Ok... Questo capitolo
è mooolto più lungo di tutti gli altri, di fatto.
Dato che sono
puramente malvagia, ho deciso di aggiornare e rovinarvi il
week-end.
Quando sarete
arrivati alla fine avrete tutto il diritto di ammazzarmi di una morte
lenta e dolorosa...
Ma se non volete
perdervi l'epilogo, vi consiglio di aspettare!
Una recensione
(anche solo per mandarmi a quel paese) sarebbe graditissima!
Keyla
Capitolo 13.
Ti amo...
“Sogna, perché nel
sonno puoi trovare quello che il giorno non potrà
darti”
Lei
sorrise divertita e annuì, scagliandosi
poi contro il Kuruta.
Evitò
per due volte la sua frusta, ma alla terza venne colpita sul fianco,
proprio
sulla ferita. Una fitta di dolore acutissimo le esplose nel cervello e
vacillò,
ma riuscì a mantenersi in piedi.
-Il campo di battaglia non è per le ragazzine-
la sfotté quello.
-Ma nemmeno per i vecchietti. Vecchietti con un pessimo gusto
nel vestirsi, poi- gli rispose beffarda.
-Sei troppo impertinente- la riprese
il Kuruta attaccandola di nuovo.
-Sì, me lo dicono sempre...- sorrise lei
schivandolo.
Anche Feitan si rimise a combattere contro di lui, pur continuando
a tenere d’occhio la chimera.
I due ragazzi si muovevano perfettamente
sincronizzati, merito di tutti i duelli che avevano fatto tra loro. Il
combattimento in coppia era un’arte che avevano affinato col
tempo. Erano a dir
poco formidabili. Non facevi in tempo a parare la stoccata di uno che
l’altra
ti attaccava alle spalle. Senza contare che anche singolarmente erano
fortissimi.
Kaede non combatteva al massimo, ed il ragazzo se ne accorse
subito. La ferita al fianco doveva indebolirla parecchio (la maglia
nera che
indossava era diventata ancora più nera a causa del sangue),
e inoltre doveva
mantenere il controllo mentale sulla sua Illusione.
-Eccoli! Stanno
combattendo!-
I due non si distrassero sentendo la voce di Nobunaga, mentre
l’uomo si allarmò vedendo arrivare lui e
Ubo.
-Volete una mano?- chiese il
gigante scrocchiandosi le dita.
-Ce la caviamo. Ma forse Kaede vuole il cambio-
rispose Feitan gettando un’occhiata veloce alla
compagna.
-Sto bene- replicò
lei. -Piuttosto, fate attenzione alle chimere nere: anche se sono
Illusioni, se
ti prendono fanno piuttosto male!- li avvertì.
I due annuirono, si sedettero a
terra e si misero a guardare.
Il Kuruta nel frattempo aveva formato un’altra
creatura di Nen, e la fece attaccare la chimera dorata della ragazza,
puntandola nel contempo con la frusta. L’Illusione fu
assalita da due bestie in
contemporanea, che la soppressero in poco tempo. La sua sconfitta
causò a Kaede
una fitta alla testa, e l’animale restante ne
approfittò per caricarla. Volò
per una decina di metri e cadde pesantemente a
terra con un gemito. Udì l’esclamazione
preoccupata di Ubo attraverso una densa nebbia di dolore. Subito si
sollevò sui
gomiti e si mise in ginocchio, tentando di respirare a fondo.
Portò una mano al
fianco, ritirandola rossa di sangue.
-Maledizione...- imprecò sottovoce.
Si
alzò in piedi e raccolse la sua spada, osservando la
situazione con la vista
appannata.
“Oh, perfetto” pensò cercando di mettere
a fuoco il campo di
battaglia.
Gli altri ragni erano chissà dove, impegnati con altri
membri della
tribù.
Feitan combatteva da solo contro il Kuruta e due chimere, mentre altre
due tenevano occupati Ubo e Nobu.
Il ragazzo era in difficoltà.
Doveva
aiutarlo.
Ignorando il bruciante dolore che la ferita le provocava lo
raggiunse, e riprese a combattere assieme a lui.
-Non dovresti startene buona,
dopo la botta che hai preso?- fece il ragazzo in un tono ironico che
celava
malamente la grande preoccupazione che provava.
-Io me ne sto in disparte e tu
muori, ti piace?- replicò la ragazza concentrandosi per
sgombrare la mente da
tutta la nebbia che la invadeva.
Lui non rispose.
Il loro avversario li
attaccò, sia con la frusta sia in un corpo a
corpo. Si vedeva che era al
limite: stava giocando le sue ultime carte.
I due gli tennero testa ancora per
qualche minuto, ma Kaede era in evidente difficoltà. Ormai
la maglia era zuppa
e le si era attaccata alla pelle.
Faceva sempre più mosse sbagliate.
-Adesso
basta! Hai perso troppo sangue! Me la cavo da solo!- gridò
Feitan con una nota
di disperazione nella voce.
Il Kuruta approfittò del suo attimo di
disattenzione per avvolgergli la frusta attorno al polso che reggeva la
spada.
Con un secco strattone venne disarmato. Una chimera si voltò
e si scagliò contro
di lui. Kaede realizzò in un istante che si trovava in
situazione critica.
Come
a rallentatore, vide la bestia balzare spalancando le fauci. Colse lo
scintillio delle sue zanne, affilate come rasoi. Notò lo
scintillio di trionfo
degli occhi scarlatti incastonati sul volto stanco del Kuruta.
Senza pensare,
gli si parò davanti.
Le zanne taglienti le lacerarono la carne in profondità,
causandole un dolore infernale.
Con un movimento fluido scagliò la lama in
direzione dell’avversario, distante solamente qualche metro.
La spada gli si
conficcò nel petto fino all’elsa e gli trafisse il
cuore. Un fiotto di sangue
macchiò i capelli biondi dell’uomo e i suoi
vestiti sgargianti mentre cadeva, e
i suoi occhi persero la luce.
Le Illusioni scomparvero.
Kaede tentò di mantenere
l’equilibrio, ma non riuscì e cadde
all’indietro.
Feitan si gettò in avanti e
l’afferrò prima che toccasse terra.
Per la prima volta da quando si
conoscevano, lei vide il terrore negli occhi di lui.
-Kaede...- mormorò -Perché
ti sei messa in mezzo?-
Lei capì quanto fosse disperato dal suo tono di
voce.
-Saresti morto- rispose semplicemente, forzando un sorriso che
riuscì distorto
dal dolore.
-I membri della Brigata non sono tenuti a sacrificarsi l’uno
con
l’altro, lo sai- insistette il ragazzo, come se fosse una
giustificazione.
Come
se ormai servisse qualcosa.
-Hai
ragione- ansimò la ragazza -Ma... in quel momento non ti ho
visto come “il
numero 2 della Genei Ryodan”, eri solo
“Feitan”... Il ragazzo che amo... Scusa
per la scenata di stamattina, scusami tanto...-
Tacque, con le lacrime agli
occhi.
Feitan perse quel poco di autocontrollo che ancora possedeva, e la
strinse forte a sé. Desiderando di poterla trattenere per
sempre tra le sue
braccia.
-Così mi fai male!- esclamò lei. Cercò
di dirlo in tono scherzoso, ma
ne uscì un rantolo. Subito lui allentò
l’abbraccio.
-Mi dispiace... è solamente
colpa mia...- mormorò distrutto.
Si accorse che una mano lo stava scuotendo con
forza e che una voce lo stava chiamando da un pezzo: -Feitan! Feitan!
Diamine,
cosa fai fermo lì immobile! Rispondimi! Kaede... Bisogna
curarla!- gridava
Nobunaga, anche lui sull’orlo della crisi. Uborghin
era corso a chiamare gli
altri.
Ma ormai...
Con lo sguardo perso nel vuoto, il ragazzo scosse la testa e
scacciò via la mano del samurai, concentrandosi solo sulla
ragazza.
-Kaede...-
la chiamò con voce alterata.
Lei annuì.
-Avrei dovuto... dirtelo prima ma...
non ho mai trovato il coraggio...-
Si interruppe con un sussulto.
Una lacrima
di dolore corse lungo la sua guancia pallida, infrangendosi sul dorso
della
mano sporca di sangue.
Non aveva mai pianto, mai,neppure
quando era bambino, e mai si era sentito così male.
Eppure...
-Ti amo- sussurrò affondando il volto nei suoi lunghi
capelli scuri,
bagnati dal sangue e dalle lacrime -Ti amo...-
Kaede sorrise, poi il suo volto
fu attraversato dal dolore. Si aggrappò alla camicia che il
ragazzo indossava e
gemette forte, cercando di fermare i tremiti del proprio corpo. Si
sollevò a
fatica, fino ad essere alla stessa altezza del viso di lui.
Rimasero a fissarsi
negli occhi per un interminabile istante.
Oro
nello zaffiro.
Poi, assieme, si sporsero in avanti e si baciarono.
Feitan,
senza interrompere il contatto, le accarezzò una
guancia.
Gli prese una fitta
al petto, quando avvertì la pelle di lei farsi sempre
più fredda sotto ai suoi
polpastrelli.
Si concentrò sul suono del cuore della ragazza, ascoltandone
i
battiti.
Tum tum tum
Ma il muscolo
era stanco.
Tum, tum, tum
Si
staccarono. Lei aveva gli occhi chiusi.
Tum.
Tum. Tum.
Stava per fermarsi.
Tum...
Poi tacque.
-Kaede...- mormorò sconvolto, smettendo di trattenere le
lacrime,
che cadevano sulle sue nocche sbiancate dalla forza eccessiva con cui
stringeva
quel corpo inerme.
E poi incominciò a piovere.
Prima fu una pioggerellina
leggera, delicata, poi si rafforzò.
Forse anche il cielo stava piangendo.
L’acqua cadeva incessante, ma nemmeno lei riusciva a lavare
via il sangue che
macchiava ogni cosa, dai vestiti dei due ragazzi all’erba del
prato.
Tantomeno
il dolore e la sofferenza del giovane.
Sprofondato nella più cupa disperazione,
non si rese nemmeno conto che i compagni l’avevano
raggiunto.
-Feitan...
piange?- fece incredula Machi, accorgendosi solo dopo un istante della
morte
dell’amica.
E allora iniziò a piangere anche lei.
Kuroro si avvicinò lentamente
al compagno e con gentilezza, ma anche con una certa decisione, gli
tolse dalle
braccia il cadavere, reggendolo lui.
Franklin cercò di scuoterlo, ma il ragazzo
era diventato una statua di marmo.
Aveva gli occhi sbarrati, il respiro
spezzato. Fissava il terreno con lo sguardo perso nel vuoto.
La parte davanti
della sua camicia era macchiata di sangue - sì, il suo sangue - ma non pareva
curarsene.
La testa gli pulsava, e
quelle immagini fin troppo reali si ripetevano all’infinito
nella sua mente.
-Feitan! Maledizione Feitan, sbatti le palpebre! Muoviti, dannazione!
Reagisci!-
Era di nuovo Nobunaga. Era fastidioso.
Ma almeno quel fastidio scacciò via una parte - piccola, ma
pur sempre una
parte - di dolore, quel tanto che bastava da permettergli di ritrovare
la
cognizione di sé stesso e di ciò che lo
circondava. Si guardò attorno: non
erano più nel luogo in cui avevano combattuto, dovevano
averlo trascinato via
di peso.
Improvvisamente, si sentì debole.
Debole perché se non si fosse
trovato in difficoltà Kaede non si sarebbe messa in mezzo,
debole perché era
crollato psicologicamente, debole perché lei era morta al
posto suo.
Aveva
freddo, era inzuppato da capo a piedi di pioggia e sangue, e inoltre si
sentiva
terribilmente vuoto.
Desiderò di morire, lo desiderò con tutte le sue
forze.
-Feitan, andiamo- la voce decisa di Kuroro lo risollevò
dalla sua depressione.
Sollevò di scatto la testa, mettendo a fuoco le altre sei
figure che lo
circondavano.
Machi gli si accostò e gli sfiorò delicatamente
la spalla.
-Lascia che ti curi
questa...- mormorò, alludendo alla ferita.
Lui si scostò.
-Non è quella che mi
fa male- le rispose brusco.
Furono le uniche parole che pronunciò di lì a
diverse ore.
Camminava con lo sguardo spento, non si sentiva nemmeno il suo
respiro.
Gli altri si preoccuparono moltissimo: non l’avevano mai
visto fare
così. cioè, sapevano che tra i due ragazzi ci
fosse un legame molto forte, ma
non credevano fosse amore.
Amore.
Quel sentimento che pareva tanto lontano dal
ragazzo, eppure...
Si sentirono in colpa per non averlo capito prima, per non
aver evitato la morte della compagna.
Feitan non
parlò
per tre giorni.
Anzi, sparì totalmente dalla circolazione.
Grazie ad uno dei
poter di Kuroro erano tornati immediatamente nel Ryuseigai.
Lì avevano
seppellito Kaede, nel luogo dove si riunivano da ragazzi, piantando la
sua
spada come una specie di lapide.
Il giovane rimase totalmente in silenzio per
tutto il tempo. Prima di andarsene si avvicinò
all’arma e sfiorò la pietra
gialla sul pomo, gli occhi tristi ed affranti.
Agli altri ragni parve che le
sue iridi fossero diventate più scure.
Disse solo due parole mentre si
allontanava: -Non cercatemi-
I suoi compagni non provarono minimamente a
fermarlo, né tantomeno a consolarlo.
Capivano che voleva solo essere lasciato
in pace e sfogare la frustrazione ed il dolore.
Aspettarono, e nel frattempo si
occuparono degli occhi scarlatti. Ma non li tennero a lungo come gli
altri
tesori.
Verso la metà del quarto giorno Feitan tornò al
Covo.
Aveva un faccia
da paura, con delle occhiaie spaventose e gli occhi cerchiati di nero.
Il suo
corpo era ricoperto di graffi, lividi e abrasioni, e si era procurato
anche un
paio di ferite gravi. Ma la cosa peggiore era il suo sguardo: gli occhi
dorati
avevano completamente perso il calore dovuto al colore giallo, ed erano
gelidi,
inespressivi.
Completamente vuoti.
-Stai... bene?- chiese esitante Nobunaga, facendo un mezzo passo in
avanti.
Il
ragazzo lo fulminò con lo sguardo.
-Lasciami stare- ringhiò, dirigendosi all’interno
del palazzo.
Non replicarono, e non pensarono nemmeno di fermarlo.
-Machi, vai
a vedere come sta. E cerca di convincerlo a farsi curare-
ordinò Kuroro,
visibilmente preoccupato.
Lei annuì e si avviò all’interno,
seguendo la traccia
del suo Nen. Si fermò davanti ad una porta chiusa,
l’entrata di una camera.
Bussò, ma dato che non ricevette risposta decise di entrare
comunque.
Feitan
era sul letto, steso su un fianco in modo da dare le spalle alla porta.
La
sentì avvicinarsi ma non si mosse. La ragazza si sedette sul
bordo e lo guardò,
poi si decise e lo scosse per una spalla. Tanto sapeva che non stava
dormendo.
Irritato, lui aprì gli occhi. -Che vuoi? Sto bene, lasciami
in pace- sibilò
richiudendoli.
-A me non sembra- replicò Machi. Poi sfiorò una
profonda
lacerazione che partiva dallo sterno e arrivava al torace, facendolo
sussultare
impercettibilmente.
-Ti fa male, vero? Ma che diavolo hai fatto?!- sbottò con
voce alterata. -Anzi, non dirmelo che lo so: ti sei fatto male da solo.
Lei non
te lo avrebbe mai perdonato.- gli disse in tono di rimprovero.
Il volto del
ragazzo si contrasse in una smorfia
sofferente. -“Lei” non
c’è più- disse con
voce forzatamente ferma, sempre tenendo gli occhi chiusi.
-Ci ho messo del tempo
per accettarlo. Quindi, ti prego,
non
ricordarmela- la supplicò poi.
-Il dolore fisico non scaccerà quello emotivo-
fece pacata, sfilando un ago dal cuscinetto che portava al
polso.
-È il mio
corpo- replicò duro.
Ma non aggiunse nulla, e Machi poté saturargli la maggior
parte delle ferite.
Quando ebbe finito lui non la ringraziò - sapeva che non lo
avrebbe fatto - ma quando lei fece per andarsene parlò:
-Dì a Kuroro che
possiamo partire quando vuole.-
Machi si bloccò sulla soglia, come fulminata.
Stava per rispondergli che non era né sarebbe mai stato un
peso, ma si rese
conto che si era già addormentato.
Le sfuggì un sorriso.
Poi uscì in silenzio,
richiudendosi la porta alle spalle.
-Come sta?- chiese Paku appena la vide
scendere.
-Fisicamente bene, ora, ma la ferita più grave e profonda
non è
visibile e non posso curarla...- rispose Machi abbassando gli
occhi.
-Il suo
sguardo... non era vivo...-
mormorò
Nobunaga.
-Probabilmente non sorriderà mai più-
constatò Pakunoda.
-Di certo.
Non senza di lei.- le diede ragione l’altra ragazza.
-Ora dorme come un sasso,
ma quando si sveglierà vorrà mettersi in viaggio.
Non vuole assolutamente
ritardare le nostre attività...-
Il Capo scosse la testa. -E non succederà:
domani ce ne andiamo.- affermò perentorio. -La
città più vicina dista una
decina di ore da qui, anche se credo che la sua popolazione sia stata
decimata
negli ultimi tre giorni- aggiunse con un sorriso lugubre.
-Non dobbiamo più
parlarne- affermò Uborghin -Né tra noi
né con altri-
I Ragni annuirono.
-Per
rispetto a loro-
Una
spada era piantata nel
terreno.
Il
topazio sull'elsa luccicava, colpito dai
raggi del sole.
Feitan
si avvicinò lentamente, quasi non
trovasse la forza di raggiungere quell'arma.
In
lui si risvegliavano tanti ricordi, tante
sensazioni.
E
facevano male, tanto.
Si
fermò a un passo dalla tomba, gli occhi
bassi.
-Te
l'avevo detto che sarei venuto a
trovarti...- mormorò.
Dopo
anni, era riuscito a trovare il coraggio di
tornare.
Si
sedette a gambe incrociate e sospirò.
-Da
quando te ne sei andata sono accadute tante
cose...- iniziò, come se ce l'avesse davanti e le stesse
raccontando.
-Sai,
gli Occhi Scarlatti sono tornati... Ubo e
Paku sono morti, probabilmente saranno lì con te, ora. Be',
almeno non sei
sola. Non più. Ma io sì. Io mi sento solo, tanto
solo. Mi manchi tantissimo...-
disse a voce bassissima.
Rimase
in silenzio per qualche minuto.
-A
volte... Vorrei lasciarmi andare e non
pensarci più. Vorrei dimenticare. Ma poi ricordo, mi ricordo
di te, dei tuoi
scherzi e del tuo sorriso, e mi dico che sono solo un'idiota. Non
meritavo il
tuo amore. Non meritavo di vivere. Mi sento morire, a volte. E altre
volte
vorrei
morire. Senza di te... Non ce la faccio più a stare senza di te.-
continuò affranto.
Si
alzò in piedi, sfiorando la spada
sull'impugnatura.
-Mi
manchi, testona. Non sai quanto.- sussurrò,
accennando un sorriso amaro e malinconico, tristissimo.
Poi
si voltò, dando le spalle a quella tomba, e
se ne andò.
E mentre andava, udì un verso che conosceva fin troppo bene
provenire dal cielo.
L'estremità di un'ala piumata gli sfiorò la
guancia, scompigliandogli i capelli.
Si lasciò sfuggire un sorriso nel vedere il falco pellegrino
che volava in cerchio sopra la sua testa, lanciando il suo
insistentemente richiamo.
-Grazie-