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Autore: Book boy    19/09/2013    1 recensioni
Una raccolta di racconti, storie, storielle tutte improntate sugli zombie!!! Un viaggio attraverso il tempo e lo spazio per vedere un'apocalisse zombie in tutte le sue sfaccettature e le sue forme. Buona lettura!!!
Genere: Azione, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Pandemia
Giorno 1: Questa mattina siamo andati a sciare. È stato bello, ci siamo divertiti molto, considerando che ieri, una volta arrivati qui, avevano già chiuso la pista. Bè però oggi ci siamo rifatti. Ho sciato per tutta la mattina, poi ci siamo mangiati un bel piatto di polenta e ossobuco, da leccarsi i baffi!
Oggi pomeriggio abbiamo sciato ancora un paio d’ore e poi siamo andati a fare un giro in paese. Non è un granché, però c’è qualche negozietto carino, perciò porterò a casa qualche souvenir per mamma. Bé ora vado, Sara mi sta chiamando. A presto!
 
Giorno 2: Oggi è stata dura. Abbiamo acceso la TV appena ci siamo svegliati, verso le 9:00 e, girando su telegiornale abbiamo scoperto della pandemia. È qualcosa di terribile. Anche se in realtà non ci abbiamo capito molto, da ciò che ho sentito vi sono stati dei casi sparsi un po’ in tutto il mondo, Stati Uniti e Cina in primis, in cui delle persone hanno avuto degli strani attacchi epilettici, delle febbri molto alte ed infine è sopraggiunta la morte. È una cosa spaventosa, si parla che già che circa 4000 persone siano morte in tutto il mondo! E tutto questo in una sola notte!!! È qualcosa di… davvero spaventoso. Oggi non siamo andati a sciare, anche perché non sanno ancora se la malattia è solo in questi stati oppure… bè se è arrivata anche qui da noi. Per questo siamo rimasti in albergo, stando chiusi in stanza per tutto il giorno praticamente. Ho anche telefonato a mia mamma per chiederle se lì da lei è successo qualcosa e mi ha rassicurato che andava tutto bene. Speriamo sia vero. Sara invece è molto spaventata. Siamo rimasti praticamente un ora abbracciati sul letto. Ha troppa paura, lei ha tutte le fobie possibili, fra le quali proprio quella delle malattie. Se poi vi è un’infezione su vasta scala come quella che vi è al momento allora davvero è pietrificata. Si vedrà domani com’è la faccenda. Probabilmente domattina toniamo a casa.
 
Giorno 3: Ho paura. Ora ce l’ho anche io. Alla televisione hanno appena annunciato che in America c’è l’allerta nazionale, mentre in Cina c’è appena stato un colpo di stato. I morti sono saliti a 20.000 un numero troppo alto per pensare che sia una cosa passeggera. Cosa ancora peggiore? Si è verificato un caso anche qui in Italia, a Palermo. Un uomo ha avuto gli stessi sintomi, è stato messo immediatamente in quarantena insieme a tutte le persone che hanno avuto degli stretto contatti con lui nelle ultime 24 ore. Merda! Ho idea che però rimarremo qui. È troppo pericoloso andarsene, preferisco rimanere, tanto è un paesino piccolo, ci saranno al massimo cinquecento abitanti più un migliaio di turisti, niente di più siamo fuori stagione. Volevo chiedere a mia mamma se fosse venuta qui da noi ma… chiedere a lei di spostarsi è come chiedere a un elefante di volare. Speriamo che vada tutto bene. Domani ti saprò dire altro.
 
Giorno 4: Oggi è iniziato, iniziato il disastro, la catastrofe. Appena abbiamo riacceso il televisore abbiamo visto immagini scioccanti provenire da tutto il mondo: ovunque si parlava di cadaveri che uscivano dalla terra, ritornando nel mondo dei vivi e attaccavano ogni essere si trovassero di fronte, una cosa davvero agghiacciante. Tutti i malati sono morti e n breve sono come resuscitati, trasformandosi però in mostri cannibali e senza cervello o anima. È una cosa impensabile, insomma si parla di esseri alla George A. Romero! Inizialmente pensavo fosse un cazzo di scherzo di qualche giornalista stronzo, ma invece era tutto vero, è tutto vero! Cazzo abbiamo parlato con la reception dell’hotel e non hanno saputo dirci niente, non sanno nulla nemmeno loro. Però vogliono chiudere l’albergo, barricarsi all’interno. Io però non voglio rimanere qui, devo portare via Sara. Sto pensando che cosa fare, dove andare ma, insomma è qualcosa di più grande di me. Più grande di tutti noi. Soprattutto più grande di Sara, che non fa altro che stare seduta sul letto a gambe incrociate con lo sguardo fisso al pavimento. È terrorizzata. E lo sono anche io.
 
Giorno 5: Ce ne siamo andati via. Abbiamo abbandonato l’hotel, non voglio rimanere chiuso lì! Ora stiamo scappando ancora più su, verso le cime, per poter trovare magari un luogo più sicuro, una baita, per poter chiuderci dentro e stare lì e vedere come andranno le cose. Siamo passati in mezzo al paese ma le strade erano vuote, completamente, tutti scappati o chiusi in casa. Ci siamo fermati davanti ad un mini-market e abbiamo preso un po’ di roba. Il negoziante sembrava l’unico un po’ calmo. Abbiamo preso molta acqua e alcuni cibi in scatola, roba già pronta per poter mangiare pasti veloci. Abbiamo preso anche svariate barrette energetiche, ci possono sempre tornare utili. Come ultima cosa ho acquistato anche un’accetta per la legna, non si sa mai che… cazzo non voglio pensarci. Per adesso ci stiamo spostando attraverso delle stradine. Sara sembra essersi un po’ ripresa dallo shock iniziale ma ha ancora tantissima paura. Speriamo vada tutto bene. Ora mi rimetto alla guida.
 
Giorno 6: Ieri sera siamo arrivati qui, in questa baita. L’abbiamo trovata abbandonata, senza nessun segno che qualcuno se ne sia andato via da poco. Perciò ci siamo fermati. La macchina l’abbiamo posteggiata nel box. Abbiamo messo via l provviste nelle dispense e abbiamo acceso il televisore, uno di quelli vecchi, ancora che le antenne. Abbiamo tentato di captare un segnale ma niente, allora abbiamo provato con la radio che abbiamo trovato e questa volta ce l’abbiamo fatta. Hanno annunciato l’allerta nazionale. Il ministero della sanità dice che la malattia sembra non essere arrivata qui da noi, almeno non come in altri stati. Però abbiamo sentito altre notizie che annunciavano che anche i morti qui da noi hanno iniziato ad uscire dalle loro tombe, Cristo! Papà…
Ho provato anche a chiamare mamma ma non ha risposto. Ho paura che le sia successo qualcosa. Spero con tutto me stesso che non sia così, non lo sopporterei. Sara come me teme per i suoi famigliari, anche per sua sorella, che abita in Francia. Non so come vanno le cose là da loro. Spero siano messi meglio di noi. Se così fosse non ci vorrebbe molto a raggiungere il confine e espatriare. Speriamo.
 
Giorno 7: abbiamo captato un altro segnale, questa volta proveniente da una radio belga, io non capisco molto di francese ma Sara lo conosce un po’ di più, e da quello che ha capito anche in Belgio sono nella merda. Ho sempre più paura.
 
Giorno 8: Oggi mi sono alzato con il raffreddore. Che merda la montagna, poi ho sempre odiato le Alpi. I collegamenti radio oggi sono saltati. Non siamo riuscita a captare nemmeno un cazzo di segnale. Sta iniziando.
 
Giorno 9: : Sara non sta molto bene. Questa notte ha iniziato ad avere freddo, molto freddo, anche se qui abbiamo la stufa e la teniamo sempre accesa. Non so il perché.
 
Giorno 10: Oggi è a pezzi, è rimasta a letto tutto il giorno. In più dobbiamo razionare ancora le provviste che sono sempre meno!
 
Giorno 11: : Ieri Sara… ha avuto un attacco epilettico. Lei non ne soffre e non ne ha mai sofferto, solo che ieri sera, verso le 21 forse ha iniziato a stare molto, molto male, si rigirava nel letto in un bagno di sudore e in un attimo ha cominciato a saltare, come se fosse stato un pesce fuor d’acqua. Infine la schiuma. Sembrava un cane con la rabbia. È stato terribile. E oggi è ancora più terribile. Sta morendo. Si è presa la malattia.
 
Giorno 12: Si è trasformata. Dopo essere morta, sono passati sì e no cinque o forse sei secondi e ha riaperto gli occhi. Ma erano vitrei, senza anima. Non ho potuto fare altro che usare l’accetta. Sono distrutto. Ma sono sicuro che lei ora potrà riposare in pace.
 
Giorno 13: Non ho un cazzo da dire.
 
Giorno 14: Basta, basta con tutta questa merda!
 
Giorno 15: Voglio farla finita
 
Giorno 18: Ieri mi è venuta la febbre e, poi, anche un attacco di epilessia. Penso proprio di essermela preso anche io.
 
Giorno 19: Queste sono le ultime parole che scriverò, non penso che qualcuno leggerà mai il mio diario ma, nel caso, vi lascio il mio ultimo pensiero prima che la morte mi prenda: ho vissuto una vita molto bella, a fianco dei miei cari, ho conosciuto una persona stupenda, Sara Ursini, a cui avevo idea di chiedere di sposarmi entro qualche giorno, al rientro dalla settimana bianca. Ho avuto anche un cane Bobby, un pastore tedesco che in questi giorno avevo lasciato ai miei vicini di casa. Ora, sto per chiudere gli occhi. Non riesco più a tenerli aperti, le palpebre sembrano dei macigni. La cosa più brutta di morire però è una sola: sapere che dopo ritornerò.
 
Il sangue dei morti
 
Voglio raccontarvi la mia storia. Una storia molto particolare, spaventosa se vogliamo. Ma a cui io non ho saputo dare spiegazione in alcun modo.
Lavoravo come becchino ma faccio anche da custode di un piccolo cimitero del Texas, in un paesino un po’ fuori Houston. Come ho detto era un cimitero piccolo, con un centinaio di tombe più o meno. Non morivano molto persone e questo poteva essere un bene per gli abitanti, ma non per me. Io lavoravo a braccetto con la morte, niente morti? Niente soldi nelle mie tasche, semplice.
Così ogni giorno speravo sempre che morisse qualcuno. E un giorno qualcuno morì. Era una donna. Molto anziana, sui novant’anni circa. Aiutando le pompe funebri della cittadina vicina seppellimmo la vecchia in una tomba nella terra e la ricoprimmo. Fui pagato subito della mia quota e ne fui molto contento, perché finalmente portavo a casa qualcosa. Lo so, non sono mai stato un brav’uomo anzi, mi autodefinivo uno stronzo senz’anima. Ma ero un becchino. Lavoravo a stretto contatto con la morte. Lei era la mia più grande compagna.
Ogni notte, faccio un giro fra le tombe e poi chiudo i cancelli e me ne torno nella mia casa del cazzo, piccola e puzzolente, vicino al cimitero.
Una notte rientrai a casa, mi preparai la cena e mangiai. Poi lessi un po’ un libro e me ne andai a letto. Prima di addormentarmi però, iniziai a sentire degli strani rumori molto forti e fastidiosi, provenire dall’interno del cimitero. Mi alzai e indossai i primi vestiti che mi vennero sotto mano. Uscii, immaginando si trattasse di qualche ragazzino che voleva fare una sorta di “prova di coraggio” entrando da solo nel cimitero a notte fonda. Mi sono subito diretto verso il cancello con le chiavi dell’lucchetto in mano e sono subito entrato cercando la fonte di quel rumore. Mi sono aggirato fra le tombe, senza nemmeno aver pensato di portare una torcia. Perciò raggiunsi il piccolo capanno degli attrezzi, presi la torcia e l’accesi puntandola verso le tombe. Urlai più volte frasi tipo “C’è nessuno?!” o “Se ti trovo qui ti giuro che va a finire male!” Giusto per spaventare un po’. Infine però capii. Ad un tratto sentii quei rumori appena dietro di me, mi volti di scatto e, improvvisamente, vidi uscire una mano dalla terra, con le cinque dita bene aperte. Poi uscì anche la testa e le spalle di quel cadavere che riconobbi come il signor Stuart, che seppellii pochi mesi prima. Rimasi di stucco, guardandolo spaventato, mentre usciva totalmente dalla sua bara. Poi iniziarono ad uscire anche tutti gli altri, a poco a poco, formando una vera a propria “armata delle tenebre” che voleva prendere la mia anima e trasportarla con loro nel mondo dei morti. Io d’istinto iniziai a correre verso il cancello, per uscire e chiedere aiuto, ma vidi che la strada era ostruita da diversi di quei “cadaveri viventi” che si muovevano minacciosamente verso di me. Allora piegai a destra e mi diressi di corsa verso il capanno, dove avrei potuto trovare un oggetto contundente di qualche tipo, per tenermi lontano quegli esseri, quegli… zombie. Presi la pala con cui scavavo sempre le buche e iniziai a menare colpi su colpi per tenermi lontano quella marea di cadaveri ambulanti che mi venivano incontro. Colpii il signor Stuart alla tempia, staccandogli la testa dal collo. Poi colpii ancora un’altra donna che mi veniva incontro, e poi ancora, ancora e ancora.
Fino a quando, ormai stremato, mi venne incontro la vecchia signore che avevo seppellito la mattina stessa. Mi veniva incontro e, a parte gli occhi vitrei e bianchi, sembrava quasi che fosse ancora viva. Caracollava verso di me penzolando le mani. Altri zombie intanto si avvicinavano. Non sarei mai riuscito a combatterli tutti. Chiusi gli occhi, aspettando l’inevitabile quando… la donna mi venne contro, sparendo all’improvviso e sussurrando “Sei tu che hai voluto la mia morte…”.
Quando riaprii gli occhi tutto era tornato normale. I cadaveri erano ancora all’interno delle loro bare, ma io tenevo in mano la pala che guardai attentamente: era chiazzata di sangue. Il sangue dei morti.
Forse non credete che questa storia sia accaduta veramente eh? Bè, sappiate soltanto che io abbandonai quel lavoro e mi trasferii, cercando la risposta alla mia domanda: successe davvero quella notte? Oppure fu solo un incubo? Non so se avrò mai una risposta. Forse quando morirò lo scoprirò…
 
Resistenza: Parte 1
 
Pedalo, mentre la leggera brezza di metà settembre mi sfiora il volto. Percorro le stradine di campagna, fra i campi, dirigendomi verso la base. Ho appena fatto un sopralluogo. “Niente di nuovo sul fronte Occidentale” mi verrebbe da dire. Effettivamente è così. Niente di nuovo tranne i soliti ammassi di carne marcia e putrefatta che si reggono a stento sulle gambe. Ma andiamo con ordine: Circa un anno fa, una maledizione si abbatté sulla terra e i morti iniziarono ad uscire dalle loro tombe, come resuscitati, con il solo obbiettivo, ovvero cibarsi di carne umana. In tutti il mondo i governi tentarono, spiazzati dalla precipitosità della situazione, di fermare questa piaga, utilizzando gli eserciti e organizzando i militari per dichiarare guerra ai morti. Ma naturalmente tutto fu un fiasco. Tutti gli stati resistettero uno o forse due mesi, dopodiché i governi si sciolsero ed iniziò una guerra per la sopravvivenza. Molti battaglioni si barricarono nelle rispettive caserme per resistere a oltranza, mentre altri semplicemente fuggirono via. E questo accadde anche qui in Italia. Inizialmente la polizia e i carabinieri tentarono di svuotare i vari cimiteri, ma fu tutto inutile. A poco a poco tutte le istituzioni principali caddero inesorabilmente e, mentre la popolazione continuava a calare, molte persone si riunirono in piccoli gruppi per resistere. Questi ultimi, comunicando fra di loro iniziarono la difesa. Siamo noi. Siamo la resistenza. Io mi Chiamo Francesco, soprannominato “La bestia”. Nome azzeccato è? Bè, io sono una delle pattuglie, qui nella zona, nella pianura padana vi sono una decina di avamposti. Io insieme ad un gruppo di altre quindici o venti persone ne occupiamo uno. E lo difendiamo ad oltranza.
Ora sto pedalando la mia mountain bike per raggiungere la base avanzata. Non servono mezzi molto veloci per spostarsi. Gli zombie sono lenti, non innocui, assolutamente, ma lenti. Molto lenti. La base la tengono Alessandro e Davide due gemelli, nati il giorno dopo che sono nato io. Eravamo tutti e tre alle medie insieme. Poi ci siamo divisi ed io sono andato al classico. Dimenticavo, ho 18 anni. Ne avevo quasi 17 quando è iniziata.
Quelli intorno a me mi danno un’occhiata veloce, tentano di venirmi dietro per qualche metro, ma quando vedono che mi allontano troppo, mi lasciano perdere e continuano a fare le stesse cose che fanno da sempre: guardarsi intorno in cerca di umani da trucidare. Impressionante è? Bé è così. Girò il manubrio e tiro i freni, faccio una breve sgommata con la ruota posteriore e mi fermo. Scruto l’orizzonte per gli ultimi sopralluoghi mentre mi dirigo a casa. Niente, niente di nuovo. Nessuna macchina che sfreccia sulla strada, nessun sopravvissuto che fugge disperato mentre è inseguito da decine di non-morti, niente di niente. Solo il nulla e gli zombie in lontananza. Il paesaggio sembra quasi una vignetta di qualche albo di Dylan Dog. Solo che questa è la realtà.
Riprendo a pedalare attraverso il sentiero ghiaioso fra i campi che uso sempre come scorciatoia per raggiungere il rifugio. Uno zombie è proprio in mezzo. Non riesco a passarci vicino perché la stradina è troppo stretta. Freno e scendo, tiro fuori dal marsupio a tracolla la piccola pistola che porto sempre con me, è una pistola di quelle per auto-difesa, non so nemmeno qual è il nome del modello dato che l’avevo presa ad un uomo morto che aveva cercato di difendersi da quei cosi. Inserisco un caricatore e prendo la mira, puntando alla testa. Chiudo un occhio per aiutarmi, poi premo leggermente il grilletto, con calma e il colpo parte. Arriva al bersaglio trapassandogli l’occhio destro. Il cadavere cade a terra, con a faccia in avanti. Geme e ringhia ancora, è debole, ma “vivo” se così possiamo dire. Basta poco per finirlo. Mi avvicino con cautela, gli punto la pistola alla nuca e sparo di nuovo. Rimonto in sella alla bici e riparto sfrecciando.
La casa è appena infondo alla strada, ancore poche pedalate e ci sono. Giro leggermente il manubrio a sinistra e sterzo di lato per schivare uno zombie piantonato nel bel mezzo del percorso. Arrivo appena davanti alla porta, frenando sulla ghiaia, scendo dal bicicletta e la appoggio al muro, poi suono il citofono per avvertire del mio arrivo. Sento il tipico “bzzz” che segnala l’apertura della porta e, senza pensarci due volte entro e richiudo l’entrata alle mie spalle. Come base operativa l’avevamo scelta appositamente per la sua sicurezza: due piani, una porta blindata all’entrata della palazzina e una all’entrata dell’appartamento che fungeva da base, in oltre alle finestre (che sono posizionate ad almeno tre o quattro metri di altezza) vi sono delle inferiate di ferro battuto, molto resistenti e praticamente indistruttibili per gli zombie. Salgo le quattro rampe di scale e, una volta in cima ho il fiatone. Immediatamente mi apre la porta Alessandro che mi accoglie calorosamente –Ehi Fra! Com’è andato il giretto?-
-Tutto bene, grazie. Il solito.- Entro e lui chiude la porta alle mie spalle. Poi, appena faccio qualche passo mi viene incontro Macchia, il loro cagnolino che inizia ad abbaiarmi e a scodinzolarmi contro –Ciao Macchia! Come stai oggi?- Mi inginocchio e lo accarezzo sulla testa. Poco dopo da una stanza esce Davide che stava ascoltando musica dato che ha un paio di auricolari nelle orecchio –Ehi, ciao Fra-
-Ciao Davide, stai bene?-
-Eccome, come al solito.-
-Ehi Fra, novità dall’esterno?- Chiede Ale –No, niente di nuvo, il solito: zombie, zombie e… altri zombie!-
-Diamine!- Io sospiro, poi mi slaccio il marsupio e lo appoggio sul divano, prendo una sedia e mi siedo, chiedendo un bicchiere d’acqua. Bevo qualche sorsata veloce, giusto per dissetarmi e ristorare un po’. Riappoggio il bicchiere sul tavolo di legno e guardo in faccia i due gemelli, uno seduto sul divano, l’altro su una sedia di fianco a lui –E voi? Notizie con le radio?- Ad un tratto le due cocorite in gabbia cinguettano, come se stessero rispondendo al mio quesito. Sono sempre piaciuti gli uccellini a Davide. –No, non abbiamo sentito niente, siamo riusciti a comunicare con una postazione nell’interland di Milano ma niente di più-
-Come vanno là le cose?-
-Non meglio che qua, anche perché là sono praticamente a Rozzano e non c’erano pochi abitanti prima e poi con la vicinanza della metropoli… Sono nei casini.-
-E invece l’avamposto di Pavia?-
-Nulla. Il contatto radio con quello è praticamente morto. Non si sente più niente da una settimana circa. Ho paura che gli zombie siano penetrati. Mi sa proprio che quell’avamposto è caduto.-
-Merda- Alessandro allora interviene –Dovremo fare altre provviste entro un paio di giorni, che dici ti fermi qui e vieni con noi? Se ci stai andiamo domani mattina, ormai sono quasi le 18 e tra non molto sarà buio, non voglio rischiare di uscire adesso.-
-No tranquillo, ci sto. Andiamo domani. Però avreste un letto per me?-
-Spiacente amico, c’è il divano per te-
-Maledetto… e va bene mi accontenterò. Però il DVD da guardare lo scelgo io!- Tutti ridiamo. Sono bei momenti. Momenti felici, che ti fanno dimenticare ciò che ti sta succedendo intorno. Il problema è che durano troppo poco per goderli appieno. Poco dopo si deve ritornare alla realtà.
 
Stazione spaziale TC1
 
Sulla stazione spaziale TC1, i sette astronauti presenti, si chiedevano continuamente perché le comunicazioni fossero praticamente morte da circa tre giorni. Tutti e sette (tre americani, uno giapponese, uno francese, una italiana e un ultimo astronauta russo) si chiedevano che fine avessero fatto tutti. La stazione spaziale aveva a disposizione anche una capsula di rientro, in caso di guasti a bordo della stazione, per poter tornare sulla Terra prima del termine della missione scientifica in tutta sicurezza. Iniziarono a ragionare su un possibile rientro. Il problema era uno soltanto: chi sarebbe rimasto sulla stazione? Inizialmente si offrirono uno dei due americani e il giapponese, ma poi anche il francese volle rimanere a bordo. Per cui tutti gli altri quattro si misero le tute e salirono a bordo della capsula. Il rientro sarebbe durato all’incirca tre ore. Appena furono pronti partirono staccandosi come un appendice dal corpo artificiale che era la stazione. La discesa fu lunga e noiosa ma a bordo del mezzo vi era una grande tensione mentre, per l’ennesima volta, tentavano un collegamento con la stazione sulla Terra. Ma niente, nessuno rispondeva ai loro messaggi. Quando ormai si trovavano a poche centinaia di metri dal mare dove sarebbero atterrati, si aprirono i quattro paracadute che rallentarono drasticamente la loro velocità di discesa. Poi la capsula impattò con l’acqua immergendosi e ritornando a galla dopo pochi secondi, utilizzando il canotto di salvataggio che si trovava a bordo. I quattro astronauti uscirono fuori e, vedendo che si trovavano a poco più di duecento metri circa dalla costa, iniziarono a remare e ad avvicinarsi alla terra. Sbarcarono e, dopo aver tolto le tute ed essere rimasti con i completi di Nylon si diressero verso il primo centro abitato più vicino. Non vi erano mezzi di trasporto nei pressi, perciò si mossero a piedi. Camminarono per diversi chilometri, fino a che stanchi, sfiniti e distrutti non raggiunsero un piccolo paesino. Si addentrarono al suo interno e scoprirono qualcosa che non si sarebbero mai aspettati: era vuoto, completamente disabitato. Cercarono qualcuno, anche un civile per poter parlargli e contattare il centro di controllo terrestre della loro missione. Trovarono un’auto aperta, le chiavi erano a bordo. Presero seriamente in considerazione l’idea di prenderla e dirigersi alla città più vicina che, ad occhio e croce, doveva essere Miami, vista la zona dove si trovavano. Alla fine prevalse quest’idea, salirono a bordo e partirono ormai convinti che era successo qualcosa di davvero brutto. Subito pensarono ci potesse essere stato un attacco terroristico come l’11 settembre e perciò immaginarono che tutti gli abitanti si fossero diretti verso Miami. Ma nessuno di loro si spiegava il perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere in quel caso. Le uniche risposte le avrebbero avute quando sarebbero arrivati sul posto. Le strade erano deserte. Nessuno si vedeva in giro. Era successo qualcosa di grave, troppo grave per essere presa alla leggera. Il cartello Miami apparve all’improvviso, e loro imboccarono lo svincolo dell’autostrada che li avrebbe condotti a destinazione. Però frenarono improvvisamente. Tutti e quattro rimasero spiazzati. Scesero dall’auto e rimasero a bocca aperta guardando in direzione degli alti palazzi e della spiaggia sabbiosa che si allungava verso il mare. Alte colonne di fumo nero si alzavano dalle case e dagli edifici in lontananza. Di fronte a loro, ad un centinaio di metri, si stendeva una gigantesca marea di persone, o almeno così sembravano. Erano molto strani, sembravano tutti feriti, sanguinanti. Si avvicinavano rapidamente, anche se non correvano. L’astronauta italiana sgranò gli occhi ed urlò appena vide che uno di quegli esseri si abbassò sul cadavere di un uomo che non aveva notato in precedenza, e iniziò a staccarsi un pezzo di carne e pelle dalla gola. Il sangue schizzò a fiotti, spargendosi per terra e trasformando l’asfalto da frigio scuro a rosso-vermiglio. La ragazza corse indietro, risalendo in macchina e mettendosi al volante, pronta a fare marcia indietro e fuggire via il più lontano possibile da lì. Un americano e Il russo la seguirono ma l’altro statunitense rimase fermo, a guardare. Lui era originario di Miami. La macchina partì via sfrecciando dietro di lui. Teneva gli occhi fissi sulla marea di quelli che sembravano… zombie. Li guardava con un misto di paura e rassegnazione. Rimaneva fermo, le braccia lungo i fianchi. Poi si sdraiò a terra e aspettò il suo momento. La Terra era perduta.
 
 
 
 
  
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