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Autore: rosa_bianca    02/10/2013    2 recensioni
E se la madre del temuto Fantasma dell'Opera, invece di consegnarlo ad un circo di zingari, avesse deciso di affidarlo ad un convento parigino?
E se, il caso volesse, quest'ultimo fosse proprio il Petit Picpus, rifugio di Valjean e Cosette?
Cosa succederebbe se, quello che sarebbe in un'altra vita un futuro Fantasma, venisse accudito dal nostro ladro di pane preferito?
Come si evolverebbero i fatti? Cosa accadrebbe nel noto 1832, anno della Ribellione di Giugno?
Leggete e scoprirete.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cosette, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 giugno 1832, Notte
 
 
 
 
Erik era a dir poco esausto. Aveva camminato, solo quella notte, più di quanto avesse fatto nella sua intera vita.
Si era fermato solo qualche minuto, in tutto il suo viaggio: davanti alla Senna.
Non l’aveva mai vista. A dir la verità, un volta: quando su madre l’aveva portato al Convento. Ma non poteva ricordarlo.
Era rimasto come paralizzato da tanta bellezza. Nel cielo notturno risplendeva una brillante luna piena, che si rifletteva sulle minuscole e pacifiche onde del fiume.
Erik, stupito da quello spettacolo, aveva sostato sul lungosenna il tempo che gli serviva per mangiare quel poco cibo che aveva portato. All’inizio aveva deciso di non consumarlo tutto subito; ma il suo stomaco ebbe la meglio sul cervello.
Così, lasciato il grande serpente argentato, il bambino si era diretto verso Piazza della Bastiglia.
Come faceva a saperne l’ubicazione? Semplice, aveva preso una cartina di Parigi da un libro nella stanza del padre. Si chiedeva cosa l’avrebbe aspettato, una volta giunto a destinazione.
Decise di smettere di pensare, perché doveva essere sempre all’erta. Anche in quell’ora tarda, diversi gendarmi facevano la ronda, e la cosa che desiderava di meno al mondo era essere scoperto.
Pian piano, passo dopo passo, strisciando furtivamente nelle ombre, Erik si trovò in un enorme spiazzo, il più grande che avesse mai visto. E, cosa ancora più stupefacente, nel bel mezzo della piazza c’era un enorme statua a forma di elefante.
Erik si sentì minuscolo in confronto a ciò che aveva davanti. Si fece forza, e raggiunse l’enorme monumento. Sapeva di dover aspettare lì.
“Sei arrivato…! Non ci speravo più, ormai!”
 Una voce lo fece sobbalzare.
Un viso, a lui noto, sbucò dal ventre dell’animale.
Salut.” fece Erik, laconico ed ancora non ripreso dallo spavento.
“Sali pure, non ti mangio mica!”
Il bambino iniziò ad arrampicarsi sui fragili pioli di corda sfilacciata, fino a raggiungere l’enorme interno della statua.
“Oooh…” si lasciò sfuggire. Si trattava di un pavimento di pietra, in tratti spaccata, a forma di conca. Al centro, si trovava il relitto di un elegante baldacchino, ora cascante a pezzi. L’unico altro arredo era un tavolino divorato dalle tarme, che serviva per reggere la candela.
“Questa è casa mia, amico!” esclamò gaio l’altro bambino. Aveva capelli quasi bruni, ma Erik avrebbe scommesso che, se fossero stati puliti, sarebbero stati biondi. Gli occhi erano piccoli ma furbi, di una tonalità tra l’azzurro e il grigio. Vestiva come un adulto, e tutti i suoi abiti avevano anche la misura di quelli di un adulto. Praticamente, ci sarebbero entrati tre bambini come lui.
“Vedo che sei riuscito a mettere a punto la mia idea.” gli disse poi. Sì, perché l’idea della maschera, Erik l’aveva avuta proprio da lui.
Una mattina, quando Valjean e Cosette erano a passeggiare al Lussemburgo, Erik si trovava nel piccolo giardino della sorella, nascosto dietro alla recinzione di ferro nero. Passava molto tempo ad osservare i bambini che passavano, quelli della sua età. Però non poteva farsi vedere, e questo lo amareggiava molto.
Ad un tratto, aveva udito un bambino che faceva chiasso in mezzo ala strada, cantando una di quelle canzoncine che andavano in quegli anni. Erik, senza neanche volerlo, si era sporto, tanto che  l’altro lo aveva visto.
“Buongiorno!” fece il bambino al di là del cancello, allegro. Erik rimase fermo un attimo, chiedendosi se avesse salutato proprio lui.
“Ehi, dico a te!”
Sì, aveva salutato proprio lui.
Erik sussultò. Qualcuno aveva visto il suo viso!
Notò che il bambino, intento a squadrarlo, non disse nulla né assunse un’espressione inorridita.
Accusò mentalmente Cosette di essere una bugiarda, a dirgli che lo avrebbero preso in giro.
“Ciao.” aveva dunque risposto, dopo qualche secondo. “Non ti ho mai visto qui.”
“Vengo da oltre la Senna.”
“E’ un bel posto?”
“Già.”
“Più bello di qua?”
“Direi di sì… perché non vieni? È abbastanza divertente, dove sono io.”
Erik, a questa domanda, era rimasto pietrificato. Ancora una volta si chiese se si stesse rivolgendo proprio a lui.  Non aveva mai pensato di poter uscire dalla casa senza nessuno che lo accompagnasse. Il brivido del fare qualcosa di proibito lo scosse da capo a pedi.
“Dov’è, precisamente?”
“A Place de la Bastille. Sei invitato… solo, vedi di metterti qualcosa. Che so, una maschera. Girare così sarebbe pericoloso.”
 Detto questo, il ragazzo vestito con abiti molto più larghi del suo esile corpicino, se n’era andato, fischiettando ‘Amiamo le ragazze, amiamo il buon vino’ sull’aria di Enrico IV. Tutto era successo così, con una rapidità aiutata senza dubbio dall’ingenuità dell’infanzia. Da quel giorno, Erik aveva iniziato a costruirsi una maschera, in modo da poter far visita allo strano bambino che aveva incontrato. Solo così si sarebbe sentito grande.
Ma dentro l’elefante non si sentiva grande, nient’affatto: piccolo, piccolissimo, minuscolo.
Si tastò la maschera, frutto del lavoro di notti intere, per darsi forza.
“E’ molto bella… sei bravo, sai?” si complimentò l’altro. Poi chiese: “Però non so ancora in tuo nome. Io sono Gavroche, al tuo servizio.” Nel presentarsi, abbozzò un buffo inchino.
“Erik, piacere.” fece lui “Ma… questo posto è tuo?”
“Mio, sì, ma di tutti: do il benvenuto a chiunque serva un rifugio per la notte.” rise il più basso dei due. “Bene,” continuò “suppongo che sarai stanco. Prego, accomodati”. Gavroche indicò il baldacchino tarlato, ed Erik ci si avvicinò.
Provò un moto di disgusto nel sentire l’odore di vecchio che emanava, e pensò che quasi certamente qualcuno ci era morto di sopra. E, dando un’altra annusata, avrebbe potuto affermare che ci fosse anche rimasto un bel po’.
Erik cercò di respirare con la bocca, e si stese sopra il lenzuolo che tempo prima doveva essere di un bel rosso scarlatto. Gavroche, intanto, prese la candela e la spense, poggiandola accanto al letto.
“Buonanotte.” disse, mentre s’infilava sotto le coperte.
“Buonanotte…”
 Erik sentì uno strano squittio proveniente non troppo lontano dal baldacchino, e trattenne il respiro dalla paura. Ma era così stremato che non poté far altro che cadere addormentato dopo pochi secondi.
 
 
 
 
 
 
 
3 Giugno 1832
 
 
 
 
Cosette si svegliò con un tiepido sbadiglio. Sorrise al ricordo del dolcissimo sogno che aveva fatto –si trattava sempre di Marius, ormai- e si accorse che per tutta la notte aveva dormito con il cuscino stretto tra le braccia, tanto che pareva sformato.
Diede uno sguardo al piccolo balcone della sua stanza, e per un momento credette di rivedervi il giovane, proprio come era successo qualche ora prima, durante il suo sogno.
Con un gesto deciso, scosse la testa ed i suoi lunghi capelli bruni le ricaddero sulle spalle. Si sedette alla sua toletta ed iniziò a dare forti colpi di spazzola. Si pettinò con un lunga treccia, per cambiare, ed scelse come vestirsi.
Dieci minuti dopo il padre la vide, radiosa come sempre, alla fine delle scale che portavano al piano di sopra.
“Buongiorno Cosette.”
“Buongiorno papa.” gli sorrise lei, entrando nella sala da pranzo.
“Buongiorno.” Mormorò lui sovrappensiero e, dopo aver alzato il capo, aggiunse “Ed Erik? Non era sopra con te?”
Cosette scosse la testa con garbo e si sedette. Cominciò a bere il suo tè con educata lentezza.
“Sai, credo che non gli piaccia molto come gli sto facendo da insegnante…” disse Valjean all’improvviso, dopo molti attimi di silenzio.
“Oh, papa, ma voi siete fantastico. E poi, con l’aiuto di tutti i nostri libri e… di me, Erik diventerà un ragazzo molto colto, ve lo assicuro.” lo confortò lei, non troppo convinta.
Da una anno, ormai, suo padre si ritirava per quattro ore consecutive nello studio con Erik per insegnargli a leggere, scrivere, far di conto e altre nozioni basilari. Aveva da subito notato la genialità del bambino, che in poche ore aveva capito come compitare tutte le parole francesi di cui faceva uso. Inoltre, data la sua passione per la musica, aveva chiesto in regalo a Valjean un dizionario di italiano, per comprendere tutte le parole negli spartiti, e anche qualcosa in più. Cosette doveva ammettere che il ragazzo era molto sveglio, ma suo padre non era molto istruito. Aveva avuto occasione d’accorgersi che s’intendeva certamente più di piante che di letteratura o fisica.
Comunque, Cosette rinforzò la sua precedente affermazione con un sorriso rassicurante.
Quando tutti e due ebbero finito la colazione, Valjean chiese alla domestica di svegliare Erik. La richiesta fu immediatamente seguita da un forte starnuto, a causa del suo raffreddore.
Papa, state bene? Volete un'altra coperta sulle spalle?” gli chiese preoccupata Cosette.
Prima che Valjean potesse rispondere, videro Toussaint, in cima alle scale, con l volto segnato da rughe di sconcerto e preoccupazione.
“Cosa succede?” domandò preoccupato il padrone di casa.
“Monsieur Fauchelevent…” ansimò, avvicinandosi alla sala da pranzo “…è scomparso.”
“Come è scomparso?” sbottò Cosette “Hai cercato dappertutto, al piano di sopra?”.
La donna annuì, mentre Cosette già correva verso il giardino.
“Vedrete, papà, sarà di certo qui…” sussurrò, più a sé stessa che a Valjean.
La sua espressione di speranza mutò completamente quando vide il giardino vuoto.
Si accasciò alla portafinestra, singhiozzando. “No… aveva promesso… me lo aveva promesso!”
Valjean, non capendo la razione della figlia, le si avvicinò.
“Cosette… cosa ti aveva promesso, esattamente?”
La giovane alzò la testa, prima poggiata alle ginocchia, e mostrò il  volto rigato dalle lacrime al padre.
“Lui… voleva scappare. Me lo aveva confessato. Diceva che per noi due lui era un peso, e che avrebbe vissuto in strada…” fece una pausa per asciugarsi gli occhi con il fazzoletto bianco portole da Valjean “…Io gli ho detto che è tutt’altro che un peso, che noi lo amiamo così com’è, e anche che in molti, là fuori, riderebbero di lui e sarebbero meschini… e poi… poi gliel’ho fatto promettere! Lui aveva promesso che non se ne sarebbe andato!”
L’uomo assunse un’espressione calma, per non fare agitare maggiormente Cosette. Se le cose stavano così, ragionò, Erik poteva essere dovunque. Supponendo che fosse ancora vivo.
Un lungo brivido scosse Valjean da capo a piedi.
Quando c’erano si verificavano delle sparizioni, cosa si faceva…? Ovvio, le si denunciavano.
Per un motivo sconosciuto a Cosette, l’uomo scartò da subito quest’ipotesi.
Si disse che non poteva entrare in commissariato, sarebbe stato troppo rischioso.
“Alzati, Cosette, tesoro… va tutto bene. Lo troveremo, vedrai-” affermò con voce dolce e decisa.
Papa, ma come? Noi tre da soli? Io, te e la Toussaint?” domandò disperata la giovane “E’ impossibile!”
“No, non è impossibile. Mettiamoci all’opera, piuttosto.”
Così Valjean indossò la sua giacca più pesante, per preservarsi dal raffreddore, e chiamò una carrozza.  Cosette lo seguì a ruota, come pure la vecchia domestica.
“A Saint-Michel, per favore.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Purtroppo si tratta di uno di quegli odiosi/noiosi capitoli di transizione. Pazienza, era necessario.
Abbiamo visto che Erik è ormai sano e salvo da Gavroche, mentre a casa Fauchelevent si iniziano già le ricerche.
Che dire… spero che vi sia piaciuto! Il prossimo capitolo sarà moooolto più consistente XD
Al prossimo aggiornamento,
rosa_bianca
   
 
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