▪ CAPITOLO 08 ▪
little bird wrote him a tune, fly with me
far from this room.
Faceva caldo, e la mente di
Lyosha era invasa solamente da quel pensiero.
Il giorno prima, constatò, non era
stato afoso come quello, forse – si disse – era per l’adrenalina che aveva
preso piede già dai primi istanti dopo il risveglio, forse era tutto un piano
degli Strateghi, quelli di far morire i tributi di caldo, così sarebbero andati
a bere e tutti sarebbero morti nel giro di ventiquattr’ore. Ma, parlando
francamente, quel problema non gli riguardava, o almeno in parte. Lui sapeva dove trovare dell’acqua potabile.
Si dirigeva per l’appunto, mano
nella mano con Ariel, laddove era quasi sicuro ci avrebbe trovato, prima o poi,
una cascata in modo da risalire verso la parte nebulosa dell’arena: tutti quei
colori iniziavano a diventare quasi allucinogeni, gli odori che non aveva
avvertito la giornata precedente erano quasi pungenti e i rumori ambigui, che
quindi non facevano parte delle specie animali o degli insetti, lo facevano
sempre morire di paura, mettendolo all’erta e afferrando la lancia che teneva
dietro la schiena, ben consapevole di non saperla usare e che, al primo
fendente del nemico, questo lo avrebbe disarmato.
Dopo parecchi momenti di
camminata, dove il caldo sembrava peggiorare nonostante l’ombra prodotta dalle
foglie, Ariel barcollò sulle gambe per poi cadere sulle ginocchia, strisciò su
una radice e si sedette, tirandosi i capelli dietro le orecchie, «sono stanca»
proferì a bassa voce, quasi vergognandosi.
Ma non si potevano fermare, non
lì. Voleva farla riposare a tutti i costi, lo pensava davvero ed era deciso a
realizzare questo suo piccolo obbiettivo, ma non poteva permetterle di stare
ferma in mezzo alla boscaglia, senza un nascondiglio quantomeno mediocre.
Sospirò, togliendosi lo zaino
dalle spalle e infilandoselo al contrario, usando quindi il petto come schiena,
si sfilò la lancia dai pantaloni e fece segno alla sorella di alzarsi sulla
radice, mettendosi poi in ginocchio su una gamba davanti a lei.
Ariel non ci mise molto a
capire, «cosa? Non ci penso minimamente a salire sulle tue spalle!» protestò,
un po’ per dignità e un po’ perché non sapeva quanto il fratello, forse più
debole di lei, potesse reggerla.
Ma quando Lyosha si girò appena
verso di lei, mostrandole il profilo serio e gli occhi decisi, la più piccola
gonfiò le guance arrossendo di rabbia dal non poter protestare e si allungò
sulle spalle di Lyosha, sentendo le braccia ossute del fratello avvolgerle le
gambe – tenendo in mano l’arma – e le clavicole sporgenti sulle braccia mentre
gli circondava il collo con cautela, per non farlo soffocare.
Dopo qualche metro, la ragazza
decise che poteva tranquillizzarsi, che Lyosha l’avrebbe portata in capo al
mondo, anche in quel modo se necessario. Appoggiò la guancia sulla sua spalla,
le labbra rivolte verso il collo del fratello e, come per ringraziarlo, prese a
canticchiare quel motivetto con cui accompagnava sempre il lavoro extra che
Lyosha si portava a casa.
«Little bird learnt to sing in her cage
whistling | Little bird caught the eye of a little lark who heard
her cry».
Le parole della canzone che
Ariel era abituata a cantargli mentre lavorava a casa gli rimbombava in testa,
mentre toglieva tutto dagli zaini alla ricerca del tupperware con le loro
ostie, sapeva che erano da qualche parte. Sorrise quando se lo ritrovò tra le
dita, lo aprì buttando il tappo sullo zaino e porgendo due dischetti di acqua e
farina alla sorella che, consapevole del “segreto” di quelle cibarie, non esitò
un solo momento ad appoggiarsi sulla lingua il primo dei due.
«Little bird wrote him a tune, fly with me far from this room | Little bird fell in love, she fell in love,
I fell in love».
Ricordava la seggiola abbandonata vicino al
mobile su cui era appoggiata la loro vecchia radio che accendeva un paio di ore
al giorno, quando – dopo il turno in fabbrica – Lyosha si sedeva in quell punto
esatto della casupola e iniziava a rattoppare, stringere ed allargare i vestiti
che gli altri abitanti del distretto commissionavano a lui perché offriva il
prezzo più basso, o ancora quando semplicemente portava a casa il lavoro
avanzato dalla fabbrica: decina e decina di fazzoletti di lino e seta da
ricamare con oro e colori pregiatissimi. Si metteva lì con i piedi appoggiati
su uno sgabello e passava il pomeriggio rimasto, talvolta fino a sera tardi, a
far andare le mani per comporre graziosi ghirigori – e Ariel cantava per lui
quella sorta di ninna nanna che gli piaceva molto in sostituzione della piccola
canzoniera all’interno della radio, troppo stanca per suonare a lungo.
Ma poi succedeva che Thahn si addormentava con
ago e filo in mano, sul tavolo una pila di ostie e cioccolato coperte da un
fazzoletto, Ariel entrava di soppiatto nella stanza, allungava la manina sui
dolcetti e se ne tornava nella sua cuccetta a sgranocchiarsi il suo cibo,
mettendo a tacere lo stomaco.
Lexi camminava a passo spedito: non si erano
sentiti cannoni annunciare la morte di nessun tributo e questo non faceva altro
che confermare la sua teoria sul fatto che i tre non erano morti. La cosa la
faceva sinceramente andar di matto e scaricava la sua frustrazione camminando
più velocemente del necessario.
Liv invece aveva rallentato, il suo posto
affianco ad Ines era stato preso da Fraser che si divertiva di tanto in tanto
con delle battute rivolte alla ragazza del quattro, la quale avrebbe volentieri
infilzato il tributo con il suo tridente e dato in pasto agli uccelli
dell’Arena. Il tributo del due, silenziosa, cercava di analizzare con
precisione la situazione in cui era coinvolta, rendendosi conto che l’alleanza
con i favoriti era una cosa sempre meno intelligente da mantenere; ma ci aveva
già rimuginato sopra, e aveva trovato la soluzione all’incoveniente.
Quello che non le dava pace, ora, era il
ricordo di ciò che aveva lasciato al Distretto, oltre ai suoi genitori sapeva
che ad aspettarla c’era Roel Flos, il suo cosìddetto fidanzato storico, la cui relazione era iniziata quando aveva
undici anni, quindi quasi sette anni or sono. Alzò lo sguardo studiando le
spalle di Ines, e più avanti quelle di Lexi: loro avevano qualcuno che amavano
a casa? Si sentiva orribile, Liv, per
quello che aveva fatto a Roel, il non avergli messo al corrente della sua pazza
idea di offrirsi volontaria per ribellarsi ai suoi genitori. Ricordava,
soprattutto, quando lui andò a salutarla al palazzo della Giustizia. E ad
incrementare il suo dolore c’era anche l’aver provato a far nascere una qualche
relazione con Fraser, ovviamente finto e inconsistente – niente a che vedere
con ciò che aveva con Roel.
E in quel momento un rumore catturò la sua
attenzione, alla sua destra, dalla nebbia comparve una sagoma umana che, dopo
qualche secondo in cui sembrò rimanere congelata, fece dietrofront per
scappare. La ragazza si girò si scatto preparando con una velocità incredibile
arco e faretra, scoccò la prima freccia che attraversò il polpaccio della
figura, un’altra veloce come la prima si conficcò nel torace , il corpo appoggiato
sulle ginocchia, e, prima che questo cadesse tra l’erbaglia con un tonfo, un
terzo dardo gli trapassò da parte a parte il cranio.
I favoriti raggiunsero la carcassa,
identificandola poi come un ragazzo dei distretti più bassi, con sé non aveva
niente. Qualche secondo dopo il cannone informò l’Arena della morte del
tributo, uno stormo di uccelli posizionati negli alberi a loro circostanti si
alzarono in volo spaventati per il suono di morte di poco prima.
«Brava, Liv» si complimentò Ines, e per tutta
risposta la ragazza si abbassò a sfilare le frecce del cadavere, scuotendole
per togliere i brandelli di carne e sangue dalla punta, pulendole con la maglia
del cadavere.
«Ho avuto un bravo maestro», ma nel profondo
del suo cuore, sapeva che Roel non era affatto felice di vederla uccidere a
sangue freddo le persone.
La testa gli pulsava ancora, nonostante avesse
fasciato mediocramente la ferita con ciò che il ragazzo dell’otto gli aveva
premurosamente donato. Riflesso sull’acqua, Sean riusciva a vedere il suo volto
sciupato, i capelli sporchi di sangue e la benda già zuppa della stessa
sostanza, il collo coperto di rosso e terra, i vestiti fradici, putridi e
disseminati di morsi e graffi.
Che diavolo c’era in quel fiume per aver
ridotto i suoi vestiti a brandelli?
Rimase inginocchiato per terra, senza trovare
la forza di provare ad alzarsi: non ci sarebbe riuscito. Tutto intorno a lui
sembrava gridargli che era arrivata la sua ora, poi un fruscio proveniente
dagli alberi richiamò la sua attenzione ma non se la sentiva di girare il viso
per paura che un improvviso scossone potesse farlo svenire o causargli molto
dolore, rimase a guardare il suo volto nello specchio, sorridendo beffardamente
– aspettando che l’animale o il tributo lo uccidesse. E così finiscono gli Hunger Games di Sean.
«Chi sei?» domandò una voce tremolante, da
ragazzino. Sean allargò il sorriso, trasformandolo quasi in un ghigno, la
fortuna sembrava girare finalmente dalla sua parte, girandosi lentamente riuscì
a scorgere la figura che gli aveva parlato: posto a qualche metro lontano da
lui, con nulla in mano, stava Lev, il tredicenne del
quarto distretto.
«Dammi una mano… mi
fa male la testa» si lamentò lui, lasciandosi cadere seduto sulle proprie
gambe, per enfatizzare la sua stanchezza, «come potrei ucciderti in questo
stato?» chiese retorico, indicandosi la ferita.
L’altro rimase ancora qualche momento bloccato,
poi, come mosso da un senso di compassione si avvicinò ulteriormente al tributo
più grande, prima di essergli abbastanza vicino per toccarlo e farsi toccare,
gli porse un’ulteriore domanda, «se ti aiuto, tu cosa mi dai in cambio?».
«Un’alleanza, ovvio» rispose fermamente,
allungando il braccio, «dai, aiutami, ho un coltello…»
e indicò la lama un paio di metri lontani da lui, «e tu non hai proprio niente,
e non sembri uno di quei favoriti che sanno combattere fin dalla culla, tu sei diverso, no?».
Quelle parole sembravano colpire Lev nel profondo, Sean era molto bravo a parlare e aveva
già preso in giro due tributi con la sua tecnica oratoria – il pensiero dei due
del distretto otto gli fece venire un conato di vomito tanto era furioso con
loro. Lev, dal canto suo, si sentiva davvero
differente dai Favoriti, motivo per cui era fuggito a gambe levate quando aveva
visto Fraser trapassare Yara con la spada,
spaventato.
Così quello del quattro si avvicinò all’altro
tributo, passandogli il braccio dietro le spalle e alzandolo da terra, per
quanto gli permettesse la differenza di statura, raccolsero le poche cose che
aveva Sean (un coltello e uno zaino vuoto) e si allontanarono assieme dentro la
foresta. Avevano appena formato un’altra alleanza, che non sarebbe durata a
lungo.
«L’abbiamo trovata!» esultò Ariel dopo aver
spostato l’ennesima foglia dal suo cammino, indicando al fratello un’altra
radura simile a quella del giorno prima. Lyosha le
sorrise passandole affettuosamente una mano tra i capelli, correndo poi verso
la parte rocciosa coperta di liane, dove l’esperienza gli diceva che vi era una
scala che lo avrebbe portato al piano superiore.
Fece salire la sorella, e poi si avviò verso la
scalata – carico di una nuova eccitazione, illuminato dalle calde luci rosse
del tramonto. Avevano camminato tutto il giorno ed erano sinceramente stanchi,
avevano sete e si sentivano terribilmente disidratati, la foresta nebulosa era
la loro unica salvezza.
Quando mise piede a terra, appoggiandosi le
mani sulla zona lombare e facendo scrocchiare la schiena stanca, il secondo colpo di cannone si levò in alto
facendo scappare uno stormo di uccelli provenienti da lontano, i quali gracchiavano
a loro volta. Ariel si guardò attorno, impallidita come quel pomeriggio, nel
sentire il primo sparo.
Erano rimasti in dodici.
«Colui che potendo dire una cosa in dieci parole ne
impiega dodici,
io lo ritengo capace delle peggiori azioni.»
[GIOSUÈ CARDUCCI]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Ehilà :D
Eccomi in mostruoso ritardo ma, che ci
volete fare? Siamo a settembre inoltratissimo e gli
impegni scolastici si fanno sentire XD
Non ho molto da aggiungere in questo
capitolo :3 vi informo solamente che il tributo ucciso da Liv è il maschio del
distretto 11. E a questo proposito vi lascio la lista dei ragazzi ancora in
vita: M-1; F-1; F-2; M-3; M-4; F-4; M-6; M-7; M-8; F-8; M-9; F-9; F-10. Di
questi, uno è morto, avvisato nel secondo sparo del cannone. Ma eviterò di
dirvi chi sia, dato che la sua morte sarà affrontata nel capitolo successivo.
Bene! Detto questo, un piccolo focus sulla canzone cantata da Ariel. E’
una ninna nanna scritta dai The Fergies, una band australiana, vi lascio qui il link youtube, nella descrizione vi sono anche le lyrics integrali. Buon ascolto!
E a proposito di questo rispondo anche
ad una piccola “curiosità” lanciata in una recensione lasciata da Ivola: alcuni
titoli sono in inglese perché tratti direttamente dalle canzoni, quindi
preferisco riportarli nella lingua originale; anche nel caso del primo
capitolo, nonostante “run fast for
your sisters and brothers” sia il consiglio della mentore, prima di tutto è
il verso della canzone (scritto tutto nelle note!). Anche in questo caso il
titolo del capitolo rimanda alla canzone :3
Ringrazio sempre la mia bella yingsu e Flor0699 che commentano la fic nonostante tutto ;u;
Ed ecco il momentino spam ♡
Questa è la volta di I’m frozen to the bones,
fan fiction di yingsu
e in un certo senso SPIN-OFF (molto off) di “Die on
the front page, just like the stars” – in quanto
tratta degli Hunger Games
successivi ai 63esimi, con un certo collegamento con un PG della mia edizione;
ma non vi anticipo null’altro! (:
Insomma, un saltino anche da questa
farebbe felice sia l’autrice che me, e voi mi volete felice, no?~
Bene, per oggi è tutto! Spero che l’andatura
dell’Arena continui a piacervi. ♡
radioactive,