A
Very Christmas Carol
4.Di
colleghi invadenti, di spettri albini
saccenti e di futuri sconosciuti
Il ragazzo
posò una mano
tra le lenzuola bianche, ne carezzò la morbida consistenza e
con un blando
sospiro schiuse gli occhi.
Spesso si domandava
cos'avesse fatto di tanto male da meritarsi un lavoro così
caotico e infernale.
Il suo ufficio - nei
giorni dopo le festività - avrebbe assistito ad un via vai
di gente cupa e
imbronciata, che dalla fine della vacanze sarebbe stata pure scocciata.
Alta la tensione si
sarebbe rivelata e tesa come una corda di violino, ma Light sarebbe
riuscito a
calmare gli animi, ricorrendo al suo intelletto sopraffino.
Ben sapeva giostrare
i
giochi dell'azienda di famiglia ed era solo merito suo se gli affari
procedevan
a meraviglia.
Ma il sonno era suo
nemico: da tre notti, ormai, il ragazzo non dormiva tranquillo,
giacché tre
malvagi demoni avevano avuto modo di turbare il suo riposo, ognuno dei
quali
aveva un potere a dir poco spaventoso.
Per queste ragioni
Light
dubitava seriamente di riuscire a riprendere il lavoro e ad essere
impeccabile
come suo solito.
Sbatté
le palpebre
un paio di volte, la luce del giorno lo infastidiva non poco, allora
portò il
lenzuolo sopra la propria testa, non aveva alcuna intenzione d'andare a
messa.
—
— —
I
rintocchi delle campane riecheggiavano
gioiosi, i fedeli prendevano posto tra le panche di legno, i bambini
erano in
silenzio all'interno della chiesa, sembrava che persino a loro la
parola fosse
stata presa.
In piedi, in un
angolo
oscuro dell'edifico, stava un ragazzo dai folti capelli neri, avvolto
in un
abito domenicale che risultava scialbo, grezzo e un tantino
stropicciato,
nonostante da pregiate stoffe fosse stato creato.
Le scarpe erano
malamente indossate, tanto che i calcagni toccavan il freddo pavimento,
anche
se dei brividi che lo avrebbero dovuto cogliere, il giovane, non pareva
aver
presentimento.
I pantaloni
circondavano
la vita mollemente - chiunque avrebbe capito che bisognavano di una
cintura,
persino un malato di mente! - lasciavano intravedere una sottile linea
blu che
altro non era se non la biancheria.
La camicia bianca era
lasciata a se stessa, i bottoni erano fuori dalle giuste asole, mentre
la
giacca era stata affidata al vecchio maggiordomo, accentuando la
noncuranza del
nobil uomo.
Lawliet non ascoltava
il
prete - il quale aveva già dato il
benvenuto ai fratelli - ma
scrutava disinteressato la folla, in cerca di una capigliatura
perfettamente
liscia e ordinata.
Sporse il labbro
inferiore quando non trovò quel che
cercava, assumendo un
espressione simile a quella di un bambino capriccioso che non aveva
ottenuto
ciò che desiderava.
L'anziano si
avvicinò,
gli porse la giacca e accennò un inchino.
"Conviene tornare
alla villa, signorino, so che volevate vedere il giovanotto, ma
è chiaro che
non farà mostra della sua persona. Vi consiglierei
d'attendere la cena".
"Watari, ti prego
di non parlare quando non sei interpellato". Furono le lapidarie parole
di
L. "Lui non verrà stanotte da me". Poi si stampò
un finto sorriso
sulle labbra, talmente tirato da risultare inquietante e si
avvicinò ad una
signorina dai lunghi capelli neri, avvolta in un cappotto all'apparenza
tanto
ingombrante.
Dunque prese fiato e
disse col tono di voce più normale di questo mondo:
"Perdonate il disturbo, ma dovrei rubare un attimo
del vostro
tempo, il signorino Yagami è il vertice dei miei quesiti,
non voglio vagar in
tondo".
Le occhiate irritate
dei
fedeli giunsero a colpire Lawliet, che, imperterrito e menefreghista,
iniziò a
porre una domanda dopo l'altra alla signorina Misora, tutte incentrate
sulla
persona del giovane Light: quale fosse il suo colore preferito, cosa
mangiasse
con più letizia, quali fossero i suoi giorni liberi, le
feste che più adorava o
odiava e così via...
Naomi cercava di
scacciarlo lontano, rispondendo agli interrogativi in modo netto e
sbrigativo,
invitandolo -ogni qualvolta finisse di dare la risposta,
perché certamente
Lawliet non era un tipo che si accontentava - a lasciare quel luogo di
culto.
Quando, finalmente,
il
moro raggiunse la propria auto, Watari sospirò sollevato,
per un attimo aveva
pensato che il suo protetto sarebbe finito dalla folla linciato.
"Avete saputo
ciò
che v'interessava?" Chiese curioso l'anziano al volante.
Lawliet
annuì, ma non
gli prestava davvero attenzione, era in un luogo tutto suo, dall'auto
molto
distante.
Seduto nel sedile
posteriore, portò le ginocchia al petto e vi
poggiò la fronte.
Informazioni, se
doveva
avere a che fare con Light Yagami non gli serviva altro.
Conosceva
già tutto di
lui, era riuscito ad entrare in possesso di contratti che il ragazzo
aveva
stipulato con altre aziende; il suo metodo lavorativo era impeccabile.
Lawliet lo voleva
come
suo socio in affari, ma non solo.
Era rimasto colpito
dalla personalità del giovane, dal suo atteggiamento, dal
suo portamento.
Rare erano state le
occasioni nelle quali lo aveva incontrato, eppure sentiva che tra di
loro c'era
qualcosa, un sentimento che avrebbe acceso molto più di una
questione.
Non amore, certo che
no!
Bensì attrazione.
La sua attenzione era
sempre calamitata dal modo di controbattere che il ragazzo adottava nei
confronti di chi gli era avverso; cercare d'affermare la propria
ragione era
solo tempo perso.
Light Yagami vinceva,
sempre.
Ed era qui che la
mente
contorta dell'uomo d'affari si era incaponita.
Una persona non
poteva
trionfare in qualsiasi occasione, doveva
sbagliare, doveva avere
anche una piccola imperfezione! Altrimenti sarebbe giunta a credere
d'essere
irraggiungibile, perfetta, divina.
Ebbene, Lawliet
voleva
essere questo per Light.
Voleva essere il suo
sbaglio, voleva essere la sua imperfezione.
Il nobil uomo sarebbe
stato ciò che avrebbe reso il signorino Light umano.
Sarebbe stato
sorprendente, lo avrebbe preso in contropiede.
Ryuzaki era
abbastanza
accorto da rendersi conto che il ragazzo teneva molto a pianificare
ogni singolo
evento della giornata: la sua vita era scandita dai ritmi che il lavoro
gli
imponeva, quindi le sue giornate erano monotone e noiose.
L'uomo doveva
riuscire a
non diventare il passatempo che avrebbe fatto divertire quel ragazzetto
durante
le ore di riposo.
L Ryuzaki Lawliet ,
per
il signorino Yagami Light, sarebbe stato imprevedibile, inafferrabile.
Deciso questo, non
gli
restava altro da fare se non scegliere l'abito per il loro prossimo
incontro.
Ah, già!
Quasi
dimenticava!
Doveva anche
eliminare
ciò che dalla lettera inviata a quella gallinaccia avrebbe
potuto far risalire
a lui, avrebbe evitato una figuraccia!
—
— —
"Buonasera, Light
Yagami".
Il castano, che
camminava avanti e indietro nelle sue stanze, aveva atteso la venuta
del terzo
e ultimo fantasma di Natale, tuttavia, non si trattenne dal sussultare
quando
sentì una voce alle sue spalle.
Si voltò
e, con sua
somma sorpresa, si trovò davanti un ragazzino sul pavimento
seduto, intento a
comporre un puzzle, bianco in gran parte, ma dal bordo dorato.
Ormai mancavan pochi
pezzi alla fine del lavoro, ma sembrava fosse
bloccato da chissà
quale mistero arcano.
"Buonasera,"
rispose il castano, osservandolo poi per qualche minuto.
Quello spettro era
diverso dagli altri, ma Light non sapeva dare una spiegazione a questa
strana
sensazione.
Era come se il suo
ospite fosse colui che avrebbe messo la parola fine
ad un ciclo di
sfortunati eventi e che presto ne sarebbe iniziato uno nuovo.
Che pensieri
pessimistici! Meglio riporre fiducia in qualcosa di più
positivo, come sempre
provava a fare, anche se in modo approssimativo.
"Sono Nate River,
fantasma dei Natali futuri, sono venuto sin qui per mostrarti il tuo
avvenire".
Il fantasma si
alzò e in
un unico, fluido movimento tese la mano verso Light, non era di molte
parole;
il signorino, però, si scostò in fretta,
intimorito da colui che sembrava essere
poco più di un candido infante e un'affermazione fulminea
gli giunse schietta:
"Non voglio sapere".
Uno
sghignazzo si distese sui tratti delicati del
piccolo albino, ma
sembrava più un ghigno, che un vero riso di bambino.
"E perché
mai,
Yagami, non vuoi sapere cosa il destino ti riserva? Sei forse pentito
di
qualcosa e hai paura di ciò che ti spetta?" Nate sedette
nuovamente e
incastrò una tessera nel suo stupido gioco, che risultava
infantile agli occhi
ambrati del castano e non poco!
"Io non mi pento di
nulla," lo rimbeccò Light stizzito. "Ho sempre saputo in
anticipo a
cosa le mie scelte mi avrebbero portato e adesso, se non ti dispiace,
credo
d’aver abbastanza tollerato".
"Stai parlando
delle tue decisioni, Light!" Lo riprese lo spettro, quasi senza dare il
tempo al ragazzo di finire la frase. "Ma sei al corrente di cosa passa
nella mente di chi ti è vicino?"
"Certo che
sì, sono
io che comando anche le loro". Quasi il signorino rise, "se tu e i
tuoi compari avete avuto modo di tenermi d'occhio, dovreste aver capito
con
quali pecore ho a che fare, non saprebbero distinguere del banale
metallo
dall’oro!"
"E se in mezzo al
tuo gregge ci fosse un ladro? A questo hai pensato?"
Il diciassettenne
affilò
lo sguardo e incrociò le braccia sul petto. "Nessuno
riuscirebbe a
fregarmi, nessuno ne è all'altezza".
"Pecchi in
superbia, Light Yagami". Constatò l'albino, ma l'altro
scosse il capo.
"No, la mia non
è superbia;
sarò ben lieto di porgere la mano di fronte a chi
risulterà essere mio pari, ma
ancora nessuno se ne è dimostrato degno".
"Non ti preoccupa
la lettera che è giunta a Misa Amane?"
"Uno stupito
scherzo, niente di più, non ho posto questioni
perché della situazione non
m'importava".
"E se il ladro
avesse fatto la prima mossa con quel testo?"
Light si
irritò, il
motivo, anche stavolta, chiaro non gli risultava, forse era il fatto
che
l'albino non avesse gli occhi puntati su di lui mentre parlava, oppure
l'insistenza con la quale il ragazzino antitesi ad ogni sua
argomentazione
creava; il dubbio, però, aveva iniziato a
tormentargli l'animo...
che non avesse prestato attenzione a qualcosa di davvero importante?
"No, non
può
essere". Rispose più a se stesso che allo spettro.
"Allora, se non hai
torto, cosa ti costa dare un'occhiata a ciò che
già sai?" Per
la seconda volta, River porse il palmo e di nuovo restò in
attesa, ma il
giovane ancora non accettò la mano tesa.
L'albino, a quel
punto,
fece nuovamente quell'inquietante smorfietta e mise
al suo posto
un'altra tessera.
"Non ho voglia di
partecipare a lunghe odissee inconcludenti".
"Secondo
me,
hai solo paura".
Punto nell'orgoglio,
il
giovane incenerì quell'essere con un solo sguardo.
Lui non temeva
niente,
non c'era nessuno che potesse creargli un simile
disagio; così, di
slancio, fece per afferrare la mano dell'albino, come una muta
dichiarazione di
sfida, ma non acchiappò altro che aria e tale era la grinta
che aveva messo in
quel movimento, che per poco non rischiò di rovinare a terra
e veder tutti i
firmamenti.
"Cos'è?
Non cogli
la mia proposta, Light?"
Ora l'albino teneva
un
tono di voce canzonatorio, il castano non si fece prender dalla rabbia
e
sprezzante disse: "Spiegami tu, visto che sei tanto furbo"
Nate
riportò
l'attenzione sul puzzle e il giovane accontentò: "Il futuro
non è deciso:
subisce cambiamenti con rapidità e noi non possiamo fare
nulla per prevederlo.
Il passato è scritto, dunque immutabile, mentre il presente
non è altro che un
foglio bianco riempito a metà". E, dette queste parole,
l'albino sistemò
il penultimo pezzo.
"È
possibile,
Yagami, prevedere una catastrofe naturale? No, certo che no, dunque sta
attento, perché a questo mondo c'è chi possiede
la forza di una tempesta".
Così
scomparve il terzo
fantasma, lasciando sul lucido parquet un'ultima piccola tessera.
Il
puzzle non era
completo, ancora.