Il Palpito
di Casa Usher
Capitolo
3: Il Delirio.
“Padre, vi vedo molto turbato stamani. Avete
passato una brutta nottata?” L’espressione di Francis, dall’altra parte del
tavolo era mortificata e cercai di fare il possibile per esprimere almeno la
pallida imitazione di un sorriso.
“Non è niente, mi ha solo tenuto sveglio il
vento.”
“Solo quello?”
Era una domanda innocente ed interessata, eppure
non riuscii a dissimulare il mio smarrimento, nella mente l’immagine della
porta del salotto aperta sul corridoio vuoto mentre avevo Madeline tra le
braccia. Scossi appena la testa, cercando di recuperare il controllo: “Un paio
di pensieri sui nostri affari a Leicester. Vorrei recarmi in città per
sincerarmi di un paio di evenienze.”
“Sicuro. Chiedo che ci venga preparata una
carrozza.”
“Puoi restare qui, se vuoi.”
“Vorrei partecipare e…” sospirò, gettando
un'occhiata furtiva attorno, il coltello con cui imburrava il pane fermo a
mezz'aria: “Prendere una boccata d’aria. Questo posto…”
“Comprendo” annuii. “Domani mattina partiremo
verso casa, ci lasceremo alle spalle questo buio.”
“Va bene. Anche se ammetto che mi dispiace per
Roderick. A proposito, non è ancora sceso per la colazione.”
Lord Usher si presentò nel salotto mentre ci
accingevamo a partire, gli occhi cerchiati di scuro ed un’espressione terrea in
volto, mentre ci porgeva le sue scuse per non essersi presentato prima: “Mia
sorella questa mattina si è svegliata in preda alla febbre” spiegò con una voce
angosciata che mi fece stringere lo stomaco in una morsa. “Ho mandato la
governante a chiamare il medico, sarà qui a breve.”
Francis si prodigò per rassicurarlo ed io lo
invitai a restare al suo fianco, impaziente come non mai di recarmi fuori dal
cancello di Casa Usher. Ma anche mio figlio sembrava dello stesso avviso, e
complice una stretta di mano e una frase rassicurante di Roderick, mi seguì
fuori nel cortile e poi sulla carrozza.
Oltre i cancelli, le colline erano illuminate da
una manciata di raggi di sole.
Troppo pochi per rischiarare i nostri animi;
restammo entrambi in silenzio per tutto il tempo.
A mano a mano che la carrozza si riavvicinava
alla tenuta Usher il temporale aumentava di intensità, come se stesse
preannunciando una tragedia in corso in quel nero teatro.
La governante ci accolse sulla porta d'ingresso
aggiornandoci subito con notizie funeste: "Le condizioni di milady si sono
ulteriormente aggravate" spiegò torcendosi le mani dall'ansia "Il
dottore è ancora qui, sta tentando di tutto, ma la febbre è molto alta e preda
di deliri."
Fu come un pugno allo stomaco per entrambi:
Francis sbiancò in viso e si appoggiò allo stipite della porta, prima di farsi
coraggio ed entrare in casa alla ricerca di Roderick, mentre io seguivo la
governante nella penombra del salotto per accasciarmi su una poltrona.
Non riuscivo a staccare gli occhi dal canapè:
nei cuscini, nello scialle abbandonato sul bracciolo, rivedevo la sua forma del
suo pallido corpo. Sullo schienale vi era ancora il filo nero e sottile di un
suo capello.
Come poteva essere possibile? Era stato un
sogno, incredibilmente realistico, ma pur sempre irreale. Era tutto frutto
della mia immaginazione, di una fantasia perversa spuntata fuori da chissà dove
e per chissà quale motivo.
Una fantasia pericolosa che prosperava nella mia
testa.
Una malattia, forse. I primi segni di demenza
senile, senz'ombra di dubbio.
Sentendo la governante tornare mi tersi
velocemente il sudore dalla fronte con il fazzoletto, mentre lei appoggiava il
vassoio del the sul tavolino tra me e il canapè per poi uscire dalla stanza nel
più mesto e meditabondo dei silenzi.
Mi versai una tazza e mescolai lo zucchero senza
riuscire realmente a concentrarmi.
Dal piano superiore arrivò un singhiozzo
sommesso, e poi un altro ancora. Supposi fosse Roderick ed il cuore mi si
appesantì. Abbandonai la tazza di the e mi alzai dirigendomi verso la scalinata
di mogano scuro.
Faceva freddo, molto più che nel resto della
casa: probabilmente qualcuno aveva lasciato una finestra aperta e trovai ciò
alquanto deprecabile, vista la presenza di una malata.
Poi sentii bisbigliare.
Non una voce sola e non una parola in
particolare; man mano che salivo i gradini i mormorii aumentavano di numero.
Erano più voci, più persone, più entità che parlavano a voce bassissima, in
tono concitato.
Pensai alla goverante ed al resto della servitù,
ma quando arrivai al piano superiore non vi era nessuno e le voci si erano
ammutolite.
Guardai istintivamente le pareti, i quadri
anneriti dal tempo e dall'incuria della famiglia Usher: volti dai lineamenti
spigolosi, fronti ampie e sguardi solenni o malinconici alternati da nature
morte di selvagginia e trofei di caccia.
Infine, ad attirare la mia attenzione e farmi
mancare il cuore di un battito fu la statuina sopra uno dei mobili che opprimevano
il corridoio angusto e buio.
Era il fauno che avevo visto nel salotto, quello
che era mi era caduto e si era frantumato dopo che ne avevo visto il respiro.
Nel
mio sogno in cui c'era anche Lady Madeline.
Era ancora appoggiato su un fianco, ancora con
il piccolo viso appoggiato sul mobile, il corpo bianco percorso da una
ragnatela di crepe, come se fosse stato ridotto in cocci ed incollato in fretta
e furia.
E anche qui, sulla superfice di cristallo del
mobile si allargava e si restringeva l'alone umido di condensa.
Mi allontanai tremando, finendo per sbattere
contro un altro mobile, facendo cadere una piccola collezione di pastorelli di
ceramica, che colpirono il tappeto sul pavimento senza rompersi. Percorsi a
ritroso il corridoio, arrivando al bivio che conduceva alle stanze da letto, ma
invece di dirigermi verso la mia, mi cadde lo sguardo nella direzione opposta.
La luce filtrava dalla porta socchiusa, da dove
proveniva un debole lamento.
I sussurri e i bisbigli erano tornati.
Ora parevano tutti all'unisono, quasi la litania
di una preghiera.
Sudavo e tremavo e non riuscivo a fermarmi:
andavo nella direzione della porta con la vista offuscata ed i piedi fuori dal
mio controllo.
Si aprì quando quasi potevo sfiorarne la
maniglia, facendo uscire la cameriera con un fagotto di lenzuola sporche in
mano e l'aria stravolta. "Signor Anderson, mi perdoni. La Signorina non è
stata bene ed io..."
"Resto io con lei, finché non
tornerete." La rassicurai, sentendo le guance in fiamme e la mia voce
aliena.
Lady Madeline aveva gli occhi chiusi, pallida
come i cuscini sui quali era sprofondata, le coperte che arrivavano sotto il
petto ansante ed un velo di sudore freddo sul viso e sulle mani.
"Roderick?" mormorò sentendomi entrare
e sedere, stordito, nella sedia a lei vicina. Aprì gli occhi, liquidi e scuri
come la notte. Mi sentii raggelare, quando li posò su di me pronunciando il mio
nome con un sospiro accorato: "Geoffrey..." Strinse la mano sulla
manica della mia giacca. "Son bella ancora, Geoffrey?"
"Lady Madeline..."
"No... no... solo Madeline, ti prego.
Rispondimi, Geoffrey, son bella ancora? Come ieri notte?" Non riuscivo a
frenare il mio tremore, il cuore che batteva furiosamente quasi a volersi
staccare dal petto: "Come ieri notte nel tuo sogno?"
"Come...?"
Rise, un colpo di tosse a scuoterle il petto
ansante: "Io so tutto, ora, Geoffrey. Perché questa casa mi ha parlato. E
mi parla ancora, continuamente. Sento l'anima di questa casa, esattamente come
dice mio fratello. Sento l'anima di questa casa in me, Geoffrey, come ti
sentivo in me ieri notte, senza essere davvero tua. E mai lo sarò, per tua
fortuna: presto farò anch'io parte di questa casa, sarò anch'io un brandello
della sua anima... " Iniziò a tossire violentemente, piegandosi su se stessa.
Mentre cercavo di aiutarla a sistemarsi
nuovamente sui cuscini la porta si aprì e la cameriera entrò trafelata seguita
da Roderick e dal medico.
Mi allontanai per lasciare che il dottore
prestasse le sue cure a Madeline, e solo allora mi resi conto del fiotto di
liquido nero che aveva vomitato imbrattandomi le lenzuola e la manica della
giacca: era scuro e odorava di marcio, tanto da ricordarmi le acque nere e
putrescenti dello stagno della tenuta.
Uscii a ritroso, quasi inciampando su una sedia
e trovando le braccia di Francis a sorreggermi. Mi riaccompagnò nella mia
stanza senza dire nulla, atterrito.
Vi restammo per tutta la sera, nessuno chiamò
per la cena e noi non la cercammo.
Non uscimmo finché la governante non ci venne ad
avvisare, con le lacrime agli occhi, della morte di Lady Madeline Usher.
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Terzo
e penultimo capitolo!
Che
altro dire se non ringraziare chi è passato di qui e chi ne ha addirittura
lasciato traccia?
Critiche
e commenti son sempre ben accetti, se volete perdere un minuto del vostro tempo
per farmi avere un vostro parere, vi ringrazio sentitamente.
Ma
anche se solo passate di qui e leggete.
Grazie
ancora!
PS:
per ogni domanda o curiosità, vi rimando al mio ask: http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos
Grazie!
EC