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Autore: oraprovoascrivere    28/09/2013    2 recensioni
Non so spiegare perché proprio la stazione mi rilassi così tanto.. forse mi aspetto che, un giorno o l'altro, sarò abbastanza coraggiosa da partire, senza valigia o altro, senza nessuna destinazione precisa.
Salire su un treno, quello più colorato, magari, e scendere alla fermata con il nome più bello, e non tornare mai più indietro.
Oppure aspetto semplicemente qualcuno che scenda da un vagone qualsiasi di un treno qualsiasi e venga a salvarmi dalla mia vita, qualcuno che mi prenda per mano e mi dica "Andiamo, c'è tutto un mondo da visitare insieme.".
Ecco, allora sì che partirei, anche immediatamente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Sono appena tornata a casa e, come ogni volta, i miei non erano assolutamente preoccupati della mia momentanea sparizione.
Ora sono in camera, ho un'irrefrenabile bisogno di disegnare. Mi viene l'impulso spontaneo di farlo quando sono sommersa da così tante emozioni da non riuscire neanche a distinguerle tra di loro. Un po' come oggi. Non ho un'idea in mente fin da subito, inizio abbozzando qualche linea, poi piano piano capisco ciò che il cuore sussurra, e così inizio con la mano a tradurre tutto quel groviglio che provo dentro in qualcosa che può avere un senso. Ed è così anche adesso: una piccola curva a destra, un'altra un po' più chiusa sulla sinistra, qualche ombra qua e là.. mi fermo un secondo a contemplare quell'ammasso, all'apparenza casuale, di linee, e subito capisco: sono due mani intrecciate. Sono stupita di me stessa, non avevo mai disegnato nulla del genere. Non per vantarmi, ma devo ammettere di essere piuttosto brava con foglio e matita, ma questa volta c'è qualcosa di diverso, non saprei definire cosa. Ad opera finita vado verso la scrivania, cerco lo scotch e lo trovo dentro ad un calzino, ne prendo quattro piccoli pezzi e li uso per attaccare il mio disegno al muro. Non è l'unico, l'ho già fatto con altri, quelli che mi piacevano di più.
La mia camera è molto personalizzata, essendo figlia unica ho potuto farci quello che volevo. E' piuttosto estesa, con una grande scrivania costantemente in disordine,un armadio verde speranza sulla sinistra ed un letto a due piazze pieno di cuscini da abbracciare nelle notti in cui la solitudine si fa sentire più del solito; sopra la testata del letto c'è un acchiappasogni azzurro chiaro che un anziano signore indiano mi aveva regalato quando ero stata in vacanza a Londra. Non che funzioni granché, ma ormai mi ci sono affezionata; un altro muro della stanza è quasi inesistente, data l'enorme finestra che ne occupa tutto lo spazio e da cui ho una meravigliosa vista del mare. D'inverno amo mettermi un maglione, prepararmi una cioccolata calda, sedermi sul bordo e stare ore ed ore ad ammirare l'orrizonte. i muri sono bianchi ma si vedono ben poco, dato che sono tappezzati di quadri, citazioni, foto e miei disegni, per non parlare dell'imensa libreria che si estende lungo tutta una parete ed è piena zeppa di tutti i libri che ho letto. Come dice mia madre, io i libri non li leggo, li vivo. Be', non vedo cosa ci sia di sbagliato, tutto sommato. Ognuno ha la sua sua dipendenza, il suo modo per fuggire dalla realtà che ci circonda, per vedere il mondo un po' più rosa invece che solo di un triste nero: c'è chi si droga, chi beve, chi fuma, e poi ci sono io, che leggo. Mi considero decisamente fortunata.
Mi avvicino alla libreria e la scorro diverse volte, facendo avanti e indietro, e sfiorando delicatamente una fila di libri con le dita. Vorrei leggere, ma nessuno dei titoli che scorgo mi attira più di tanto. Strano, stranissimo. Non mi era mai successo, davvero non so cosa mi prende. O forse sì, lo so, ma semplicemente non voglio ammetterlo. Non riesco a smettere di pensare al ragazzo della stazione, quello del treno delle 15.07; domande su domande continuano ad instasarmi la testa senza lasciarmi riposare: Qual è il suo nome? Dov'è stato? Per quanto tempo è stato via? Cosa fa nella vita? Quali sono i suoi sogni?, e via così. Sto diventando matta. Non è normale che uno sconosciuto totale occupi così tanto la mia mente.
Decido allora di andare a fare la doccia, ma mi accorgo praticamente subito che è la scelta sbagliata: tutti sanno che si ragiona meglio sotto il getto dell'acqua calda; e infatti ecco altre mille curiosità su quell'affascinante ragazzo che mi inondano il cervello, migliaia di pensieri disconnessi tutti insieme. Non riesco a trovare la pace neanche nella doccia. Esco, mi vesto, asciugo i capelli e mi stendo sul letto. Proprio in quel momento i miei ricominciano a litigare furiosamente. Mi sembrava strano, era passato troppo tempo dall'ultima volta. Non ho voglia di starli a sentire, perciò metto le cuffie e mi lascio trasportare dalle note di "Hey there Delilah". Amo questa canzone, mi fa credere nell'amore a distanza, benché sia un argomento che mi lascia un po' perplessa. Io vedo l'amore come un sentimento di atti, non di parole: penso sia inutile dire mille volte "Ti amo" ma non dimostrarlo mai. E come si fa a dimostrare il proprio amore verso qualcuno che è lontano? Non ci sono carezze, non ci sono baci, non ci sono piccoli momenti di intimità, non c'è nulla. Questo è solo il mio modestissimo parere, ovviamente. Questi ragionamenti riescono finalmente a distrarmi un po', quel tanto che basta per far sì che io mi addormenti. Non è un sonno profondo, sono solo le 18.30 dopotutto, è un dormiveglia leggero, che fa salpare la mia mente verso mari sconosciuti ed infiniti. Mi alzo dopo circa un'oretta, ancora più stanca di prima.
E' ancora presto per la cena in casa mia, così mi dirigo verso la scrivania, prendo un foglio ed una penna ed inizio a scrivere un nome, Davide. In testa ho ancora l'immagine del ragazzo della stazione, perciò immagino che quel nome sia suo. Ovviamente non si chiama così davvero, ma mi piace affibiare nomi a persone che non conosco, e poi inventarmi una storia su di loro. Non so, dar loro un nome li rende più.. reali. Il mio cuore dice Davide, e Davide sia. Inizio a scrivere poche parole, e finisco per riempire pagine intere: è un ragazzo orfano di padre, la madre lo ama più di se stessa, ha frequentato il liceo scientifico ed ora frequenta la facoltà di medicina di Milano. Il padre era morto di cancro, perciò il suo sogno è quello di trovare una cura per quella terribile malattia e salvare più vite possibile. E così, tra una parola ed un'altra, sono le 20.15.
Sono davvero affamata, ma non ho per niente voglia di alzarmi per andare in cucina a mangiare qualcosa che sicuramente sarà freddo e mi rimarrà sullo stomaco, perciò decido di rimanere qui, sul letto, sempre con le cuffie alle orecchie, e di far andare la mente a briglia sciolta, stanca di opporre resistenza ad immagini di capelli biondo scuro ed occhi verdi. Ed è proprio in questo modo che, finalmente, scivolo lentamente nel mondo dei sogni.


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Ciao a tutti!
Allora, tanto per cominciare vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto il primo capitolo di questa mia storia,
sia quelli che hanno recensito sia i "lettori silenziosi" che non l'hanno fatto.
Un ringraziamento speciale va a chi ha messo questa storia tra le preferite, tra le seguite o tra le ricordate.
Mi riempite il cuore di gioia, davvero.

Detto questo, spero che anche il secondo capitolo vi appassioni,
e soprattutto spero davvero di non deludervi.
Proprio come l'altra volta vi chiedo di recensire in molti,
amo avere i vostri pareri, anche se sono negativi.
Buona lettura a tutti,

- oraprovoascrivere
  
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