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Autore: Keyla99    28/09/2013    2 recensioni
Otto neo-ragni.
Sì, otto.
Kuroro, Machi, Pakunoda, Nobunaga, Uborghin, Franklin, Feitan...
E una ragazza: Kaede.
Perché non se ne sa nulla? Perché?
Ecco la sua, la loro la storia.
Keyla
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Feitan, Genei Ryodan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok... Questo capitolo è mooolto più lungo di tutti gli altri, di fatto.
Dato che sono puramente malvagia, ho deciso di aggiornare e rovinarvi il week-end. 
Quando sarete arrivati alla fine avrete tutto il diritto di ammazzarmi di una morte lenta e dolorosa... 
Ma se non volete perdervi l'epilogo, vi consiglio di aspettare! 
Una recensione (anche solo per mandarmi a quel paese) sarebbe graditissima! 
Keyla

Capitolo 13.

Ti amo...

“Sogna, perché nel sonno puoi trovare quello che il giorno non potrà darti”

Lei sorrise divertita e annuì, scagliandosi poi contro il Kuruta. 
Evitò per due volte la sua frusta, ma alla terza venne colpita sul fianco, proprio sulla ferita. Una fitta di dolore acutissimo le esplose nel cervello e vacillò, ma riuscì a mantenersi in piedi. 
-Il campo di battaglia non è per le ragazzine- la sfotté quello. 
-Ma nemmeno per i vecchietti. Vecchietti con un pessimo gusto nel vestirsi, poi- gli rispose beffarda. 
-Sei troppo impertinente- la riprese il Kuruta attaccandola di nuovo. 
-Sì, me lo dicono sempre...- sorrise lei schivandolo.
Anche Feitan si rimise a combattere contro di lui, pur continuando a tenere d’occhio la chimera. 
I due ragazzi si muovevano perfettamente sincronizzati, merito di tutti i duelli che avevano fatto tra loro. Il combattimento in coppia era un’arte che avevano affinato col tempo. Erano a dir poco formidabili. Non facevi in tempo a parare la stoccata di uno che l’altra ti attaccava alle spalle. Senza contare che anche singolarmente erano fortissimi. 
Kaede non combatteva al massimo, ed il ragazzo se ne accorse subito. La ferita al fianco doveva indebolirla parecchio (la maglia nera che indossava era diventata ancora più nera a causa del sangue), e inoltre doveva mantenere il controllo mentale sulla sua Illusione. 
-Eccoli! Stanno combattendo!- 
I due non si distrassero sentendo la voce di Nobunaga, mentre l’uomo si allarmò vedendo arrivare lui e Ubo. 
-Volete una mano?- chiese il gigante scrocchiandosi le dita. 
-Ce la caviamo. Ma forse Kaede vuole il cambio- rispose Feitan gettando un’occhiata veloce alla compagna. 
-Sto bene- replicò lei. -Piuttosto, fate attenzione alle chimere nere: anche se sono Illusioni, se ti prendono fanno piuttosto male!- li avvertì. 
I due annuirono, si sedettero a terra e si misero a guardare. 
Il Kuruta nel frattempo aveva formato un’altra creatura di Nen, e la fece attaccare la chimera dorata della ragazza, puntandola nel contempo con la frusta. L’Illusione fu assalita da due bestie in contemporanea, che la soppressero in poco tempo. La sua sconfitta causò a Kaede una fitta alla testa, e l’animale restante ne approfittò per caricarla. Volò per una decina di metri e cadde pesantemente  a terra con un gemito. Udì l’esclamazione preoccupata di Ubo attraverso una densa nebbia di dolore. Subito si sollevò sui gomiti e si mise in ginocchio, tentando di respirare a fondo. 
Portò una mano al fianco, ritirandola rossa di sangue. 
-Maledizione...- imprecò sottovoce. 
Si alzò in piedi e raccolse la sua spada, osservando la situazione con la vista appannata. 
“Oh, perfetto” pensò cercando di mettere a fuoco il campo di battaglia. 
Gli altri ragni erano chissà dove, impegnati con altri membri della tribù. 
Feitan combatteva da solo contro il Kuruta e due chimere, mentre altre due tenevano occupati Ubo e Nobu. 
Il ragazzo era in difficoltà. 
Doveva aiutarlo. 
Ignorando il bruciante dolore che la ferita le provocava lo raggiunse, e riprese a combattere assieme a lui. 
-Non dovresti startene buona, dopo la botta che hai preso?- fece il ragazzo in un tono ironico che celava malamente la grande preoccupazione che provava. 
-Io me ne sto in disparte e tu muori, ti piace?- replicò la ragazza concentrandosi per sgombrare la mente da tutta la nebbia che la invadeva. 
Lui non rispose. 
Il loro avversario li attaccò, sia con la frusta sia in un corpo a corpo. Si vedeva che era al limite: stava giocando le sue ultime carte. 
I due gli tennero testa ancora per qualche minuto, ma Kaede era in evidente difficoltà. Ormai la maglia era zuppa e le si era attaccata alla pelle. 
Faceva sempre più mosse sbagliate. 
-Adesso basta! Hai perso troppo sangue! Me la cavo da solo!- gridò Feitan con una nota di disperazione nella voce. 
Il Kuruta approfittò del suo attimo di disattenzione per avvolgergli la frusta attorno al polso che reggeva la spada. 
Con un secco strattone venne disarmato. Una chimera si voltò e si scagliò contro di lui. Kaede realizzò in un istante che si trovava in situazione critica. 
Come a rallentatore, vide la bestia balzare spalancando le fauci. Colse lo scintillio delle sue zanne, affilate come rasoi. Notò lo scintillio di trionfo degli occhi scarlatti incastonati sul volto stanco del Kuruta. 
Senza pensare, gli si parò davanti. 
Le zanne taglienti le lacerarono la carne in profondità, causandole un dolore infernale. 
Con un movimento fluido scagliò la lama in direzione dell’avversario, distante solamente qualche metro. La spada gli si conficcò nel petto fino all’elsa e gli trafisse il cuore. Un fiotto di sangue macchiò i capelli biondi dell’uomo e i suoi vestiti sgargianti mentre cadeva, e i suoi occhi persero la luce. 
Le Illusioni scomparvero. 
Kaede tentò di mantenere l’equilibrio, ma non riuscì e cadde all’indietro. 
Feitan si gettò in avanti e l’afferrò prima che toccasse terra. 
Per la prima volta da quando si conoscevano, lei vide il terrore negli occhi di lui. 
-Kaede...- mormorò -Perché ti sei messa in mezzo?- 
Lei capì quanto fosse disperato dal suo tono di voce. 
-Saresti morto- rispose semplicemente, forzando un sorriso che riuscì distorto dal dolore. 
-I membri della Brigata non sono tenuti a sacrificarsi l’uno con l’altro, lo sai- insistette il ragazzo, come se fosse una giustificazione. 
Come se ormai servisse  qualcosa. 
-Hai ragione- ansimò la ragazza -Ma... in quel momento non ti ho visto come “il numero 2 della Genei Ryodan”, eri solo “Feitan”... Il ragazzo che amo... Scusa per la scenata di stamattina, scusami tanto...- 
Tacque, con le lacrime agli occhi. 
Feitan perse quel poco di autocontrollo che ancora possedeva, e la strinse forte a sé. Desiderando di poterla trattenere per sempre tra le sue braccia. 
-Così mi fai male!- esclamò lei. Cercò di dirlo in tono scherzoso, ma ne uscì un rantolo. Subito lui allentò l’abbraccio. 
-Mi dispiace... è solamente colpa mia...- mormorò distrutto. 
Si accorse che una mano lo stava scuotendo con forza e che una voce lo stava chiamando da un pezzo: -Feitan! Feitan! Diamine, cosa fai fermo lì immobile! Rispondimi! Kaede... Bisogna curarla!- gridava Nobunaga, anche lui sull’orlo della crisi. Uborghin era corso a chiamare gli altri. 
Ma ormai... 
Con lo sguardo perso nel vuoto, il ragazzo scosse la testa e scacciò via la mano del samurai, concentrandosi solo sulla ragazza. 
-Kaede...- la chiamò con voce alterata. 
Lei annuì. 
-Avrei dovuto... dirtelo prima ma... non ho mai trovato il coraggio...- 
Si interruppe con un sussulto. 
Una lacrima di dolore corse lungo la sua guancia pallida, infrangendosi sul dorso della mano sporca di sangue. 
Non aveva mai pianto, mai,neppure quando era bambino, e mai si era sentito così male. 
Eppure... 
-Ti amo- sussurrò affondando il volto nei suoi lunghi capelli scuri, bagnati dal sangue e dalle lacrime -Ti amo...- 
Kaede sorrise, poi il suo volto fu attraversato dal dolore. Si aggrappò alla camicia che il ragazzo indossava e gemette forte, cercando di fermare i tremiti del proprio corpo. Si sollevò a fatica, fino ad essere alla stessa altezza del viso di lui. 
Rimasero a fissarsi negli occhi per un interminabile istante.
Oro nello zaffiro

Poi, assieme, si sporsero in avanti e si baciarono. 
Feitan, senza interrompere il contatto, le accarezzò una guancia. 
Gli prese una fitta al petto, quando avvertì la pelle di lei farsi sempre più fredda sotto ai suoi polpastrelli. 
Si concentrò sul suono del cuore della ragazza, ascoltandone i battiti.
Tum tum tum

Ma il muscolo era stanco.
Tum, tum, tum

Si staccarono. Lei aveva gli occhi chiusi.
Tum. Tum. Tum.

Stava per fermarsi.
Tum...
 
Poi tacque. 
-Kaede...- mormorò sconvolto, smettendo di trattenere le lacrime, che cadevano sulle sue nocche sbiancate dalla forza eccessiva con cui stringeva quel corpo inerme. 
E poi incominciò a piovere. 
Prima fu una pioggerellina leggera, delicata, poi si rafforzò. 
Forse anche il cielo stava piangendo. 
L’acqua cadeva incessante, ma nemmeno lei riusciva a lavare via il sangue che macchiava ogni cosa, dai vestiti dei due ragazzi all’erba del prato. 
Tantomeno il dolore e la sofferenza del giovane. 
Sprofondato nella più cupa disperazione, non si rese nemmeno conto che i compagni l’avevano raggiunto. 
-Feitan... piange?- fece incredula Machi, accorgendosi solo dopo un istante della morte dell’amica. 
E allora iniziò a piangere anche lei. 
Kuroro si avvicinò lentamente al compagno e con gentilezza, ma anche con una certa decisione, gli tolse dalle braccia il cadavere, reggendolo lui. 
Franklin cercò di scuoterlo, ma il ragazzo era diventato una statua di marmo. 
Aveva gli occhi sbarrati, il respiro spezzato. Fissava il terreno con lo sguardo perso nel vuoto. 
La parte davanti della sua camicia era macchiata di sangue - sì, il suo sangue - ma non pareva curarsene. 
La testa gli pulsava, e quelle immagini fin troppo reali si ripetevano all’infinito nella sua mente. 
-Feitan! Maledizione Feitan, sbatti le palpebre! Muoviti, dannazione! Reagisci!- 
Era di nuovo Nobunaga. Era fastidioso
Ma almeno quel fastidio scacciò via una parte - piccola, ma pur sempre una parte - di dolore, quel tanto che bastava da permettergli di ritrovare la cognizione di sé stesso e di ciò che lo circondava. Si guardò attorno: non erano più nel luogo in cui avevano combattuto, dovevano averlo trascinato via di peso. 
Improvvisamente, si sentì debole. 
Debole perché se non si fosse trovato in difficoltà Kaede non si sarebbe messa in mezzo, debole perché era crollato psicologicamente, debole perché lei era morta al posto suo. 
Aveva freddo, era inzuppato da capo a piedi di pioggia e sangue, e inoltre si sentiva terribilmente vuoto. 
Desiderò di morire, lo desiderò con tutte le sue forze. 
-Feitan, andiamo- la voce decisa di Kuroro lo risollevò dalla sua depressione. 
Sollevò di scatto la testa, mettendo a fuoco le altre sei figure che lo circondavano. 
Machi gli si accostò e gli sfiorò delicatamente la spalla. 
-Lascia che ti curi questa...- mormorò, alludendo alla ferita. 
Lui si scostò. 
-Non è quella che mi fa male- le rispose brusco. 
Furono le uniche parole che pronunciò di lì a diverse ore. 
Camminava con lo sguardo spento, non si sentiva nemmeno il suo respiro. 
Gli altri si preoccuparono moltissimo: non l’avevano mai visto fare così. cioè, sapevano che tra i due ragazzi ci fosse un legame molto forte, ma non credevano fosse amore. 
Amore. 
Quel sentimento che pareva tanto lontano dal ragazzo, eppure... 
Si sentirono in colpa per non averlo capito prima, per non aver evitato la morte della compagna.

Feitan non parlò per tre giorni. 
Anzi, sparì totalmente dalla circolazione. 
Grazie ad uno dei poter di Kuroro erano tornati immediatamente nel Ryuseigai. 
Lì avevano seppellito Kaede, nel luogo dove si riunivano da ragazzi, piantando la sua spada come una specie di lapide. 
Il giovane rimase totalmente in silenzio per tutto il tempo. Prima di andarsene si avvicinò all’arma e sfiorò la pietra gialla sul pomo, gli occhi tristi ed affranti. 
Agli altri ragni parve che le sue iridi fossero diventate più scure. 
Disse solo due parole mentre si allontanava: -Non cercatemi- 
I suoi compagni non provarono minimamente a fermarlo, né tantomeno a consolarlo. 
Capivano che voleva solo essere lasciato in pace e sfogare la frustrazione ed il dolore. 
Aspettarono, e nel frattempo si occuparono degli occhi scarlatti. Ma non li tennero a lungo come gli altri tesori. 
Verso la metà del quarto giorno Feitan tornò al Covo. 
Aveva un faccia da paura, con delle occhiaie spaventose e gli occhi cerchiati di nero. Il suo corpo era ricoperto di graffi, lividi e abrasioni, e si era procurato anche un paio di ferite gravi. Ma la cosa peggiore era il suo sguardo: gli occhi dorati avevano completamente perso il calore dovuto al colore giallo, ed erano gelidi, inespressivi.
Completamente vuoti

-Stai... bene?- chiese esitante Nobunaga, facendo un mezzo passo in avanti. 
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. 
-Lasciami stare- ringhiò, dirigendosi all’interno del palazzo. 
Non replicarono, e non pensarono nemmeno di fermarlo. 
-Machi, vai a vedere come sta. E cerca di convincerlo a farsi curare- ordinò Kuroro, visibilmente preoccupato. 
Lei annuì e si avviò all’interno, seguendo la traccia del suo Nen. Si fermò davanti ad una porta chiusa, l’entrata di una camera. 
Bussò, ma dato che non ricevette risposta decise di entrare comunque. 
Feitan era sul letto, steso su un fianco in modo da dare le spalle alla porta. La sentì avvicinarsi ma non si mosse. La ragazza si sedette sul bordo e lo guardò, poi si decise e lo scosse per una spalla. Tanto sapeva che non stava dormendo. 
Irritato, lui aprì gli occhi. -Che vuoi? Sto bene, lasciami in pace- sibilò richiudendoli. 
-A me non sembra- replicò Machi. Poi sfiorò una profonda lacerazione che partiva dallo sterno e arrivava al torace, facendolo sussultare impercettibilmente. 
-Ti fa male, vero? Ma che diavolo hai fatto?!- sbottò con voce alterata. -Anzi, non dirmelo che lo so: ti sei fatto male da solo. Lei non te lo avrebbe mai perdonato.- gli disse in tono di rimprovero. 
Il volto del ragazzo si contrasse in una smorfia sofferente. -“Lei” non c’è più- disse con voce forzatamente ferma, sempre tenendo gli occhi chiusi. 
-Ci ho messo del tempo per accettarlo. Quindi, ti prego, non ricordarmela- la supplicò poi. 
-Il dolore fisico non scaccerà quello emotivo- fece pacata, sfilando un ago dal cuscinetto che portava al polso. 
-È il mio corpo- replicò duro. 
Ma non aggiunse nulla, e Machi poté saturargli la maggior parte delle ferite. 
Quando ebbe finito lui non la ringraziò - sapeva che non lo avrebbe fatto - ma quando lei fece per andarsene parlò: -Dì a Kuroro che possiamo partire quando vuole.-
Machi si bloccò sulla soglia, come fulminata. 
Stava per rispondergli che non era né sarebbe mai stato un peso, ma si rese conto che si era già addormentato. 
Le sfuggì un sorriso. 
Poi uscì in silenzio, richiudendosi la porta alle spalle. 
-Come sta?- chiese Paku appena la vide scendere. 
-Fisicamente bene, ora, ma la ferita più grave e profonda non è visibile e non posso curarla...- rispose Machi abbassando gli occhi. 
-Il suo sguardo... non era vivo...- mormorò Nobunaga. 
-Probabilmente non sorriderà mai più- constatò Pakunoda. 
-Di certo. Non senza di lei.- le diede ragione l’altra ragazza. 
-Ora dorme come un sasso, ma quando si sveglierà vorrà mettersi in viaggio. Non vuole assolutamente ritardare le nostre attività...- 
Il Capo scosse la testa. -E non succederà: domani ce ne andiamo.- affermò perentorio. -La città più vicina dista una decina di ore da qui, anche se credo che la sua popolazione sia stata decimata negli ultimi tre giorni- aggiunse con un sorriso lugubre. 
-Non dobbiamo più parlarne- affermò Uborghin -Né tra noi né con altri- 
I Ragni annuirono. 
-Per rispetto a loro-

Una spada era piantata nel terreno.
Il topazio sull'elsa luccicava, colpito dai raggi del sole.
Feitan si avvicinò lentamente, quasi non trovasse la forza di raggiungere quell'arma.
In lui si risvegliavano tanti ricordi, tante sensazioni.
E facevano male, tanto.
Si fermò a un passo dalla tomba, gli occhi bassi.
-Te l'avevo detto che sarei venuto a trovarti...- mormorò.
Dopo anni, era riuscito a trovare il coraggio di tornare.
Si sedette a gambe incrociate e sospirò.
-Da quando te ne sei andata sono accadute tante cose...- iniziò, come se ce l'avesse davanti e le stesse raccontando.
-Sai, gli Occhi Scarlatti sono tornati... Ubo e Paku sono morti, probabilmente saranno lì con te, ora. Be', almeno non sei sola. Non più. Ma io sì. Io mi sento solo, tanto solo. Mi manchi tantissimo...- disse a voce bassissima.
Rimase in silenzio per qualche minuto.
-A volte... Vorrei lasciarmi andare e non pensarci più. Vorrei dimenticare. Ma poi ricordo, mi ricordo di te, dei tuoi scherzi e del tuo sorriso, e mi dico che sono solo un'idiota. Non meritavo il tuo amore. Non meritavo di vivere. Mi sento morire, a volte. E altre volte vorrei morire. Senza di te... Non ce la faccio più a stare senza di te.- continuò affranto.
Si alzò in piedi, sfiorando la spada sull'impugnatura.
-Mi manchi, testona. Non sai quanto.- sussurrò, accennando un sorriso amaro e malinconico, tristissimo.
Poi si voltò, dando le spalle a quella tomba, e se ne andò. 
E mentre andava, udì un verso che conosceva fin troppo bene provenire dal cielo. 
L'estremità di un'ala piumata gli sfiorò la guancia, scompigliandogli i capelli. 
Si lasciò sfuggire un sorriso nel vedere il falco pellegrino che volava in cerchio sopra la sua testa, lanciando il suo insistentemente richiamo.
-Grazie- 

   
 
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