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Autore: nals    29/09/2013    0 recensioni
"Fatti più in là"
"Voglio solo..."
"Sei troppo vicino..."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ai cardellini in gabbia


 
"Fatti più in là"
"Voglio solo..."
"Sei troppo vicino."
"..."
"Soffoco, io così soffoco. Bastano trecento secondi circa, no? Me l'hai detto tu. Quattro o cinque minuti e il mio cervello 
si ridurrà ad una necropoli molliccia di neuroni deceduti; dai sette ai dieci per i danni irreversibili. 
Ora, traducimi tu 'danni irreversibili'. Raccontami cosa saranno con esattezza i miei 'danni irreversibili'. Io penso ad una me sconosciuta e alle meduse. 
E a te che non mi dirai mai più "i tuoi dannati occhi blu. Oh, i tuoi dannati occhi blu". Sarò un fantoccio beota. Una sagoma gelatinosa. 
Sbaverò e riderò di continuo e non credo che il mio esanime cervello, un tempo sopraffino, potrà opporsi al mio delirare. Non proverò mai più a 
strapparti quelle zampette di ragno che ti crescono al limitare delle palpebre, non volontariamente almeno. E sì mi riferisco alle tue ciglia, già. 
Che poi non lo saprò nemmeno, che si chiamino in quel modo."
Alzi gli occhi al cielo borbottando uno 'shhhhh' spazientito e riduci la distanza lasciando aderire la tua spalla alla sua, stringendo la presa delle tue sulle sue dita.
"Non potrò ascoltare i tuoi versi adorabili, mai più. E dovrai pulirmi il culo" ti sussurra sulla pelle del collo e tu pensi "Dio merda".









Andrea è sgusciata via, raccogliendosi nello spazio esiguo, circoscritto alle sue stesse ossa; ha preso chilometri e perso colore, 
mescolandosi all'effimero inafferrabile.
Ricordi il broncio serio, la zazzera impazzita di fili d'oro che erano - sono - i suoi capelli e quegli occhioni enormi a scrutarti da dietro l'oblò 
sgangherato di una vecchia lavatrice - una delle tante - lasciata a marcire tra altri elettrodomestici e ruderi d'arredamento nella discarica fuori città. 
Mezz'ora di corsa da casa.
Siete finiti a tirarvi sassi e sabbia per una qualche ragione, accusandovi in silenzio per qualche motivo. E' durato poco. 
Tua sorella Lucia è sbucata da dietro il divano rosso mezzo spolpato - lei, le sue gambe tozze e lo sguardo allucinato di chi non è in grado di cogliere il filo
 della situazione, ma sa esattamente come risolvere la cosa - e t'ha riportato a casa riempiendoti di schiaffi. 
Lei l'hai vista due giorni dopo, lei e i suoi occhi sempre troppo blu.
E' diventata Andrea un caldo giorno di giugno. Avevi i capelli appiccicati alla fronte e le gambe scure dilaniate dai morsi di zanzara.
Andrea era uno scricciolo diffidente fasciato in un paio di calzoncini a fiori blu. 
Hai pensato che con quelle trecce fosse più bella del bacio che ti scoccava la mamma poco dopo aver spento la tv.
Eravate in classe insieme e a cena eri quasi sempre da lei. Suo padre tifava Milan, tu pure, e la signoria Filomena ti riempiva il piatto, preoccupandosi della tuo colorito pallido.
Marco s'è detto innamorato di Andrea un paio d'estati più tardi. Eravate ad un passo dal liceo.
Tu avresti voluto urlargli "stagli lontano; lei non è per te, lei non è per nessuno"
Andrea è per i cartoni animati delle quattro del pomeriggio in salotto da te, per le lucciole morte asfissiate in un barattolo di latta, 
per le storie spaventose sussurrate a notte fonda sotto un lenzuolo bucherellato, per il gelato alla fragola a sciogliersi tra le dita. 
E le lezioni di piano dalla signora Gaia, e la messa la domenica.
Ma non è stato necessario. Andrea l'ha mandato a quel paese tirandogli un pugno sul naso, lui aveva provato a rubarle un bacio. 
Tua madre ha davvero temuto fossi impazzito: studiavi i polinomi e ridevi, ridevi, ridevi.
Per un po' hai sperato che Andrea rimanesse tutta spigoli ed occhi blu; e i libri che vi scambiavate, la musica dei vinili del negozio 
all'angolo in cui vi rifugiavate sempre dopo scuola...  la necessità ibernata di tenervi stretti senza avvicinarvi mai.
Per un po' l'hai sperato, si'.
Ma Andrea ti è sbocciata tra le dita all'improvviso. E' diventata donna, ma è rimasta fragile. Per te.
Te che soffocavi immobile tra le lenzuola gialle e blu, tutti i pomeriggi, mentre lei ti fotocopiava su di un quadernetto ingiallito, 
ridisegnandoti sempre troppo imbronciato e  appiattito. Tu t'incantavi a fissare l'ombra della linea delle sue clavicole sporgenti.
Ricordi con disperazione l'abbraccio in cui t'ha stretto dopo aver fatto l'amore con Valerio.
"Uccidilo, Da'. Uccidilo. Io l'am... Pensavo d'amarlo e lui m'ha spezzata."
Tu hai nascosto un sorriso un po' tenero, un po' amaro sulla pelle calda dell'incavo del suo collo.
"Sta' tranquilla. Ci sono io. E' così che deve andare" e tu ne sapevi già qualcosa. Chiara e Arianna e Francesca ne sapevano già qualcosa.
Andrea si è addormentata ascoltandoti leggere d'un angelo senz'ali che non sorrideva quasi mai, invece di studiare filosofia. 
L'angelo senza ali che era lei, ma che non lo sapeva.
Non sapeva nemmeno d'aver mandato tutto al diavolo, Andrea, mentre trascinava i suoi libri nuovi fuori di casa e studiava economia, 
seppellendo le pareti giallo vomito della camera che non riusciva ancora a chiamare sua di disegni sempre troppo cupi. Li costringeva li', 
con linguette di scotch strappato coi denti, per poi accartocciarli e buttarli via di notte. Così.
Tu studiavi medicina e contavi le vertebre di Giulia con i polpastrelli, le rimodellavi la pelle con le labbra; t'annientavi e ti perdevi in lei, tra le sue cosce e la sua bocca.
Era bella Giulia, è bella, com'è bello il sole. Eppure tu di notte sognavi di crepare al freddo, rannicchiato sul fondale melmoso di un lago blu blu blu.
Andrea ti scriveva poco e te la immaginavi piccola piccola mentre le raccontavi al telefono miseri sprazzi d'una vita che sembrava non appartenerti davvero.
Vi rivedevate a Pasqua e a Natale. Tua mamma continuava a chiederti di Giulia "quando ce la porti, tesoro? Voglio conoscerla!" e tu osservavi le dita fini di Andrea 
serrate sulla tazza intatta di té che vi era stata offerta, e il suo sorriso, e le ombre scure che erano le linee delle sue clavicole.
Anche Andrea ti guardava - blu blu blu - e diceva: "anch'io, voglio conoscerla anch'io".
Tu pensavi "no" come quando tua sorella le ripeteva di quanto quella magrezza l'avesse imbruttita.
"No"
S'è solo persa, Andrea. E non so più come afferrarla.
Vi stringevate rigidi in stazione prima d'infilarvi in carrozze semivuote che vi avrebbero portato ancora pià lontano. Lei ti guardava, tu la guardavi. 
Ti masticavi le labbra secche in preda alla disperazione e lei tossiva il fumo d'una sigaretta rubata. 
Tu la guardavi, lei ti guardava; il tempo bruciava in fretta e in pancia germogliavano neoplasie di "mi manchi" che non avresti tirato fuori né prima, né dopo il "ciao" 
o lo "stammi bene" o il "chiamami" borbottato senza fissare i tuoi occhi nei suoi. Alla fine avresti voluto solo stringerla forte in modo 
che il "sono tuo e tu non lo sai" le si cucisse addosso senza il bisogno che vomitassi tutto quel mancarvi in un lercio bagno del cazzo 
dopo aver permesso che lei continuasse a scivolarti via, ancora.

Giulia l'hai portata a casa con la laurea.
Sono tutti impazziti.
E' bella Giulia, come è bello il sole.
Tua mamma ha risistemato la mansarda per voi due, riempiendola di vasi.
Tutto profumava di lavanda, persino Giulia, quando te la sei scopata sul pavimento perché sul letto no. Il letto proprio no. 
C'erano le lenzuola gialle e blu.
L'hai guardata dormire al tuo fianco e a un certo punto non hai respirato più.
Sei sgattaiolato via, precipitandoti giù dalle scale. Hai infilato il portone in fretta e furia.
Aria aria aria aria.
E hai camminato, camminato, camminato.
'Scendi per favore'. Invio. Ti tremavano le mani, e non funzionava un cazzo, non funzionava un cazzo.
Eri lì nel suo giardino, a pochi passi dal vialetto ciottoloso, e la luna risplendeva bella e lontana.
Eri lì nel suo giardino, il fuoco in gola. E tremavi e c'era lei ad una spanna - così piccola e sottile - fasciata nel pigiama di cotone chiaro.
Era lì di fronte, sì. I capelli arruffati, lo scuro sotto gli occhi.
"Come sapevi che ero qui?"
"Non lo sapevo"
Hai farfugliato in fretta, riempiendoti gli occhi e la testa di lei.
Tu la guardavi, Andrea guardava te.
L'hai vista schiudere più volte le labbra, per poi richiuderle in fretta senza emettere alcun suono.
E sentivi " soffoco, soffoco, soffoco" mentre il tuo corpo fremeva, bruciava stanco, stanchissimo. E pensavi, pensavi. 
 mia mia mia mia mia
E' questo desiderare tanto intensamente una persona? E' questo?
Un attimo prima avevi la sua mano sulla guancia - le dita a sfiorarti le ciglia lunghe - un attimo dopo lei non c'era più.
Andata. Sparita.
E l'hai provato. Il vuoto dentro. Scuro, freddo, incolmabile. E pensavi "mia mia mia mia". Pensavi "mia" e lei non c'era.


Riflettendoci, oggi, continui a sperare che quel Davide le corra dietro e l'afferri. Che la stringa fino a far male ad entrambi e le s'incolli addosso per intero.
"Sono tuo e non lo sai. E tu? Vuoi essere mia per un po'? Un po' che è tutta la vita? 
Un po' che è tutti i ritratti che non riavrò mai indietro ed i versi che traboccano di te in ogni sillaba, e la tua fissazione per i cervelli
 che è diventato il mio lavoro. 
Vuoi essere un po' mia?"



Nei suoi sogni Davide la rincontra, Andrea.
Lei che tossisce il fumo d'una sigaretta rubata, quegli occhi dannatamente grandi e troppo troppo blu e l'ombra scura che è la linea delle sue clavicole.
 
 



















Perdonatemi. Ho fatto un casino con l'html. E' uno schifo. E niente.
Grazie.



nals
   
 
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