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Autore: MsSils    02/10/2013    4 recensioni
"Vedo due signori sulla panchina e mi avvicino per chiedergli informazioni, poi mi blocco. Gli occhi sgranati e il fiato corto. Li riconosco subito, li riconoscerei tra mille, li riconoscerei sempre. Sono le quattro dita della mano che la completano, ciò che sono diventato e che sempre avrò con me."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sono ancora in una fase di dormiveglia quando realizzo che quel frastuono ripetitivo non è frutto di un incubo ma è il telefono che squilla. Apro gli occhi e sbatto le palpebre ripetutamente, come se questo mi potesse dare la forza di alzarmi.
Guardo dall’altra parte del letto: lei non c’è. A quest’ora deve essere già al lavoro.
Il telefono continua a squillare con insistenza facendomi capire che non ci sia altro modo per farlo tacere se non portare le mie chiappe fuori dal letto.
“Pronto?”
La mia voce suona più un rimprovero che una domanda in sé.
“Signore, suo figlio ha appena vomitato, sta male, dovrebbe venire a prenderlo..”
Devo concentrarmi qualche secondo per assorbire e realizzare ciò che mi è appena stato detto. La maestra continua a parlare ma io capisco metà della conversazione. Quasi sottovoce riesco finalmente a dire “Arrivo”.
Mi infilo i jeans, le Vans e una camicia che non metta troppo in mostra i miei tatuaggi. L’orologio segna le 10.30: ho dormito davvero troppo.
Afferro le chiavi, mi infilo un plum-cake in tasca e in men che non si dica sono in strada.
 
Sono infuriato. Non può andare lei a prenderlo a scuola? In fondo anche lei è sua madre anche se non ne ha ottenuto l’affidamento.
Sbatto il telefono in faccia all’insegnante come se il motivo della mia ira fosse lei e non la mia ex moglie. Come può fare questo a suo figlio? Non è lui il motivo del nostro divorzio, non è lui la colpa del perché tra noi non ha funzionato e non è lui a dover passare ciò che purtroppo ho provato anche io quando ero un bambino. Al solo pensiero mi si stringe il cuore. Me l’ero ripromesso, ci sarei sempre stato per lui. Non sarei stato come mio padre: lui non se lo merita. Nessuno, se lo merita.
Chiamo l’ascensore ancora in preda ai miei pensieri e l’unica cosa che penso è: “perché sono al parco in una giornata nuvolosa e non all’asilo? E’ logico che prende freddo e vomita.”
 
“Papàààààààà!”
“Dimmi amore”
“Ha chiamato l’asilo, devi andare a prendere Frankie al Park S. Diego perché sta male”
“Ok, grazie tesoro!”

Mangio gli ultimi bocconi della colazione velocemente, sparecchio e mi dirigo in camera. Lei sta ancora dormendo quindi faccio il più piano possibile per non svegliarla. Mi vesto con le cose della sera prima: non ho tempo di stare a pensare, poi è solo un parco.
Mi ricordo il portafoglio e le chiavi prima di chiudere la porta dietro di me e dirigermi verso l’Audi. Metto la musica ad alto volume.
Be Alright.
Justin Bieber.

Mi serve per calmarmi. Mio figlio ha bisogno di me ma so che tutto si sistemerà.
Schiaccio l’acceleratore e la macchina sfreccia tra la nebbia di un normale venerdì mattina.
 
“Signore, ho ritrovato il suo portafoglio per terra.”
“Davvero? Oddio sarebbe grandioso, quando potrebbe restituirmelo?”
“Anche subito. Io mi trovo tra la settima e la sesta Avenue.”
“Ok, la raggiungo subito! E grazie infinite.”

Sono al settimo cielo. Ho perso quel portafoglio due settimane fa e da all’ora avevo l’ansia che qualcun altro potesse ritrovarlo e farne cattivo uso. Anche se ancora non so se il contenuto ci sia ancora tutto, almeno riavrò il resto della roba. Dovrei prendere dei soldi dal cassetto: a quel signore devo una colazione.
Anzi, una colazione devo ancora farla anche io. Per fortuna tra la settima e la sesta c’è uno Starbucks.
Mi devo affrettare o sarò in ritardo come sempre.
Mi infilo il giubbotto e scendo dall’appartamento. Mentre cammino a piedi sento l’aria che mi scompiglia i capelli impedendomi di vedere davanti a me. Dovrò tagliarmi questa maledetta chioma prima o poi.
Non importa, ora devo solo riavere quel portafoglio.
 
“Tesoro ha chiamato l’agenzia immobiliare. Hai un appuntamento davanti al suo negozio tra 10 minuti.”
Cacchio: sarò in ritardo. Odio essere in ritardo ma so che in fondo non è colpa mia. E nemmeno sua.
Spero solo che abbiano trovato la casa che cercavamo a un buon prezzo. Finalmente potremmo traslocare e costruire la famiglia che abbiamo sempre voluto. Ho bisogno di cambiamenti: per restare vivo, per ricordarmi ciò che ero e ciò che sono, ma soprattutto ricordarmi di ciò che posso ancora essere. Sono cambiate talmente tante cose in questi anni che stanno portando a cambiare anche me.
Prendo il biglietto della metropolitana dalla mensola in cucina ed esco. L’aria fredda mi entra nei polmoni e mi ripulisce. Mi ripulisce dai brutti pensieri, dalle preoccupazioni ma, soprattutto, mi inala positività. E in quella frazione di secondo capisco che tutto è come è destino che sia.
 
Mentre cerco un parcheggio nelle vicinanze non sento i bambini urlare. ‘Strano” penso. Mio figlio non è proprio il tipo che fa silenzio. Mi tranquillizzo, pensando che forse è solo la preoccupazione che mi fa delirare. ‘Ah, ecco un posto. Vai che è mio.’
Scendo e mi incammino verso il parco. Dove sono tutti i bambini?
 
Sono qua da cinque minuti ma il signore del portafoglio non si è fatto vivo. Che abbia sbagliato posto? Che non abbia capito l’ora? Mi siedo sulla panchina del parco, tra la settima e la sesta. E’ riparata da un antico albero:se dovesse piovere sarei al sicuro. Fa freddo e il mio sguardo passa da un uomo all’altro in cerca dell’uomo della telefonata.
 
Scendo dalla metropolitana e salgo le scale. L’uscita porta proprio di fronte all’agenzia immobiliare. All’entrata noto che il cartello segna “Venerdì chiuso”. Che cosa significa? E’ uno scherzo? Negli orari di apertura leggo le 11. Decido di attraversare e di aspettare al parco di fronte fino ad all’ora. Non posso essere venuto qui per niente.
 
E’ praticamente impossibile trovare un parcheggio di venerdì mattina in centro città. Decido allora di mettere la macchina in’area di sosta ed attivo le quattro frecce. Non dovrei metterci molto a prendere Frankie, il parco è qui dietro. Spengo il motore e mi incammino. Non mi sono vestito abbastanza e fuori c’è vento: si, farò proprio presto.
 
Lascio la macchina nel parcheggio dell’hotel all’isolato di fronte. Conosco il proprietario e non dovrebbe fare storie per alcuni minuti. Saluto il custode del parcheggio e mi incammino. Mi stringo nelle spalle perché fa davvero troppo freddo. Continuo a pensare che sia questo il motivo perché mio figlio non sia stato bene. Finalmente individuo con lo sguardo l’area verde riservata ai bambini ma di loro neanche l’ombra.
 
Attraversando la strada vedo un uomo seduto sulla panchina e decido di andare a sedermici anche io. Da lì si vede bene l’agenzia.
Mi siedo e mi giro per guardarlo poi mi blocco. Lui mi guarda fisso, a bocca aperta, senza riuscire a dire niente. Nessuno dei due fiata.
 
Cammino sempre più veloce per raggiungere il parco e cercare Frankie. Sto iniziando a preoccuparmi e mi tremano le ginocchia. Tengo a quel bambino più della mia vita. Giro intorno al grande albero per vedere che non si siano riparati lì dal vento. Vedo due signori sulla panchina e mi avvicino per chiedergli informazioni, poi mi blocco. Gli occhi sgranati e il fiato corto. Li riconosco subito, li riconoscerei tra mille, li riconoscerei sempre. Sono le quattro dita della mano che la completano, ciò che sono diventato e che sempre avrò con me.
“H-Harry..Liam”
Loro mi guardano, ancora più increduli di me.
Alla mia destra vedo arrivare Zayn. E’ ancora più preoccupato di me e frettolosamente si accinge a chiederci “Cercavo mio figlio, è alto cos..” alza gli occhi e si ferma. Come noi, non ci può credere.
Dietro di lui vedo passare Louis a passo veloce, ci guarda e capisce. Si ferma a qualche metro di distanza e non dice niente.
“Zayn. Louis.” riesco solo a dire. Parole,nomi, sussurrati al vento, che servono alla mia testa per capire, per realizzare che siamo insieme. Ancora. Come una volta.
“Niall” aggiunge poi Liam, come se mancasse l’ultimo pezzo di un puzzle che cercasse da tanto, troppo tempo.
Mi siedo di fianco a Liam ed alzo lo sguardo.

Sono passati più di 15 anni.
   
 
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