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Autore: Aurore    02/10/2013    5 recensioni
Cinque anni dopo la parole fine di Breaking dawn, Renesmee Cullen vive una vita quasi perfetta. Una grande famiglia amorevole, due genitori attenti e comprensivi, una media altissima a scuola, un'amica del cuore divertente e fuori di testa, Jacob Black, che per lei è come un fratello: ha tutto quello che potrebbe desiderare. Una ragazza felice e spensierata come tante altre.
Ma Renesmee Cullen non è una ragazza come le altre. Non lo è mai stata e non lo sarà mai. E le ombre e i segreti del passato rischiano di distruggere il fragile involucro di perfezione che protegge la sua esistenza.
Tratto dal capitolo 13:
Niente sarebbe mai più stato come prima, né con Jacob né con la mia famiglia. Il mio mondo, che avevo creduto perfetto fino a ventiquattr’ore prima, era andato in pezzi ed io non potevo fare niente per ricostruirlo. Avevo perso tutto.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 22
Capitolo 22
Redemption


For everyone lost in the silence
For everyone missing piece
For every will that is broken
No matter how dark it may be
There is redemtion
Redemption, The Strange Familiar¹



La casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono sempre.

David Frost





Era lei, dunque. Era lei, come avevo sempre pensato. Non avrei mai potuto non riconoscere la sua scia; il suo profumo, dolce e delicato, non era tra i miei primissimi ricordi, ma era comunque uno dei più forti che avessi. Non mi ero sbagliata, e adesso era lì, davanti a me, con quell'espressione preoccupata, come se si fosse accorta di aver commesso un terribile errore.
Restammo in silenzio a fissarci per non so quanto tempo. Avrei tanto voluto parlare, dire qualcosa, qualsiasi cosa, chiederle che diamine ci facesse nella mia stanza, tanto per cominciare, ma mi sembrava di non avere più fiato. Quando finalmente la mamma parlò, sussultai.
«Renesmee» ripetè con tono ansioso. «Scusami, io... non sapevo che tu... non immaginavo di trovarti...». Si passò le mani tra i capelli, agitata come se fosse stata in trappola. Distolse lo sguardo da me. «Me ne vado» farfugliò e fece per voltarsi e lasciare la stanza.
«Aspetta!» esclamai, scendendo in tutta fretta dal letto. Bella si bloccò e si girò di nuovo, molto lentamente. Era incredula. «Aspetta, non andartene. Io... devo farti vedere...»
Non sapevo bene neppure io cosa volessi fare e cosa stessi cercando di dire, ma con mani tremanti presi la lettera piegata dal comodino, mi avvicinai e gliela porsi. Lei tese la mano, sempre più stupita, prese la lettera, l'aprì con gesti lenti e vi gettò un'occhiata. Restai in trepidante attesa, chiedendomi come avrebbe reagito. Si sarebbe arrabbiata? Sarebbe stata felice di sapere che l'avevo letta? E io che cavolo dovevo fare, adesso? Tutta l'ansia che accumulavo da giorni mi piombò addosso all'improvviso, come una valanga. Respirai profondamente. Bella lesse le prime righe e senz'altro riconobbe all'istante le parole tracciate dalla sua stessa mano. Sollevò lo sguardo su di me, ancora più stupita di prima.
«Come fai ad averla?» sussurrò.
«Ricordi... ricordi che stasera c'era la festa di compleanno di Holly, in stile anni Cinquanta? Te l'ha detto Charlie, e tu devi averne parlato con Rosalie e lei... mi ha mandato un vestito della sua prima luna di miele con Emmett, insieme alle scarpe e tutto il resto, perchè Charlie deve averle detto che non sapevo cosa mettere» spiegai affannosamente, le parole che inciampavano l'una sull'altra. Mi auguravo che non se la prendesse con zia Rose. «E nella borsetta ho trovato questa. Mi ha scritto in un biglietto di essere entrata in casa nostra quando tu e... quando tu e papà non c'eravate e di averla presa, e poi... l'ha mandata a me. L'ho letta».
La mamma abbassò nuovamente gli occhi sulla lettera, accigliata. «Accidenti a Rosalie, non si fa mai gli affari suoi» borbottò.
«Be', questa è una caratteristica piuttosto diffusa nella famiglia Cullen, o sbaglio?» dissi, in un coraggioso tentativo di scherzare.
La sua espressione divenne al limite dello shock. Potevo capirla. In fondo, non le rivolgevo la parola in modo così amichevole e tranquillo da... cinque settimane, in effetti. Cinque settimane. Davvero eravamo state lontane per tutto quel tempo, tenendoci in contatto soltanto con brevi e inutili telefonate? Che fine avevano fatto l'amore, la sintonia, il legame che ci univano? Che cosa avevamo combinato? Che cosa avevo combinato? Sentivo gli occhi gonfi e umidi, un nodo in gola, e temetti di scoppiare in lacrime. La mamma, ancora occupata a studiare la lettera, non se ne accorse subito.
«Perchè Rosalie ha fatto questo?» domandò a bassa voce; mi parve che parlasse con se stessa più che con me.
Alzai le spalle, mordendomi il labbro inferiore. «Non lo so». Be', se per caso voleva cercare di farmi sentire schifosamente in colpa, c'era riuscita in pieno. La mia voce incrinata la spinse a sollevare lo sguardo.
«Mi dispiace, Renesmee» sussurrò, e il suo tono era ricco di sincero, profondo rammarico. 
Presi un altro respiro profondo e deglutii; piangere non sarebbe servito a nulla, non dovevo lasciare che accadesse. «A me no. È bellissima. Sono contenta di averla letta».
Sul suo volto si aprì un piccolo sorriso, leggermente esitante. «Grazie, tesoro». Con gesti lenti ripiegò la lettera.
Per un po' scese il silenzio, pesante come un macigno. Avevo qualcosa di importante da dirle e mi sforzai di parlare, ma quando infine riuscii ad aprire bocca, dopo molti tentativi, non ebbi il coraggio di affrontare subito e direttamente l'argomento.
«L'hai scritta mentre aspettavamo i Volturi, vero?» mormorai.
Lei mi fissò con le sopracciglia inarcate e quella piccola ruga sulla fronte che appariva sempre quando qualcosa la preoccupava. «Sì. Io e tuo padre... credevamo che non ci fosse alcuna speranza». Tacque per un attimo e deglutì con forza prima di andare avanti. «Volevo lasciarti qualcosa. Qualcosa a cui potessi aggrapparti, se noi...»
Lasciò la frase in sospeso. Annuii, gli occhi bassi, le labbra serrate e la tristezza nel cuore. Ero sempre più arrabbiata con me stessa: ogni sua dimostrazione di affetto suonava alle mie orecchie come un rimprovero per come mi ero comportata con lei.
Di nuovo restammo in silenzio per qualche secondo, entrambe prese dai nostri pensieri, poi, all'improvviso, parlaii ancora, d'impulso. «Vieni spesso, vero? Voglio dire... qui... di notte. Ho sentito una traccia, qualche giorno fa. Per questo mi hai trovato... quasi sveglia, stanotte: ti aspettavo».
Dalla sua espressione capii che, se ne fosse stata in grado, sarebbe arrossita fino alla radice dei capelli. La stavo mettendo in difficoltà, ma volevo capire. Più volte aprì la bocca per rispondere e la richiuse, probabilmente senza trovare le parole adatte. «Mi dispiace» ripetè. «So che ci hai chiesto di rispettare i tuoi spazi, ma... era l'unico modo per vederti» ammise, e abbassò rapida il viso, per non essere costretta a reggere il mio sguardo. «Non avresti dovuto accorgertene. Perdonami».
Scossi la testa. «No, mamma... Sono io che devo chiederti scusa. A te e... a papà... a tutti voi» sussurrai. Sapere che le mancavo al punto da spingerla a venire a trovarmi di notte, nascondendosi, senza poter parlare con me, come se fosse stata colpevole di chissà quale delitto, non mi aiutò a controllarmi. In un istante mi si riempirono gli occhi di lacrime e non riuscii più a vedere bene il viso della mamma.
«Perchè dovresti scusarti?» domandò cautamente, come se la mia risposta la preoccupasse.
Era il mio turno di restare senza parole, adesso. Cercai di spiegarmi, ma mi sembrava di soffocare. «Per quello che ho fatto» sussurrai. «Per tutte le cose orribili che ho detto. Per essere andata via e avervi lasciato così. Io... è assurdo, come ho potuto farlo? Come ho potuto essere così cattiva?». Mi lasciai cadere sul letto e scoppiai in lacrime disperate, senza la minima possibilità di frenarle. Sentii uno spostamento d'aria rapidissimo e un millesimo di secondo più tardi la mamma mi stringeva tra le braccia, mi accarezzava i capelli, mi sussurrava parole sottovoce nell'orecchio, ma singhiozzavo troppo forte per riuscire a sentirle. «Mi dispiace tanto, mamma, mi dispiace tanto...»
Trascorse un bel po' di tempo prima che riuscissi a calmarmi un pochino; quella specie di crisi isterica mi fece vergognare, ma non piangevo da quando avevo lasciato casa e tutta la tensione, la paura, il dolore che albergavano in me da giorni e giorni sembravano essersi sciolti di colpo. Mi sentivo meglio, però, e non ero sicura se fosse grazie al pianto liberatorio o alla presenza della mamma. A un tratto mi prese per le spalle, allontanandomi appena da sé per guardarmi in faccia.
«Ascolta, Renesmee» esclamò con tono deciso, quasi rabbioso, «non puoi continuare a sentirti in colpa per tutto quello che succede intorno a te, non puoi, capisci? Devi smetterla o questa cosa ti ucciderà! Sei come tuo padre: anche lui non fa che tormentarsi nelle sue colpe o presunte tali, e spesso finisce con il rovinarsi l'esistenza da solo. Ci sono cose che sfuggono al tuo controllo e vanno come devono andare, senza che tu possa fare nulla per fermarle o cambiarle. E questo vale anche per i tuoi sentimenti».
«Però stavolta ho sbagliato davvero» la interruppi. «Io ho deciso di andarmene, io vi ho trattato in modo orribile, io  vi ho detto delle cose che...». Portai istintivamente le mani al viso, come per coprirmi. «Papà non mi perdonerà mai... Jacob non mi perdonerà mai...»
Lei spalancò gli occhi per un istante, come se qualcosa l'avesse sorpresa profondamente. «Non c'è niente da perdonare. Avevi tutto il diritto di essere furiosa» mormorò con un filo di voe.
Scossi il capo. «Forse, ma... non avevo il diritto di dimenticare che siamo una famiglia, di dimenticare quello che avete fatto per me. Tu mi hai salvato la vita due volte ed io ti ho trattata da schifo perchè non mi hai detto di... di Jacob» balbettai tutto d'un fiato, agitatissima; era la seconda volta che mi sfuggiva quel nome dalle labbra ed ero certa che la mamma avesse notato la mia difficoltà. Dannazione. «Non so cosa mi sia successo. Credevo che quello che Leah mi aveva detto avesse cancellato tutto il resto, ma non è possibile». Scossi di nuovo la testa, sgomenta davanti all'enormità dei miei errori. Continuare a parlare era tremendamente difficile, ma ripensai a ciò che mi aveva detto Alex, poco prima, sulla felicità e sull'importanza del perdono, e mi parve di sentirmi un po' più forte. «Non avevo capito che esistono cose che non possono essere cancellate. Credevo che andarmene mi avrebbe aiutato a stare meglio, ma come potrei stare meglio così lontana da tutti quelli che amo di più? Qualunque cosa succeda, con voi non cambia nulla. Come potrebbe? Siete la mia famiglia e questo è infinitamente più importante di qualunque segreto abbiate nascosto, di qualsiasi errore abbiate commesso... Come ho potuto credere il contrario? Come ho potuto giudicarvi così duramente? Dio, sono stata una stupida».
«Tesoro, ti calmi, per favore?» intervenne la mamma; non smetteva di accarezzarmi e aveva l'aria preoccupata. «Hai fatto quello che sentivi di dover fare. Se in quel momento pensavi che andare via per un po' fosse la scelta migliore per te, allora hai fatto bene». 
«Lo era allora, forse, ma... adesso non lo è più» risposi, esitando leggermente. Una piccola e stupida parte di me temeva che  la mia richiesta non venisse accolta troppo bene. Quella stessa piccola e stupida parte subito pronta a credere che suo padre non l'avesse mai amata davvero perchè in un momento difficilissimo, probabilmente il più critico della sua esistenza, era stato sul punto di commettere un errore. Lui aveva sbagliato, certo. Ma dubitare del suo affetto per me, affetto che mi dimostrava ogni giorno da cinque anni, mi sembrava sempre più una follia. E se non riuscivo a perdonarlo, ero io a sbagliare, questa volta. Mi feci coraggio e andai avanti. Bella mi fissava intensamente, aspettando. «Io... vorrei tornare... se... se per voi va bene» balbettai.
«Oh» esclamò e capii di averla spiazzata totalmente. Non se l'aspettava. «Non sei costretta, Renesmee» disse subito. «Non devi sentirti obbligata, non ci devi nulla. Quello che io e tuo padre abbiamo fatto... l'abbiamo fatto perchè ti amiamo e sono contenta che tu riesca a sentirlo di nuovo, ma non costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Se ancora non te la senti, aspetteremo tutto il tempo che sarà necessario».
«Ma io non voglio aspettare. Voglio tornare adesso. Voglio stare con voi, mamma» sussurrai.
Mentre Bella mi fissava, il suo viso perfetto sembrò illuminarsi lentamente di pura gioia. Così rapidamente che neanche me ne accorsi, mi prese di nuovo tra le braccia, stringendomi con delicatezza, ed io abbandonai la testa sulla sua spalla, piangendo e sorridendo al tempo stesso, provando di nuovo, finalmente, quella meravigliosa sensazione di sicurezza che avevo temuto di non riuscire più a provare. E in quell'istante, l'istante in cui ci riunimmo davvero, mi resi conto di non averla mai persa, e nemmeno papà. Erano sempre stati con me. Avevano mantenuto la loro promessa.











Note.
1. Qui la canzone. 










Spazio autrice.
Eccoci arrivati al penultimo capitolo. Questi mesi sono passati in un attimo, accidenti.
Penso che già alla fine dello scorso capitolo abbiate capito che era Bella il misterioso visitatore notturno di Renesmee. Per la verità, qualche piccolo indizio lo avevo inserito nel capitolo venti, quello narrato dal punto di vista di Bella; infatti mentre parla con Edward si intuisce che lei vorrebbe andare in un posto, però esita e non è sicura che sia la cosa giusta... Va be', comunque ormai lo sapete ^^. E pace è stata fatta, finalmente.
Credo non ci sia nulla da aggiungere. Alla prossima settimana!
   
 
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