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Autore: happley    27/09/2013    2 recensioni
Matatagi Hayato centric - introspettiva.
Nero nero nero. Hayato lo sente strisciare oltre gli angoli del foglio e salirgli lungo le braccia, fino alle spalle, fino alla gola. Il nero divora gli occhi e li tinge di tempera.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matatagi Hayato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era da un po' che tenevo in sospeso una oneshot incentrata su Hayato; lo spunto per completarla mi è venuto grazie ad una cosa che mi ha detto la Chiquitah, e cioè che non è possibile immaginare un nuovo colore nella nostra mente. Per Hayato, totalmente immerso nel nero della sua anima, che sembra annullare ogni cosa bella della vita, un nuovo colore rappresenterebbe una salvezza, ma non è in grado di crearne uno. Non credo di renderlo ooc se dico che la sua visione del mondo è completamente negativa; anche se, ne sono certa, Tenma gli farà cambiare idea entro la fine della serie (e non lo dico solo perché li shippo pesantemente, giuro). Grazie infinite a Fede, la mia yuusha-san, che mi ha fatto da beta-reader. Vi lascio alla lettura~

Il nero divora gli occhi e li tinge di tempera
 
Hayato la fissa ad occhi sgranati. La classe è tutta un brusio, le voci non fanno altro che accumularsi l’une sulle altre, come una pila di cd sformati, e lui le sente graffiare su una superficie polverosa. L’unica nota limpida è quella della maestra, una ragazza giovane dal sorriso garbato e una treccia bionda che brilla come lanuggine dorata. Gli sta dando il compito del giorno e tutti i bambini la fissano stupiti.
“Immagina un colore” è il nome del nuovo tema.
Gli piace il modo in cui lei pronuncia quella parola, “iro”, perché aspira un po’ la prima vocale e quell’accento subito tradisce un po’ del suo sangue inglese. La parola ne diventa  un’altra: “hero[1]. Ma nessuno se ne accorge.
«Voglio che immaginiate dei colori e che li disegnate. » dice la maestra con un sorriso smagliante: fa finta di non notare il suo errore di pronuncia, o forse non lo vede davvero. Hayato riflette. Il primo colore che gli viene in mente è il giallo, il giallo del sole, della sua maglietta, della bandana che indossa sempre la signora all’orfanatrofio, e del grembiule della maestra. Giallo come luce. Intinge il pennello nella tempera e la spalma sul foglio, poi osserva il colore. Non è soddisfatto. Si guarda intorno e sbircia i fogli degli altri, tutti hanno calato il capo in simultanea e imbrattano i fogli come se da quel compito dipendesse la loro esistenza. L’impronta che lasceranno è quello che sono: eccoli. La bambina accanto a lui non si è accorta che una ciocca di capelli lisci le è scivolata sulla spalla, sfuggendo alla coda di cavallo, e le punte bionde si stanno inzuppando di tempera verde e ad ogni movimento della piccola scorrono sul dorso della sua manina, tracciando linee di fili di pennello. Verde. Come il bulbo che ha piantato ieri, nel cortile della scuola. Un’altra idea della maestra. Verde come il giardino su cui affaccia la finestra della sua camera.
Ruba un po’ di quel colore dalla compagna, e lo aggiunge sul foglio; da lì in poi i colori cominciano a venirgli in mente uno dopo l’altro, così tanti che il foglio bianco sembra scoppiare come un tramonto. Hayato si lascia rapire dalla loro armonia e abbandona il pennello per usare le dita. La pasta delle tempere gli scivola dai polpastrelli fino ai polsi, appiccicosa e densa e fredda. I colori si sovrappongo e si uniscono, si confondono. Non bastano. Hayato stringe gli occhi, concentrato, inquieto. Ne vuole altri. Vuole immaginarne altri. Colori nuovi, che nessuno ha mai visto né ascoltato prima. Ma non ci riesce: per quanto si sforzi, non può creare un colore che già non esista. Con un sospiro insofferente si raddrizza sulla sedia e fissa il foglio come se non fosse suo. È nero. Completamente. La melodia si scontra contro quel muro, è quello il risultato dell’unione dei colori: nero. Nero nero nero. Hayato lo sente strisciare oltre gli angoli del foglio e salirgli lungo le braccia, fino alle spalle, fino alla gola. Il nero divora gli occhi e li tinge di tempera. E lui scoppia a piangere, sgraziato.
 
░░░
 
I suoi nuovi compagni di squadra sono un arcobaleno –arancione, lilla, rosa, verde scuro, grigio, castano, blu… Saranno anche imbranati nel calcio, ma di certo non si può dire che non siano originali. Variopinti. Non che a Hayato possa importare. Passa davanti a tutti loro e li saluta. Lo ricambiano. Quei ragazzi, che fino a poco tempo prima non hanno esitato a trattarlo come il peggiore dei criminali e ad ignorarlo come s’ignora il dito di polvere sui mobili, ora gli parlano come se nulla fosse accaduto.  Uno strano senso di disgusto gli aggroviglia lo stomaco, ma sorride. La sua maschera non è così fragile da crollare per una cosa del genere.
«Matatagi!» Il capitano lo chiama, felice come se non lo vedesse da secoli ed invece è passata appena una notte. Hayato si ferma e si volta, trovandoselo di fronte, quasi addosso, corpo contro corpo, si volta e si scontra con occhi azzurri come pozze d’acquerello, un colore dal suono armonico, una nota limpida e pura si diffonde nei centri concentrici dell’iride.
Sorride negli occhi, Tenma. Così naturale. Così vero. È stato l’unico a parlargli a cuore aperto, in quella strana squadra, l’unico in grado a far vacillare la maschera, anche se di poco. Per alcuni istanti ha pensato di rubare il suo azzurro, si è arrovellato su come fare per ottenere un po’ di quella salvezza.
Poi però i suoi occhi anice si sono specchiati negli altri; e il celeste si è tinto di nero.
Succede a tutto ciò che tocca, in un modo o nell’altro.
La sua realtà s’impregna di nero attraverso le iridi dei suoi occhi scuri.
 
░░░
 
Mentre corre con il pallone sui piedi, chissà perché, ripensa alla sua maestra delle elementari. Gli torna in mente quel buffo errore di pronuncia all’inglese, che affonda come un sasso nella sua laringe. No, non è un caso che quella parola stia tornando a galleggiare in superficie. La sussurra piano, fra i denti, e la sente sua. Ha cercato di sfuggirle, ma non è riuscito a trovare un nuovo colore per se stesso: i colori sono natura, e non c’è modo per l’uomo di creare la natura per conto proprio.
 
«Matatagi, oggi all’allenamento impegniamoci, d’accordo?» Dall’altra parte del campo, Tenma interrompe il proprio riscaldamento e grida e agita le braccia. E Hayato gli risponde con spensieratezza: «Certo, capitano!»  
 
Non esiste colore o eroe che possa salvarlo dal nero mangiatore di anima.
 
 
 

[1] Iro, “colore” in giapponese, se pronunciato con un suono aspirato acquista assonanza con hero, “eroe” in inglese.
  
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