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Autore: Book boy    30/09/2013    1 recensioni
Una raccolta di racconti, storie, storielle tutte improntate sugli zombie!!! Un viaggio attraverso il tempo e lo spazio per vedere un'apocalisse zombie in tutte le sue sfaccettature e le sue forme. Buona lettura!!!
Genere: Azione, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Liquidatori
L’aria calda era davvero torrida. Il cielo del tramonto, sfumato di colori variopinti, che andavano dal giallo paglierino al rosso sangue, passando da colori rosa pallido. Il cimitero era circondato da poliziotti e carabinieri. Vi era anche un blindato dell’esercito con a bordo quattro uomini che avevano il compito di supervisionare l’operazione. Oltre alle forze armate vi erano anche otto “liquidatori”, coloro che avevano il compito di sigillare definitivamente le tombe e i loculi con il cemento. I morti grattavano all’interno delle bare sotterranee e il rumore arrivava distintamente anche alle orecchie dei vivi. Le precauzioni per quei tipi di lavori non erano mai abbastanza, perciò avevano messo in quarantena una vasta area che circondava tutto il cimitero fino a cento metri di distanza. Era strettamente necessario preservare l’incolumità degli abitanti della città. Un piccolo gruppo di carabinieri si avvicinò al cancello principale. Lo aprì e lo superò dirigendosi verso le tombe lì nei pressi, le mitragliette spianate e pronte a fare fuoco. Avanzarono ancora di qualche passo, fino a che non si assicurarono definitivamente che il luogo era sicuro. Entrarono i liquidatori, seguiti da una decina fra carabinieri e poliziotti e dai quattro componenti dell’esercito. Fecero entrare anche le betoniere e la ruspa per gli scavi. Si avvicinarono immediatamente ad una prima linea di tombe. Il rumore dello sbattere contro il legno delle casse era orribile. I cadaveri viventi all’interno di esse probabilmente stavano impazzendo. La ruspa iniziò a scavare e a spostare cumuli e cumuli di terra per portare alla luce le bare: alcune erano marrone chiaro, altre ancora di un marrone più scuro, tranne una che, anche se logora e rovinata dalla terra, era bianca. Era sepolto un bambino morto ad appena quattro anni. Una bara era danneggiata e deteriorate e, da un piccolo buco, si poteva vedere l’interno. Il suo occupante, un uomo ormai decomposto da molto tempo, si muoveva con lentezza ma con un unico obbiettivo: sfondare la lastra di legno e uscire da lì. Iniziò subito la colata di cemento che iniziò gradualmente, a poco a poco, ad alzarsi sempre più finché non raggiunse l’altezza di un metro circa. Erano cementate. Non avrebbero più dato problemi. I liquidatori proseguirono il loro mestiere per tutte le altre file di tombe, mentre alcuni camion portavano via la terra che veniva estratta. In poco tempo finirono di cementare le ultime tombe nella terra. Il buio stava già oscurando le tombe coperte dal cemento. I liquidatori si diressero verso le cappelle per assicurarsi che le lastre di cemento già posizionate tenessero. “Era uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo” mai questa citazione era stata pronunciata tanto esattamente. Davvero uno sporco lavoro.
 
La gola del diavolo
 
Nevada, route 66
Viaggio sulla mia motocicletta a 100 miglia orarie. Il vento sferza la pelle delle guancie. Se tutto va bene, entro un paio di giorni arrivo alla mia destinazione. Alla mia meta. Alla gola del diavolo. Nome banale è? Lo so, ma alla fine non l’ho inventato io e, in un mondo popolato da zombie, tutto può sembrare banale. Laggiù si dice vi sia una colonia di sopravvissuti. Se ci credo? Sì. Che sia vero? Non lo so. Staremo a vedere. La lancetta della benzina è troppo in basso. Devo fare il pieno. Proseguo ancora per un paio di miglia sulla strada, tenendomi al centro, fra le due corsie. Tanto nessuno può dirmi di rispettare le regole. E nessuno le vuole rispettare. Intravedo il cartello: cinquecento metri e vi è una stazione di servizio. Accelero e imbocco lo svincolo che mi conduce al parcheggio. Non si vede anima viva. E per fortuna nemmeno morta. Assicuro a terra il cavalletto e smonto. Prendo la mitraglietta MP5 dal borsone di pelle attaccato ai lati, appena dietro al sellino. Inserisco un caricatore nuovo e controllo quanti mene rimangano: ancora nove. Dovrò fare rifornimento di munizioni tanto per stare sicuro. Avanzo con cautela verso il bar con le vetrine scure. L’arma spianata in avanti, il dito pronto a premere il grilletto. Ho imparato a non avere nessuna pietà. Se vedo un cane zombie: lo freddo. Se vedo una donna zombie: la freddo. Se vedo un bambino zombie: lo freddo. Non ho alcuna pietà per i non-morti. Mi dirigo con passo leggero verso la porta, Appoggio una mano sulla maniglia e tiro verso di me. Mi addentro all’interno, tenendo sempre puntato di fronte a me l’MP5. Avanzo facendo ancora qualche passo. Vediamo e trovo anche qualcosa da mangiare già che sono qui. Sugli scaffali vedo alcune barrette energetiche e qualche scatoletta di tonno che posso benissimo portare via. Però prima devo setacciare per bene l’edificio ed assicurarmi che non vi siano brutte sorprese. Avanzo ancora e apro un'altra porta che conduce al retrobottega e mi blocco come congelato. Dei rumori provengono dal bagno. Sembrano dei passi, seguiti subito dopo da alcuni ringhi soffocati. Mi avvicino alla porta. È socchiusa. La spingo in avanti con la canna del fucile e osservo uno spettacolo davvero macabro: uno zombie con un cappio intorno al collo, ormai spezzato, che sembra voler staccare da una trave del soffitto anche l’altra parte di cappio che si è spezzato sotto il peso del cadavere. Appena si volta e mi vede, comincia a ringhiare famelico. È pronto ad attaccarmi. Ma io lo anticipo. Con una raffica all’altezza della fronte gli scoperchio la calotta cranica staccando la parte destra della testa e facendola saltare in aria. Dopodichè, con un'altra raffica precisa e mirata lo colpisco al cervello aprendo un varco fra la massa rosea fino a far fuoriuscire i proiettili dalla nuca, portandosi dietro anche della materia organica che si spiaccica contro la parete dietro di lui. Il morto vivente cade a terra. Questa volta morto sul serio. La scena è una delle più stupide che io abbia mai trovata da quando questa piaga è iniziata: l’uomo, per sfuggire a quest’apocalisse in cui tornano in vita i morti, si impicca nel bagno della sua stazione di servizio, condannandosi al ritorno sotto forma di cadavere ambulante. Diventando uguale a coloro da cui voleva scappare. La stupidità delle mente umana può raggiungere livelli critici.
Prendo un sacchetto di plastica da dietro la cassa e lo riempio con le barrette e le scatolette di tonno, poi esco e mi dirigo di nuovo verso la moto. Metto a posto la mitraglietta e il sacchetto all’interno del borsone poi rimonto in sella, metto in moto e parto via rombando, dirigendomi vero la strada. Ancora un paio di giorni, forza. Speriamo che la colonia esista davvero.
 
Gita di sangue
 
Sei un boy scout. Devi tenere duro come solo i boy scout sanno fare! Devi tenere duro!
Quando abbiamo appreso la catastrofica e triste notizia eravamo fare una gita giù al fiume. Tutti noi del 5° squadrone scout delle marmotte. Anni componenti: fra 8 e 13. Io sono uno dei veterani. Un tredicenne. Ero in questo squadrone da ormai cinque anni e fra poco sarei passato al 5° squadrone lupi, fra i 14 e i 17 anni. Peccato che non lo sarò mai.
Quando tutto è accaduto, come ho detto, ci trovavamo al fiume. Quando ne venimmo a conoscenza ci eravamo fermati per una sosta in un piccolo tratto di sabbia grigia. Io ero seduto al fianco del nostro capo-gruppo, il signor Stewich. 26 anni di esperienza fra gli scout. Un grande uomo, senza dubbio, però quando scoprì, ascoltando il notiziario con la piccola radio che si portava dietro in ogni spedizione o gita le ultime notizie sbiancò di colpi. Su tutti i radio-giornali si parlava della piaga che stava accadendo: i morti si svegliavano nelle tombe. Nessuno sapeva spiegare cosa stesse succedendo e, inizialmente la prendemmo tutti come una bufala, tranne il capo-gruppo. Lui ci credeva. L’unica cosa da fare fu quella di chiamare il 911 per chiedere informazioni ma le linee erano tutte occupate. Maledizione quel momento fu un vero inferno, nello squadrone eravamo in tutto 41 ragazzi, 19 dei quali di otto anni che erano spaventati a morte ed io, facendo parte dei 10 tredicenni avevo il compito di tenerli calmi. Alcuni non riuscivano neppure a capire ciò che stava accadendo. Nemmeno io d’altronde. Forse all’inizio non diedi particolare peso alla cosa ma, appena me ne resi conto, allora fui anche io terrorizzato dalla situazione.
Il giorno dopo averlo saputo il capo-gruppo disse che saremmo tornati alla cittadine più vicina, ma prima dovevamo prendere dell’acqua. Io e altri tre miei coetanei accompagnammo una ventina di ragazzini più piccoli al fiume per riempire le loro borracce. Muovendoci in gruppo tenevamo gli occhi bene aperti. Passarono pochi minuti dal nostro arrivo all’acqua quando avvistammo una sagoma in lontananza. Si avvicinava, anche se con calma, era molto deciso nella sua direzione. Verso di noi. Subito i bambini si spaventarono. Dissi a un mio compagno di portarli indietro e di avvertire il signor Stewich, mentre io e Wills lo avremmo tenuto impegnato. Era una cosa che ci spaventava ma ci metteva adrenalina al tempo stesso. Era una cosa impressionante, davvero. Wills prese in mano un grosso bastone che raccolse a terra. Io invece estrassi dalla tasca dei pantaloncini il mio fidato coltellino svizzero e ne aprii la lama. Mi chiesi perché fossimo andati solo noi. Altri compagni potevano aiutarci ma invece erano scappati. La paura gli aveva attanagliato le viscere. Lui avanzava verso di noi e più si avvicinava più ci accorgevamo che perdeva sangue dal naso e dalla bocca. Era uno di loro. Si avventò su Wills che, pietrificato dalla paura, si era gettato a terra frignando. L’essere aveva iniziato a morderlo sulle braccia e sulle gambe mentre io, spaventato, lo osservavo tremante. Dopo pochi attimi mi riscossi e gli fui addosso impugnando il coltellino come fosse un pugnale tipo “Rambo”. Lo pugnalai alla gola facendone zampillare fuori un fiotto di sangue e continuai per diversi secondi, fino a che non sentii le urla del capo-gruppo farsi sempre più vicine. Stava venendo in nostro soccorso. Lasciai scivolare a terra il coltellino e mi guardai le mani: erano imbrattate di sangue. Mi sdraiai sull’erba, a pancia in su a guardare le nuvole. Non ero più una marmotta. Ero diventato un lupo. E solo in quel momento mi resi conto effettivamente che avremmo dovuto combattere per garantire la nostra sopravvivenza come specie.
 
Corridoio della paura
 
Era chiuso in quel bagno da quando era iniziata poche ore prima.
La sua professoressa aveva visto fuori dalla finestra l’onda di morti viventi in avvicinamento e, urlando per il terrore era fuggita via. Stava accadendo l’apocalisse. Tutti gli studenti avevano iniziato a scappare via, fuori dalla scuola, mentre quei cadaveri entravano e iniziavano a sfamarsi con le loro fresche carni. Luca era scappato via. La sua classe era al centro del corridoio. Si guardava intorno terrorizzato. Tutti fuggivano ma in realtà si avvicinavano ancora di più ad una morte rapida e dolorosa. Tentò di scendere le rampe che lo avrebbero portato alla porta principale, la sua salvezza ma un gruppo di zombie le stava salendo dirigendosi verso gli altri superstiti nel suo corridoio. Sul tavolo nell’atrio stavano alcuni di loro stavano sbranando il loro bidello. Le sue interiora erano cosparse sulle piastrelle del pavimento. Un conato di vomito gli salì su per la gola ma lui lo rispedì giù deglutendo alcune volte. Si voltò e si mise a correre verso l’unico punto che gli sembrava sicuro: il bagno. Entro nell’antibagno e chiuse la porta dietro di sé, dopo aver sbirciato fuori per un ultima volta e aver visto i suoi compagni, i suoi coetanei e anche i suoi amici, essere mangiati vivi da quegli esseri. Vide anche Alessandro, il suo migliore amico che veniva preso da due non-morti e trascinato all’interno di una classe dove sicuramente avrebbero banchettato con il suo corpo. Chiuse con forza la porta, girando la chiave nella toppa un paio di volte. Si allontanò facendo qualche passo indietro. Ma si bloccò improvvisamente come pietrificato. Non aveva verificato una cosa: se ci fossero stati zombie all’interno di quel locale. Sgranò gli occhi spaventati e, lentamente, si voltò, guardandosi intorno. Apparentemente era vuoto. I bagni erano tre. Aprì le porte di tutti e li trovò vuoti. Meno male.
Si voltò nuovamente verso il corridoio. Dei rumori raccapricciante di urli, strilli e ringhi provenivano da fuori. Entro all’interno di uno dei tre bagni e chiuse la porta con la levetta appena sotto alla maniglia.
Respirava velocemente e sembrava quasi che il cuore volesse esplodergli nel petto, tanto batteva veloce. Si sedette fra il WC e la parete di cartongesso. Si rannicchiò su sé stesso in posizione fetale, nascondendo la testa in mezzo alle ginocchia, tappandosi le orecchie per non sentire le urla provenienti dall’esterno. A poco a poco, stando in quella posizione per varie ore, si addormentò, sopraffatto dalla stanchezza e dal terrore.
Si svegliò di colpo, come ci si desta da un incubo. Si guardò velocemente intorno per capire dove si trovasse. Si alzò a fatica dato che i muscoli delle gambe gli dolevano moltissimo. Respirava con calma e tentava di contenersi. Da fuori non proveniva più alcun rumore. Non sapeva se essere felice o profondamente turbato da questo fatto. Rimase a fianco del WC continuando a ripetere dentro di sé “Fra poco arriveranno i soccorsi e mi salveranno, mi porteranno via da questo inferno, devo solo stare calmo ed aspettare”.
Solo che i soccorsi non arrivavano. Aspetto per varie ore, osservando l’orologio e vedendo che le lancette segnavano le 18:02, decise di uscire e provare a vedere se la situazione si fosse calmata definitivamente. Aprì con calma la porta e notò che l’antibagno era vuoto e la porta sul corridoio ancora chiusa. Si avvicinò alla maniglia e vi appoggiò sopra una mano. Girò la chiave nella toppa e sbloccò l’entrata. Tirò giù la maniglia e spostò la porta verso sé, aprendo un piccolo spiraglio di non più di cinque centimetri, giusto per poter vedere fuori: il corridoio era vuoto. Almeno apparentemente. Non si vedevano né vivi né morti. Era vuoto. Uscì dal bagno e, vedendo che vi era tutto il corridoio che lo separava dal’uscita di sicurezza, la sua salvezza, iniziò a camminare velocemente in quella direzione. Camminava speditamente ma senza correre. Sulle rampe non vi era nessuno ma nell’atrio alcune figure che scorse con la coda dell’occhio, caracollavano avanti e indietro. Aumentò il passo, accostandosi alle porte delle classi chiuse dal cui interno provenivano ringhi e gemiti sommessi. Vi erano degli zombie lì dentro. Non doveva farsi prendere dal panico. Avanzò ancora. Ormai solo una decina di metri lo separava dalla maniglia a spinta. Passò di fianco all’ultima classe e la porta si aprì di colpo: di fronte a sé un non-morto lo scorse e gli si avventò contro, lui lo schivò per un soffio e si mise a correre mentre scorgeva altri morti viventi che si avvicinavano attirati dal rumore. Corse ancora per pochi metri e, con una spinta decisa, uscì fuori sulle scale antincendio. Corse giù a perdifiato, fino a che non riuscì a seminare i suoi inseguitori goffi e lenti. Si guardò intorno. Non vi era nessuno. Andò in strada. Era vuota, completamente. Iniziò a camminare dirigendosi verso il centro città. Avrebbe trovato qualcosa? Chi poteva dirlo. L’unico modo di saperlo era dirigersi là.
  
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