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Autore: A_P    01/10/2013    1 recensioni
Le orme di un uomo invisibile... – ebbe il tempo di pensare, prima di alzare gli occhi e vedere che Sherlock Holmes lo stava fissando da sopra la porta aperta del frigorifero.
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Per cominciare questo capitolo, un saluto d'incoraggiamento a tutti i lettori timidoni... dalle statistiche di lettura dei capitoli, ci siete, quindi... DAI CON STE RECENSIONI!
Battutina dai, naturalmente, in ogni caso recensioni/commenti/consigli sono benvenuti e anzi incoraggiati. Gli insulti di meno, ma se sono raffinati ben vengano anche quelli. 
Il capitolo questa volta è scritto da due diversi punti di vista che si alternano. Non sono "svelati" ad inizio capitolo con il nome a caratteri cubitali perchè sono ovvi. E per dare un po' di suspense. Va bè.
Buona lettura
Al prossimo capitolo


 
 
CAPITOLO 3 - PIOGGIA E LAMPIONI
 

John scrutò torvo Sherlock, in attesa di una risposta che però non venne. Quest’ultimo aveva infatti cominciato a salutare allegramente il disgraziato vicino di casa, che continuava a rimanere aggrappato alla tenda fissandolo con gli occhi sbarrati, a quanto pareva incapace di muovere anche un solo muscolo.
«Dicevo, perchè diavolo gli hai sorriso!?» tentò nuovamente John.
Sherlock lo ignorò totalmente mentre mandava baci con la mano al tizio, nuvolette bianche che si disperdevano nell’aria gelida ad ogni soffio.
John continuò a fissarlo tormentandosi le mani, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla visione ipnotizzante delle narici frementi di Sherlock.
Nel frattempo la pioggia aveva ripreso a cadere fitta e pungente, faceva un freddo polare e il cielo era di un colore grigioverde inquietante. John si maledisse tra sè e sè per non aver preso un ombrello, reggendo il sacchetto del fish and chips sulla propria testa a mo’ di riparo.
I suoi pensieri stavano virando di nuovo all’immagine di Sherlock in boxer e pantofole a forma di maiale peloso, quando la voce dell’investigatore lo riscosse.
«Taxi!»
Sherlock fermò il taxi con l’indice alzato e quando la vettura si fu fermata aprì impetuosamente la portiera posteriore facendo segno a John di entrare.
John salì a quattro zampe sul sedile e mentre cercava di passare al sedile opposto gattonando, con il sacchetto di fish and chips che sballonzolava ingombrante al suo avambraccio, si sentì assestare una sonora pacca sulla chiappa destra.
«Ero sovrappensiero» sentenziò asciutto Sherlock non appena si fu seduto accanto a lui, poi aggiunse, rivolto al tassista, «Oxford Street».
Bene, se non altro ha abbandonato i suoi malsani propositi di rubare il taxi” si disse John, accomodandosi meglio sul sedile.
L’auto si mise in marcia.
 
- - -
 
Non seppe dire se fosse per l’accogliente temperatura all’interno del taxi, per il morbido sedile o per la notte precedente passata in bianco a vomitare i cannelloni con le cime di rapa della signora Hudson, ma John si sentiva intorpidito dal sonno.
Chiuse gli occhi e allungò le gambe per quanto il sedile anteriore gli consentisse di farlo, sentendo il corpo rilassarsi.
Cavalcava all’amazzone in un prato verdissimo, un sontuoso abito di ciniglia color pesca che gli scendeva fino alle caviglie, lunghi guanti gli fasciavano mani e avambracci. Gli uccellini cinguettavano e un ruscello sempre color pesca scorreva placido. John inspirò a fondo l’aria profumata di pesche con un sentore di fish and chips, ravviandosi leggermente i capelli brizzolati con una mano guantata.
D’un tratto sentì dietro di sè uno scricchiolio di foglie calpestate. Si girò rapidamente verso la fonte del rumore e vide Sherlock, vestito da cameriera di Downton Abbey, che si dirigeva a passetti svelti verso di lui.
“Ah, beata gioventù!” esclamò. Non aveva minimamente senso.
Poi si ritrovarono come teletrasportati in una spiaggia che odorava di fish and chips, e si stavano abbracciando. Sherlock aveva sempre addosso la deliziosa divisa da cameriera, cuffietta inclusa.
“Non ho remore, Gordon!” affermò impetuosamente, e vide, come uno spettatore, i loro volti che si avvicinavano ad una lentezza incalcolabile.
Le onde del mare si infrangevano sulla spiaggia con un rumore che ricordava molto quello delle auto in coda, con un tocco di scooter in accelerata. Le loro labbra si sfiorarono, e Sherlock disse:
«Mani in alto!»
John si riscosse dal sonno come se gli avessero rovesciato una secchiata d’acqua fredda in testa.
La scena che gli si parò di fronte era a metà tra il preoccupante e il comico: Sherlock teneva il tassista in ostaggio puntandogli il cellulare alla nuca.
Evidentemente quest’ultimo non aveva avuto il tempo materiale per chiedersi di quale natura fosse l’arma che sentiva premere all’altezza dell’osso occipitale.
«Ma…devo guidare!» protestò debolmente, alzando comunque in modo incerto una delle due mani tremanti.
«Accosti laggiù, vicino a quella vetrina con l’insegna grigia, e ci consegni il taxi, non si metta contro di noi, sono in possesso di informazioni sul suo conto. Informazioni scottanti» disse Sherlock calmo, nel suo solito modo di parlare privo di qualsivoglia tipo di pausa per prendere fiato.
Il tassista fece per dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscì solo una specie di rantolo tipo rutto da professore.
«So che ha un’amante» riprese Sherlock, «la traccia di rossetto sul mio sedile è una prova schiacciante, nonché il vago sentore di profumo femminile che si avverte salendo sul taxi, potrebbe essere anche più di una, vista la varietà di capelli femminili che ho individuato sui poggiatesta, biondi, rossi, castani, addirittura un capello bianco, uno brizzolato e uno castano scuro leggermente ondulato, che potrebbe essere mio. Perciò, come vede, non le conviene mettersi contro di me» concluse tronfio.
«Ma io…  non sono nè sposato nè fidanzato!» esalò il tassista, la mano sempre alzata a mezz’aria.
John non se la sentì di far notare a Sherlock che su un taxi salivano ogni giorno probabilmente parecchie decine di donne.
«Faccia come le ho detto!» intimò Sherlock premendo con più forza il telefono sulla nuca del tassista, che dallo spavento parve dimenticare il corretto uso dei pedali e piantò una frenata maestosa.
 
 
- - -
 
Il nuovo ombrello matrimoniale di plastica trasparente rosa bubblegum con inserto antivento era stato uno degli acquisti migliori di quel pomeriggio, pensò Molly mentre sgambettava allegramente in direzione dell’ingresso della metropolitana.
Solitamente non amava fare shopping nè spendere soldi in generale, ma si avvicinava il giorno di San Valentino. L’avvicinarsi del giorno di San Valentino per Molly Hooper significava una sola cosa, da un paio di anni a quella parte: un’occasione.
Una possibilità.
Uno spiraglio di luce al fondo del tunnel dell’amore non corrisposto.
Un apostrofo rosa tra le parole ‘Sherlock’ e ‘Holmes’.
Quel pomeriggio l’aveva passato provandosi praticamente ogni vestito inguinale in vendita da Topshop. Al nono tubino di pizzo, mentre si sistemava maldestramente il davanzale (di gommapiuma, sostanzialmente) davanti allo specchio del camerino, ecco come un fulmine a ciel sereno la rivelazione.
L’epifania.
Il palesarsi della verità.
Doveva semplicemente cambiare strategia. Tutto lì!
Ecco perchè era uscita dal negozio con un completo da uomo in tutto e per tutto simile ad una delle tenute da lavoro tipiche di Sherlock. Tranne l’ombrello, naturalmente. Quello era stato un acquisto fuori programma ma piuttosto azzeccato, vista  la quantità di acqua che si stava riversando su Londra sottoforma di pioggia surgelata.
Molly era ancora immersa nei suoi euforici piani di conquista quando il suo sguardo cadde su uno dei taxi in coda al semaforo, sulla corsia opposta a quella del marciapiede su cui stava camminando.
Dapprima rise da sola alzando gli occhi al cielo, pensando che la sua ossessione per Sherlock doveva aver raggiunto ormai livelli preoccupanti se lo vedeva perfino apparire in taxi a caso mentre passeggiava in centro. Fece per riprendere a camminare, ma immediatamente si accorse che di fatto si trattava proprio di Sherlock.
Si trattenne dallo svenire lì sul posto con tutte le sue forze, aggrappandosi ad un provvidenziale lampione a un passo da lei. Cercò di aguzzare la vista per guardare meglio dentro il taxi, nascondendosi al tempo stesso dietro il lampione, che ora da una certa distanza sembrava un lampione con i sacchi della spesa e l’ombrello.
Le auto erano ancora tutte in coda in quello che sembrava una specie di ingorgo allucinante dell’ora di punta. Aveva appena iniziato a ponderare la possibilità di sfondare il finestrino, lanciarsi addosso a Sherlock e fingere di aver sbagliato taxi, quando vide qualcosa che la immobilizzò sul posto come una statua di sale.
Una cosa che sembrava una schiena incurvata fece capolino da dietro il finestrino, seguita da una nuca. Un'altra persona in taxi con Sherlock. Subito dopo la nuca scomparve di nuovo in basso, per riapparire un momento dopo.
Il terrore della consapevolezza di essere testimone di un atto del genere, in un posto del genere, a quell’ora e per giunta avente come co-protagonista Sherlock la stava facendo sentire male.
Un motociclista si fermò proprio davanti alla scena che l’avrebbe probabilmente perseguitata per tutte le notti insonni a venire.
Si aggrappò piu’ forte al lampione, ora con gambe e braccia, scalandolo freneticamente per raggiungere un’altezza che le permettesse di continuare a guardare. Ora il lampione sembrava un lampione con le borse della spesa, l’ombrello e una specie di koala aggrappato sopra. Le persone iniziavano a girarsi mentre passavano, chiedendosi cosa diavolo stesse succedendo. Naturalmente Molly non se ne accorse affatto.
Finalmente la moto ripartì ed ebbe nuovamente il campo visivo libero, ma notò con apprensione che anche la fila di auto sembrava rimettersi lentamente in movimento. Con un ultimo, disperato tentativo di guardare meglio si protese su un lato del lampione, un braccio penzoloni lungo il fianco.
Un capannello di persone era ormai radunato lì attorno e tutti si chiedevano se fosse il caso di chiamare i pompieri oppure l’assistenza sociale.
L’ultima cosa che Molly vide prima di franare per terra fu una testa che si alzava e abbassava ancora un paio di volte e poi si girava brevemente verso il finestrino. Lo riconobbe. Era John Watson.
 
- - -
 
John perse la presa sul fish and chips che schizzò per aria, atterrando con una traiettoria a parabola direttamente sui piedi di Sherlock.
«Dannazione John, raccogli questa robaccia!» esclamò l’investigatore con una vena di isteria nella voce.
John si chinò immediatamente per cercare di recuperare pezzi di patatine unticce da sotto il sedile. Di fatto dovette mettersi carponi sul sedile, sedere per aria e testa in giù, e raschiare con le mani una quantità di sporcizia immane presente sul tappetino chissà da quanto, insieme alle patatine. Pregò che il tassista non frenasse di nuovo.
Dopo una decina di incursioni a testa in giù era riuscito a pulire quasi del tutto il tappetino e le scarpe di Sherlock.
«D’accordo, ora basta, e lei vuole accostare dove le ho detto o no!?» disse esasperato Sherlock passandosi nervosamente una mano nei capelli.
John si rimise a sedere. Aveva le mani completamente piene di olio e sporcizia varia, se ne accorse mentre tentava di richiudere diligentemente il sacchetto di fish and chips, opportunamente riempito di nuovo di tutto il contenuto. Chissà perchè lo avevano scaldato prima di uscire, poi.
Non avrebbe comunque potuto lasciarlo lì a terra sul taxi, il suo solidissimo senso civico non lo avrebbe permesso, pensò soddisfatto di sè mentre si voltava a guardare fuori dal finestrino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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