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Autore: Lavandarose    30/09/2013    9 recensioni
Capelli lunghi e scarmigliati,pantaloni neri e camicia bianca a maniche lunghe sporca di sangue. Così Cesare Borgia,alla testa di un manipolo di francesi, si presentò a Caterina Sforza. L'uomo la vide e un sorriso beffardo gli si aprì sul volto.
-Contessa! - esclamò, mentre gli occhi neri gli si stringevano in due fessure trionfanti. Ci era riuscito, era penetrato in Forlì e nella rocca della Sforza.
- Valentino. Dunque quello che si racconta di voi è vero: siete una bestia vestita di broccati. Avanti, entrate da vincitore, in fondo è questo che volete essere, vero? Il vincitore, a scapito di povera gente che nulla vi ha fatto. Vi odio per quel che state facendo al mio Ducato -
Il Borgia rimase in silenzio, la spada stretta alla destra. Sempre sorridendo fece qualche passo in direzione della donna, che immobile lo guardava con fierezza. Arrivato davanti a lei si chinò leggermente in avanti parlandole piano, quasi con un sussurro.
- Vi sbagliate, Contessa -
Lei lo guardò, stupita: - Volete dire che non siete una bestia? -
- No, che posso essere anche più bestia di così -
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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Squadra (dal II turno al VIII turno): bianca

Giudice responsabile: Andrea

Turno: quarto

Titolo Storia: Improbe amor

Rating:arancione

NdA: Cesare Borgia ( http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Borgia) e Caterina Sforza ( http://it.wikipedia.org/wiki/Caterina_Sforza) sono due personaggi storici molto particolari. Lei, soprattutto, è ricordata per le sue grandi capacità combattive in difesa di Forlì, il suo Ducato, e per i suoi studi esoterici e chimici. Tanto per dirne una, un suo trattato sulla cosmetica contiene ricette valide ancora oggi per la creazione di creme e trucchi! Di questo ricettario, Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, sono citati due passi in questo racconto.

Caterina, bella e volitiva, aveva assunto nel 1488 il governo delle città di Forlì e Imola, in attesa della maggiore età del figlio Ottaviano, dopo la morte del primo marito Girolamo Riario. Fu una periodo felice e prospero, fino all'avvento sulla soglia pontificia di Rodrigo Borgia, Alessandro VI, nel 1492. Da quel momento in Italia si aprì un periodo di guerre, soprattutto tra i Ducati di Milano e Napoli e i loro rispettivi alleati, anche stranieri. Caterina, sapendo che la sua terra si trovava in una posizione strategica, sulle prime riuscì a mantenersi neutrale, fino al 1499. Nell'estate di quell'anno, infatti, papa Alessandro VI si era alleato con il re di Francia Luigi XII per avere in cambio il suo appoggio nella costituzione di un Regno per il figlio Cesare Borgia nella Romagna. E proprio per questo con una bolla papale fece decadere dai loro diritti tutti i governatori di quelle terre, Caterina compresa.

Quando l'esercito francese partì da Milano con Cesare alla conquista della Romagna, Caterina cercò di correre ai ripari chiedendo aiuto a Firenze. Ma i fiorentini erano stati minacciati dal Papa, che intimava loro di togliere Pisa, dunque rimasero neutrali. Quindi lei rimase sola a difendersi. Iniziò subito ad arruolare e addestrare quanti più soldati poteva e a immagazzinare armi, munizioni e viveri. Fece rinforzare le difese delle sue fortezze con opere importanti, soprattutto quella di Ravaldino dove lei stessa risiedeva e che era già considerata inespugnabile. Fece anche partire i figli che furono accolti nella città di Firenze. Il 24 novembre Cesare conquistò Imola e il 19 dicembre arrivò a Forlì e pose l'assedio alla rocca. Caterina resistette per molti giorni, fino a che il Valentino non iniziò a bombardare le mura della rocca in continuazione, fino a che riuscì ad aprire due grossi vachi. Il 12 gennaio del 1500 la battaglia decisiva fu cruenta e Caterina fu fatta prigioniera e cadde nelle mani di Cesare Borgia.

Il Valentino la tenne con sé per quindici giorni nelle stanze da letto della contessa, prima di portarla a Roma, in direzione della prigione di Castel Sant'Angelo.

Nessuno sa cosa sia successo davvero in quei quindici giorni, alcuni parlano di un Borgia vendicativo, che per ripicca avrebbe usato violenza su di lei. Altri, però, riportano testimonianze differenti, come il fatto che l'uomo fosse rimasto affascinato dal coraggio di Caterina e che avesse passato le notti con lei parlando di molteplici argomenti e chiedendole di sfilare per lui con i suoi abiti più sontuosi, sempre più preso da lei. E che se poi qualcosa ci fu, fu consenziente da entrambe le parti. In fondo tutti poi videro Caterina cavalcare a fianco a lui nel viaggio verso Roma. A fianco: come una regina, non come una prigioniera. Io preferisco aderire a questa seconda ipotesi.

Il Valentino rimasto solo a Forlì con le truppe pontificie, si diresse verso Roma, attorno al 5 di febbraio, dove condusse anche Caterina che venne in un primo tempo sistemata nel palazzo del Belvedere. Verso la fine del mese di marzo Caterina tentò di fuggire ma fu scoperta e immediatamente imprigionata a Castel Sant'Angelo. Per giustificare l'incarcerazione di Caterina, papa Alessandro VI l'accusò di averlo voluto avvelenare con delle lettere impregnate di veleno spedite nel novembre del 1499, in risposta alla bolla pontificia che deponeva la Contessa dal suo feudo.

Ancora oggi non si sa se l'accusa fosse fondata oppure no. Machiavelli si dice convinto che Caterina avesse veramente tentato di avvelenare il Papa, mentre altri storici non ne sono altrettanto certi. Si tenne anche un processo che però non si concluse e Caterina rimase incarcerata nella fortezza fino al 30 giugno del 1501, quando fu liberata da Yves d'Allègre, comandante delle truppe francesi, che era giunto a Roma con l'esercito di Luigi XII per conquistare il Regno di Napoli. Alessandro VI pretese che Caterina firmasse i documenti per la rinuncia dei suoi Stati, visto che nel frattempo il figlio Cesare, con l'acquisizione di Pesaro, Rimini e Faenza, era stato nominato duca di Romagna.

Dopo un breve soggiorno nella residenza del cardinale Raffaele Riario, Caterina si imbarcò per raggiungere Livorno e poi Firenze, dove l'attendevano i suoi figli. Caterina Sforza morì a Firenze nel 1509, Cesare Borgia in Spagna nel 1509. Non si rividero mai più.

La storia inizia la notte della battaglia del 12 gennaio per proseguire con quel che io penso sia successo tra questi due grandi personaggi storici.

Buona lettura!


Questa storia è dedicata al gruppo The Family Business! L'unico che può prendermi a calci. Loro sanno! <3
 


 


 

- Improbe Amor -


 


 

Ascolta questa sconsolata
Catherina da Forlivo
Ch'io ho gran guerra nel confino
Senza aiuto abbandonata
Io non veggo alcun signore
Che a cavallo monti armato
E poi mostri il suo vigore
Per difendere il mio stato
Tutto il mondo è spaventato
Quando senton criar Franza
E d'Italia la possanza
Par che sia profundata
'Scolta questa sconsolata
Catherina da Forlivo...

( Marsilio Compagnon, ballata dedicata a Caterina, XVI secolo)


 


 


12 gennaio 1500, notte, un'ala della rocca


Il piccolo fuoco continuava a scoppiettare tranquillo nel camino anche se il silenzio della notte era disturbato da colpi di cannone.

Continui.
Caterina Sforza strinse con forza le dita sul grande tavolo di legno al centro della stanza. Sapeva che le cose stavano prendendo una brutta piega. Nonostante le armi, i viveri e le munizioni raccolti per resistere all'attacco del Valentino, Forlì stava per cadere tra le braccia del suo nemico più pericoloso.
La donna cercò di scacciare il mal di capo che le attanagliava la testa e di non sentire il rumore dei bombardamenti che si avvicinavano. Non poteva però far finta di nulla. Si girò verso il suo segretario, Marcantonio Baldraccani, con lei fin dall'inizio dell'assedio. Vide che l'uomo la guardava, in silenzio, chinando impercettibilmente la testa a ogni rimbombo di palla di cannone.
Caterina si lisciò il lungo vestito di broccato marrone e cercò di calmare le mani tremanti. Era arrabbiata. Sapeva di essere la preda politica del Papa, o meglio delle sue mire espansionistiche, ma mai, mai avrebbe immaginato di finire in questo modo. La sua Forlì, la sua Imola! Come avevano osato? L'avrebbero pagata cara, questo era fuor di dubbio.
Ma quando? Al momento la contessa vedeva solo il fumo grigio delle bombe e sentiva il silenzio della sua gente, stremata per un assedio che stava subendo da troppi giorni.
Si scostò dalla fronte una ciocca di capelli biondi sfuggita dalla severa pettinatura a doppia treccia incrociata dietro la nuca e guardò l'uomo davanti a lei.
- Quanto potremmo resistere ancora? - una domanda, una preghiera forse.
Lui la guardò: era sempre bella la sua signora, stanca, ma piena di voglia di vivere. Rimase per un attimo a fissare quei grandi occhi che imploravano una risposta che non avrebbe potuto dare e poi si decise: - Non molto, Contessa. Mi spiace, ma le truppe del Valentino stanno fiaccando la nostra resistenza. E ritengo che siano quasi riusciti a forzare la rocca -
Un moto di stizza della donna accompagnò le ultime parole del Baldraccani. Caterina era a conoscenza della situazione, ma avrebbe voluto sentire un discorso diverso. Si strinse le mani una contro l'altra mentre rivolgeva un'implorazione al cielo. Poi smise. Perché Dio avrebbe dovuto ascoltarla? Proprio quel Dio, il cui rappresentante terreno le aveva mosso una guerra?
In silenzio fece qualche passo per posizionarsi davanti al grande camino che prendeva tutta una parete. Faceva freddo, ma la donna aveva deciso di utilizzare poca legna per scaldarsi, dividendo ciò che aveva con il suo popolo coraggioso. Anche la stanza era in penombra, visto che il lampadario candeliere del salotto era spento. La cera poteva essere utilizzata in altri modi ed era comunque meglio non segnalare la presenza della donna in quella stanza con luci troppo forti. Anche se, Caterina era sicura, Cesare aveva capito benissimo in quali stanze lei si muoveva principalmente, ed era proprio in quelle direzioni che aveva fatto puntare i suoi cannoni. Fortunatamente le finestre di quell'ala del castello erano state costruite un po' più piccole delle altre, proprio per cercare di difendersi dal pungente freddo invernale e quindi la donna aveva la speranza di non farsi vedere, la notte, mentre passava da una zona all'altra della rocca, in pena per la sua gente e per sé.
Ma se li sentiva sempre addosso. Sì, sentiva un paio di occhi che la seguivano in ogni suo passo, come se le volessero entrare nell'anima. E lei sapeva quanta malvagità ci poteva essere in quello sguardo: negli occhi del Valentino.
- Bene, allora dovremmo continuare a resistere fino alla fine – poche, scarne parole che stavano a testimoniare la convinzione di Caterina di essere arrivata all'ultimo giorno della sua vita. Fortunatamente era riuscita a inviare i suoi figli a Firenze prima dell'inizio dell'assedio.
Firenze, ingrata!, pensò la donna. La città non aveva voluto schierarsi al fianco di Imola e Forlì per paura di perdere Pisa. Per questo aveva accettato di ospitare i figli fuggiaschi di Caterina. Do ut des, sempre la solita storia.
Si girò verso il segretario per impartirgli ancora qualche ordine, ma un rumore più forte degli altri le fece automaticamente portare la mano allo stipite del caminetto per mantenere l'equilibrio, reso precario dalle vibrazioni che correvano attraverso i muri. Anche Baldraccani era scivolato in avanti e si era aggrappato a una delle quattro sedie che circondavano il tavolo.
-Che sta succedendo? - domandò Caterina, anche se, in cuor suo, già conosceva la risposta.
- Temo siano riusciti a penetrare una delle mura principali – rispose l'uomo mentre riprendeva un certo contegno e si dirigeva alla porta per valutare la situazione. Caterina lo seguì, fermandosi pochi passi dietro a lui, impietrita per la gravità di ciò che stava accadendo.
Le bombe di Cesare Borgia, alla fine, avevano compiuto il loro dovere. Una grossa parte di muro era crollata e lasciava entrare il buio della notte e le truppe del Valentino.
La donna respirò il fumo acre che le riempì in un attimo le narici e realizzò che il rumore dei cannoni era stato sostituto dalle urla della sua gente e degli usurpatori. Disperatamente cercò di lanciarsi verso il luogo dal quale provenivano le grida, in un estremo tentativo di difendere la sua terra, magari prendendo una spada anch'essa, ma fu molto sorpresa di essere presa per le spalle dal segretario che la ributtò nella stanza, chiudendo la porta a chiave.
- No! - urlò la donna, cercando in tutti i modi di riaprire la porta e battendo i pugni sul legno.
-Sono desolato, Contessa, ma ora il mio dovere primario è quello di difenderla -
-E il mio è quello di essere al fianco del mio popolo, mi apra! È un ordine!-
- Spiacente, ma al suo popolo serve viva. E anche a me, Contessa. Non sapremmo come fare se il Valentino l'uccidesse. Non ci rimarrebbe più nulla. Lo sa -
Era vero e Caterina lo sapeva. Valeva molto più da viva che da morta. Almeno così avrebbe potuto trattare per il suo Ducato e comunque nessuno avrebbe approvato l'uccisione di una Sforza. Certo, stavamo parlando di un Borgia e della sua mancanza di etica, ma non poteva pensare che persino Cesare arrivasse a tanto.
Così, non le rimase che rimanere in piedi davanti alla porta, con l'orecchio teso a sentire i rumori che arrivavano dal di fuori: stridore di lame e urla, puzza di sangue e di paura.
Avvertiva tutto questo Caterina, mentre la speranza le moriva nel cuore, ma il coraggio rimaneva in lei. E le grida si stavano avvicinando: Allons- y, faut la chercher!*.
Sì, stavano cercando lei, non c'era nessun dubbio. Aveva capito la parole urlate da qualche soldato francese ed era certa che da lì a un attimo sarebbe stata fatta a pezzi.
Passi, grida, voci sempre più vicino a lei, poi un attimo di silenzio. Caterina obbedì a un'intuizione che le stava dicendo di spostarsi da quella posizione.
E fece appena in tempo a fare qualche passo indietro che la porta si schiantò, aperta da un calcio poderoso.
La donna strinse i pugni e raddrizzò le spalle mentre lo vide entrare, con una lunga spada in mano.
Capelli lunghi e scarmigliati,pantaloni neri e camicia bianca a maniche lunghe sporca di sangue. Così Cesare Borgia,alla testa di un manipolo di francesi, si presentò a Caterina Sforza. L'uomo la vide e un sorriso beffardo gli si aprì sul volto.
-Contessa! - esclamò, mentre gli occhi neri gli si stringevano in due fessure trionfanti. Ci era riuscito, era penetrato in Forlì e nella rocca della Sforza.
- Valentino. Dunque quello che si racconta di voi è vero: siete una bestia vestita di broccati. Avanti, entrate da vincitore, in fondo è questo che volete essere, vero? Il vincitore, a scapito di povera gente che nulla vi ha fatto. Vi odio per quel che state facendo al mio Ducato -
Il Borgia rimase in silenzio, la spada stretta alla destra. Sempre sorridendo fece qualche passo in direzione della donna, che immobile lo guardava con fierezza. Arrivato davanti a lei si chinò leggermente in avanti parlandole piano, quasi con un sussurro.
- Vi sbagliate, Contessa -
Lei lo guardò, stupita: - Volete dire che non siete una bestia? -
- No, che posso essere anche più bestia di così -
Spaventata dal tono di quelle parole, Caterina alzò gli occhi e incrociò quelli dell'uomo. Erano grandi, con un furore terribile chiuso dentro di loro. Rimasta senza parole si limitò ad aprire la bocca, cercando qualcosa da dire, ma lui fu più veloce. Con la mano sinistra la prese per un polso e la tirò verso di sé.
La donna urlò di rabbia più che di paura, si guardarono ancora per un attimo, poi lui la spinse tra le braccia di uno dei francesi.
- Portatela nelle sue stanze, penserò dopo a lei. Ora voglio lavarmi di dosso questo sangue romagnolo. Puzza -
- Siete un bastardo, Borgia – gli urlò lei mentre veniva trascinata via.
- Non sai ancora quanto, Sforza – rispose lui piano mentre cercava una tinozza per lavarsi. Gliel'avrebbe fatta vedere lui.


13 gennaio 1500, tarda mattinata, stanze della contessa.

Doveva essere passato mezzogiorno già da un pezzo. La luce che entrava dalla finestra aveva raggiunto lo zenith e, facendo un po' di conti, Caterina aveva capito di essere arrivata già a metà della giornata. Da quando l'avevano rinchiusa nelle sue stanze, gettandola dentro come un animale, la donna non aveva avuto né cibo né acqua e indossava ancora lo stesso vestito di broccato marrone che aveva la sera prima.
Non aveva però avuto tempo di compiangere la propria situazione. Aveva infatti passato la maggior parte del tempo con un orecchio appoggiato alla porta, nel vano tentativo di sentire cosa stava succedendo nella sua rocca.
Purtroppo, le sue camere da letto, quelle che l'avevano vista felice con il primo marito Girolamo Riario, erano abbastanza lontane dal luogo dove si stava svolgendo una battaglia dura e cruenta. Caterina lo capiva dalle urla che risuonavano nei corridoi.
Sospirò e si diresse verso il letto. Si sedette, tenendosi la fronte con le mani. Tutto le veniva strappato con la forza, sempre.
A iniziare dagli affetti per finire con le cose a lei più care. Aveva sempre dovuto lottare per guadagnarsi qualsiasi cosa, da quando era nata, lei, figlia illegittima di uno Sforza.
Quando aveva pensato di trovare un po' di serenità, poi, si era ritrovata tre volte vedova: i primi due mariti strappati da vili attentati, il terzo venuto a mancare per una malattia.
Ed eccola lì, sola, a dover difendere una terra, che ormai sentiva sua di diritto, e un popolo, che riponeva in lei le sue speranze.
Non poteva neppure avere il conforto dei figli, che comunque erano stati mandati al sicuro.
Alzò la testa: non si sarebbe mai potuta comportare in maniera differente. Lei era Caterina Sforza, Signora di Forlì. E lo era tuttora, anche se stanca e rinchiusa in quelle stanze. Avrebbe fatto qualcosa, ancora non sapeva cosa, ma non avrebbe subito passivamente gli eventi che, ne era certa, di lì a poco le sarebbero capitati.
Un colpo alla porta la fece sussultare, si alzò in piedi, in attesa.
Il Borgia entrò spalancando l'uscio, tenendo qualcosa tra le mani.
- Dormito bene, Contessa? - la voce beffarda sembrava nascondere una punta di nervosismo. Forse si era aspettato di trovarla piangente o arresa e invece ora si ritrovava a guardare una donna che lo fissava fiera e ferma davanti al letto.
- Si può dormire mentre la tua terra muore? Credo che anche voi potreste intuire il mio stato d'animo. O devo pensare che tutti i vostri crimini vi abbiano lasciato scevro da sentimenti?-
Un'alzata di spalle dell'uomo fu tutto ciò che Caterina ottenne come risposta.
- I miei sentimenti non sono affari che vi riguardano, Contessa. Forse dovreste preoccuparvi di più della vostra vita, non trovate?-
- La mia vita segue quella della mia gente. Ma già, voi avete conosciuto la mia gente, stanotte, non è vero? L'avete uccisa, violata, saccheggiata. Voi e le vostre truppe che altro non conoscono che la brutalità della guerra e dei vostri ordini -
Cesare sorrise, ma solo con la bocca: i suoi occhi continuavano ad essere seri e cattivi.
- Forse la Contessa non conosce bene la sua gente, come crede... -
- Come osate, Borgia? Mi state contraddicendo? Con che diritto? Io sono una Sforza! -
Cesare buttò sul letto il fagotto che teneva con la destra e con due passi raggiunse la donna che gli stava tenendo testa con coraggio.
- E io un Borgia – disse prendendole il polso destro e tirandola verso di sé.
Caterina perse un battito del cuore, ma decise di non mostrarsi timorosa. - Un Borgia illegittimo, come tutti i suoi fratelli – gli sibilò all'orecchio. Si accorse che le membra dell'uomo si stavano irrigidendo dalla rabbia e si aspettò di essere colpita.
Fu molto sorpresa dal silenzio che seguì e dal fatto che il Valentino non muovesse un muscolo. Lui si limitò a portarla vicino al suo viso tenendole con l'altra mano il mento, in modo tale che lei fosse costretta a guardarlo negli occhi.
- Anche voi siete illegittima, Contessa, esattamente come me -
La donna rimase in silenzio, sapendo che lui aveva toccato un tasto giusto. Vero era che la sua famiglia non era stata molto diversa da quella dei Borgia. Sua madre, Lucrezia Landriani, era stata la moglie di un cortigiano e a Galeazzo Maria Sforza, oltre a Caterina, aveva dato altri tre figli: Carlo, Chiara e Alessandro.
Ma le ultime parole dell'uomo l'avevano fatta infuriare.
- Non osate paragonarvi a me, Valentino! Io sono cresciuta alla corte di mio padre. Voi e i vostri fratelli siete stati fatti allontanare da Roma da vostro padre, il Papa, e usati come pedine nello scacchiere della politica. Nozze comprese -
- Perché, voi no, Madonna? -
- Io ho avuto una vita felice e tre mariti che mi sono stati strappati tragicamente. Ho scelto, io ho sempre scelto. Voi no. Voi avete gli istinti di una bestia e come tale vi comportate -
Si sentì tirare verso la finestra. Cesare la prese per i fianchi e la fece voltare verso l'esterno, mentre lui rimaneva dietro di lei. Ebbe un brivido di disgusto, mentre sentiva il corpo dell'uomo che aderiva alla sua schiena.
- Una bestia, vero? E allora che cosa mi dite delle donne della vostra terra che stanno aprendo in questo momento le gambe alle mie truppe, come delle puttane? Degli uomini che stanno supplicando di vivere, barattando tutti i loro averi con noi, i nemici? Ci stanno aprendo le case e offrendo le loro figlie pur di vivere. E allora, Contessa, chi è più bestia ora? Chi vuole vivere a tutti i costi o chi sta reclamando terre che gli spettano di diritto? Avanti, guardate come i vostri forlivesi stanno capendo chi è che comanda davvero -
Pur con le lacrime agli occhi dalla rabbia, Caterina si girò di scatto verso Cesare, affondando lo sguardo in quello di lui.
- Sono io la vera proprietaria di queste terre e potete giurare che me le riprenderò, costi quel che costi -
Lui la guardò per un momento, bella e volitiva. Poi le prese il mento con la mano destra e l'attirò a sé.
- Credo che il costo sarà alto, Contessa. Almeno per quel che mi riguarda -
- State insinuando... -
- Io non insinuo nulla, io faccio – e Cesare fece un passo indietro e la lasciò andare, in silenzio, poi indicò il fagotto sul letto.
- Vi ho portato un vestito di ricambio. L'ho preso dal vostro guardaroba, non temete. È senza dubbio adeguato al vostro rango. Ora farò anche venire qualche serva perché siate portata a fare un bagno caldo. Lo potrete fare tutti i giorni, come anche avere abiti puliti. Ma non potrete uscire dalle vostre stanze, anche il cibo vi sarà portato qui. E non avrete visite. A parte me, ovviamente -
Il Borgia se ne andò prima che la Contessa potesse dire qualcosa.
- Siete peggio di Satana, Valentino! - urlò la donna a una porta ormai chiusa.


 

15 gennaio 1500, tarda mattinata, stanze della Contessa.

 

Caterina stava ritornando nelle sue stanze dopo il bagno mattutino. Indossava un lungo abito azzurro e si era fatta acconciare i capelli biondi nella doppia treccia che tanto amava. Non aveva più avuto notizie del Borgia in quei due giorni, ma sapeva che non poteva essere finita lì. Certamente quel demonio aveva altre idee in testa e lei non aveva nessuna voglia di conoscerle.
Che ne sarà di me?, pensava mentre si sforzava di mantenere un contegno camminando verso le sue stanze. Non doveva far vedere che in questo momento stava dubitando delle sue forze e non poteva neppure trovare conforto nella preghiera.
Non credeva più in quel Dio che questa Chiesa voleva rappresentare. Poteva essere davvero l'immagine divina in terra un uomo che pensava solo alla politica e al perseguimento dei propri interessi? E Papa Alessandro VI non era davvero il rappresentante di Dio, di questo Caterina ne era sicura.
Arrivata davanti alla porta della sua camera, la donna vide le due servette che l'accompagnavano fermarsi dietro di lei.
Caterina sospirò: gli ordini del Valentino erano stati chiari. Nessuno doveva entrare nelle sue stanze, tranne lui. Con un cenno del capo congedò le ragazze che si ritirarono verso le cucine e aprì la porta. Era sicura di riuscire a riposare ancora un po' e poi avrebbe pensato a una strategia per riprendere in mano la sua terra. C'era ancora gente che le doveva favori, la famiglia dei Riario sicuramente l'avrebbe aiutata.
Socchiudendo gli occhi, Caterina aprì la porta della sua stanza e si stupì di trovarlo lì, assorto nella lettura. La donna osservò il Borgia per un momento, seduto su una sedia, vicino alla finestra. Il mantello nero che aveva sulle spalle lo ricopriva quasi completamente e scendeva a terra. I soliti pantaloni neri erano chiusi dentro a un paio di stivali, neri anch'essi, che arrivavano al ginocchio. Una gamba poggiata mollemente sul bracciolo della seduta e l'altra allungata sul pavimento, Cesare sembrava molto interessato da quel che stava leggendo.
- Immerso nella lettura delle Sacre Scritture, Cardinale? - ironizzò lei mentre si chiudeva la porta alle spalle e si preparava ad affrontarlo.
Lui alzò la testa per guardarla, sorrise e chiuse il libro mentre si alzava, sempre tenendo il tomo tra le mani.
- Non sono più cardinale da due anni, Madonna. Non sono mai stato molto portato per seguire la parola di Dio -
- Senza dubbio, no – Caterina si sedette sul letto, in silenzio.
- Preferisco leggere i vostri scritti, Contessa – il Borgia sorrise beffardo mentre scuoteva tra le mani i tanti fogli che ora la donna riconosceva fitti della sua scrittura.
Si alzò di scatto andando verso l'uomo: - Non toccate i miei lavori. Preferirei bruciarli piuttosto che sapere che i vostri occhi si sono soffermati su di loro -
Non si era accorta di essersi avvicinata davvero troppo all'uomo, a cui bastò allungare la mano sinistra per afferrarla per la vita e attirarla a sé.
- Lasciatemi! -
- Andiamo, Madonna, voglio solo leggere con voi queste righe. Se non erro sono alcuni consigli alle donne per diventare più belle. Dovreste scriverne ancora, i vostri rimedi sarebbero utili a molte – era beffardo, il Borgia, si divertiva a vedere come la donna tentasse di liberarsi, ma che non riuscisse a divincolarsi dalla sua stretta.
La strinse ancora più a sé ed iniziò a leggere: - Per la demenution del corpo: piglia triaca fina destemperata cum vino, confetionata cum zucaro rosato, che sia bolita et piglia in doi o tre mnatine mnezo bichiero per volta.Ecco perché siete così sottile, Madonna. Ma un momento: ecco qualcosa di meglio - Caterina si sentiva le guance in fiamme. Quelli erano i suoi appunti, i suoi studi, una sua parte segreta. E sapeva esattamente quel che il Borgia stava per leggere. Provò a liberarsi, ma l'uomo la teneva serrata a sé mentre proseguiva la lettura.
- A fare le mammelle piccole et dure alle donne: piglia zusvese, una scudella de succo, et dello aceto bianco più forte come puoi et comnponi lo succo con lo aceto, poi bagnia pezze di canavaccio in ditta aqua et poni sopra el petto et poni doi tazzette di vetiio sopra pezze che vadano sopra tecte, lega con una fascia longa, più stretto che poi, et cusì farai piccole dure et el petto bello, mentre fai questo la domina sia casta. Molto interessante, Sforza. Vogliamo vedere se questa ricetta è stata provata di persona? -
Cesare fece cadere per terra i fogli che si aprirono a ventaglio e con la mano cercò di slacciare il corpetto della donna.
- No! - l'urlo risuonò secco nella stanza, mentre Caterina con la forza della disperazione cercava di liberarsi dalla stretta. All'improvviso l'uomo rise e aprì le braccia. Lei cadde all'indietro e atterrò sul letto.
- Mi sarebbe troppo facile prendervi così, Madonna. Non mi piacciono le cose troppo facili, preferisco sudarmele. E voi, Sforza, mi piacete -
Caterina lo guardò: non poteva parlare sul serio.
Parlò a voce bassa: - Voi non potrete mai piacermi, Borgia -
- Si vedrà, mia cara Caterina, si vedrà – le si avvicinò prendendole ancora una volta il viso tra le mani per guardarla negli occhi.
- Non sarò un'altra delle vostre vittime, una delle prede di qualcuno che non conosce l'amore -
Lo sguardo di Cesare si indurì e la spinse di nuovo sul letto.
- Non sapete nulla di me, Madonna. E francamente mi sono stancato dei vostri insulti gratuiti. La terra di Romagna mi apparteneva per diritto papale e me la sono presa. Ho preso tutto quello che doveva essere mio. E presto lo sarete anche voi. Sì, anche voi sarete mia, Caterina -
Lei si puntellò sui gomiti per guardarlo: - Non accadrà mai, Monsignore – lo sbeffeggiò.
In silenzio lui si allontanò verso la porta.
Caterina osservò la sua schiena, forte e ampia. Possibile che se ne andasse senza dire null'altro? Decise di lanciare un'ultima stoccata.
- Prego, andate pure. D'altronde la mia rocca è al vostro servizio per i vostri bisogni, vero? -
Lui si girò con la mano già sulla porta.
- Niente paura, Madonna, non dimoro qui. Il gentiluomo Luffo Numai mi sta dando ospitalità nel suo palazzo qui a Forlì. Lo conoscete, non è vero? Sbaglio o era il vostro consigliere? -
La donna sgranò gli occhi. Davvero i nobili forlivesi erano già passati dalla parte del nemico?
Compiaciuto nel vedere l'incredulità negli occhi della donna, Cesare se ne andò sbattendo la porta e lasciandola sola con i suoi pensieri.


 

16 gennaio 1500, pomeriggio tardi, stanze della contessa.

Caterina sedeva accanto alla finestra, la candela quasi del tutto consumata mandava una luce fioca. Era quasi ora di cena, sapeva che a breve le avrebbero portato qualcosa da mangiare. Non poteva lamentarsi del trattamento che stava ricevendo: il Borgia si era personalmente raccomandato di farle avere buon cibo tutti i giorni. Evidentemente non voleva che il suo ostaggio subisse danni.
Con tristezza la donna sentì i passi che si avvicinavano alla sua porta. Sapeva già che cosa sarebbe successo: una servetta tremante sarebbe entrata reggendo tra le mani un vassoio con il cibo, una brocca di acqua e delle candele nuove. Poi, dopo avere un po' rassettato la camera, se ne sarebbe andata senza osare nemmeno dire una parola e Caterina avrebbe passato un' altra serata solitaria.
Avesse almeno avuto la possibilità di leggere o scrivere qualcosa! Forse avrebbe potuto supplicare Cesare di lasciarle almeno un libro...
Immersa nei suoi pensieri, la donna non si curò molto della porta che veniva aperta per far passare la servetta con la cena.
Fu perciò molto stupita nel vedere due ragazzi entrare reggendo una tavola, altri due con una sedia a testa tra le braccia e un quinto con un enorme candeliere acceso tra le mani.
- Che sta succedendo? - chiese alzandosi.
- Ordini del Valentino, Madonna – rispose uno dei ragazzi sistemando il tavolo e le sedie al centro della stanza.
- E di che ordini si tratterebbe? -
- Della cena, Madonna – La voce di Cesare Borgia riempì all'improvviso la stanza facendo uscire i servi.
Caterina lo fissò, era coperto dal suo solito mantello nero, ma indossava una raffinata giacca da camera a fiori neri e rossi che gli arrivava fin sopra il ginocchio a coprire i soliti pantaloni e stivali neri.
- La cena? - Caterina non riusciva a capire che cosa stesse succedendo.
- Certo, stasera ceneremo assieme – un ordine mascherato da frase normale.
Il Borgia batté le mani e un paio di servette entrarono con piatti fumanti e brocche di vino rosso.
Appoggiarono tutto sul tavolo e se ne andarono in silenzio.
Il Valentino si avvicinò a una sedie e la scostò: - Madonna, sedetevi vi prego -
La donna lo guardò fisso: - Cosa vi fa pensare che siederò con voi, Borgia? -
L'uomo si allontanò dalla sedia destinata a lei e, slacciato il mantello, prese posto sull'altra, posizionata dalla parte opposta del tavolo.
- Fate come volete. Io ho fame e mangerò, anche senza aspettarvi. Ma, poiché so che siete intelligente e avete fame, mi aspetto che chiudiate il becco, vi sediate e mangiate con me -
Detto ciò, si sedette e allungò una mano per prendere una coscia di pollo finocchiato **.
Caterina lo guardava senza sapere cosa fare: era affamata, ma non voleva dare soddisfazione al nemico.
- Sforza, sedetevi – Cesare parlava senza nemmeno guardarla – questa è la vostra cena e non avrete altro fino a domani. Mangiare da sola o mangiare con me non fa differenza. Chi saprà che vi siete seduta al desco di un Borgia? -
- Io lo saprò -
- Quindi è meglio morire di fame piuttosto che darmi una lezione, facendomi vedere che sapete gestire le situazioni in cui io vi metto? Andiamo, Signora di Forlì, vi facevo più intelligente -
Punta sul vivo, Caterina scostò la sedia e si sedette, senza nemmeno pensare a quel che stava facendo e cercando di ignorare il sorrisetto che si era dipinto sul viso dell'uomo.
Allungò la mano e prese una coscia di pollo, iniziando a masticarla lentamente. Dopo giorni di zuppe questa era la cosa più buona che metteva sotto i denti, questo doveva riconoscerlo.
Il Borgia versò il vino nei due calci e ne spinse uno verso di lei.
- Bevete, Madonna, il vino non è avvelenato vi assicuro. Lo bevo anche io -
Poi si accorse che la donna stava continuando a fissare il bicchiere davanti a lei.
Sbuffò e prese la coppa a lei destinata: - E non sono avvelenati nemmeno i contenitori! – e buttò giù la bevanda in un sorso solo.
La donna sospirò: aveva fame e sete e forse recuperando un po' le forze avrebbe potuto tenere testa a questo demone. Perciò mandò giù l'orgoglio e zittì la razionalità, che le stavano continuando a dire di non fidarsi e di non dividere il desco col Borgia.
Prese l'altra coppa e bevve. Il vino era buono e speziato e la scaldò. Afferrò un'altra coscia di pollo e mangiò.
- Avete fame, Madonna? -
- Dovreste sapere che oggi non mi è stato portato altro cibo. Intendevate farmi gustare maggiormente la cena con voi affamandomi? -
- Forse – Cesare si alzò e le andò vicino per versarle altro vino – So che il pollo finocchiato è uno dei vostri piatti preferiti. Se avete ancora fame posso farvi portare della zuppa di preboggion *** o delle tagliatelle al sugo di germano -
- Vedo che le mie cucine sono di vostro gradimento – ironizzò lei.
- E non solo – lo sguardo penetrante che le lanciò la fece arrossire suo malgrado. Riprese a mangiare in silenzio.
- Comunque vi consiglio di assaggiare le tagliatelle al sugo di germano che ho fatto preparare – l'uomo si era riseduto e aveva ripreso a parlare come se non fosse successo nulla – Sono gustose, sono state provate per la prima volta nel menù di nozze di mia sorella -
Sorpresa che il Valentino si lasciasse andare a delle confidenze, Caterina alzò lo sguardo e domandò senza pensare: - Lucrezia? -
- Quante altre sorelle ho, Sforza? - Cesare prese la coppa e bevve ancora vino.
- Non mi aspettavo che voi mi parlaste delle vostra famiglia – disse lei dopo un momento.
- Preferite forse che vi racconti dei miei scempi e delle mie violenze? Avanti, so che la mia fama mi precede. Oppure volete che vi racconti come mi sono sollazzato con le donne di Forlì in questi giorni? Magari lo potreste trovare interessante -
Caterina lasciò cadere nel piatto la coscia di pollo e lo guardò sprezzante.
- Dovevo immaginarlo, voi non cambiate mai -
Cesare prese la coppa di vino tra le mani e si appoggiò alla schienale della sedia.
- Come potete dire questo, Madonna? Mi conoscete? -
- Mi basta sapere quel che si dice di voi -
- Davvero? - l'uomo si alzò, la coppa tra le mani. Andò vicino alla finestra e si perse un momento a guardare fuori, in silenzio. Anche lei era rimasta in silenzio, non capendo dove il Borgia volesse arrivare.
- Si dice anche che ho sposato in Francia una donna che sta per darmi un figlio che non so se vedrò mai, visto che sono continuamente impegnato in battaglie qui in Italia?-
Seguitava a guardare il buio oltre la finestra. Caterina rimaneva in silenzio, non sapendo che dire e rimanendo comunque piuttosto guardinga.
- Si dice che ho amato teneramente mia sorella e che in cambio ho alimentato delle voci di incesto? - si voltò verso di lei, lo sguardo incattivito. Caterina si agitò sulla sedia.
- Si dice che ho combattuto sin da quando ero giovane per ribadire il concetto che ero un Borgia e che mi si doveva rispetto? Anche quando non ero figlio di un Papa, ma di un semplice cardinale? Pensate di essere stata solo voi, Caterina, a combattere per tutto quello che volevate ottenere? -
Buttò la coppa con il vino a terra e si avvicinò a lei a grandi passi. Si chinò verso di lei e la imprigionò posizionando le mani sui braccioli della sedia.
- Si dice che ho dovuto sempre venire a patti con tutto e con tutti e che non mi sono mai potuto permettere di innamorare? - parlava a voce bassa, quasi a se stesso. Caterina però aveva sentito bene queste ultime frasi e rimase seduta, ferma.
- No, Borgia. Non si dice nulla di tutto questo. Siete stato davvero bravo a nascondere quel po' di umanità che vi deve essere rimasta. Anche se io non la vedo ancora, mi rincresce -
La voce tremante, però, rivelava altri sentimenti. Le parole dell'uomo l'avevano colpita. In qualche modo Caterina si stava rivedendo nella vita di un altro figlio illegittimo che aveva preso la vita a morsi per stupire il mondo.
E Cesare, che non era uno stupido, stava capendo come lei stesse cercando di combattere questa battaglia interiore. Fece ancora una volta quel che lei non si aspettava. Si alzò lasciandola libera di muoversi e tornando a sedere al suo posto.
- Gradite ancora qualcosa, Madonna? -
- No -
- Allora non vi spiacerà se restiamo ancora un po' qui a bere, giusto? -
Caterina rimase in silenzio mentre lui prendeva la brocca del vino, bevendo da lì direttamente.
Fu lei a rompere quel momento di imbarazzo: - Avrei una richiesta -
- Questo mi stupisce. Avanti, sentiamo -
- Vorrei leggere qualcosa. Mi avete rinchiuso qui senza nulla da leggere o da scrivere. Il tempo non passa così velocemente se devo pensare continuamente alle mie tribolazioni. Per questo chiedo un libro, uno qualsiasi, non importa, solo per passare il tempo – chiuse lei in fretta aspettandosi un diniego.
Lui sorrise: - Mi stavo domandando quando me lo avreste chiesto, Madonna. Avete resistito anche troppo, conoscendo il vostro amore per lo studio -
Lei si stizzì: - L'avete fatto apposta! -
- Sì, lo confesso. Desideravo sentirvi chiedermi qualcosa e quale cosa migliore di un libro o di qualcosa per scrivere? Avanti, non fate quella faccia. Darò l'ordine che fin da stasera voi abbiate libri, pergamene , inchiostro e tutte le candele che vi serviranno per avere sempre luce. Avete bisogno di qualcosa d'altro? -
- No – Caterina non sapeva come prendere il Borgia, non sapeva che aspettarsi da lui. Era il nemico, ma lei iniziava a sentirsi stanca. Valeva davvero la pena di combattere contro qualcuno che, ormai, aveva diritti legali sulla sua terra?
Forse avrebbe potuto dichiararsi prigioniera e rimettersi nelle mani dei francesi. Magari una volta fuori dalla rocca avrebbe potuto pianificare una fuga. Si alzò e si diresse verso la finestra. Nel buio riusciva a vedere a stento i fuochi accesi nella casa della sua gente.
Sembrava tutto tranquillo, tutto così silenzioso. Stava forse sbagliandosi? Forse il suo regno su Forlì era finito e doveva lasciare la terra a reggenti più capaci?
Si appoggiò al muro, improvvisamente scoraggiata. Sentì Cesare dietro di lei, ma non si mosse.
- Sono sfinita – disse più a se stessa che all'uomo. Avvertì una mano su una spalla e lasciò fare. In fondo il Borgia, fino ad ora, l'aveva rispettata e non aveva motivo di pensare che adesso si comportasse in modo differente.
- Comprendo il vostro stato d'animo, Caterina. Credetemi, combattere è faticoso, arrendersi è sempre più facile -
- Forse il Cielo mi sta suggerendo qualcosa. Forse il mio tempo è finito -
Cesare la prese per le spalle e la girò verso di sé per guardarla negli occhi.
- Contessa, lo decidiamo noi quando finisce il tempo. E il vostro non è finito -
- Strane parole per un ecclesiastico -
- Anche quando studiavo teologia sapevo che il tempo dipende dall'uomo. E, se vogliamo essere precisi, Dio lascia a ognuno il libero arbitrio delle proprie azioni. E quindi anche di decidere da solo di finire il tempo a propria disposizione. Pagandone poi le conseguenze divine, s'intende. Se volete terminare la vostra vita siete liberissima di farlo, ma non chiamate a giustificazione Dei, Fato o Numi -
La donna tacque, era confusa. La stanchezza della prigionia si stava facendo sentire, così come le privazioni emotive cui era stata sottoposta negli ultimi tempi.
Chiuse gli occhi e socchiuse la bocca per chiedere al Valentino di lasciarla sola. Ma fu in quel momento che sentì le labbra dell'uomo posarsi sulle sue.
Aprì gli occhi nel momento esatto in cui lui le stava circondando la vita con le mani, mentre tentava di approfondire il bacio.
Caterina cercò di divincolarsi, ma smise quasi subito, sorpresa dalla delicatezza del gesto, che invece aveva immaginato violento e pieno di rabbia.
Invece Cesare Borgia la stava baciando con dolcezza, stringendola a sé.
E alla fine successe: Caterina chiuse gli occhi e iniziò a ricambiare il bacio, quasi con disperazione, cercando di dimenticare per un attimo la tristezza del momento.
Sì, stava sbagliando, lo sapeva, ma la voglia di avere un contatto fisico dopo tanti giorni di prigionia aveva vinto la sua razionalità. E ora eccola, tra le braccia del nemico. Si vergognava, ma continuava a baciarlo e a farsi baciare.
Si staccò lui per primo, guardandola. Lei ricambiò lo sguardo rimanendo in silenzio. Non si era comportata convenientemente e ora aveva paura della reazione dell'uomo.
Ma Cesare la stupì ancora una volta, accarezzandole con un dito una guancia, sussurrandole poche parole: - Ora me ne vado, Caterina, non temete. Vi farò portare tutti i libri che desiderate e il necessario per scrivere. Mi rivedrete domani sera, se vorrete -
Se ne andava? Davvero? Non provava ad avanzare i diritti di un vincitore? A violentarla?
No, il Valentino uscì in silenzio lasciandola sola e sempre più confusa. Solo di una cosa era sicura: lo avrebbe rivisto la sera successiva. Un Borgia non avrebbe mai accettato un rifiuto.

 

* “Andiamo, dobbiamo cercarla”. Francese molto colloquiale.
** Il pollo finocchiato è una ricetta rinascimentale che si faceva con cosce di pollo complete di pelle, un finocchio per ogni coscia, un cucchiaino raso di mandorle tritate per coscia, qualche foglia di prezzemolo, burro e zenzero.
*** Altra ricetta rinascimentale, la zuppa preboggion era composta da cavolo nero, cavolo cappuccio, bietola, prezzemolo, aglio, basilico e burro.


 

   
 
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