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Autore: Lara Ponte    02/10/2013    1 recensioni
Voleva sperare, ma la Speranza in quei momenti sembrava proibita e lontana, troppo lontana...
Un atmosfera un po' lugubre, malinconia, paura e voglia di lottare.
Il mondo è allo sfascio. Norah, una giovane 26 enne vive un presente difficile.
Chi come me adora i videogiochi, non potrà non notare le forti influenze che arrivano dai titoli di una nota S.H. d'oltreoceano. (non metto il nome per evitare pubblicità)
Non mancheranno tuttavia riferimenti ai classici sia del genere S.F. che Fantasy.
2 Ottobre, 2013 : Aggiornamento
Rendendomi conto che probabilmente messa così per intera fosse troppo lunga e faticosa da leggere
ho deciso di ottimizzarla in più capitoli.
Grazie in anticipo e Buona lettura :)
Genere: Fantasy, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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II


In quegli ultimi mesi, Norah aveva vissuto per le strade come una mendicante e come una ladra approfittava di qualsiasi cosa le venisse offerta o potesse prendere facilmente. Evitò di dormire troppe volte di seguito nello stesso posto. Gli alloggi di fortuna nei ruderi di ciò che un tempo erano palazzi di lusso non mancavano. Delle volte fu anche ospitata da qualche persona amica che la riconosceva.
Pochi giorni prima mentre passeggiava in un mercatino improvvisato, uno strano uomo di cui non riuscì a vedere il volto, le aveva messo in mano le chiavi della vecchia scuola sulla riva del lago, con un biglietto in cui la invitava gentilmente a raggiungerlo. Lei aveva accettato il tutto senza nemmeno tentare di fermarlo, sotto lo sguardo allibito della cugina che si guadagnava da vivere rivendendo roba usata.
Dimmi che non ci andrai!” Le aveva quasi gridato in faccia, quel posto aveva una pessima reputazione. Ma l'unica reazione che aveva provocato in Norah, fu una semplice alzata di spalle. “Non lo so...” aveva riposto in tutta sincerità.
Ora, mentre usciva da quell'aula si chiedeva quanto potesse essere sicura quella sistemazione. I mesi erano passati velocemente e la creatura che portava in grembo era cresciuta. Di lì a poco non sarebbe riuscita più a cavarsela da sola, i suoi passi un tempo agili diventavano ogni giorno più pesanti e sofferti.
Era stanca, ma soprattutto furiosa. La semplice parola 'Rabbia' non bastava a descrivere ciò che provava. Non più sangue, ma fuoco liquido scorreva nelle sue vene, dandole la forza di cui aveva un disperato bisogno. La guerra civile le aveva portato via tutto e i Liberisti non erano meno dittatori dei Seniors, i politici ormai costretti all'esilio. Non aveva mai odiato nessuno ed ora odiava entrambi. I primi per averle rubato la felicità e per la loro incapacità di garantire la pace e il benessere, che tanto avevano promesso. I secondi invece per loro cecità, avidità ed idiozia che avevano portato a quel golpe così assurdo e violento.

Dei suoni all'improvviso la riscossero dai suoi pensieri. Non era sola. Si rese conto che l'aula dove si trovava era vicino alla palestra. Pensiero e azione si fusero in un solo gesto. Passò il corridoio senza quasi vederlo. Arrivata alla meta, andò a rovistare tra gli armadietti dove un tempo erano custoditi gli attrezzi da ginnastica. Sperava di trovare almeno una mazza da baseball, ma a parte qualche palla sgonfia non c'era molto altro. Uscendo da quell'ennesimo mucchio di polvere e rifiuti, i suoi occhi si posarono su un vecchio spazzolone per pulire i pavimenti. Senza pensarci due volte, ne smontò il manico di legno e decise che avrebbe provato a difendersi con quello.
Iniziò a perlustrare la scuola con quell'arma improvvisata tra le mani. Nel frattempo il cielo si era inscurito, ma non troppo: a farle da illuminazione la seconda luna, ormai piena che sovrastava silenziosa il vecchio edificio.

Girò di aula in aula fino ad arrivare nell'ultima stanza del primo piano, vicino a delle scale. Sorrise al ricordo che quel posto era un tempo il tanto temuto ufficio della presidenza. L'odore della carta ammuffita degli schedari si sentiva ancora forte, nonostante tutto il caos che vi regnava adesso. Avvertì il rumore di alcuni passi, proprio sopra la sua testa. Chiunque fosse, era salito per primo. Uscì come un fulmine, scalando i gradini anche due o tre alla volta.
Le era venuto il fiatone ma non ci badò. I rumori si erano interrotti, ma aveva già capito in quale aula dovesse andare. La porta in parte scardinata era appena poggiata allo stipite. Le diede uno spintone, facendola rovinare a terra.
“Fatti vedere o peggio per te!” Minacciò entrando. Le mani strette sul bastone fino a far sbiancare le nocche.
Il grido di un ragazzino fu la risposta a quell'intimidazione. “Ti prego non farmi del male...” Piagnucolò immediatamente.
“Scusami... io... non volevo spaventarti.” Balbetto lei tra l'imbarazzo e lo stupore. “Cosa ci fai qua?” Chiese sentendosi a limite dell'idiozia. Il piccolo non poteva avere più di otto anni, era magro coi capelli scuri tagliati corti, ma come tanti altri suoi coetanei aveva già lo sguardo di un uomo adulto.
“Ci abito...” Rispose fissandola ora con curiosità. Se avesse ancora del timore, non lo dava più a vedere.
“Mi dispiace davvero... Non immaginavo ci fossero bambini qua dentro.”
“Però anche tu hai avuto paura. Da quando il mondo è impazzito siamo tutti sottosopra. Non fa nulla”
A quelle parole, Norah si mise a sorridere. “Sembra che tu capisca le cose meglio di me.” Sospirò, ritrovandosi a pensare che a volte la saggezza si trovava nelle persone più improbabili.
“Sei entrata col le chiavi, vero?” Quella domanda-affermazione la colse di sorpresa.
“Come lo sai?”
“La porta principale è speciale. Se uno prova ad entrare senza la chiave, salta tutto. L'ha fatta lo zio.” Spiegò lui.
“Tuo zio per caso indossa un capello nero?” In effetti il capello era l'unica cosa che ricordava dell'uomo che l'aveva invitata là.
“Non è veramente mio zio!” Scherzò il piccolo. “Però si, è lui. Mette sempre quel brutto cencio quando esce.”
Non aveva molto altro da chiedere. Si sedette in silenzio su ciò che restava di una sedia, cercando di mettere insieme qualche pensiero un po' più utile. Come sempre il sospetto si mise subito in moto. 'Possibile che questo tizio aiuti donne e bambini, senza volere nulla in cambio?'

Stava per rimettersi a parlare, quando un boato improvviso fece scattare entrambi in piedi allarmati. “Merda! Ora che succede?!” Il suono delle esplosioni le faceva ribollire il sangue più di ogni altra cosa.
“Era la porta principale...” I rumori non cessavano e la voce del bambino si sentiva appena. Per un momento era sbiancato, ma subito si era messo a frugare le sue tasche alla ricerca di qualcosa. Ne estrasse uno strano telecomando di colore nero. Lo aprì rivelando al suo interno alcune compresse. “Scusami, ma io me la squaglio!” Disse mandando giù una di quelle pastiglie, premendo contemporaneamente un bottone del dispositivo. In meno di un secondo, scomparve alla vista.
“Che diavolo!?”
“Lo zio la chiama magia scientifica...” Furono le ultime parole che riuscì a sentire. 'Total Stealth Il ricordo affiorò al volo nella sua mente, ne aveva sentito parlare, ma credeva fosse roba sperimentale dell'esercito e certo non avrebbe mai pensato di vederne un prototipo dal vivo.

Nel frattempo ai rumori si aggiunsero delle voci. Una banda di almeno sei persone, o forse più, si era introdotta nell'edificio.
“Ehy bellezza! Lo sappiamo che sei qua !” La voce rauca di un uomo, forse il capo riecheggiava nel corridoio.
Com'era possibile : davvero cercavano lei ? L'avevano seguita? L'invito era in realtà una trappola?
Scioccata ed incredula, abbandonò al volo tutte quelle domande per cercare un posto per nascondersi. Erano troppi per combattere, ma doveva comunque provare a mettersi in salvo in qualche modo.
“Se fai la brava non ti succederà nulla!” Gracchiò intanto una voce femminile.
Il gruppo si muoveva facendo un gran fracasso, qualcuno ogni tanto inciampava. Nulla di strano che fossero tutti strafatti. Ormai era diventato quasi più facile procurarsi le droghe che il cibo.

Norah si muoveva silenziosamente nel secondo piano, trattenendo il respiro ad ogni passo. Aveva deciso di raggiungere il sottotetto, ed ora cercava la scaletta d'accesso, non molto lontana da uno dei ripostigli. Passando davanti ad una finestra si accovacciò per evitare che qualcuno dall'esterno potesse notarla. Alcune nuvole nel cielo intanto oscurarono la luna ed il corridoio dove si trovava piombò nel buio più totale. Quando si rimise in piedi rallentò il passo, sapeva che presto ci sarebbe stata una svolta ad “L”. Al primo tentativo di girare, toccò leggermente il muro con il fianco destro, al secondo invece, appena un passo dopo, andò bene.
In quei momenti si pentì amaramente di non essersi ancora comprata un'arma da fuoco. Quasi tutti ne avevano almeno una. Sapeva che anche a lei sarebbe toccato provvedere al più presto, ma aveva sempre rimandato. Del resto quando si hanno appena i soldi per il cibo, era normale che tutte le altre cose passassero in secondo piano.

La strana caccia proseguiva e i suoi inseguitori si erano fatti più silenziosi. Dai pochi rumori che si sentivano, sembrava che stessero ancora perlustrando il primo piano, mentre lei era finalmente arrivata alla porta per la mansarda.
Non appena l'aprì, una macabra sorpresa la fece urlare. Il cadavere di ciò che un tempo era stato un uomo, le era crollato addosso sporcandola coi liquami nauseabondi delle carni ancora in decomposizione. Si diede mille volte della stupida per il modo in cui aveva appena segnalato a tutti dove stava ed iniziò a correre indietro verso una scala dall'altra parte del piano.
In poco tempo i delinquenti le erano arrivati alle costole. Mentre continuava a correre lungo il corridoio trovò un momento per girarsi, riuscendo così a riconoscere l' abbigliamento in pelle tipico dei mercenari e degli sciacalli.
In un attimo di macabra ironia pensò che aveva un ché di confortante sapere che sarebbe morta per mano di comuni criminali e non catturata dai Liberisti.


Ormai stanca di quella inutile corsa Norah si fiondò dentro l'ultima aula rimasta. La caccia era conclusa e lei era nuovamente attaccata al davanzale di una finestra. I delinquenti, un gruppo di otto persone, intanto l'avevano circondata, stavolta senza fare alcun commento.
Guardò fuori dalle imposte rendendosi conto che si trovava esattamente sopra lo specchio d'acqua del piccolo lago, in un punto in cui la riva era interamente composta di grandi rocce. Un fossato moderno per un castello mai esistito. Diede le spalle al varco e guardò con decisione il loro capo dritto negli occhi.
'Non ti renderò la vita facile, bastardo!' Non aveva pronunciato una sola sillaba, non ce n'era bisogno. Stava valutando l'ipotesi di tuffarsi, tuttavia si chiedeva se lanciandosi da là avrebbe raggiunto l'acqua indenne oppure se sarebbe stata morte certa per lei e il suo bambino.

“Abbiamo sprecato fin troppo tempo...” Annunciò l'uomo che aveva appena sfidato con lo sguardo. Non era molto alto, ma attraverso gli squarci della vecchia divisa che indossava si intravvedeva un fisico ben allenato. Una brutta cicatrice segnava la sua guancia destra, ma non aveva uno sguardo malvagio. La raggiunse con la semplice intenzione di catturarla viva. I propri compagni smaniavano per potersi scatenare, ma una sola occhiata bastò a tenerli a bada come cani bastonati. Per il poco onore che gli era rimasto come ex-veterano, quello sarebbe stato sicuramente un lavoro di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma erano tempi in cui non poteva permettersi di fare lo schizzinoso.
“Tu ora vieni con noi” Disse con calma prendendo con gentilezza il polso destro della ragazza. Lei invece, che con tutta la rabbia che si portava dentro non riusciva ad arrendersi, cominciò a lottare come posseduta.
Lasciami!” Gridò isterica, mentre alcune lacrime scorrevano sul suo viso.
“Calmati, non voglio farti male!”
Ma era come parlare ad un muro. L'uomo riuscì ad afferrarle anche l'altro polso, ma il solo risultato che ottenne fu una crisi peggiore. Norah completamente fuori controllo cercava di colpirlo in tutti i modi. Alternava calci e testate a strattoni per svincolarsi a tutti i costi. Non ottenendo risultati, in un ultimo disperato tentativo, calò coi denti sull'avambraccio del mercenario. Infierì con ferocia fino a strappare via pezzi di carne. Lui la cacciò indietro per liberarsi e lei precipitò giù dalla finestra.
“Merda!” Fu l'imprecazione che sentì in lontananza.

  
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