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Autore: Lusio    01/10/2013    6 recensioni
"Romeo e Giulietta. Uno dei drammi di Shakespeare più conosciuti e più rappresentati al mondo, assieme ad Amleto e a Riccardo III. La storia d’amore di due giovani che, dopo una serie di vicissitudini, si tolgono la vita."
Così esordisce Isabelle Plessis, professoressa di Letteratura alla Dalton Academy, durante una sua lezione. E alla fine assegna ai suoi alunni un compito: dovranno "vivere" la storia dei due amanti di Verona, trovare nella loro vita i tanti sentimenti racchiusi nell'opera di Shakespeare. Non è facile, soprattutto per Kurt e Blaine, decisi a mantenere viva la loro amicizia senza troppi scossoni ma con l'anima in subbuglio per emozioni che li stanno consumando dentro, facendoli desiderare qualcosa di più ma di cui hanno paura.
Ma il compito della professoressa Plessis sarà loro più utile di quanto credono, anche se in maniera indiretta e inconsapevole. Tra amici che si improvvisano Cupidi, notti bianche e bottoni azzurri, Kurt e Blaine inizieranno a comprendere cosa vogliono realmente e a capire che la paura, in certi casi, può essere un incentivo per la vita.
(Gli avvenimenti qui narrati si svolgono durante la seconda stagione, dopo S. Valentino, con qualche rivisitazione dell'autore)
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Mercedes Jones, Nuovo personaggio, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo)

 

 

 

Si svegliò. Come ogni mattina, senza nemmeno capire come; non che gli importasse. Passare dal sonno alla veglia era ormai una cosa naturale, come respirare, senza starci tanto a riflettere sul modo e le cause.

Blaine aveva ancora nella testa l’immagine di una grande tavola apparecchiata in un salone d’epoca completamente illuminato da tre porte-finestre che prendevano tutte le pareti, mostrando uno sfondo da cartolina: un mare bellissimo. Aveva un ricordo abbastanza nitido di un negozietto con scaffali straripanti di giocattoli che diventava, tutto ad un tratto, una libreria con le scale di vetro. E c’era Kurt con lui, e sua madre (Kurt gliela aveva fatta vedere, una volta, in fotografia) e anche la madre di Blaine. Era uno di quei sogni che ti lasciano pieno di languore, che ti fanno desiderare di non svegliarti più. Poi, un movimento brusco o un lieve rumore, e le palpebre si aprono come un sipario nero bordato di ciglia in disordine.

Il dormiveglia era una delle cose che Blaine amava di più nella sua vita; quei brevi attimi in cui poteva godersi con consapevolezza il sonno. Doveva essersi avvinghiato al cuscino durante la notte. Si sentiva così bene. Si stiracchiò con un mugolio di piacere, avvertendo una conturbante scossa al basso ventre che premé con un certo vigore contro quel cuscino… che non era un cuscino e se rese subito conto. Prima di tutto era fin troppo lungo e, cosa più rilevante, si muoveva, respirava e aveva emesso a sua volta un mugolio quando vi aveva strusciato la sua erezione mattutina, un mugolio che Blaine riconobbe al volo. No, non poteva essere!

Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu la nuca di Kurt, il suo collo e la sua inconfondibile cicatrice. Sapeva di doversi staccare da lui prima che la situazione si facesse ancora più imbarazzante, ma le mani di Kurt stringevano ancora le sue al petto come quando si erano addormentati. Anzi, aveva l’impressione che le stringesse ancora più forte; o forse erano solo i suoi sensi resi più sensibili dal risveglio.

Con uno sbadiglio, anche Kurt iniziò a svegliarsi. Avvertendo il peso di Blaine alle sue spalle, si voltò verso di lui rivolgendogli uno sguardo ancora inebetito dal sonno, ma le sue labbra si stesero comunque in un sorriso.

“E’ Blaine” pensò automaticamente “Di lui mi fido. Con lui sto bene.”

- Buongiorno – gli sussurrò. Gli accarezzò il viso, lo avvicinò a sé e gli diede un bacio; voleva darglielo sulla guancia ma glielo posò all’angolo della bocca.

Blaine avrebbe voluto rispondergli ma dalla bocca gli uscì solo un verso gutturale. Si ricordò, poi, di essere ancora premuto contro Kurt e di avere un’ “alzabandiera” puntata verso il suo sedere. Ok, era sicuramente una delle situazioni più imbarazzanti in cui si fosse mai trovato.

- Scusami… per… - balbettò timidamente, allontanandosi leggermente.

- Non importa – Kurt lo trattenne per le mani – E’ una cosa naturale; ce l’ho anch’io.

Kurt si morse subito la lingua; anche se ora si era mostrato vulnerabile proprio come Blaine. In quel momento erano entrambi fragili e nudi, pur con i pigiami addosso, entrambi sullo stesso piano, uniti da una debolezza umana che li accomunava.

- Oggi niente lezioni? – chiese Kurt cambiando subito argomento.

- Niente lezioni – rispose Blaine.

- Allora, ti va di restare ancora un po’ qui? Non siamo obbligati ad alzarci subito.

Per tutta risposta, Blaine fece per stendersi di nuovo, poggiando la testa un po’ più vicina a Kurt, aspettando un suo “via libera” per farlo; e Kurt gli si accostò a sua volta dandogli tutta la libertà di stendersi. Nessuno dei due si riaddormentò ma rimasero in quella languida sospensione tra il sonno  e il risveglio che, quando divenne più forte, sembrò annullare ogni loro riservatezza; stiracchiandosi, Kurt si mise supino, sempre tenendo a sé Blaine che si ritrovò con il capo sulla sua spalla e una gamba tra quelle dell’altro. E in quella posizione avvertivano l’uno quello che l’altro aveva all’altezza del basso ventre e a giudicare dai sussulti, dai palpiti che da lì provenivano, la modalità “normale erezione mattutina” era stata soppiantata da altro ma fin tanto che nessuno di loro diceva nulla potevano tranquillamente far finta di niente.

Ad un certo punto, Blaine si strinse ancora di più a Kurt.

A sua volta, Kurt lasciò andare la sua mano su e giù lungo la schiena di Blaine, sollevandogli a tratti la canottiera e scoprendogli i fianchi e la base della schiena; per un momento indugiò a far scendere un po’ di più la mano verso i pantaloni della tuta che mettevano in evidenza i suoi glutei ma la tirò indietro, cioè in su, con una tale forza da sollevare quasi completamente la canottiera di Blaine che affondò il viso nell’incavo del suo collo.

- Vuoi che me la tolga? – gli chiese Blaine con voce bassissima.

- No, no. Scusami – rispose subito Kurt riabbassandogliela.

Quei piccoli gesti lasciati a metà li stavano uccidendo; volevano andare un po’ più in là di quanto già avevano sentito ed esplorato ma non volevano varcare i limiti posti dall’altro. Bastava una domanda o una richiesta buttata lì e non si sarebbero più fermati, ma rimase tutto nelle loro menti.

Ti prego, dimmi che posso baciarti, ti prego” pensava Blaine.

Ti prego, chiedimi se puoi baciarmi, ti prego” pensava Kurt.

Continuavano a stringersi ed ogni loro abbraccio si faceva sempre più forte, finché non si trovarono spalla contro spalla, petto contro petto, sesso contro sesso, gambe intrecciate. I visi ora a poca distanza l’uno dall’altro. Man mano coprirono un piccolo tratto fino a quando vi fu solo lo spazio di un’emissione di respiro a separarli.

- Posso baciarti? – sussurrò Blaine con voce roca.

- Sì – rispose Kurt “Sì ti prego fallo subito se non lo fai impazzisco baciami stringimi toccami fammi tutto quello che vuoi ma tienimi con te.”

La distanza fu annullata. Bocca, lingua, respiro, tutto una sola cosa. L’unico suono fu un gemito che poteva essere tanto dell’uno quanto dell’altro e che nascondeva un nome che usciva dal cuore. “Kurt” se era di Blaine, “Blaine” se era di Kurt.

Le mani iniziarono ad intrufolarsi in ogni punto e le gambe si intrecciavano cambiando posizione in continuazione come per mantenere un equilibrio sempre precario. Anche le labbra si separarono per eplorare altri brandelli di pelle per poi ritrovarsi.

- Cosa stiamo facendo? – sussurrò Blaine arrivando all’orecchio di Kurt – Chi siamo adesso?

- Non lo so – gemé Kurt inarcando la schiena e immergendo le dita tra i capelli di Blaine – Ma non voglio smettere.

Continuarono e continuarono, arrivando a perdere il senso dell’orientamento a furia di rotolarsi sul letto per quanto le sue dimensioni lo permettessero, arrivando a perdere le loro stesse identità, non riuscendo più a capire dove finisse l’uno e iniziasse l’altro.

Ad un tratto Blaine iniziò a tremare con violenza, si avvinghiò nuovamente a Kurt che gli rispose con la stessa intensità, e si lasciò sfuggire un verso strozzato che lo fece ricadere ansimante sulla spalla dell’altro ragazzo che, ancora fremente e scosso anch’egli da brividi, iniziò a massaggiargli la cute immergendo le dita tra i suoi capelli neri liberi dal gel per una volta. Si sentivano bene tutti e due; dormire ancora un po’ sarebbe stato l’ideale.

Ma Blaine si rese conto subito dello stato in cui versavano i suoi pantaloni e soprattutto del fatto che si trovava praticamente disteso su Kurt.

- Cosa c’è? – chiese Kurt, turbato, notando che Blaine si staccava da lui e si raggomitolava su se stesso tentando di nascondere il risultato della sua vergogna.

- Scusami – si lamentò il ragazzo, con le orecchie che gli si arrossavano in maniera impressionante – Non sono riuscito a trattenermi… temo di aver sporcato il tuo pigiama nuovo…

- No, non importa – replicò Kurt timidamente – Me lo sono sporcato da solo – e, tenendo sempre gli occhi bassi, scostò i lembi della vestaglia che indossava ancora mostrando una macchia scura e umida simile a quella che anche Blaine aveva. Si mostravano ancora nelle loro debolezze, nelle loro fragilità.

- Credo che dovremo darci una ripulita e cambiarci – propose Blaine torturando un lembo del lenzuolo.

- Potrei farlo un attimo io così, mentre usi tu il bagno, andrò in camera tua a prenderti dei panni puliti – disse Kurt – Ti va bene così?

- Sì certo, come vuoi tu.

Kurt si alzò dal letto e si diresse con passo veloce verso il bagno, chiudendo la porta alle sue spalle. Blaine, invece, si lasciò ricadere sul letto in disordine; il cuscino aveva l’odore dei capelli di Kurt e ora anche dei suoi mischiati insieme mentre le lenzuola conservavano quello più acre e muschiato del loro sudore e di altro; in sottofondo c’era il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia. Con quel mix di ingredienti, Blaine si assopì nuovamente. A risvegliarlo (gli era sembrato che fosse passato solo un secondo) fu Kurt, con i pantaloni e la camicia della divisa addosso; Blaine si ritrovò a pensare che il preside avrebbe dovuto dare a Kurt il permesso di vestirsi così invece di indossare la divisa completa con blazer e cravatta.

- Ti vado a prendere i vestiti puliti – disse Kurt strofinandogli una spalla – Tu, intanto, va’ pure a lavarti.

Voglio che mi baci.”

Rimase una preghiera inespressa sulle labbra di entrambi. Si limitarono a stringersi la mano, giusto per permettere a Blaine di alzarsi e a Kurt di allontanarsi dopo aver preso la chiave.

Mentre lo vedeva uscire dalla stanza a testa alta, con le spalle dritte, lievemente delineate attraverso le pieghe della camicia, Blaine pensò che Jeff aveva ragione: Kurt era più forte di quanto credeva.

 

* * *

 

Quella mattina Kurt avrebbe dovuto mantenere il freno inserito per non correre e saltare per i corridoi della Dalton come un bambino dell’asilo. Riusciva solo a pensare  “Blaine Blaine Blaine” e a mille e mille baci. Lungo il tragitto tra la sua stanza e quella di Blaine non si accorse neanche di chi gli passava davanti o di fianco, un bidello intento a lavare il corridoio, la faccia assonnata di qualche studente che faceva capolino da una porta, uno un po’ più mattiniero che si dirigeva alla mensa per la colazione o ritornava da una corsetta mattutina, la totale assenza dei Warblers, sicuramente ancora addormentati dopo la loro “notte bianca”, non sentì neanche lo strepito e la confusione che provenivano dal piano di sotto. Arrivato, Kurt andò dritto diretto al settimino dove era sicuro di trovare i vestiti di Blaine; ovvio che sapesse dove mettere le mani: sia lui che Blaine passavano sempre tanto tempo insieme, nella stanza tanto dell’uno quanto dell’altro, a studiare, a parlare, ogni tanto a guardare qualche film che si portavano da casa, dopo il fine settimana ( a proposito, dopo avrebbe telefonato a suo padre per dirgli che andava tutto bene; si era dimostrato un po’ apprensivo quando gli aveva fatto sapere che non sarebbe tornato a casa sabato). Nel primo cassetto trovò la biancheria; prese un paio di boxer e lo infilò velocemente tra la camicia e i pantaloni che già aveva preso. Non era il caso di farsi cogliere da ulteriore imbarazzo, in fondo lui e Blaine erano… stop.

Cosa stiamo facendo?” aveva detto Blaine ed entrambi lo sapevano benissimo anche se non avevano avuto il coraggio di dirlo a parole.

Adesso Kurt si chiedeva “Cosa siamo noi?” Cos’erano loro? Alla luce di quanto era successo, cos’erano diventati? Amici lo erano ancora forse, ma non come prima sicuramente. In quei pochi minuti quanto avevano visto l’uno dell’altro! Più di quanto consentiva il loro status. Adesso sì che Kurt iniziava ad avere paura. La loro amicizia…

Dovevano parlare. Gli avrebbe portato la roba pulita e, quando si sarebbero schiariti le idee tutti e due, avrebbero parlato… o, almeno, avrebbero tentato di trovare il coraggio di parlare. Passando davanti alla scrivania l’occhio gli cadde su un volumetto dalla copertina spiegazzata: i Sonetti dell’amore oscuro di Federico Garcìa Lorca, con un segnalibro in mezzo alle pagine. Con una mano libera lo aprì al punto in cui Blaine doveva essere arrivato e lesse:

 

Tu non capirai mai quanto ti amo

perché dormi in me e sei addormentato.

Io ti nascondo piangendo incalzato

da una voce d’acciaio penetrante.

 

(…)

 

Ma continua a dormire, vita mia.

Senti il mio sangue rotto sui violini!

Guarda che ci spiano ancora!*

 

Abbiamo letto tutti e due questo sonetto, anche se in momenti diversi” pensò, posando nuovamente il libro “Anche questo è importante, almeno per me.”

Uscì dalla stanza e, con lo stesso passo di marcia, ritornò indietro, ma prestando un po’ più di attenzione a quanto lo circondava e questo gli diede la possibilità di avvertire il chiasso proveniente dal piano di sotto: ad ascoltare meglio si potevano distinguere le voci di Thad e di Sebastian. Chissà cos’altro era successo? Forse le solite cose: Sebastian avrà tentato di infilare le mani nei pantaloni di Thad e quest’ultimo si sarà messo a sbraitare.

Con una scrollata di spalle, Kurt filò dritto e ritornò in camera sua; Blaine non era più sul letto e dal bagno non si sentiva il rumore dell’acqua. Magari stava aspettando lì i panni puliti prima di lavarsi.

- Blaine – Kurt aprì a metà la porta del bagno, tenendo in mano i vestiti; un veloce movimento lo spinse a voltare lo sguardo verso la parete di mattonelle bianche lucide ma la sua mente registrò ugualmente Blaine, bagnato, appena uscito dalla doccia, che si copriva le intimità con un asciugamano e la curva soda dei suoi glutei. Tanto bastò a far ribollire il sangue ad entrambi e in punti dei loro corpi che era abbastanza difficile non far notare – Ti… ti ho portato… i vestiti – continuò Kurt mostrandoglieli, non sapendo dove posarli.

- Appoggiali pure lì, sul lavandino – gli venne in aiuto Blaine tentando di coprirsi meglio. Kurt entrò in bagno, sempre cercando di guardare qualunque cosa tranne il corpo, nudo e lucido per l’acqua, di Blaine, e sistemò i vestiti ben ripiegati sul bordo del lavandino, sperando che non cadessero né all’interno né all’esterno.

Fatta questa operazione, Kurt si voltò per uscire ma, arrivato sull’uscio della porta, quella che avrebbe definito una “scarica elettrica” lo fece voltare proprio mentre Blaine faceva lo stesso. Gli sembrava di vedere un quadro d’autore che aveva preso vita: il ragazzo voltato che gli restituiva uno sguardo languido da sopra una spalla, incurante della sua nudità, il mento alto, la schiena muscolosa, la spina dorsale che scendeva come un ramo fino alla linea che divideva i glutei, le braccia che tenevano sospeso l’asciugamano all’altezza del petto, e che terminava all’altezza dei fianchi.

Non interrompendo il legame che si era instaurato tra i loro sguardi, occhi verde azzurri con occhi castano dorati, Kurt chiuse la porta. I loro cuori sembravano sul punto di esplodere.

- Dobbiamo parlare – si disse Kurt premendosi il petto con una mano.

Ma non parlarono quando Blaine uscì dal bagno, pulito e vestito; avevano bisogno di mangiare qualcosa prima.

E non parlarono nemmeno dopo colazione; Kurt dovette rispondere ad una chiamata di suo padre.

E quando Kurt terminò la chiamata… nessuno dei due volle parlare.

- Posso baciarti ancora? – gli chiese Blaine, con una sfacciataggine che non si sarebbe mai sognato di avere, andandogli vicino.

- Perché non me lo hai chiesto subito? – gli soffiò Kurt sulle labbra.

 

* * *

 

Il chiasso che Kurt aveva sentito mentre ritornava nella sua camera (la prima volta non ci aveva fatto caso quindi non la ricordava), proveniente dal piano di sotto era nato davvero da una lite tra Thad e Sebastian ma non per il motivo che aveva ipotizzato.

Era iniziato tutto all’alba, dovevano essere quasi le sei di mattina. Per tutto il resto della “notte bianca” Thad se ne era rimasto in disparte, lo sguardo cupo, una birra che non aveva toccato nemmeno una volta e una sigaretta che si consumò, inutilizzata, tra le sue dita; i Warblers presenti non capirono come andarono le cose, semplicemente, ad una certa ora, alcuni avevano seguito l’esempio di Kurt e Blaine ed erano andati a dormire (sempre che non fossero già crollati sul divano come Nick), e anche Sebastian era uscito. Accortosi della sua assenza, dopo un bel po’, anche Thad era uscito.

Lo cercò per tutto il dormitorio, ma non fu capace di trovarlo da nessuna parte; arrivò a puntare persino le orecchie contro la porta della camera di Kurt temendo di sentire qualche verso equivoco che avrebbe confermato la presenza di Sebastian, ma da lì non proveniva nessun rumore. Terminato il dormitorio, Thad passò in rassegna i bagni di ogni piano. Alla fine arrivò a quelli della palestra. Il caso volle che proprio in quel momento Sebastian ne uscisse con quella che doveva essere la sua conquista di quella notte: un ragazzino del primo anno, con la faccia da Bambi sperduto nella foresta, che impallidì appena vide Thad.

- Tornatene nella tua stanza se non vuoi beccarti una sospensione – lo minacciò lo studente più anziano e la matricola, troppo spaventato per replicare, sgattaiolò via a passo lesto.

- Grazie mille, Harwood – ridacchiò Sebastian sornione – Mi hai evitato il fastidio di liquidarlo. Non so se già lo sai, ma più sono giovani più sono fastidiosamente sentimentali e appiccicosi…

- Francamente, Sebastian – lo interruppe Thad rudemente – non me ne importa un accidente dei retroscena delle tue storie da una botta e via. E’ meglio se la finisci qui e te ne vai in camera tua – e fece per voltarsi e andare via ma la domanda di Sebastian lo frenò.

- Perché?

- Perché non è ancora l’orario per andare in giro per la scuola – rispose Thad voltandosi nuovamente verso di lui.

- Ah sì? – ridacchiò Sebastian mettendosi nella sua posa da predatore: gamba destra in avanti, mano sinistra sul fianco, spalle buttate all’indietro, testa di lato, bocca socchiusa dalla quale si poteva intravedere la lingua.

- Sebastian, non ho voglia di giocare – replicò Thad, cercando di non lasciarsi distrarre dai modi di fare del ragazzo di fronte a lui – Va’ a dormire.

- Non ho sonno.

- Fa’ niente. Tornatene in camera tua.

- Non ne ho voglia.

- Va’, ti ho detto.

- Chiedimelo come voglio sentirmelo dire.

- Sebastian, adesso basta.

- Cosa “basta”? I capricci che faccio? Il fatto che ti tengo testa?

- Questo tuo modo di fare. Questa tua maniera di trattare tutti come giocattoli. Il fatto che tu sia vuoto e fatuo – scattò Thad, sbattendo un piede a terra.

- Hey, non ti azzardare neanche a dirmi che sono vuoto o fatuo – replicò Sebastian punto sul vivo, avanzando verso Thad, non più seducente ma minaccioso.

- Ecco, bravo, mostra un po’ di rabbia – Thad avanzò ulteriormente verso di lui – Mostra qualcosa di diverso una volta tanto, così almeno mi dimenticherò per un po’ di quanto tu non abbia nulla dentro a parte i cazzi che ti fai mettere nel culo.

E quelle ultime parole, dettate da uno sfogo da molto tempo soffocato, furono seguite da urla, parolacce, offese, spinte e pugni. Quel baccano richiamò l’attenzione degli studenti mattinieri, dei bidelli, di alcuni professori; di lì a dieci minuti, Thad e Sebastian si trovavano nello studio del preside, di cattivo umore per essere stato tirato giù dal letto per quella “vergognosa schermaglia tra studenti”, come gli era stato riferito.

- Rarissime volte si è assistito ad una lite così volgare e così vergognosa tra le mura di questo istituto, e mai una volta da quando io ricopro la carica di preside – disse l’uomo rosso in viso per la rabbia trattenuta a stento – Non mi aspetto nemmeno di sentire delle giustificazioni; non ci sono scusanti per come vi siete comportati e mi meraviglio maggiormente del fatto che si sia trattato proprio di voi due. Signor Harwood, lei che è capoclasse ed è anche uno dei migliori del suo anno. E lei, signor Smythe, lei che è figlio di un membro del governo…

- Io non centro nulla in tutta questa faccenda – si intromise Sebastian – Semplicemente, il “signor Harwood” dovrebbe imparare ad avere un po’ più di autocontrollo.

- E il “signor Smythe” – replicò Thad, fulminando l’altro ragazzo con lo sguardo – dovrebbe imparare a riconoscere i limiti della decenza.

- Silenzio! – saltò il preside, sbattendo una mano sulla sua scrivania – Non ho intenzione di assistere ad un altro battibecco infantile. Ora voi due mi spiegherete cosa è successo tra di voi…

Il preside fu interrotto da tre colpi alla porta e l’eleganza che trasudava quel bussare fece capire subito ai tre di chi si trattava. All’ “Avanti” del preside, infatti, la porta venne aperta dalla professoressa Isabelle Plessis, vestita di tutto punto; l’assenza di orecchini, ciondolo e gemelli ai polsini della camicia e i capelli rosso sbiadito che le cadevano lisci sulle spalle e non raccolti nel solito chignon denotavano la sua fretta di presentarsi nello studio del preside.

- Oh, buongiorno mademoiselle Isabelle – la salutò cordialmente il preside, alzandosi; anche lui, come tutti, non era insensibile al fascino della professoressa Plessis.

- Buongiorno signor preside – rispose la Plessis – Scusate la mia intromissione ma…

- Ma per carità, mia cara mademoiselle** - la interruppe il preside, passandosi una mano tra i folti capelli grigi – Vederla è sempre un grandissimo…

- La dispenso dal farmi i complimenti, preside – lo interruppe a sua volta la Plessis, freddandolo con il suo atteggiamento noncurante e distaccato – Le stavo appunto dicendo che, appena ho saputo quanto era successo e che il signor Smythe e il signor Harwood erano coinvolti mi sono sentita in dovere di venire subito da lei. Signor preside, credo che questi due studenti e le loro azioni debbano essere posti sotto la mia responsabilità.

Sebastian e Thad, per un attimo, si guardarono sconcertati per poi fissare la professoressa Plessis che sembrava più interessata ad aggiustarsi le pieghe della gonna che ai presenti.

- Potrebbe spiegarsi meglio, mademoiselle Isabelle? – si azzardò a chiederle il preside, schiarendosi la voce con un leggero colpo di tosse.

- Vede, ho assegnato alla mia classe di Letteratura, della quale fanno parte questi due signorini, un compito di “immedesimazione e assimilazione”, se così possiamo chiamarlo, sul testo di Romeo e Giulietta; evidentemente Harwood e Smythe si saranno lasciati coinvolgere eccessivamente dai ruoli di Tebaldo e Mercuzio. Riconosco che la colpa di quanto è accaduto è prima di tutto mia: ho dato per scontato che i miei studenti fossero abbastanza intelligenti da capire quali sono i limiti dell’immedesimazione e dell’interpretazione; questo è uno dei motivi per i quali sono sempre stata dell’idea che la recitazione debba rientrare tra le materie dell’obbligo nelle scuole. Comunque, tornando a noi, signor preside le chiedo scusa per l’increscioso errore nel quale, a causa della troppa fiducia riposta in un intelletto inesistente, putroppo, in questi giovani, sono caduta.

Quel discorso, imbastito di uno stile fin troppo teatrale, tolse ai tre presenti la facoltà di replicare o anche solo di articolare una parola. Rimasero tutti zitti per alcuni secondi, dando ad Isabelle Plessis il tempo di rimettersi a posto un bottone del polsino sgusciato dall’asola.

- Vuol dire, quindi – chiese, titubante e con una punta di sollievo, Sebastian – che non verremo puniti?

- Molto divertente signor Smythe – disse la Plessis, con il suo agghiacciante sarcasmo – Sono certa che, durante le ore di punizione che le darò, avrà tutto il tempo di ideare qualche altra battuta di bassa lega.

- Ma ha detto… - tentò di replicare Sebastian.

- Ho detto che l’origine della colpa è mia, quindi è mia responsabilità punirvi. Se il preside permette gradirei iniziare subito; i giorni festivi sono importanti per i giovani, ma lo sono ancora di più per noi che ci avviamo sul viale del tramonto. Le auguro una buona giornata, signor preside. Signor Smythe, signor Harwood, abbiate la compiacenza di togliervi dalla faccia quelle espressioni da pesci addormentati e seguitemi.

Quando Sebastian e Thad si riscossero dal loro stupore, la professoressa Plessis era già uscita dallo studio del preside, il quale era ricaduto pesantemente sulla sua sedia, smarrito; i due ragazzi, decisi a cogliere l’occasione, forse meno peggiore con la Plessis che con il preside, si affrettarono ad uscire e a raggiungere l’insegnante diretta, a quanto sembrava, verso la biblioteca. Alla fine, li condusse dove c’era l’archivio con i cataloghi dei titoli e dei libri presenti in biblioteca. Si fermò davanti al primo cassetto di ferro, quello contrassegnato dalle lettere A-D.

- Voglio essere buona con voi – disse aprendo il cassetto – Vi assegnerò solo un cassetto a testa.

- Cosa dovremmo fare? – chiese Thad, temendo di sapere già la risposta.

- Dovrete rimettere in ordine le schede presenti in questi primi due cassetti, lei signor Harwood si occuperà di questi che vanno dalla A alla D, mentre lei Smythe di quelli che vanno dalla E alla H.

- Ma se sono già in ordine! – esclamò Sebastian non riuscendo a trattenersi, mentre Thad lo fulminava con lo sguardo.

- A questo rimediamo subito – replicò tranquillamente la Plessis che, senza mostrare alcuno sforzo, tirò fuori completamente il primo cassetto e ne rovesciò l’intero contenuto di fogli e schede sul pavimento e, facendo lo stesso con il cassetto seguente, formò sul pavimento una montagnola bianca – Bene, ecco fatto – continuò lei soddisfatta, rimettendo al loro posto i cassetti – Potete anche iniziare. Io adesso mi ritiro; ho lasciato a metà la mia toeletta a posta per voi, ritenetevi onorati. Ripasserò più tardi a vedere come ve la cavate. Buon lavoro.

E se ne andò lasciando i due ragazzi davanti a quel cumolo di carte da riordinare. Con un sospiro di rassegnazione, Thad si inginocchiò e iniziò a raccogliere le schede, cercando quelle che andavano dalla A alla D, secondo le direttive della professoressa. Ad un certo punto si accorse che Sebastian non stava seguendo il suo esempio, anzi se ne stava immobile, appoggiato alla parete a braccia incrociate; Thad sarebbe stato pronto a giurare che avesse buttato anche qualche occhiata di troppo al suo didietro.

- Hai intenzione di rigirarti i pollici per tutta la mattinata o vuoi degnarti di venire a fare la tua parte di lavoro? – gli chiese con astio.

- Non vedo perché dovrei – rispose Sebastian – Io, in tutta questa storia, sono solo una vittima dei tuoi scatti da femminuccia mestruata.

- Fai un po’ come ti pare; non ho voglia di discutere con te – disse Thad ritornando alle carte sul pavimento – Metterò in ordine il mio cassetto. Il resto non mi interessa. Sono problemi tuoi.

- Sempre simpatico – replicò Sebastian – Se sei un tipo vecchio stampo potevi invitarmi a prendere un caffè invece di prendermi a pugni.

- Scusami? – saltò Thad, sul punto di farsi venire una combustione spontanea.

- Dai Thaddino, parliamoci chiaro per una volta. Sono abituato agli sguardi che mi lanciano tutti quelli che vorrebbero strapparmi i vestiti di dosso a morsi e francamente non li biasimo. E, giusto per tagliare la testa al toro, te lo prendi un po’ troppo a cuore il mio essere così “disponibile” con gli altri.

- Ma falla finita!

- Senti, se ti va di sperimentare, per me non ci sono problemi; ci rinchiudiamo in uno “stanzino per le scope-ate”, come li chiamo io e poi, se vuoi, potrai pure ritornare alla tua vita da etero confuso.

- Ma non ti stanchi mai di essere così cinico?

- No, per niente – ridacchiò Sebastian – Perché, tu come mi vorresti?

- Mi piacerebbe vederti dimostrare un qualsiasi sentimento disinteressato.

- I sentimenti, purtroppo, hanno la brutta abitudine di essere scontati e noiosi.

“E’ inutile” pensò Thad, sul punto di rassegnarsi. Intanto che avevano parlato, aveva raggruppato una buona parte di schede con la lettera A; adesso andavano riordinate. Non era un lavoro semplice come era sembrato a sentire la Plessis. A urtare maggiormente il ragazzo, poi, era anche il fatto che Sebastian se ne stesse sempre appoggiato al muro a fissarsi le dita delle mani, con aria annoiata. Non aveva mai notato come in quel momento la differenza che c’era tra loro due.

- Secondo te, perché Tebaldo odia così tanto? – chiese dopo un po’.

- E questo che centra?

- Centra perché, molto probabilmente, passerò i prossimi giorni a riordinare cataloghi interminabili – rispose Thad cercando di restare calmo – quindi posso già scordarmi un buon voto nel compito della Plessis; tanto vale che mi salvi con qualcosa di più tradizionale. E visto che la professoressa ci ha paragonati a Tebaldo e a Mercuzio, ho deciso di cogliere la palla al balzo. Almeno dirò qualcosa durante le interrogazioni. E non credo che rispondermi sia un lavoro troppo faticoso per te.

- Se proprio ci tieni – commentò Sebastian con un’alzata di spalle e stampandosi in faccia l’espressione del Pensatore – So già che mi pentirò di questa risposta ma, credo dipenda dal fatto che non abbia nessuno che lo ama o che lui ama. Con uno spettacolino per ragazzine come Romeo e Giulietta non riesco a pensare ad una risposta migliore.

- E Sebastian Smythe cosa pensa?

- Io non penso nulla.***

- Potresti provarci, ogni tanto – “Non sei un’Ofelia. Sei un Mercuzio, un Puck, un Ariel e un Calibano tutti in uno. Non sei cattivo; ti diverti solo ad essere libero.”

Thad aveva raccolto un’altra pila di fogli, più voluminosa della prima. La sollevò per metterla nel cassetto ma la rimise nuovamente sul pavimento vista la sua precarietà e l’ultima cosa che voleva era perdere quel poco di lavoro fatto e ricominciare da capo. Ma, cogliendolo di sorpresa, Sebastian si inginocchiò accanto a lui, prese una porzione di schede, in modo da rendere la pila meno precaria, e la mise su un tavolino lì accanto.

- Raccoglile a piccole porzioni, farai anche prima – gli consigliò, tornando ad inginocchiarsi, stavolta concentrandosi sulle schede che andavano dalla E alla H.

- Cos’è? Ti sei stancato di non far nulla? – gli chiese Thad ironicamente.

- No è solo che, visto che mi hai invitato ad uscire, preferisco rimanere libero per allora.

- Scusa, e quando ti avrei invitato ad uscire?

- Quando mi hai preso a pugni; nel mio vocabolario ciò equivale ad un invito ad uscire insieme – rispose Sebastian con la sua solita sicurezza – Vedi di portarmi in un posto carino, sono abituato al meglio.

Mentre raccoglieva altre schede da riordinare, Thad chinò un po’ di più la testa per nascondere un sorriso.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Estratti della poesia “L’amore dorme nel petto del poeta” di Federico Garcìa Lorca (1898-1936)

** Errore del preside che finge di conoscere alla perfezione il francese per fare bella figura. In realtà, sarebbe più corretto dire “mia cara demoiselle” visto il “mia” iniziale.

*** Citazione dal terzo atto dell’Amleto. La battuta è di Ofelia.

 

Eccomi di ritorno. Scusate il ritardo ma, come sapete, abbiamo dovuto tutti affrontare un nuovo inizio di stagione e… be’, siamo sopravvissuti a stento tra numeri emozionanti e proposte di matrimonio da sogno XD

Questo capitolo è stato un parto, l’ho cancellato e riscritto più di una volta e nemmeno adesso ne sono pienamente soddisfatto. Temo di essere stato monotono e ripetitivo (a livello di parole e termini) fino alla nausea.

Permettendomi di sclerare un po’, vista anche la 5x01, per una volta sono sicuro di aver trattato un Sebastian poco OOC. Le mie tesi sul suo passaggio dalla parte dei “buoni” (anche se non credo sia mai stato cattivo, a parte la granitata al sale grosso) sono queste: 1) I capelli tagliati gli hanno fatto perdere la cattiveria, come Sansone la forza 2)Crescendo si diventa più maturi 3)Avrà trovato anche lui l’amore della sua vita (coff*Thad*coff) e per lui avrà deciso di tirar fuori il suo lato buono.

A voi la scelta; la mia è molto palese XD

Sul fronte Klaine… non credo di essere ancora in grado di ragionare in maniera seria e lineare. Se per voi è lo stesso, lascerò parlare il prossimo capitolo che arriverà martedì (credo che sarà questo, per ora, il giorno degli aggiornamenti).

Non ho altro da dire se non, complimenti se siete riusciti ad arrivare fino alla fine del capitolo.

Per qualsiasi cosa come, aggiornamenti, spoiler e la mia “rubrica di recensione Glee” che ha riaperto i battenti, vi rimando alla mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E se avete delle domande da pormi o curiosità: http://ask.fm/LusioEFP

Ciao a tutti.

 

Lusio

  
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