo, mentre mi allontanavo incespicando, sconvolta e indignata.
-Bambolina, rimani qui.- mi supplicò ridacchiando, mentre evitavo il suo sguardo palesemente terrorizzata. Il mio cuore batteva all’inverosimile, la paura si faceva strada con violenza nel mio stomaco. La metropolitana rallentò. Percepivo ancora l’alone di calore sulla mia coscia, e il disagio che provavo mi scorreva sulla pelle come acqua.
Mi concessi un sospiro di sollievo, appoggiando le punte delle dita contro la porta e attendendo che essa si aprisse. Uno sbuffo, il caos del binario.
Non appena mossi un primo passo fuori dal treno, sentii qualcosa stringere la mia mano destra. Il respiro mi inciampò in gola, mentre sentivo il mio polso racchiuso in un dolore sordo, lancinante. La stretta rude che mi imprigionava mi strattonò fra la fitta folla, mentre la voce grave dell’agente gridava parole sconnesse. –Zayn, fermati, bastardo.- strillava l’uomo, ma non riuscivo a vederlo. La mia spalla sembrava lacerarsi, le mie caviglie dovevano essersi storte in quella pericolosa corsa obbligata. Dozzine di corpi mi spintonavano, inciampavo e sbattevo le ginocchia contro il marmo gelido della stazione, sentivo le gambe tremare.
Eppure dovevo correre, perché il dolore al braccio e alla spalla era insopportabile.
D’un tratto mi ritrovai contro un muro sporco, in una piccola stanza in penombra. Uno sgabuzzino, una toilette fuori uso forse. 
Caddi in ginocchio, stremata. Davanti a me, il moro.
Mentre riprendevo fiato e mi tastavo le ginocchia doloranti, lui si girò verso di me.
Oltre al dolore, un folle panico mi annebbiò la vista.
-Cosa vuoi?- domandai, cercando di parlare ad alta voce.
Zayn non rispose, si limitò ad avvicinarsi.
Iniziai a tremare, mentre i pochi sacchetti superstiti alla corsa scivolavano dalle mie braccia a terra.
-Posso denunciarti.- scandii con decisione cercando di assumere nuovamente un contegno, inaspettatamente con distinti risultati.
Si avvicinò ancora, finché i nostri corpi non si toccarono. Rimasi immobile.
La voce atona di una donna mi rimbombò nella mente, ero in terza media.
Ero con Judith, a quella conferenza alla quale non avrei mai voluto partecipare.
Sbadigliavo, mentre una donna sulla cinquantina spiegava i rischi che comportavano le violenze sessuali, e giocavo con un filo di lana della maglia che indossavo.
Poi le sue dita del moro mi riportarono alla realtà, chiudendosi sui miei polsi, e un grido mi fuoriuscì dalle labbra.
Istintivamente mi divincolai con violenza, gridando, gli occhi lucidi dalla rabbia e dalla paura.
-Lasciami andare ti prego, prendi tutto quello che vuoi ma fammi andare via.- mormorai poi, quando lui ebbe vanificato i miei sforzi.
Ero consapevole di quanto patetica e ridicola potessi essere sembrata, il terrore mi scuoteva da capo a piedi, avvertivo il pericolo scorrermi sulla pelle, facendomi rabbrividire.
-Stai ferma, non ti faccio nulla.- disse lui, la cui voce calda era tranquilla, persino sfiorata da una nota di dolcezza. Mi zittii.
Poi sentii il suo corpo premere insistentemente contro il mio togliendomi il fiato, e le sue labbra affondare nelle mie.
La sorpresa mi congelò.
Sentii le sue mani accarezzarmi goffamente le guance, mentre il suo sguardo carico di ricordi e dolore sembrava imprimersi indelebilmente nella mia memoria.
Potevo quasi vedere la sua vita scorrermi in mente, la famiglia che aveva perso e tutto ciò che non aveva mai avuto. L’aiuto che i suoi occhi cercavano ogni istante, ogni attimo.
La solitudine che essi gridavano, le esperienze cicatrizzate sul suo corpo, quello di un ragazzino costretto a crescere troppo in fretta.
La violenza di quell’impetuoso bacio scemò, mentre le sue labbra dal sapore amaro non abbandonavano le mie.
Si allontanò poi di qualche millimetro, concedendomi di riprendere fiato.
Lo guardai esterrefatta, mentre sembrava trasformarsi davanti a me.
Gli anni sembravano scivolargli addosso, il dolore nei suoi occhi sembrava evaporare nell’aria, avvelenandola. Percepii la sua maschera cadere piano, e l’incertezza dipingersi nel caramello delle sue iridi.
-Non toccarmi.- intimai poi, balbettando. La paura ora era solo un vago ricordo, era stravolta dall’intensità di quello che avevo sentito, di quello che ora sapevo, di quello che la mia cecità aveva evitato volontariamente di capire.
Lui non si mosse, inizialmente sembrò rispettare la mia richiesta.
La distanza fra noi era comunque insignificante, e le labbra mi bruciavano ancora, ospiti di dolori e delusioni altrui.
-Come ti chiami?- chiese poi, fondendo il suo sguardo e il mio.
-Leah.- mormorai, mentre prendevo tragicamente consapevolezza di aver perso la concezione del pericolo. L’impulso della fuga era fatalmente scomparso.
-Sei diversa, Leah.- sussurrò poi, prima di riappropriarsi delle mie labbra in un ultimo impacciato bacio, e uscire dalla stanza a passo spedito, ignorando le mie borse.
Non lo seguii.
 




 
Mi strinsi nel golfino stropicciato, mentre fuori l’oscurità era calata sulla città.
Guardai l’ora, constatando con piacere che il mio ritardo corrispondeva a soli dieci minuti.
Cercai di proteggermi dal gelo della notte, che avvolgeva le mie gambe in una fresca e pungente seta. I miei capelli erano in disordine, il rossetto era sbavato.
Decisi in quell’istante che l’avrei buttato, non faceva per me.
L’eco dei miei passi rimbombava sull’asfalto, mentre ripensavo a Zayn e al dolore con il quale mi aveva inumidito le labbra.
Mi chiesi se l’avrei mai più visto.
  
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