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Autore: Fear    02/10/2013    9 recensioni
{ STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA }
[Angst; H/C, storico, dark; whump ― Rein!centic, introduzione di nuovi personaggi, hints!various pairings]
C'è tanta felicità a questo mondo; in futuro ce ne sarà abbastanza anche per noi.
Se un giorno qualcuno ti chiamerà bugiardo, se cercheranno di farti del male con quelle parole senza cuore, se il mondo non crederà più in te, se cercheranno di metterti su una corona di spine, io sarò il tuo unico e solo alleato. Conosco la solitudine e il dolore. Quindi, tutto ciò che mi è stato dato, offro tutto a te.
Sono tua.
Cit/: Si aspettava di poter avere il mondo, ma era diventato fuori dalla sua portata, così scappava via durante il sonno. E sognava il paradiso.
La sua pelle era di porcellana, avorio e acciaio.
[...]
Prima o poi la mia mano le raggiungerà, ma siccome l'orizzonte è eccessivamente lontano, le tue parole sono come un cielo di primavera; anche se so che non arriverà, oggi sto di nuovo pregando.
• {ispirata alla saga "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George R. R. Martin}
Genere: Dark, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Rein, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: How to Save a Life di The Fray.
Buona sera a tutti carissimi, oggi ho deciso di pubblicare il primo capitolo della storia - che avevo sempre già pubblicato - così dopo il prossimo potrò iniziare a scrivere cose che non sapete! Ho apprezzato molto le recensioni nel capitolo precedente e sono molto felice che la maggior parte delle persone abbia apprezzato di più la nuova versione del prologo. Grazie veramente a tutti quelli che hanno recensito e che recensiranno, senza di voi io... io non avrei mai continuato questa storia.
Tutti i capitoli - o almeno spero - saranno betati dalla mia migliore amica, che è sempre gentile e disponibile - oltre che con grande talento.
Ah! Ho anche cambiato il rating della storia da giallo ad arancione, volevo già farlo, ma ciò che implica questo rating succederà in seguito (RAPE FACE fuori luogo), per adesso è solamente per il tema delicato del masochismo di Rein - che non tutti potrebbero gradire.
La citazione all'inizio è di Banana Yoshimoto.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo I - Primo petalo
Felicità è anche non accorgersi che in realtà si è soli.

 

Nell'aria aleggiava un odore strano, anormale.
Singolare, quasi gradevole in quel posto che solitamente era ammorbato dalle puzze più strane.
Rein era sveglia, ma preferì non aprire gli occhi immediatamente dato che sapeva perfettamente dove si trovava. Non aveva voglia di vedere per l'ennesima volta la flebo che pendeva da quello strano macchinario. In compenso cantava a ritmo dei battiti del suo cuore, che poteva sentire in due punti differenti. Preferiva di gran lunga quando era solo il suo vero cuore, dentro di sé, ad accompagnarla nella sua dolce melodia, ma oggi si sarebbe dovuta accontentare anche della stonata sinfonia dell'elettrocardiogramma.
Tum, tum.
Lo sentiva perfettamente, quel battito sordo che arrivava direttamente all'orecchio, facendo riecheggiare gli organi.
Era tranquillo, il suo cuore, non come la notte prima.
Ancora con gli occhi chiusi, Rein cercò di ricordare quello che era successo la notte precedente.
Un oggetto tagliente, urli agghiaccianti e... sangue. Molto sangue. Sangue che scorreva da tutte le parti, macchiava il pavimento, rovinava la sua pelle lattea insinuandosi sotto le unghie. Tagli profondi o meno, non faceva molta differenza, la mente si liberava, per questo a Rein piaceva; per quell'unico e singolo momento non si può pensare ad altro che a quelle forbici, a quella lametta. La mente diverge e si vola via, i pensieri volano via, in alto, soltanto per un istante, per poi fermarsi e precipitare giù, nel triste e pericoloso mondo di tutti i giorni. Quel mondo che da ormai otto anni le aveva voltato le spalle.

Poi finalmente aprì gli occhi.

Aprì gli occhi solamente perché sentì la porta aprirsi; se fosse stato per lei, li avrebbe tenuti chiusi. Per sempre, magari.
Una ragazza dell'età di Rein si avvicinò al letto di quest'ultima; aveva in mano un mazzo di rose bianche avvolte poco accuratamente in un velo di carta e plastica. Senza dire una parola, con un sorriso dolce e generoso sulle labbra, sfoderò con cura i fiori dal loro involucro e li mise uno ad uno in un vaso trasparente, già pieno d'acqua.
Dopo che appoggiò il vaso sul davanzale della piccola finestrella della stanza si sedette sul bordo del letto dove Rein era sdraiata, che guardava attentamente ogni movimento della ragazza.
La ragazza si portò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio e prese ad accarezzare quelli lunghi e celesti di Rein.
«Non importa, Rein» disse sorridendole, un sorriso incredibilmente rassicurante che però non aveva più effetto su Rein già da qualche anno. Mirlo riusciva sempre e in modo eccezionale a nascondere la preoccupazione, era strano quanto incredibile che una come lei volesse ancora bene a Rein. Probabilmente senza di lei, Rein...
Mirlo era l'unica che l'aiutava, che stava con lei, che si prendeva cura di lei. Nonostante la stessa età, Mirlo era come una sorella maggiore per Rein. Era davvero grata per la sua compassione e molte volte - come pensava Rein - per quella che non era altro che pena, ma le andava bene così, le era sempre andato bene; le bastava non ricevere insulti scritti o verbali ogni giorno, ogni anno, sia a scuola che a casa.
Andava a scuola e non faceva neanche in tempo a sedersi al suo banco che una parola come “Strega”, “Assassina”, “Piromane” era già uscita dalle labbra di qualche suo compagno di classe. Aveva anche imparato ad ignorarli, ma qualche volta nemmeno l'indifferenza l'aiutava.
Ogni volta che tornava a casa, cercava sempre di non posare lo sguardo sulla casella delle lettere: piena, piena fino all'orlo. Piena di lettere intrise d'odio, tanto che, se i suoi compagni avevano dimenticato di chiamarla con qualche altro nomignolo, ci avrebbero pensato quelle buste che contenevano ancora più disprezzo e rancore di quanto non ne potesse contenere una parola indirizzatale verbalmente.
«Va tutto bene? Stai bene adesso, vero?» Mirlo la risvegliò dai suoi tristi pensieri e lei annuì, aggiungendo un semplice “Sì” al suo cenno. Provò anche ad abbozzare un sorriso e ci riuscì. In quei momenti andava fiera delle sue abilità nel mentire, spesso con le sue bugie riusciva anche a convincere il suo cuore.
«Allora possiamo andare a casa, ti accompagno».
Detto questo, Mirlo aiutò Rein ad alzarsi e a reggersi sulle proprie gambe mentre il suo sguardo si posò inevitabilmente sui suoi polsi; il braccio era nudo data la manica della camicia malamente arrotolata sino al gomito.
Vide appena una decina di graffi di differenti lunghezze, vicini gli uni agli altri. Rein, vedendo lo sguardo di Mirlo assorto non nei suoi occhi, ma sul suo braccio, con uno debole strattone spinse via l'amica coprendo immediatamente le braccia con le maniche del camice.

Dopo che Mirlo ebbe parlato con l'infermiera, Rein ingerì un paio di pillole - che le avevano somministrato senza nemmeno averle spiegato il perché o l'uso - e salì in un taxi bianco.
Per tutto il tragitto, Rein non proferì parola mentre Mirlo cercava in ogni modo possibile di rompere il silenzio imbarazzante che si era creato. Raccontò a Rein la sua giornata a scuola, di tutte quelle stupide materie, di quegli stupidi compagni di classe e dei suoi stupidi allenamenti con il club di nuoto.
Mentre Mirlo parlava, Rein guardava fuori dal finestrino le macchine correre veloci e l'ospedale farsi sempre più piccolo e, quando svoltarono imboccando l'autostrada, esso scomparve del tutto.
Rein non sopportava quel posto, ma puntualmente si ritrovava sempre lì e - come ormai ogni cosa - ci aveva fatto l'abitudine.

Quando l'auto si fermò, Rein e Mirlo scesero ringraziando e pagando l'autista.
Il quartiere dove Rein viveva era sicuramente uno dei più rinnovati della città: delle bellissime case stile inglese padroneggiavano una in fila all'altra, il praticello verde trifoglio armonizzava l'ambiente e camminando tra gli alberi, un piacevole profumo di tronchi, di foglie secche e di rugiada liberava i polmoni.
Rein aveva proprio bisogno di una ventata d'aria fresca, l'odore nauseabondo dell'ospedale le faceva solo girare la testa.
Mirlo, di fianco a lei, camminava osservando il vicinato e sorridendo ad ogni minimo particolare.
La casa di Rein era una delle tante, di colore bianco candido, rallegrava l'ambiente circostante, dando un po' di luce al cupo e silenzioso vicinato. Il cielo era plumbeo e quieto, solo l'abbaiare persistente di un cane riportava la gente alla realtà, perennemente circondata da quel silenzio irreale.
Rein aprì la porta di casa e si girò verso Mirlo, stava raccogliendo le lettere inzuppate d'acqua dalla casella della posta. Non lesse nemmeno il mittente delle lettere che le buttò tutte nel bidone della carta, situato pochi metri più avanti.
Mirlo era l'unica che osasse mettere le mani dentro la casella postale e Rein la ringraziava immensamente per questo piccolo gesto.
Quando la ragazza tornò indietro, alzò leggermente la mano a Rein, in segno di saluto.
«Ci vediamo domani a scuola, Rein. Entra in casa o rischi di ammalarti, incomincia a fare freddo» disse Mirlo sfregandosi le mani arrossate dal freddo pungente.
Rein annuì e osservò l'amica allontanarsi nella leggera foschia che, come per magia, si era creata.
Prima di vederla scomparire completamente però decise di farsi forza e urlando a pieni polmoni disse: «Grazie di tutto!»
Mirlo si voltò e Rein riuscì a vedere il caldo sorriso della ragazza farsi strada nella nebbia e raggiungerla.

Grazie, grazie davvero, Mirlo.

   
 
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