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Autore: Yoake    30/09/2013    1 recensioni
Non sono molto capace nelle introduzioni, ma ci provo:
C’è un nuovo arrivato nella classe Special A! Un nuovo arrivato nevrotico e problematico! :D
Si, l’ennesima storia con un nuovo personaggio che nasconde un segreto... beh, il solito cliché.
Spero vivamente che la legga qualcuno -.-”
Tratto dal primo capitolo: “Lei odiava le scuole, lei odiava il Giappone, e, soprattutto, odiava i giapponesi. Come avrebbe fatto a stare bene in un luogo del genere?
Certo, nemmeno le scuole italiane e gli italiani in sé le andavano molto a genio, ma per lo meno l’Italia era un paese di artisti, e lei, essendo lei un artista, avrebbe potuto sopportare.
Non sarebbe mai stata un’alunna di quella scuola, men che meno della Special A!”
Uhm... buona lettura!^^
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikari Hanazono, Kei Takishima, Nuovo personaggio, Ryu Tsuji, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo sette:
Neve.
 
 
 
 
Ah! Gennaio, finalmente!
Al momento, i ragazzi della S∙A, si trovavano in mezzo al mare del Giappone, a bordo di una favolosa crociera sotto invito della famiglia Todo.
A capodanno, in Giappone, era tradizione andare a pregare al tempio per un nuovo anno pieno di fortuna, ma per quella volta, avevano deciso di uscire dagli schemi e lasciarsi andare ad una vacanza di relax.
Anche la dolce Ushikubo e il misterioso Yahiro erano stati gentilmente invitati da Akira -o meglio, si erano nascosti nella stiva della nave in quanto gli era stato categoricamente vietato l’accesso dalla suddetta, in quanto la vacanza era solo per i membri della Special A, oltre che a spese sue.
Le coppiette si trovavano tutte sullo Skydeck, e com’era tradizione in ogni parte del mondo, si stavano scambiando dolci effusioni d’amore: Tadashi, per aver sfiorato con le labbra la guancia della fidanzata davanti al padre, si trovava a massaggiarsi la cinquina pulsante sulla sua guancia destra; Yahiro, volendo prendere di sorpresa la dolce Megumi, decise di abbracciarla da dietro, ma l’effetto fu che, dallo spavento, la ragazza si lasciò scappare un timido urletto che, data la vicinanza, riuscì a tramortire il povero Saiga; Kei e Hikari si stavano ancora sfidando in una lotta che Takishima non aveva alcuna intenzione di perdere, in quanto, il premio, era una dichiarazione estremamente romantica e sdolcinata; Sakura, stava ancora cercando il timido Jun in mezzo al buffet che era stato sistemato per chi, eventualmente, avesse voluto fare il classico spuntino della mezzanotte.
Ryu... beh, Ryu, in quella vacanza, aveva fatto la conoscenza di una simpatica ragazza, Kitazaki Airi, tipica ragazza giapponese, estremamente timida e molto maldestra. Era carina, ma soprattutto era talmente alta, da raggiungerlo quasi. E poi era carina. La sua voce era dolce, e spesso balbettava. E poi era carina. Non riusciva a mentire, e stava simpatica praticamente a tutta la Special A. E poi, era veramente tanto carina.
Era una tra le più belle ragazze che avesse mai visto in vita sua.
Ryu poteva essere il più saggio, composto, dolce e onesto tra quella banda di amici, ma rimaneva pur sempre un maschio. Come poteva non provarci?
Ebbene, quella sera, era in sua compagnia.
Eppure, nonostante la dolce compagnia di quella ragazza tanto alta e bella, non riusciva a non pensare a quella ragazzina bassina e scorbutica, sempre pronta a litigare.
Dopo quasi un mese da quella scenata, lei non si era più fatta vedere, né loro l’avevano cercata.
Insomma, avevano provato a farla diventare parte del gruppo, più e più volte, ma lei si era sempre rifiutata di collaborare.
Perché, dunque, tentare ancora?
Non ne valeva la pena.
Però... come poteva dimenticare il rossore che le colorava le guancie quando lui le rivolgeva la parola?
Poi, il sorriso...
Era raro che lei sorridesse, ma quando lo faceva, era in grado di illuminare l’ambiente più del sole stesso.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, e dico forse, quella ragazzina era riuscita ad aggrapparsi al suo cuore, senza nemmeno che lui se ne accorgesse.
Non sapeva quanto si sbagliava.
 
**
 
Nel frattempo, in un piccolo appartamentino di periferia, una ragazzina dagli occhi scuri e spenti, se ne stava seduta a terra, davanti ad una parete bianca, guardandola con espressione vuota.
Nella sua umile dimora, teneva solo lo stretto necessario: un futon, un frigorifero, un freezer, una dispensa piena di cibo precotto e, infine, dei fornelli più o meno funzionanti. Per il bagno, era costretta ad usare quello sul tetto, in quanto il suo, era inutilizzabile. Non volle conoscerne la causa.
Mancava sia l’aria condizionata, che il riscaldamento, ma non era mai stata un tipo particolarmente freddoloso o caloroso... semplicemente resisteva. Senza poi contare, che quello stato quasi catatonico in cui si ritrovava, non le permetteva di sentire niente.
Si portò alla bocca un pezzo di cioccolato al latte, affondato all’interno di una vaschetta di gelato alla fragola, guarnito infine con della panna montata.
Che depressione.
Da quando sua madre era morta, e non frequentava più la S∙A, non aveva più parlato con nessuno.
Anzi, diciamo che non era più uscita di casa.
Non aveva più sentito il fratello da quel giorno, nonostante le chiamate continue, non avvisandolo nemmeno della morte della madre; era mancata al funerale della suddetta; non c’era giorno in cui era andata a scuola; di parlare con i vicini, neanche per idea, in quanto i suoi sospetti che fossero membri della Yakuza, si erano rivelati fondati.
Inoltre puzzava, e anche tanto.
Non aveva nemmeno la forza per lavarsi.
Quando non dormiva, mangiava. Quando non mangiava, dormiva. E, ogni qualvolta mangiava, lo faceva di fronte a quella parete bianca, sperando in una possibile ispirazione che la portasse a colorarla.
Ma, i suoi occhi, esprimevano solo il vuoto presente nella sua mente.
Era tutto sbagliato, estremamente sbagliato!
E quello che, più di tutto, la infastidiva, era che la colpa era solo e solamente sua.
Quei ragazzi non volevano far altro che aiutarla, e lei li aveva malamente respinti, unicamente per paura.
Credeva che Takishima sapesse tutto, ma non ne era certa. Aveva basato la sua paura su delle semplici supposizioni.
Il fatto era che era certa che Kei l’avesse paragonata a suo padre, come molti altri prima di lui... e la cosa l’avrebbe infastidita non poco.
Ma se avesse scoperto di suo padre, avrebbe scoperto anche quella “faccenda” riguardo suo fratello! E una cosa del genere, non poteva certo permetterla.
L’avrebbe poi raccontato ai compagni di classe, e tutti l’avrebbero respinta, l’avrebbero additata come null’altro che rifiuto della società.
Lei non lo voleva, non un’altra volta.
Ma si sentiva talmente in colpa nei loro confronti... li aveva offesi e feriti, con quelle parole.
Parole che si era creata sul momento, trasformando i suoi reali pensieri in qualcosa di cattivo e pungente.
Era stata ingiusta, si.
E, ancora una volta, rivide suo padre in lei.
Anche lui era stato molto ingiusto.
Ma... lei non era suo padre. Lei era ancora in tempo!
Se si fosse scusata, tutto sarebbe tornato alla normalità, e lei sarebbe di nuovo tornata Luce Shou Fukamori!
Ed eccola: l’ispirazione!
Svelta, si alzò da quella che era diventata la sua postazione da quasi un mese, lasciando cadere il gelato e la cioccolata a terra e facendo rotolare la panna montata.
Lo vedeva, il disegno. Era lì, proprio davanti ai suoi occhi!
Verde, aveva bisogno della tempera verde!
Corse a tondo per quello che, alla fine, non era nient’altro che uno stanzino, trovando finalmente le tempere in un angolino della casa. La vista fin troppo offuscata anche per vedere dove stava andando.
Tornò davanti alla parete, gettando gran parte del colore sul muro bianco, macchiandolo di verde.
Ma poi pensò che no! Loro dovevano vederlo, non poteva farlo a casa!
Così, nemmeno seppe come ci riuscì, prese un sacchetto di plastica, nel quale ci furono gettate dentro almeno otto tipi di diverso colore di tempere -tra cui molto verde- dei paletti di legno che sarebbero serviti come supporto al dipinto e un foglio da disegno tutto arrotolato, ma grande almeno quanto quella stessa parete.
Non le importava che fosse appena passata la mezzanotte, che indossasse un pigiama costituito da pantaloncini grigi e canottiera, che puzzasse peggio di un topo di fogna, che avrebbe potuto ricevere un rifiuto... doveva farlo, e nemmeno la signora Karino l’avrebbe fermata.
Così, con la borsa in spalla, uscì dall’appartamento, ignorando l’uomo che, appena accanto al suo, usciva con due uomini a seguito che reggevano un grosso tappeto arrotolato, dalla forma parecchio sospetta.
-“Ehi, ragazzina, che hai lì dentro?”- chiese uno dei due, con fare rozzo, indicando il saccone di grandezza biblica.
Lei nemmeno si fermò, ribattendo con un -“E voi che tenete in quel tappeto?”-
I tre non parlarono ulteriormente, guardando la ragazzina scendere le scale con quell’enorme sacco di plastica in spalla. Dal tredicesimo piano. Ascensore non funzionante, purtroppo.
Ma la ragazzina non era scoraggiata, anzi! La sua determinazione era talmente forte da formare un’aura dorata attorno al suo corpo, e questo bastava a far scappare via chiunque incontrasse.
In realtà, era l’odore a farlo, ma lasciamole vivere l’illusione.
Solitamente utilizzava l’autobus per muoversi nella città, ma quella notte non poteva assolutamente lasciarsi il lusso di attendere.
Così lei, per quanto le risultasse difficile, correva. Correva a più non posso. Nonostante il freddo pungente e il vento che la spingeva indietro, lei correva.
Solo quando qualcosa di estremamente piccolo e gelido le si posò sul naso, ebbe il buonsenso di fermarsi.
Sentì nuovamente quella sensazione sul resto della pelle nuda, e poi vide con i suoi occhi quella sostanza piccola, bianca e fredda, posarsi sul marciapiede sul quale stava camminando.
Beh, non che fosse così raro che nevicasse a gennaio.
Ciò che la preoccupava maggiormente era che non aveva minimamente pensato a coprirsi prima di uscire di casa, tant’è che era perfino scalza.
Ma tale preoccupazione le lasciò subito la mente libera, perché lei voleva, doveva arrivare alla serra, doveva cominciare il dipinto e doveva terminarlo prima che iniziasse nuovamente la scuola. Solo allora avrebbe avuto tempo di pensare.
Ma prima di raggiungere la serra, sarebbe dovuta andare al tempio della città.
Non che credesse nelle sciocche tradizioni giapponesi -non sia mai!- ma doveva a tutti i costi parlare con la preside Karino, e di andare a disturbarla a casa, neanche per idea.
Raggiunse la piazza più famosa della città, celebre per le mostre d’arte che si solevano fare al suo interno. Sentì la fortuna dalla sua parte notando che avevano dato proprio una mostra qualche giorno prima, e che le opere sarebbero rimaste per ancora una settimana: davanti a lei stava una torretta più alta di lei di mezzo metro, costituita interamente di orologi. Ne adocchiò uno, nel quale più di tutti era visibile l’orario, e decise di prenderlo per buono: le 4.50 a.m.
Ci aveva messo davvero così tanto ad arrivare fin lì? O forse, era a decidersi di uscire di casa, che ci aveva messo tanto...
Ad ogni modo, a quell’ora, al tempio non ci sarebbe stato ancora nessuno, quindi tanto valeva raggiungere la serra.
In mezzo al buio, ci mise circa un’ora e mezza per arrivare all’istituto, e di certo, quella sottospecie di corsa stentata sulla neve scivolosa, non l’aveva aiutata.
Come se niente fosse, gettò il saccone dalle bibliche dimensioni oltre il cancello chiuso, scavalcandolo poi lei stessa.
Si ritrovò davanti alla serra, chiusa con un lucchetto.
Dannazione! Non aveva proprio considerato che la serra potesse essere chiusa!
Così ora si trovava, stremata, sotto la neve, al freddo, senza nemmeno un posto coperto dove poggiare le sue cose.
Ma certo! Hikari le aveva parlato di un magazzino dove tenevano le scope e altri materiali, nel giardino, perennemente aperto.
Così partì alla sua ricerca, e, non appena lo trovò, ci si fiondò dentro, strofinandosi le mani sulle braccia come per cercare un po’ di calore.
Ma non aveva tempo!
Restò in quel capannino per nemmeno seppe lei quanto, tempo che utilizzò per sistemare il grande foglio sui supporti di legno che, ringraziò dio, non si erano rotti.
Quando uscì, il sole brillava già nel cielo.
Dovevano essere circa le 8 del mattino, presuppose.
Lasciò tutte le cose nel magazzino, correndo a piedi nudi sulla neve.
Non seppe mai come ci riuscì, ma scavalcò il cancello in corsa, senza fermarsi... peccato la sua rovinosa caduta a terra.
Diamine! Ora non solo era infreddolita, ma era pure fradicia!
Ma cosa le importava?
Corse, corse, corse e ancora corse, finché non si trovò al cospetto della grande scalinata che portava al tempio in stile shintoista della città.
Insomma... di scalinata non se ne vedeva poi molta, dato che era interamente occupata da una marea di persone.
In quel momento fu colta dal panico: come diavolo avrebbe fatto a trovare la preside Karino lì in mezzo?!
No, non doveva preoccuparsi così!
Sarebbe salita fino in cima, e poi l’avrebbe sicuramente vista! Insomma, Sumire era una donna inconfondibile!
Sgomitando e calciando quei poveri giapponesi che altro non volevano che pregare per un anno pieno di fortuna, riuscì ad arrivare in cima. E non ci mise poco.
Guardò verso il basso, cercando la faccia familiare della preside, ma niente.
Sarebbe stato come trovare un ago nel pagliaio, decisamente.
Si voltò quindi verso il tempio, anch’esso gremito di gente.
Aveva bisogno di uno stratagemma, ad ogni costo!
Il suo sguardo ricadde sul torii rosso che fungeva come portale al santuario.
Un’idea le passò per la testa e, per quanto stupida, decise di tentare.
Con un piccolo balzo, strinse le gambe attorno all’hashira, aggrappandocisi anche saldamente con le braccia. Con molta, estrema, fatica, prese ad arrampicarsi per tutta la colonna, arrivando fino al nuki, ovvero la trave, appena sotto al kasagi e allo shimaki, che collega le due colonne. Fu solo quando riuscì a raggiungere la trave posta sulla cima, che riuscì a prendere un sospiro di sollievo.
Ma, di certo, non passò inosservata.
In molti alzarono il capo, iniziando a mormorare sottovoce, finché qualcuno non iniziò ad urlare frasi che fecero quasi cadere la povera Luce dalla costruzione.
-“Ehi, ragazzina, non vorrai mica buttarti!”- disse uno, in mezzo alla folla.
-“Santissimi Kami! Non muoverti da lì e non fare niente di azzardato!”- urlò ancora, una donna.
-“Qualunque cosa ti sia successo, si può risolvere!”-
Va bene che il torii, si trovava proprio all’inizio della scalinata -e quindi, se fosse caduta, si sarebbe anche rotta l’osso del collo- ma non voleva di certo ammazzarsi!
No, no! Non era così che voleva attirare l’attenzione!
-“Tu, ragazzina blasfema!”- gracchiò un monaco, appena uscito dal tempietto, attirato dalle urla delle persone -“Come osi profanare così la casa di Buddha?!”-
Luce alzò gli occhi al cielo, infastidita.
-“Ascoltate!”- esclamò, cercando di farsi sentire in mezzo a quelle voci -“Non voglio suicidarmi, sto solo...”- ma fu interrotta dalla voce di una donna isterica -“Qualcuno chiami i vigili del fuoco, l’ambulanza, la polizia!”-
-“Ehi! Ma volete ascoltarmi?!”- proruppe l’italiana, non riuscendo comunque a farsi sentire.
-“Poverina... avrà si e no dieci anni, cosa le sarà mai successo?”- un sussurro che arrivò potente alle orecchie della ragazza.
-“Silenzio!”- non fu tanto l’urlo a zittirli, quanto più le tempie pulsanti, le guancie rosse, le narici allargate e la furia negli occhi -“Sto cercando la signora Sumire Karino!”- ora che c’era silenzio, non c’era più bisogno di urlare -“La prego, ho bisogno di lei!”-
Ma non vi fu risposta.
Sconfitta, abbassò lo sguardo.
Quindi aveva fatto la figura della suicida per niente!
Nello stesso modo in cui era salita, scese, sotto lo sguardo perplesso degli spettatori.
E quindi... se ne sarebbe tornata a casa.
Passo per passo, arrivò in fondo alla scalinata, guardando la neve sotto i suoi piedi.
Per lo meno, aveva smesso di nevicare.
Stava per svoltare verso destra, ma una voce la fermò.
-“Fukamori?”-
Si voltò, incontrando lo sguardo di ghiaccio della preside.
-“Che ci fai qui, in queste condizioni?”-
Luce rimase a bocca aperta. Non riusciva a crederci... ce l’aveva fatta!
Solo dopo due minuti buoni si degnò di rispondere, e andò dritta al punto.
-“Preside, ho due favori da chiederle.”-
La donna la esortò a continuare, e allora, preso un bel respiro e raccolto il suo coraggio, parlò.
 
**
 
Il 4 gennaio, per i giapponesi, significava solo una cosa: ritorno a scuola.
E ciò valeva per tutti, dall’ultimo della classe, a quelli della Special A.
Erano tornati appena la sera prima e, nonostante fosse stata una vacanza dedicata al puro relax -o almeno, era presupposto- i nostri beniamini erano stremati.
Tadashi, soprattutto: con tutti i colpi presi da Akira, avrebbe dovuto riposare per almeno altre due settimane... in ospedale.
Hikari, come sempre, si stava dirigendo a scuola al massimo della velocità, sperando di arrivare prima.
Alla fine, la fantomatica sfida della sera dell’ultimo dell’anno, l’aveva vinta Takishima, e a lei era toccato fare una dichiarazione al massimo della sdolcinatezza -e per questo, aveva preso in parte spunto dalle avances che Cesare aveva fatto alla professoressa- risultando ridicola in tutto e per tutto. Così, per ripicca, aveva lanciato una nuova sfida a Kei, che si era poi estesa a tutta la classe: il primo della S∙A che si sarebbe seduto al proprio posto attorno tavolino dove erano soliti riunirsi, avrebbe deciso dove andare in vacanza quell’estate.
Già, la scuola ricominciava, e loro erano già a pensare a quando sarebbe finita nuovamente.
Ma ecco l’istituto!
Superò i cancelli a tutta velocità, tanto che gli altri studenti neanche si accorsero di lei.
Oh, quella volta gli avrebbe fatto mangiare la polvere, a Takishima!
Imbucò il sentiero, e, in lontananza, la vide.
La serra, in tutto il suo splendore, si stagliava in mezzo agli alberi innevati, accogliendo la calda luce del sole che, presto, avrebbe reso l’ambiente più accogliente.
Ecco, stava entrando!
Poteva farcela, si! Se lo sentiva!
Ma qualcosa la fermò.
Quello che Hikari riconobbe come Takishima, la fece girare verso di sé, e, senza darle modo di parlare o, molto più probabile, urlare, le tappò la bocca a modo suo.
Un bacio leggero, a fior di labbra, bastò per bloccare la ragazza, farle desiderare di voler intensificare quel contatto, farla arrossire di vergogna per la sua fantasia galoppante, e, infine, allontanarlo da sé con un calcio allo stomaco, sfortunatamente per Hikari, parato dal ragazzo.
-“Che diamine fai?!”- urlò stridula, col volto in fiamme.
Ma Takishima le tappò la bocca nuovamente, questa volta con una mano.
Le fece cenno di stare in silenzio, e poi le indicò l’interno della serra: la ragazza vide qualcuno chino sul tavolino.
Non capendo, guardò interrogativa Takishima che, per risposta, le sussurrò di aspettare gli altri.
E finalmente, quando tutti furono fuori, decisero di entrare circospetti.
Avevano un piano: se mai fosse stato un malintenzionato, l’avrebbero cacciato a suon di legnate, ma se, eventualmente, questo si fosse rivelato migliore di loro, ci avrebbe pensato Megumi con la sua voce.
Ma quando furono al suo cospetto, tutti inarcarono le sopracciglia, dubbiosi.
Seduta sulla sedia di Takishima, con la testa nascosta tra le braccia, a loro volta poggiate sul tavolo, stava una ragazzina tutta tremante, dalla pelle cerea e i capelli marrone scuro, tutti ingarbugliati. Indossava dei corti pantaloncini grigi e una canottiera, dall’idea molto leggera per quel periodo dell’anno.
Tadashi si era avvicinato, deciso a svegliarla, ma Akira lo fermò, prendendolo per un braccio e indicandogli con un cenno del capo Ryu e i gemelli che, a sinistra del tavolo, guardavano curiosi un telone che sembrava coprire qualcosa di grande e rettangolare.
Ryu stava già per togliere il velo, ma Megumi lo fermò appena in tempo, raccogliendo da terra un foglietto con su scritto, in italiano “Prima svegliatemi” in modo disordinato e quasi incomprensibile.
Capirono quindi che, la misteriosa ragazzina, non era altri che Luce.
Le sue parole erano marchiate a fuoco nelle loro menti, ma ciò che ora premeva di più sapere, era il motivo della sua presenza.
Fu Hikari a svegliarla.
Ma quando la ragazzina alzò il viso, arretrarono timorosi.
Quello che avevano davanti era un mostro!
La pelle era insolitamente bianca, eccezione fatta per le gote arrossate, e su di essa risaltavano le labbra e le occhiaie viola. Gli occhi erano lucidi e rossi, come se fosse da molto che non dormiva.
Si guardò intorno, leggermente perplessa, squadrando poi i membri della S∙A.
-“Oh... gli squinternati della luce... sono qui...”- disse sovrappensiero, in italiano.
I ragazzi si guardarono l’un l’altro, non capendo.
-“Uhm... Shou... potresti parlare in giapponese?”- chiese timidamente Jun, ricevendo in risposta un cenno del capo da parte della ragazza, che doveva essere una sorta di assenso.
-“...Jurfeo? Che... ci fai qui?”- chiese lei, ansimando, come se parlare le richiedesse sforzo.
Ora i ragazzi la guardavano allucinati.
-“Sirena Benedetta...”- continuò la ragazza, guardando in tralice la piccola Yamamoto -“Come... come fai ad avere... le gambe?”-
Oddio, era impazzita.
Hikari le si avvicinò, poggiandole delicatamente una mano sulla fronte.
-“Scotta tantissimo!”- esclamò la mora, cercando di scaldare le braccia di Luce strusciandoci contro le mani.
-“Amazzone delle Terre Nordiche!”- esclamò d’un tratto, Luce, non smettendo un attimo di tremare -“Vuoi forse uccidermi?”- chiese, sottraendosi al suo tocco -“Tu sei così grande e forte, mentre io... io sono così delicata...”- riprese ad ansimare, tremando maggiormente -“Non posso morire ora... devo prima rientrare nel Regno...”-
-“Hikari, forse è meglio se la portiamo in infermeria.”- propose Akira, guardando preoccupata l’italiana.
Ma quella, al sentirla parlare, fece un balzo, cadendo dalla sedia.
-“Mio Dio!”- esclamò in italiano, poi di nuovo in giapponese -“Kappakira è qui!”-
L’espressione di Akira si fece truce.
-“Che hai detto?!”-
-“Akira, sta’ calma...”- cercò di tranquillizzarla Tadashi, invano.
-“Perché non dai retta al leprecauno?”- chiese Luce, rifugiandosi, con passo tremolante, dietro la schiena di Takishima.
Vedendo che la ragazza non dava cenni di ripresa, l’italiana si vide costretta a chiedere aiuto al suo scudo.
-“Grande Mago di Samui, proteggimi da quel demone!”-
Akira stava per perdere le staffe, non reggeva più!
Ma bastò una parola di Hikari perché questa si sciogliesse ed iniziasse ad elogiare il suo angioletto, circondata da tanti piccoli cuori rosa.
Nel frattempo, Kei si era spostato, guardandola storto e lasciandola, inevitabilmente, scoperta.
-“Oh no...”- sospirò Luce -“Il Grande Mago sta facendo scendere il gelo sul Piccolo Popolo...”-
Si accasciò sulle ginocchia, le palpebre che minacciavano di chiudersi, il corpo che continuava imperterrito a tremare.
-“Venerabile Elfo del Fuoco, sciogli l’incantesimo!”- esclamò la ragazza, con enorme sforzo.
-“Sono arrabbiati con me, vogliono farmi fuori!”- continuò Luce, facendo passare gli occhi lucidi su ognuno di loro -“Almeno tu, Venerabile... Elfo del... Fuoco...”-
Andando per esclusione, il Venerabile Elfo del Fuoco non poteva essere altri che Ryu.
Ma, ad ogni modo, qual’era il motivo di quella messinscena?
Aveva la febbre, questo era sicuro, ma proprio non si capacitavano...
Loro non sapevano che, ogni qualvolta lei si ammalasse, succedeva spesso questo fatto: si svegliava e continuava a rivivere il sogno che era stata costretta ad interrompere svegliandosi.
E lei era sempre stata una tipa molto fantasiosa, sia per i quadri che per i sogni.
-“Scusate...”- mormorò lei, abbassando lo sguardo -“Non avrei dovuto ferirvi...”-
Immaginarono si riferisse al discorso tenuto ormai un mese prima.
-“Ma io so come farmi perdonare...”-
Sorrise.
Si alzò, continuando a tremare, dirigendosi verso l’oggetto misterioso.
Con un gesto rapido della mano, fece cadere a terra il telo, rivelando qualcosa di... meraviglioso.
Tutti, Takishima compreso, rimasero folgorati da quell’opera.
-“Piace?”- chiese Fukamori, sorridendo -“È la squinternata compagnia della luce.”-
Il dipinto non rappresentava niente di fantasy o chissà che... solo...
Loro.
La Special A al completo.
Come di consuetudine, si trovavano seduti attorno al tavolino, ma non li aveva ripresi in una bella posa, sorridenti mentre mangiavano, no... erano loro, al naturale.
Hikari era in piedi, che puntava un dito, minacciosa, contro Takishima... sembrava molto determinata, ma il suo sorriso donava alla figura un alone di gioco, era divertita. Perché, alla fine, gli screzi tra lei e Kei, non erano altro che giochi. E lui, con alla bocca una tazza di thè, la guardava sorridendo appena, con quel ghigno vittorioso e spavaldo degno solo di Kei Takishima.
 Tadashi, come al solito, si abbuffava di cibo, e Luce era riuscita a catturare la felicità che provava il ragazzo nel mangiare... e l’orgoglio. Si, perché Tadashi era orgoglioso della sua ragazza tanto agguerrita e brava a cucinare. Akira lo guardava, i pugni stretti in una morsa dolorosa, ma il volto rilassato. Non c’era falsità, in lei. Era soltanto un modo per far capire a chiunque vedesse quel quadro, quanto amasse quel ragazzo, ma allo stesso modo, voleva far capire il carattere della ragazza, forte e dominante.
I gemelli, dall’altra parte del tavolo, si stringevano a Ryu. Loro lo guardavano con occhi dolci, pieni di amore e gratitudine. Il ragazzo, con quel Pigliamosche Pettirosso, che la ragazza aveva ritratto mesi prima, che gli svolazzava intorno, li stringeva a sé, ricambiando i loro sguardi con affettuosità. Le sue braccia circondavano le loro spalle, e ciò trasmetteva protezione. Sorridevano tutti e tre, e si sentiva il calore.
E poi... il paesaggio.
Erano nella serra, si, ma era stata dipinta talmente bene che si sarebbe potuta facilmente confondere come una seconda entrata.
Le foglie, i giochi di luce... magnifico, non vi era altra parola adatta.
-“Come mai tu non ci sei?”- chiese Tadashi, con un fil di voce.
Quella si permise una piccola risata, perdonando il ragazzo per quella sciocca domanda.
-“Oh, Leprecauno, sei divertente, sai?”- fece lei, sorridendo come una bambina -“Coma avrei fatto a disegnarlo, altrimenti?”-
Dunque, quello era un suo ricordo.
Luce era immensamente felice e appagata. Lei, che solitamente tendeva a dimenticare le cose dopo pochi minuti, era riuscita a tirare fuori dalla sua mente... quello! E poi, le loro facce, valevano più di ogni altra cosa.
-“Notevole, davvero.”-
Gli otto ragazzi si voltarono verso la voce, trovando la preside della scuola, nonché madre di Tadashi.
Il ragazzo quasi si strozzò con la sua stessa saliva a ritrovarsela lì senza alcun preavviso.
-“Sovrana del Regno!”- esclamò Luce, spalancando gli occhi alla sua vista.
La donna non la guardò stranita, contrariamente agli altri, ma continuò a tenere gli occhi fissi sul quadro.
-“Con il tuo permesso...”- disse la donna, spostando lo sguardo su Luce -“...vorrei appendere il tuo dipinto all’interno dell’istituto, così che lo possano vedere tutti.”-
La ragazza sentì un capogiro, ma non per questo smise di sorridere.
-“Questo vuol dire che... non... non sono più esiliata dal vostro Reame, Sovrana?”-
La donna decise di stare al gioco, comprendendo il significato della frase.
-“Si.”-
Luce era al settimo cielo.
Aveva lavorato per quattro giorni di seguito a quel dipinto, notte compresa, senza mai fermarsi.
Ma, ora che era finito tutto, e che aveva raggiunto i suoi obiettivi... si sentiva strana.
Aveva caldo... ma sentiva i brividi che le facevano tremare tutto il corpo.
La testa vorticava pericolosamente e, inoltre, si sentiva pesante...
...tanto pesante...
Stanca... era stanca...
Aveva sonno... doveva dormire...
Decise di chiudere gli occhi, per riposarli un po’...
Solo per un momento.
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Angolo dell’Autrice:
 
Ook... tanto per cominciare, sappiate che questo è il capitolo più lungo della storia!
Come sempre, giusto per essere chiari, ho qualche cosina da specificare:
 
1.  Il calendario scolastico giapponese. Davvero, ci ho provato con tutta me stessa a capirlo, ma non ce l’ho fatta, ed è finita che ho fatto un casino! Insomma, in ogni sito che visitavo, mi davano informazioni diverse... quindi, se troverete qualche incongruenza  di questo tipo nella storia, non abbiatemene a male!
 
2.  Più o meno, hanno tutti dei motivi: Jurfeo, ovvero Jun, è l’unione tra, appunto, il nome Jun e Orfeo. Chi era Orfeo? Era colui che, con il dolce suono dei suoi strumenti, riusciva ad incantare gli animali più feroci; Megumi l’ho chiamata Sirena Benedetta in quanto, tempo fa, avevo visto su un sito che “Megumi” vuol dire benedizione, e perché... beh, il canto di Megumi potrebbe paragonarsi a quello di una sirena, no?; Amazzone delle Terre Nordiche... uhm... io Hikari la vedo un po’ come un’amazzone, voi no? Insomma, alta, capelli scuri, magra, forte, combattiva; Kappakira... potete immaginare u.u; Grande Mago di Samui, Kei, è stato piuttosto semplice. Un mago può fare ogni cosa lui desideri, no? Anche Takishima (perché, diciamocelo, Takishima può tutto). Samui è il corrispettivo giapponese di “freddo”. Si, io Kei lo vedo dolce solo con Hikari; Venerabile Elfo del Fuoco, Ryu. Si, lui è senz’altro un elfo... sempre immerso nella natura, pensa e comunica con gli animali...! Per il fuoco... avevo bisogno di un elemento che si contrapponesse con il gelo di Takishima; Luce, invece, l’ho fatta diventare parte del Piccolo Popolo, per via della statura; infine Tadashi, il leprecauno! Dai, volete dirmi che voi non ce lo vedete a ballare su una pentola piena di monete d’oro, tra quadrifogli ed arcobaleni?
 
Uuuuultimissima cosa, poi giuro che vi lascio in pace: se non capite qualcosa riguardo al torii (che sarebbe il portale al santuario) vi consiglio di cercarlo su Wiki... insomma, lo scriverei anche qua, ma non voglio allungare ulteriormente quello che dovrebbe essere l’angolino dell’autrice^^’
 
Ed ora, vi saluto, alla prossima settimana!!
  
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