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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    01/10/2013    0 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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II.
 
“Portalo sul letto, seconda porta sulla destra”.
Corse in cucina, prese un ago e del filo spesso, di quello che si usa in cucina, non aveva nient’altro per cucire quella ferita.
Si spostò in bagno dove si mise un paio di guanti e disinfettò l’ago e il filo. Prese del cotone, molto cotone.
Raggiunse i due in camera. Lo sconosciuto teneva la mano di Cult. Si rivolse proprio a lui.
“Cucina, primo cassetto, ci sono delle forbici e delle garze, portamele”. Toccò la fronte di Cult. “Porta anche la bottiglia di whiskey che c’è nell’armadietto”.
C’era molto sangue per una ferita di quelle dimensioni ma non sembrava grave…
Iniziò a sbottonargli la camicia, aprendola fino in fondo e spostandola. La ferita era ben visibile, come immaginava non era grave, ma continuava ad uscire sangue.
Lo sconosciuto fu di ritorno, con tutto quello che le aveva chiesto. Appoggiò tutto sul letto, ma poi si allontanò.
“Ok, Cult, ora disinfetto la ferita. Questo non farà male, non brucerà”. Lo vide annuire lentamente.
Versò sulla ferita mezza boccetta di disinfettante, per sicurezza, poi infilò il filo nell’ago.
“Ora devi bere questo”. Gli allungò la bottiglia di whiskey. “Bevine un po’, così sentirai meno dolore”.
“Gli farà molto male, vero?”. Era di nuovo il moro a parlare, l’amico di Cult.
Annuì senza dire nulla.
“Bevi ancora, avanti”. Gli disse sfiorandogli la fronte. “Ora cerco di cucirti la ferita. Farà male”.
Cult si mosse appena, dolorante.
Joan infilò l’ago nella pelle, sperando di fare tutto nel modo giusto. Non era mai stata così nervosa. La mano tremava, ma doveva andare avanti, tentare il tutto per tutto. Il ragazzo continuava a bere grandi sorsi dalla bottiglia.
“Andrà tutto bene”. Lo diceva più per se stessa che per Cult.
Continuava a cucire i due lembi insieme fino alla fine della ferita. Non sapeva come si terminasse una cucitura del genere, quindi si limitò ad annodare il filo su se stesso sperando che durasse. Tagliò la parte in eccesso, pulì la pelle dal sangue con un batuffolo di cotone imbevuto nel disinfettante e coprì la ferita con una grande garza adesiva.
Buttò ciò che aveva usato nel cestino. Cult era nel dormiveglia, si lamentava, gli allungò un paio di antidolorifici con un po’ d’acqua.
“Non ho nulla di più forte”. Disse aiutandolo ad alzarsi leggermente per prendere quelle pillole.
“Ora riposati”.
Lo coprì con una coperta che teneva sul divano.
 
“Vieni sconosciuto, ti disinfetto quel taglio”. Lo sconosciuto aveva un piccolo taglietto accanto al sopracciglio. Nulla di grave, ma giacché aveva cucito una ferita sanguinante, tanto valeva disinfettare anche quella.
“Grazie”. Si sedette sulla sedia in cucina, mentre Joan gli passava il batuffolo imbevuto di liquido freddo sul sopracciglio. “Non solo per questo, anche per Cult”.
“E dimmi, devo andare avanti a chiamarti sconosciuto o posso sapere il tuo nome?”
Gli strappò una risata. “Steve, mi chiamo Steve”.
“Bene Steve, e dimmi perché non l’hai portato subito in ospedale?”
“Lui non ci voleva andare e poi pensavo che fosse un graffio, come al solit…”
Si rese conto di aver detto troppo.
“Come al solito?!”
Non disse nulla.
“Io devo andare, di lui ti occupi tu, vero?”
Joan si limitò ad annuire, stupita e perplessa, ma anche un po’ diffidente.
Tornò in camera, per controllare Cult che si muoveva e si lamentava bofonchiando parole senza senso, non che si aspettasse qualcosa di diverso…In fondo aveva bevuto mezza bottiglia di whisky, che sommato al dolore fisico, allo stress mentale e agli antidolorifici lo avevano messo ko.
Gli sfiorò la fronte. Niente segni di febbre, ottimo. Era soddisfatta di sé. Se l’avesse raccontato a David probabilmente non le avrebbe creduto.
D’un tratto sentì qualcosa di caldo sulla mano. Era quella di Cult, che si era svegliato.
“Ehi”. Sussurrò.
Lei si limitò a sorridere, imbarazzata dalla situazione.
“Lo sai che sei bella?” Le fece quel complimento con una tale naturalezza che quasi non sembrò reale.
“Sei mezzo ubriaco e stordito dal dolore e dalle medicine”.
“In vino veritas”.
“Devi riposarti”. Gli passò le dita sulle palpebre per spingerlo a riposarsi, invece di affaticarsi a parlare e lui sembrò darle retta, perché lasciò le sue dita e si sistemò meglio per dormire.
Sembrava quasi angelica quella posizione, nonostante i capelli scompigliati, la barba di qualche giorno, la camicia sporca di sangue e sbottonata.
Restò a guardarlo per qualche minuto, forse più di ‘qualche’, poi dopo il terso sbadiglio capì che era ora di mettersi a dormire.
Si stese sotto le coperte, sperando di non svegliare Cult che dormiva lì accanto.
“Grazie”. Era solo un sussurro, probabilmente quasi inudibile da chiunque. Joan pensò di esserselo immaginato, di stare sognando ma non era così.
Eppure aveva ancora gli occhi chiusi. Era immobile.
Spense la luce sul comodino e si sistemò le coperte. D’un tratto dal nulla le dita di Cult si aggrapparono alle sue, senza preavviso. Quel tocco le toccò le corde del cuore. Non era il vero Cult quello, ne era sicura, i ragazzi come lui non fanno cose del genere, ma nonostante ciò che pensasse non ebbe il coraggio di fare a meno di quel contatto.
 
Svegliarsi con un raggio di sole accecante in una fredda mattina d’inverno non era certo la cosa migliore.
Cult si svegliò però più per il dolore lancinante al fianco che per la luce.
Qualsiasi cosa ci fosse sotto l’enorme cerotto bianco tirava e faceva male. Era come avere un migliaio di spilli conficcati in quel punto.
Notò solo dopo un po’ che non era nel suo letto. Le lenzuola bianche profumavano di qualcosa che non era il suo profumo. Erano sporche di sangue, come la sua camicia, completamente sbottonata.
Si voltò lentamente per non aumentare il dolore.
Accanto a se dormiva Joan, la vicina, il viso girato verso di lui, la posizione rilassata e naturale, le dita della mano sinistra strette in quelle della sua mano destra. Ecco cos’era quel contatto caldo.
Si liberò subito di quel contatto e le sfiorò appena la guancia.
Lei si svegliò.
“Ehi, come ti senti?”
“Bene”. Mentì.
“Sicuro? Continuo a pensare che tu debba farti vedere da un medico vero!”.
“Non ce n’è bisogno”. Sembrò rimuginare su qualcosa, indeciso se far parlare i suoi pensieri o meno. “E com’è che una psicologa sa cucire una ferita?”
Lei alzò le spalle. “Il mio ex studia medicina, ogni tanto si allenava sulla frutta con le suture e credo di aver semplicemente memorizzato come si fa…E poi ho visto tutte le stagioni di Grey’s Anatomy”.
Lui ridacchiò. “Non mi dire che avevi un fidanzato che preferiva suturare la frutta piuttosto che divertirsi con te”.
Sì era così…Era uno dei motivi per cui Joan lo aveva lasciato, ma quello Cult non doveva saperlo.
“Bè senza frutta suturata tu saresti morto dissanguato, e poi era molto interessante”. Mentiva e Cult lo capì subito.
Sapeva leggere in quello sguardo nonostante la conoscesse da così poco.
“Noioso”.
“Smettila, tu non conosci David, lui è…”
David Newlin era tante cose…Preso da sé, un tantino egocentrico, ma grazie alla sua ambizione sarebbe arrivato lontano.
“…Noioso”. Concluse Cult per lei.
Joan sbuffò sotto lo sguardo divertito del ragazzo.
Fece per alzarsi, ma la ferita faceva troppo male. Lei si catapultò letteralmente su di lui per bloccarlo.
“Sta fermo, non sono sicura di aver fatto un buon lavoro, è meglio se non ti muovi”.
“Ho capito che ti fa piacere avermi nel tuo letto, ma vorrei farmi una doccia”.
“Bè con quella ferita è meglio se aspetti almeno ventiquattr’ore”. Lui la guardò con occhi sbarrati.
“Tranquilla, ragazzina, ho avuto momenti peggiori”.
“Lo immagino, ma non voglio averti sulla coscien…” Si bloccò all’istante ricordando le parole usate da lui poco prima. “Mi hai appena chiamata ragazzina?”
Era scocciata e la cosa divertiva Cult come poche altre cose.
Ridacchiava senza contegno, tenendosi pancia e ferita, su cui Joan avrebbe volentieri sparso sale e alcool puro per farlo smettere di ridere.
“Farò finta che non sia mai successo e che sia un postumo della sbornia”.
Si allungò verso il comodino per prendere un altro antidolorifico e dell’acqua, cose che poi passò a Cult che inghiottì le pastiglie senza neanche bere l’acqua.
“Non mi piace l’acqua, quel whisky che mi hai fatto bere era meglio”.
“Sono felice che ti sia piaciuto il regalo di mio padre da cento dollari la bottiglia”.
Cult fece solo una smorfietta, sogghignando.
“Spero di non aver detto nulla di compromettente questa notte…Ero un po’ sul rincoglionito…”
“Puoi stare tranquillo, nulla di compromettente…”
A parte il ‘lo sai che sei bella’ e il ‘grazie’, in fondo non aveva detto nulla.
D’un tratto qualcuno suonò alla porta. Strano. Bè forse era quello Steve, l’amico di Cult che voleva sapere come stava.
Joan si alzò di scatto legando i capelli in una coda bassa e andò alla porta.
Rimase quasi scioccata quando vide che alla porta c’era David, sì il David Newlin suo ex fidanzato.
Sfoggiava un sorriso smagliante, illuminato dai denti bianchissimi.
“David che diavolo ci fai qui?!”
“Pensa la sorpresa quando di ritorno dal mio stage in California ho scoperto che ti eri trasferita senza neanche avvisarmi”.
“Bè…Ecco…Io non ha avuto il tempo…E’ stata una decisione presa in fretta”.
“Allora? Non mi fai entrare?!”
“Ehm…Sì, certo, scusa”.
Sperava non andasse in camera, dove c’era un uomo mezzo nudo, ferito e sporco di sangue nel suo letto.
Le sue speranze andarono in frantumi quando Cult tossì rumorosamente, facendo insospettire David.
“C’è qualcun altro?”. Disse avvicinandosi pericolosamente alla sua stanza.
“Ecco, veramente…”
Non ebbe il tempo di formulare una frase di senso compiuto, perché David aveva già aperto la porta della stanza.
Il suo volto era a metà tra lo stupito e il curioso. Il suo sguardo saettò da Cult a Joan.
“Lui è il mio vicino, Cult, ha avuto un piccolo problema e l’ho aiutato”. Poi indicò David. “Cult, lui è David Newlin il mio…ex fidanzato”.
Cult lo salutò con un cenno della mano che spostò le coperte che a loro volta lasciarono intravedere la fasciatura.
Joan maledisse il giorno in cui aveva messo piede in quello stabile.
“Un piccolo problema”. Disse David citando le parole di Joan e indicando proprio il cerotto bianco sul fianco muscoloso di Cult.
“Sì bè era ferito, ma nulla di grave…Come puoi vedere non è un buon momento, potresti ripassare?”
“Joan, tesoro, sono uno specializzando in chirurgia, chi meglio di me può curare una ferita?”
Stava usando quel tono che Joan tanto odiava, quello da ‘per favore spostati, tu non sai nulla di medicina anche se ti fai chiamare dottoressa’, sì perché per lui la psicologia erano un mucchio di sciocchezze senza senso.
Avrebbe voluto sbattergli in faccia che se non fosse stato per lei Cult sarebbe morto dissanguato, ma non era da lei, lei era più quella del ‘basso profilo’.
Si sforzò di sorridere nonostante avesse voluto insultarlo pesantemente. In fondo si rendeva conto che ne sapeva più lui di medicina e avrebbe potuto controllare la ferita capendone sicuramente più di lei.
Mentre lei si lasciava prendere da questi ragionamenti, David si avvicinò a Cult, che sembrava diffidente.
Gli spostò la camicia e indossò dei guanti che prese in bagno, dove gli aveva indicato Joan.
Cult dal canto suo teneva gli occhi puntati su Joan, incapace di capire come una come lei resistesse nella stessa stanza di quel tizio tanto fastidioso e pieno di sé.
David tolse le benda bianca, sotto cui c’era ancora la ferita rosa, con del sangue raggrumato intorno.
“Mmm…Questa non l‘ha fatta un medico”. Disse analizzando la cucitura.
“Però non è fatta male, chi te l’ha fatta?”
Cult si limitò a indicare Joan con la testa, ma David pensò di aver capito male.
“Chi, Joan?” Rideva, ma era una risata forzata. “No, Joan non è capace neanche di cucire un bottone”.
“Bè a me non importa che non sappia cucire un bottone, mi ha salvato la vita”.
Joan rimase sorpresa da quell’affermazione, anche se non lo diede a vedere, tanto sorpresa che non si accorse nemmeno quando David e si avvicinò per schioccarle un bacio sulla tempia.
“Non posso crederci, la mia Joan che sutura…”
“Bè non ho fatto un gran lavoro, insomma non è il mio campo”.
“Sì, tesoro si vede, ma è comunque ammirevole”.
Le circondò le spalle con un braccio.
“Devi disinfettarla nei prossimi giorni e tenerla coperta. E prendi questi anti dolorifici”. Gli scarabocchiò un nome su un fogliettino che piegò e gli porse.
“Bè vado in albergo, sono ancora frastornato dal jet leg, ma questa sera ti invito a cena, voglio raccontarti della California”.
Joan si limitò ad annuire accompagnandolo alla porta.
“Ti passo a prendere alle otto”.
David la snervava. Lo conosceva da sempre. Avevano frequentato liceo e college insieme ed erano stati una coppia per tre anni, ma ad un certo punto Joan si era resa conto di quanto quella vita, quella relazione le stessero strette e lo aveva lasciato. Certo il tradimento con l’infermiera di traumatologia aveva influito non poco, ma l’avrebbe lasciato comunque, infermiera o non infermiera.
Erano rimasti in buoni rapporti, non che Joan ci tenesse molto, ma David insisteva per rimanerle amico…
“Io me ne andrei”. Cult era fermo davanti a lei, che aveva lo sguardo perso nel vuoto.
“Che diavolo ci fai in piedi, devi riposare e…”
“Sto bene, guarda”. Girò si sé stesso, fingendo che non avesse male. “Dico a Steve di prendermi le medicine così guarisco e sei contenta”.
“A me non cambia proprio niente…Fai come ti pare sei adulto e vaccinato!”
“Così disse quella che non voleva che mi cucissi da solo come Rambo”.
Quindi qualcosa della sera prima lo ricordava…
La superò e aprì la porta.
“Buona serata col tuo fidanzato, ragazzina”.
“..Ex”. Sussurrò lei quando ormai lui si era richiuso la porta alle spalle.
 
Buona sera!
Eccomi con il secondo capitolo di questa nuova storia. Come sempre mi renderete felicissima, ma proprio -issima -issima, se commenterete. Ci tengo tanto a sentire il vostro parere. Non siate timidi. Non mordo!
Prima di lasciarvi vi metto il link dell'altra mia storia, che va un po' a rilento, ma se vi va passate a dare un'occhiata. : )
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1845498&i=1 
Grazie per aver letto, a presto! : )

xx

 
  
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