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Autore: A f u r o    30/09/2013    3 recensioni
Trattenne le lacrime per tutto il tempo, aveva giurato a se stesso di non piangere più, di diventare grande. Gli occhi gli pizzicavano, ma riuscì a trattenersi finché non raggiunse il parco giochi che frequentava usualmente da piccolo. Le foglie degli alberi frusciavano al vento, e la luce dei lampioni illuminava quel poco che bastava per vedere dove mettere i piedi. Come sospettava, a quell'ora il parco era deserto, e ciò rappresentava una buona occasione per stare in solitudine e pensare.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Kariya Masaki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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»weeping willow



Kariya aprì gli occhi.
Il lattescente pavimento marmoreo riluceva della tenue luce della lampada sul comodino. Davanti a lui, facevano capolino qualche vestito riversato scompostamente e delle carte di merendina abbandonate a ridosso delle pareti.
Era sdraiato a terra.
Di nuovo.
Il freddo alabastro gli pungeva la guancia, rimasta a contatto con il suolo per troppo tempo. Le gambe, intorpidite, non accennavano a muoversi, così come il resto del suo corpo inerme.
Non sapeva nemmeno lui perché alle volte si ritrovava in quella posizione anomala.
La stanza era impregnata di una imperturbabile immobilità, come se fosse stata così per tanto tempo quanto ci sarebbe ancora rimasta. L'unica cosa che sembrava distaccarsi dal placido scenario era una musica fievole e triste, che si ripeteva in continuazione.

Mi chiedo perché non riesca a sprecare il mio tempo e le mie energie in una posizione decente.

Il ragazzo fece per spostarsi delle ciocche blu e girare il viso per poi posare sul gelido pavimento l'altra guancia, quando qualcosa decise che non era proprio il momento di lasciarsi riempire la testa dai soliti ricorrenti pensieri.
Un qualcosa chiamato Hiroto.
«Masakichan! È pronta la ce----» come l'uomo dalla chioma rossa varcò la soglia, la momentanea pace interiore del ragazzo fu improvvisamente rotta con un solo colpo.
«COSA CI FAI SUL PAVIMENTO!? STAI BENE?! È SUCCESSO QUALCOSA? VUOI PARLARNE CON PAPÀ?»
Ancora lui. E ancora si ostina a farsi chiamare papà.
«Sto bene, diamine. Smettila di essere così invadente. Nessuno ti ha insegnato a bussare prima di entrare?»
«Sei mio figlio, e potrò fare quello che voglio in casa mia?»
«Io non sono tuo figlio.»
Hiroto lo guardò interdetto. 
Dopo averlo accolto in casa sua, avergli dato una famiglia e l'affetto che gli era stato portato via, aveva ancora il coraggio di rivolgersi a lui in quel modo? 
«Bene, allora esci e comprati qualcosa, visto che ti faccio tanto schifo.»
E detto questo, chiuse la porta e se ne andò. E Kariya non ci pensò due volte a indossare la sua giacchetta di pelle e a uscire nella fredda sera di inizio autunno.

Percorse il giardino dell'enorme villa in fretta, ignorando il vento che gli sferzava il viso e il gelo che gli penetrava fin nelle ossa. Non gli importava, voleva solo andarsene da lì il prima possibile. 
Non sapeva nemmeno dove. 
Non pensò lucidamente alla situazione.
Mentre correva tra i marciapiedi deserti, pensò alla sua famiglia. Alla sua vera famiglia, quella che gli era stata portata via in un attimo, senza lasciargli nemmeno il tempo di dargli un abbraccio o un addio.
Penso a come litigò con sua madre poco prima che partisse per il suo viaggio verso la morte, alle brutte parole che le disse senza rendersi conto che sarebbero state le ultime. 
Erano i semplici capricci di un bambino, ma non riusciva a darsi pace.
Quel "ti odio" avrebbe dovuto essere un "ti voglio bene". E quel "vattene via, allora!" avrebbe dovuto essere un implorante "ti prego, non te ne andare."

Trattenne le lacrime per tutto il tempo, aveva giurato a se stesso di non piangere più, di diventare grande. Gli occhi gli pizzicavano, ma riuscì a trattenersi finché non raggiunse il parco giochi che frequentava usualmente da piccolo. Le foglie degli alberi frusciavano al vento, e la luce dei lampioni illuminava quel poco che bastava per vedere dove mettere i piedi. Come sospettava, a quell'ora il parco era deserto, e ciò rappresentava una buona occasione per stare in solitudine e pensare.
Più che pensieri obiettivi, la sua era autocommiserazione, ma certamente non l'avrebbe mai ammesso ne a se stesso, ne a Hiroto, ne ai suoi amici. Voleva apparire come una persona forte, dimostrare che non era più un bambino, nonostante avesse appena tredici anni. 
Voleva farcela da solo, in ogni caso. Non voleva fare affidamento sulle persone, perché certamente un giorno se ne sarebbero andate tutte e ne avrebbe sofferto nuovamente la perdita.
Accompagnato da questi pensieri raggiunse un vecchio salice, che per quanto si ricordi è sempre svettato maestoso al centro del parco. Vicino ad esso vi erano delle altalene, un po' nascoste dalle lunghe fronde della grande pianta.
Mentre raggiungeva il luogo stabilito, si accorse di una figura scura accovacciata su una delle due altalene, proprio quelle sulle quali aveva intenzione di appostarsi.
Più sì avvicinava, più scorgeva dei tratti familiari nell'ombra indefinita rannicchiata e silenziosa: la luce di un lampione poco lontano gli permise di indentificare l'identità di un suo caro amico e compagno di squadra, Hikaru Kageyama. 
Non sapeva esattamente come reagire, non si aspettava di trovarlo in un posto del genere a per giunta a quell'ora. 
Avrebbe voluto andare da un'altra parte e stare da solo, ma un impercettibile pianto nel silenzio del crepuscolo gli fece cambiare idea.
«Hey.»  Kariya si avvicinò al compagno, il quale alzò la testa e si passò la manica della felpa sulle gote, nel tentativo di nascondere le lacrime che scendevano copiose sul suo volto. 
«Ciao Masaki!» Hikaru fece un ampio sorriso che in un normale contesto avrebbe irritato notevolmente l'amico, ma che in quel momento fu la cosa più rassicurante che potesse ricevere. 
«Che fai qui a quest'ora? I bambini non dovrebbero andare in giro di notte.» sorrise a sua volta, anche se effettivamente parve di più uno dei suoi soliti ghigni impertinenti.
«Ma sentilo! Hai tredici anni anche tu!»
Gonfiò le guance.
Era tremendamente carino.
«Oh beh. Perché prima piangevi?»
Kageyama rimase interdetto. Se ne era accorto? Non sapeva cosa rispondere.
«...N-non te lo dico.»
«Avanti, io sono tuo amico.»
«Se me lo dici con quel ghigno stampato in faccia mi rendi le cose ancora più difficili.»
Kariya sospirò, appoggiandosi alla sua schiena e posando le sue braccia sulle spalle del viola, il quale sussultò al contatto improvviso: pareva quasi un abbraccio. 
«Puoi parlare con me anziché deprimerti in un parco al buio.» Disse, anche se era quello che avrebbe dovuto fare anche lui.
«Ho solamente litigato coi miei genitori.» Abbassò lo sguardo.
«Anche io.»
«Hiroto?»
«Sì.»
«Che è successo?»
Gli spiegò di come aveva litigato il suo padre adottivo, di come era scappato, di come si era ritrovato lì "per caso". Si lasciò scappare anche dei dettagli sul suo malessere, che non sfuggirono al piccolo Hikaru.


«Dovresti essere felice di avere un padre così.»
«Prego?»
«Tu... Pensi ancora alla tua famiglia, giusto?»
Kariya rimase pietrificato a quella domanda. Come ci era arrivato?
«...Cosa ne sai tu?»
«Parli come se tuo padre fosse un estraneo, addirittura una persona cattiva. In fondo... Ti ha solo ridato l'effetto che ti è stato tolto, non credi?»
«Io non gliel'ho chiesto.»
«Masaki, tutti abbiamo bisogno di affetto e comprensione, altrimenti non saresti qui a parlare con me. - Il blu fece una smorfia. Non voleva dargli ragione, anche se effettivamente era lui ad avere torto. -So che ti mancano, lo so bene: eppure tuo padre ti sta dando l'amore che ti è stato tolto. Anche se soffri... Anche se soffri sta cercando di farti superare il dolore, senza cercare nulla in cambio. Anche io vorrei aiutarti.» 
Abbassò lo sguardo, mentre silenziosamente Masaki avvolse le due braccia attorno alle spalle alle quali era appoggiato, cingendolo in un abbraccio. Tremava, forse per il freddo, forse per l'emozione, e cercava di trattenere le lacrime. Non era un debole, non doveva piangere, doveva crescere. 
Eppure le sue parole avevano aperto una parte del suo cuore che aveva chiuso da tempo, una parte che non credeva nemmeno di possedere ancora.
Era convinto, Masaki, di poter vivere senza bisogno di nessuno, ma sapeva bene che non era così. Altrimenti avrebbe trattenuto le calde lacrime ancora per un po', come un adulto, come chi non ha bisogno dell'affetto di nessuno per poter andare avanti.
Si staccò dalle spalle dell'amico, non avrebbe mai più mostrato le sue emozioni come in quel momento: gli si parò davanti, inarcò la schiena quanto bastava per raggiungere le rosee labbra illuminate dal bagliore delle stelle del giovane Hikaru e le baciò. 

Le baciò come se nulla fosse accaduto, come se si fosse dimenticato di se, del suo passato, di Hiroto. Eliminò tutto il resto, quel momento gli sembrò la pace infinita che tanto a lungo cercò nella negazione dell'amore. E magicamente, la pace la trovò proprio in uno dei gesti d'affetto più dolci che avrebbe mai potuto concedere ad una persona.
Kageyama, dal canto suo, non si spaventò dell'azione avventata dell'amico. 
Lo amava, eccome se lo amava. Nonostante il suo caratteraccio e il suo modo strano di esprimere i sentimenti, era certo che dentro al suo cuore avrebbe accettato il suo passato e guardato attorno a lui, accorgendosi dei sentimenti del viola per lui. Piangeva ogni sera in quel parco sperando in un amore corrisposto, anche se la previsione gli sembrava improbabile. E invece, si ritrovava chiuso in un bacio soave con il suo principe, e tutte le preoccupazioni gli scivolarono addosso.
Solo dopo qualche minuto si staccarono, e Kariya realizzò che cosa ebbe appena fatto. Arrossì vistosamente, corrucciando il viso e balbettando parole sconnesse.
«N-non volevo. Intendo che non l'ho fatto apposta. Io... Io, ecco. Sono un'idiota. Mi spiace.»
Hikaru sorrise, alzandosi dall'altalena. Era fiero del suo Masaki, e la felicità che con quel gesto gli aveva donato non avrebbe potuto essere spenta da nessuna parola.
«Non fa niente. Sei stato bravo, Kariya-kun.»
Lo abbracciò, affondando la testa sul suo petto. Riuscì a sentire i battiti accelerati del suo cuore, e sentì al sicuro.
«...Sì, ok.» Il blu fece una smorfia, cingendo le spalle dell'amico. Probabilmente non avrebbe espresso mai più i suoi sentimenti così vistosamente, si vergognava tanto di averlo fatto. Anche se provava una pace interiore e un senso di liberazione dei quali non avrebbe neanche immaginato l'esistenza. 
Sentiva un enorme calore dentro di sè, e non poteva essere più felice. Non lo avrebbe ammesso ad altri se non a se stesso, ma aveva capito che per diventare grandi anche un pianto può essere decisivo.
Restarono così per poco, interrotti da un fruscio poco vicino. Entrambi si girarono, aspettandosi di trovare un gatto o qualche animale uscire dai cespugli.
Ma l'unico animale che fu visto dal blu era Hiroto, nascosto precariamente tra le foglie, i cui ciuffi rossi svettavano illuminati dalla luce dei lampioni.

«Papà.» Disse semplicemente.
A quelle parole, il rosso si mosse un po' cercando di disimpigliarsi dai rami e corse ad abbracciare il figlio adottivo, il quale sbuffò in segno di rassegnazione.
«IL MIO BAMBINO, IL MIO BAMBINO, HO VISTO TUTTO SAI? KAGEYAMA-KUN, PRENDITI CURA DI LUI. PUOI ANCHE CHIAMARMI PAPÀ SE TI VA. VUOI FERMARTI A CENA?» 
Il tutto fu detto con una velocità tale che Masaki capì solo la prima parte. Arrossì imbarazzato, staccandosi bruscamente dall'uomo. 
«...Sei un'idiota.» Disse, ghignando.
Hikaru rise.
«Grazie, ma per stasera tornerò a casa. Non vorrei che i miei genitori si preoccupassero.»
«Ma che tesoro, si vede che sei un ragazzo per bene. Passa pure quando vuoi, ora porto a casa questo disgraziato e mi faccio dire tutto!»
Kariya si portò una mano al viso, stupito dell'idiozia del padre.
«Allora va bene! Stai attento quando torni a casa. Kariya, andiamo~»
Kariya si voltò, dando un veloce bacio sulla bocca al suo ragazzo. Allontanandosi, solo gli urletti eccitati di Hiroto ruppero la pace che quella sera si era impadronita dell'altalena sotto al salice.
 
 
~~~~~ Note dell' autrice ~~~~~

Spazio delle note che non interessano a nessuno! ヽ(=^・ω・^=)丿
Questa fic risale ad agosto, è marcita due mesi nell'ipad prima che vedesse la luce
/ringrazio Arteda e Eugenia perché altrimenti avrebbe iniziato a pagarmi l'affitto---/
E nulla, la MasaHika merita più amore ;; volevo scrivere qualcosa di carino per far 
avvicinare di più il fandom a questa coppia sottovalutata ma il risultato non mi 
soddisfa più di tanto.
E insomma, lascerò l'ardua senrenza ai lettori (?)


~Salem

 
  
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