La
malattia di
Derek continua per una settimana, è un’influenza
seria e alla fine anche io ne
vengo contagiata.
Quando usciamo
dalla mensa dei poveri siamo entrambi pallidi e smunti, stanchi da
morire, ma
decisi a proseguire il nostro viaggio.
Prendiamo il
primo treno merci per Ottawa e
poi a
Ottawa uno per Montreal.
Quando finalmente
scendiamo dall’ultimo treno mi sento leggera, così
leggera che potrei volare
via trasportata dal vento freddo della città.
Montreal ci
accoglie con una bella giornata limpida, ma fredda.
Noi siamo di buon
umore e ci trasciniamo alla prima agenzia immobiliare per trovare
subito un
posto per vivere.
Le case nei
quartieri residenziali sono fuori dalla nostra portata, ma riusciamo ad
avere
in affitto una casetta che confina con i quartieri poveri e che nessuno
vuole
per questo.
Ci sono anche
leggende che dicono che in quella casa un uomo abbia fatto a pezzi la
sua
famiglia e che lì si aggirino ancora i loro fantasmi.
Fa niente, io
sono abituata al soprannaturale, anche a casa mia ci sono i fantasmi e
li vedo
solo io, per somma rabbia di mio padre.
Pensando a lui mi
rabbuio e non posso permettermelo.
Da questo momento
in poi la nostra vita accelera, sistemiamo le nostre cose in casa e poi sistemiamo la
casa stessa: ridipingiamo
le pareti, restauriamo le sedie scompagnate e troviamo le loro sorelle
in
soffitta, sistemiamo il divano e la tv che non va.
Derek sistema gli
elettrodomestici con il mio aiuto, io invece restauro le varie cose.
In un mese la
casa è tornata ai suoi antichi fasti e io e Derek abbiamo un
lavoro: lui lavora
in un negozio aggiusta tutto, io come cameriera da Mac Donald, sperando
che
presto mi promuovano e mi mettano in cucina.
Lì lavori come
uno schiavo, ma vieni anche pagato di più.
La mia vita sta
prendendo una direzione calma e senza scossoni e io non chiedo di
più.
All’inizio di
dicembre ci raggiungono anche Ashley e Mickey, i loro genitori li hanno
di
nuovo buttati fuori e noi li ospitiamo nella stanza di quello che
doveva essere
un bambino, solo che ora ci abbiamo messo un letto a una piazza e mezza
trovato
alla discarica e sistemato da me.
La pancia di
Ashley è bella grossa e – grazie a
un’ecografia fatta su un camper di
prestazioni sanitarie gratuite ai senza tetto – hanno
scoperto che sarà un
maschio.
Fila tutto per il
meglio insomma, oggi è una domenica tranquilla. Ashley
guarda la tv con Derek e
commentano ironicamente uno mielatissimo film d’amore.
Io invece finisco
di decorare la casa con Mickey, l’albero l’abbiamo
fatto ieri tutti insieme.
Il campanello
suona all’improvviso e ho un bruttissimo presentimento: non
mi piacerà la
persona che ci sarà dall’altra parte della porta.
“Kate, non vai ad
aprire?”
Mi chiede Mickey.
“Sì, sì, vado.”
Mi avvio verso la
porta bianca che ho dipinto io stessa e la apro.
Sbianco non
appena vedo chi c’è.
Jack.
“Jack?”
Gli domando con
una voce flebile.
“Sì, sono io.
Ava, ti ho trovato finalmente!”
Io gli sbatto la
porta in faccia prima che possa infilarci un piede per costringermi a
parlare
con lui, cosa che non voglio.
Lui inizia a
tempestare la porta di pugni, che io ignoro.
“Ava! Apri,
cazzo!”
Io me ne torno in
salotto, tra lo stupore di tutti.
“Chi è?”
“Uno che ha
sbagliato porta.”
“Non sembrerebbe,
sembrerebbe conoscere bene chi vuole e sembri proprio tu.”
“Io non voglio
parlare con lui. Forza, continuiamo con le decorazioni!”
Dico secca.
Mickey mi guarda
perplesso, ma alla fine annuisce e continuiamo come se nulla fosse,
come se non
ci fosse un pazzo che continua a tempestare la nostra porta di pugni e
a
chiamare il mio nome.
“Se ne andrà
prima o poi, vero?”
“Sì, ma è
probabile che ritorni.”
Sono seccata, ma
cosa vuole da me?
Non ha Ginger?
Non ha una vita a cui pensare?
Non ero la
stronza? Perché venirmi a cercare?
Da quel momento
mi chiudo in un silenzio ostile e furioso, come ha fatto a trovarmi?
Eppure abbiamo
lasciato pochissime tracce!
“Kate, non c’è
qualcosa che ci devi dire?”
Mi chiede cauta
Ashley.
“No, non ho nulla
da dire.”
Rispondo funerea,
lei e Mickey si lanciano due occhiate incredule, sembra che
all’improvviso non
sappiamo cosa dire o fare.
È questo il
prezzo da pagare quando dici una bugia e la verità viene a
scovarti.
Finalmente dopo
mezz’ora si stanca e se ne va, ma ho l’impressione
che tornerà domani.
“Per fortuna se
ne è andato, eh ragazzi?”
La voce di Derek
ha un tono leggero per evitare domande.
“Sì, ma sembrava
che ti conoscesse davvero, Kate.”
Io scuoto la
testa.
“Non conosceva
neppure il mio nome, ha continuato a chiamarmi Ava tutto il
tempo.”
“Forse Kate non è
il tuo verro nome.”
Azzarda Mickey.
“Ci sono tanti
senzatetto che entrano illegalmente in Canada e si cambiano il nome,
adottando
quello dei documenti falsi.”
Io mi alza in
piedi nervosa e sbatto un pugno contro lo stipite della porta.
“Non fatemi domande
su questa storia, non ho intenzione di rispondere, ok?
E adesso esco a
mangiare!”
Raccatto la
giacca e la borsa e mi metto gli anfibi, in soggiorno Ash e Mickey
stanno
tempestando il povero Derek di domande.
Idiota di un
Jack!
Doveva proprio
venire a scovarmi ora che ho trovato un po’ di pace?
Cammino di
pessimo umore, masticando amaro fino al Mac più vicino,
lì ordino un bel menù
di quelli che ti ammazzano di calorie e cerco di darmi una calmata.
Sono furiosa,
nelle settimane di punizione che ho scontato – per modo di
dire perché alla
metà della seconda sono scappata di casa – non mi
ha mai mandato nemmeno un
messaggio e ora si
fa vivo.
Come se fosse mio
amico
Come se gli
importasse.
Forse Ginger l’ha
mollato o ha chiuso le gambe.
Non lo so e non sono
certa di volerlo sapere, in fondo non mi interessa granché.
Bugia!
Quando me lo sono
trovato davanti il mio cuore ha iniziato a battere troppo veloce e
questo non
va affatto bene, lui non può farmi questo effetto. Non
ancora.
Quanti chilometri
devo mettere tra me e Jack Hoppus?
E anche se ne
mettessi degli altri chi mi assicura che non mi segua?
Potrei
trasferirmi in Europa e lasciare la mia casettina, anche se mi
mancherà insieme
a Derek, Ashley e Mickey.
“Non dirmi che
vuoi scappare ancora?”
Una voce maschile
ironica mi riscuote dalle mie elucubrazioni: è Derek.
“Sì, stavo
pensando di fuggire in Europa, non nel Regno Unito, però.
Jack ha vissuto
per un po’ a Londra e conosce il posto.”
“Non sarebbe
meglio parlargli invece di scappare?”
Io sbuffo.
“Non me la sento,
lui mi fa incazzare da morire, ma anche sentire debole da morire.
Mi fa scoppiare
il cuore e non gliene frega nulla, dato che ha una ragazza.”
Lui scuote la
testa.
“Sei innamorata,
ma non vuoi metterti in gioco.”
“L’ho già fatto e
guarda cosa è successo: sono scappata in Canada e
l’ho attraversato tutto pur
di non vedere più lui e la mia famiglia. Non credo sia una
bella idea
rimettermi in gioco di nuovo.”
“Dipende da come
gliel’hai detto e poi le circostanze ora sono diverse, che ti
piaccia o no lui ha
attraversato il Canada per venirti a riprendere.”
Io faccio un
verso indefinito tra lo sbuffo e quello tsch che amano tanto i padrini
mafiosi.
“Avrebbe potuto
avermi a San Diego.”
“La situazione
era diversa: prima ti scopi il suo migliore amico e lo fai soffrire
perché lui
ti ama e tu non voluto parlargli, poi te ne vieni fuori di botto con il
fatto
che lo ami.
Penso sia quasi
normale che una persona reagisca male in questa situazione.”
“Se lo dici tu.”
“Non ti ho
convinta, eh?”
Io scuoto la
testa.
“Sei così forte
da attraversare uno stato, sopravvivendo al gelo, agli avanzi di galera
e senza
farti trovare da nessun poliziotto eppure sei anche così
debole da non voler
riflettere sul rapporto che c’è tra te e Jack e
dargli la possibilità di dire
la sua.”
Io sto zitta,
questo argomento non mi piace per niente e io taccio quando qualcosa
non mi
interessa.
“Ava, non è
scappando che questa cosa si risolverà, anzi si
ingigantirà fino a travolgerti.”
“Non esageriamo,
Derek!”
“Non è quello che
sta succedendo?
Tu pensavi di
esserti liberata di quel ragazzo, ma lui è qui e deciso a
parlarti e lo sarà
ovunque tu decida di andare.
Fallo parlare,
mandalo a fanculo e chiudi questa situazione, eviterete di soffrire
entrambi.”
“Mah, se lo dici
tu.”
“Sì e sono certo
di quello che dico, ti voglio troppo bene per vederti comportati
così senza
fare niente.”
Io arrossisco.
“Grazie Derek.”
“Figurati.”
Derek ordina
anche lui da mangiare e alla fine finiamo per mangiare insieme due
hamburger,
penso che Ashley sia in grado di cucinare qualcosa al suo ragazzo.
Torniamo a casa e
li troviamo intenti a sparecchiare la tavola, non ci dicono niente e
passiamo
la serata a guardare la tv.
Apparentemente
sembra tornata la normalità, ma so che è solo
momentanea.
Il
giorno dopo
Jack si ripresenta e io devo uscire dalla porta sul retro insieme agli
altri
per andare al lavoro.
Seccatore
maledetto!
Al lavoro sono
svogliata e sull’attenti, non vorrei mai che capitasse nel
locale e facesse una
scenata, non voglio essere licenziata per colpa sua.
Arrivo a casa e
lo vediamo accoccolato sul portico, io mi avvicino cauta e gli tocco la
fronte:
è gelida.
“Derek,
portiamolo dentro prima che congeli.”
Io lo prendo per
le spalle, lui per i piedi e con l’aiuto di Mickey lo
mettiamo sul divano, gli
togliamo giaccone e scarpe e lo avvolgiamo in due coperte.
Un quarto d’ora
si sveglia, ancora mezzo intontito, e mi individua subito.
“Ava!”
“Jack.”
Dico priva di
allegria.
“Finalmente ti ho
trovata, stavano diventando matti.”
“Ma davvero?”
La mia voce ha
una sfumatura feroce.
“Sì, cosa ti è
saltato in mente?
Come mai sei
scappata di casa?”
“Forse perché mio
padre mi considera una puttana, la band ha cessato di esistere, per
Landon ero
solo una scopata, mancata direi e tu avevi Ginger.
Per chi sarei
dovuta rimanere?
Per la mia
famiglia? Per il mio migliore amico che mi ha mandata a
fanculo?”
Lui scuote la
testa.
“Ero solo
arrabbiato con te perché mi sembrava di essere un burattino
tra le tue mani.”
Mi risponde con
voce debole.
“Bene, il
burattinaio ti ha tagliato i fili, puoi andartene.”
“Ava, non abbiamo
ancora finito di parlare.”
“Io non ho
nient’altro da dirti, vattene.”
Lui si alza
barcollante, si rimette scarpe e giacca e mi guarda.
“Tornerò, non è
finita qui.”
Se ne va curvo e
io lo seguo con lo sguardo.
Di cos’altro
dobbiamo discutere?
“Testardo il
ragazzo!”
Commenta Derek
divertito.
“Sì, è una delle
sue peggiori qualità.”
Lui ride.
“Poverino, si è
fatto tutto il Canada, potresti essere meno gelida.”
“Come ho già
detto poteva dirmi tutte queste cose ed essere gentile in California
invece che
qui.
Qui dà solo
fastidio a tutti.”
Derek smette di
ridere.
“Non è vero,
cerca solo di farsi ascoltare, un’impresa non facile, quando
si ha a che fare
con una testona come te.”
Io sbuffo e
incrocio le braccia davanti al petto, non sono poi così
testona e non ho
voglia di discutere.
“Io vado a
letto.”
Lui annuisce e mi
raggiunge poco dopo.
“Vuoi davvero
dare nessuna possibilità a quel ragazzino?”
“Sì..”
Mormoro stanca.
“Pensa a cosa ha
fatto per te – in ritardo, d’accordo – e
non essere così affrettata.”
“Va bene, Derek.”
Io mi addormento
tra le sue braccia, nel mio cervello vorticano le immagini di me e Jack
insieme
e poi quelle con me e Derek.
Che casino.
La mattina dopo
mi sveglio intontita, non vedo l’ora che sia Natale per
dormire un po’ di più,
mi sento veramente stanca.
Mangio
svogliatamente la colazione e poi mi reco al lavoro, di solito non mi
pesa, ma
rivedere Jack mi ha sconvolto. Frammenti della mia vecchi vita si sono
conficcati in quella nuova e non è piacevole.
Ora mi sento in
bilico tra due dimensioni, quella in cui ho sempre vissuto –
rappresentata da
Jack – e quella nuova, rappresentata da Derek, Ash e Mickey.
Cosa devo fare?
Ascoltare Jack o
ignorarlo?
Cosa significa
che il nostro discorso non è finito?
Non ne ho idea e
la cosa mi preoccupa non poco, mi piace avere le cose sotto controllo.
La mattina dopo
mi sveglio nervosa, nessuno mi può parlare senza ricevere
una critica o un
insulto gratuito. Certe mattine mi gira così e non
c’è niente che possa fare per
cambiare questa cosa, anche se so che è fastidiosa per chi
vive con me.
Vado al lavoro e
verso mezzogiorno trovo in coda Jack, evviva. Decido di trattarlo come
un
normale cliente, lui ordina un menù e poi mi guarda.
“Stasera
usciresti a bere qualcosa con me?”
“No, non vedo
perché dovrei.”
“Abbiamo
parecchio in sospeso io e te.”
“Ecco il suo
menù, buon appetito.”
Gli porgo il suo
vassoio e lui si allontana deluso.
Il resto del
turno procede tranquillamente, il brutto arriva alla fine ed
è Jack appoggiato
al muro davanti all’uscita sul retro.
“Cosa vuoi?”
“Parlare con te,
dobbiamo chiarire.”
“Ti ricordi cosa
mi hai detto la notte che sono venuta da te?
No, vero?
Beh, io sì, era
più o meno così: “Ho detto che
è troppo tardi, Ava. Non puoi trattarmi come una
merda e poi pretendere che io ti dica che va tutto bene e che
è tutto a posto
tra di noi”.
Ecco, Jack, è
esattamente così.
Non puoi
pretendere che io torni da te dopo che tu mi hai detto di andartene.
Non puoi
dire a una persona che ha disperatamente bisogno di te di andarsene e
poi
pretendere che torni da te a tuo piacimento.
Non funziona
così, Jack Hoppus.
E adesso, scusa,
ma devo andare a casa.”
“Casa tua è a San
Diego.”
“Casa mia è a
Montreal.”
Rispondo fredda
io.
“Smettila di
scappare! La vera Ava non l’avrebbe mai fatto!”
“E tu smettila di
rincorrermi! Il vero Jack non mi avrebbe mai lasciato nella merda fino
al
collo.”
Me ne vado e lui
non mi segue, ho parlato di un vero Jack, ma forse non esiste, forse ha
solo
finto bene in tutti questi anni.
Arrivo a casa di
malumore, ma cerco di non esternarlo questa volta. Nessuna delle
persone
presenti può pagare per la stupidità di Jack ,
solo Derek intuisce qualcosa.
“È tornato alla
carica, vero?”
“Sì, ma non
voglio cedere. È facile presentarsi qui e fare
l’eroe romantico della
situazione, ma dov’era prima?”
“Tutti sbagliamo,
ma come possiamo rimediare se nessuno ci dà una seconda
possibilità?
Come possiamo
dimostrare di essere cambiati se tutte le porte ci vengono sbattute in
faccia?”
Io non dico nulla
e preparo la cena, le parole di Derek hanno aperto una piccolissima
breccia
dentro di me.
Servo la cena e
mi chiedo se forse non dovrei davvero parlare sul serio a Jack, niente
frecciatine, niente acidità, solo un confronto pacifico.
La mia mente dice
che è una buona idea, ma l’istinto – il
cuore, la pancia – è ancora arrabbiato.
Come diceva
quella frase?
“Io sto bene,
sono i miei sentimenti a essere arrabbiati.”
Ecco, sintetizza
perfettamente la mia situazione.
La ferita che mi
ha inferto sanguina ancora troppo per far sì che sia un
confronto pacifico.
Lavo i piatti,
sistemo la cucina e poi salgo in camera mia buttandomi sul letto.
“Fa male ancora?”
“Fa male ancora.
Sono ancora ferita, arrabbiata, non lo so.
Quando si parla
di lui sento come se ci fosse un gomitolo di lana incastrato in gola,
che non
mi fa parlare, urlare e respirare. Quando voglio rompere qualcosa per
sfogarmi
le mie braccia diventano pesanti.
Il mio corpo non
risponde ai miei comandi quando c'è lui nelle vicinanze,
sono sempre stata
fredda con lui per tenere a bada questo corpo che vorrebbe solo
saltargli in
braccio e baciarlo.
Non posso, non
posso dopo quello che mi ha fatto!”
All’improvviso si
apre la porta della camera si apre e Jack fa irruzione, trattenuto da
Mickey.
“Scusate, non ce
l’ho fatta a trattenerlo!”
Jack lancia
un’occhiata di fuoco a Derek che risponde con
un’occhiata di sfida aperta, che
fa stringere i pugni al mio ex migliore amico.
“Ava, dobbiamo
parlare!”
“Ancora? Lasciami
in pace, Jack!
Ne ho le palle
piene di te e dei tuoi appostamenti!”
“Parlami e finirà
tutto.”
Io guardo lui e
poi Derek, poi dalla mia bocca esce una specie di ringhio.
“Va bene. Domani
vieni qui e poi ce ne andiamo in un posto che conosco io, adesso
vattene.
Non voglio vedere
la tua faccia da cazzo fino a domani!”
Urlo fuori di me.
Domani si
prospetta un giorno di merda e soprattutto un confronto non facile con
una
persona che per me – un tempo – rappresentava tutto.
Che Dio me la
mandi buona e mi assista o rischio di ammazzare quella testa bionda e
non mi va
di finire in carcere per lui.
Dannazione!
Angolo di Layla.
Ringrazio staywith_me e
DeliciousApplePie
per le recensioni.