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Autore: bolladisapone_    02/10/2013    4 recensioni
I’m out on the edge and I’m screaming my name like a fool at the top of my lungs.
Sometimes when I close my eyes I pretend I’m alright. But it’s never enough.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino lentamente tra le stanze buie di casa mia, con gli specchi coperti dai centomila teli e le braccia scoperte che ancora bruciano.
L’unico suono che riempie il silenzio della notte sono le gocce del mio sangue che lentamente scivolano a terra.
Goccia dopo goccia.
Il dolore non mi ferma, ma non ferma neanche i mille urli che ancora si ripetono nella mia testa.
Mi fermo, immobile, voltando il viso alla mia destra, dove l’enorme specchio si trova ancora coperto dal lenzuolino rosa che usavo da bambina.
Un sorriso lieve compare sulle mie labbra diventate ormai troppo pallide e screpolate.
Sollevo il braccio sanguinante e porto le dita magre al telo, facendolo cadere con un lieve e doloroso strattone.
La figura che mi appare davanti non mi piace, come sempre e come mai.
Inclino il viso a ciò che vedo, aprendomi in una smorfia di disgusto alla vista di ciò che sono e non sarei mai voluta essere.
La rabbia ribolle nello stomaco, eppure la contengo.
Mi mordo le labbra e mi stringo le braccia al ventre, abbracciandomi e macchiandomi di un sangue troppo sporco.
Lurido sangue di una lurida ragazza di provincia.
Chiudo gli occhi e dondolo appena la testa, a ritmo di una canzone del mio vecchio cantante preferito.
E’ lenta, e sorrido, ricordando quel tempo dove ancora sorridevo cantando le canzoni al cielo.
Risollevo le palpebre, trovandomi ancora lì, imperfetta come sempre.
Cosa significa amare se stessi prima di amare gli altri?
Le braccia pulsano ed il dolore si espande fino alle tempie.
Come si può amare soltanto il dolore che si sente?
Stringo le braccia intorno a me ancora un po’, sorridendo al dolore delle carni delle mie braccia che tirano e sanguinano ancora un po’.
Le urla nella mia testa aumentano, cesseranno mai d’esistere?
Sposto lo sguardo dal mio viso, percorro tutta la figura del mio corpo.
Come ci si può odiare ogni giorno di più?
La maglia larga ed ormai sporca di rosso mi fascia il fisico imperfetto, coprendo in parte quelle cosce che io ho sempre odiato guardare.
L’odio cresce, come la rabbia e la disperazione.
Come può una persona essere così imperfetta?
Mi sposto dallo specchio con uno scatto, cominciando la mia corsa.
Una corsa via da me stessa.
Corro per altre due camere, arrivando al balcone affannata e dolorante.
E’ come se avessi corso mille metri per fuggire via da me.
Mi volto verso la finestra, il mio riflesso è vivo mentre il mio cuore muore ancora un po’.
Come si può fuggire da se stessi?
Le urla aumentano, ed il respiro comincia a mancare.
Gli occhi bruciano, le gambe tremano.
Ora non mi chiedo più perché la gente voglia che io muoia.
Porto una mano alla mia guancia, scoprendola bagnata.
Chiudo gli occhi e li strizzo fino a sentire le tempie doloranti.
I singhiozzi si impossessano del mio ventre, le spalle cominciano a sussultare.
Quand’è che smetterà di fare così male?
Dopo l’ennesimo singhiozzo esco fuori ed il freddo mi colpisce in pieno viso.
La pelle sembra bruciare nell’esatto posto in cui il vento si scontra con le lacrime.
Neanche il pianto riesce a spegnere il mio corpo che sta bruciando.
Le lacrime ormai bagnano il mio viso senza sosta, e per la prima volta non mi vergogno di me stessa.
Che senso ha vergognarsi se nessun altro può guardarti ancora?
Mi siedo lentamente sul muretto alto del balcone ed abbasso lo sguardo alla città trafficata che vive sotto di me.
Perché non merito di vivere come loro?
Recupero lentamente il pacchetto di Marlboro che ho nella tasca destra dei jeans di una taglia troppo grande per i gusti miei e dell’intero mondo.
Lo apro con gli occhi rivolti all’orizzonte.
Recupero l’accendino ed una sigaretta, gettando poi il pacco ancora mezzo pieno sul marciapiede sotto di me.
Che senso ha trascinarsi le sigarette in tasca anche in un momento come questo?
Resto per qualche minuto a respirare l’aria fredda che mi riempie i polmoni e quasi li purifica, con le gambe che ciondolano e le lacrime ormai secche sulle guance.
Il cellulare è acceso da giorni ma non è mai squillato.
La casella dei messaggi è vuota, quella delle chiamate altrettanto.
Per me era sicuramente troppo chiedere qualcuno che mi abbracciasse e che mi dicesse che tutto andrà meglio.
Poggio il filtro della sigaretta tra le labbra e l’accendo, nascondendo la fiamma con una mano e proteggendola dal vento.
Avrei voluto che qualcuno mi proteggesse e avesse evitato di lasciarmi spegnere.
La mia anima ormai brucia di un fuoco troppo morto per continuare a vivere.
Ma poi vivere, per cosa?
Tiro la prima boccata di fumo ed i miei polmoni bruciano.
Ho sempre amato farmi male per sentirmi viva.
L’ossessione di sentirmi parte di qualcosa mi ha accompagnato per tutta la vita.
Essere chi non si è e nascondere chi si è davvero.
Per chi? Per cosa?
Per una vita finta che non posso neanche chiamar mia.
Il dolore mi ha sempre aiutata a dire a me stessa di non essere morta.
Ma a che serve avere il corpo vivo se poi si è morti dentro e non si può resuscitare come Cristo?
Il fumo abbandona le mie labbra insieme a quello causato dal freddo di stasera.
Ha un senso essere vivi e sentirsi un’anima incastrata tra questa merda di vita ed il niente?
Faccio cadere di sotto un po’ di cenere ed il mio sguardo finisce sulle persone che vivono e corrono sotto di me.
Un sorriso mesto si disegna sulle mie labbra quando la sottile differenza mi appare agli occhi ed alla mente.
Io sono immobile eppure corro a mille sul filo della vita troppo spinato e sottile per sostenere una persona come me.
Perché sono ancora viva se un Dio inesistente ha voluto tutto questo dolore per una persona sola?
Chiudo gli occhi ed un urlo stizzito mi si strozza in gola.
Fottuta coscienza e fottuti pensieri.
Riporto velocemente la sigaretta tra le labbra e tiro l’ennesima boccata di fumo.
Mi sento libera per un attimo che purtroppo non dura un’eternità intera.
Poi una nuvoletta grigia m9i abbandona le labbra e sorrido a malapena.
Sento per un po’ le urla placarsi e nascondersi dietro il fumo che mi sta riempiendo i polmoni.
Che senso ha vivere se l’amore non t’ha mai sfiorato?
Il vento m’accarezza i capelli e sento la solitudine insinuarsi sotto i miei vestiti.
La sigaretta sta finendo e la fine s’avvicina.
Nessun lieto fine, nessuna persona che ti piglia tra le braccia per salvarti, nessun anima persa come te che prova a prendere per mano la tua.
Non c’è nessuno con cui condividere un po’ del tuo dolore.
Quindi che senso ha?
Alzo il viso per guardare le stelle per l’ultima volta.
Mia nonna mi ripeteva sempre che un giorno le stelle m’avrebbero guardata sorridere.
Sorrido per lei, mentre una lacrima mi solca di nuovo il viso.
Poi chiudo gli occhi e la sigaretta scivola via dalle mie dita.
Ero troppo piccola per capire che per una come me non ci sarebbe stata né gioia né amore.
Era chiedere troppo, vero?
Trovare qualcuno che scoprisse i miei specchi e che scoprisse un po’ anche me.
Che mi dicesse di essere bellissima anche la mattina con i capelli in disordine ed il trucco della sera prima ancora sbavato sul viso.
Era sicuramente troppo trovare qualcuno a cui avrei dato tutto il mio sporco ed inutile mondo;
qualcuno che avrebbe ballato con me senza nessuna musica di sottofondo;
qualcuno che avrebbe riso e avrebbe riacceso il mio sorriso spento da troppo tempo.
Dov’è questo qualcuno che sarebbe pronto ad amarmi io ancora me lo chiedo.
Ma importa ancora?
Importa ancora che qualcuno sia la fuori a chiedersi se vale la pena provare per una come me?
Mi asciugo velocemente le lacrime e mi accorgo soltanto adesso che le braccia ancora sanguinano e bruciano.
Arriverà la fine, ma non sarà la fine.
E allora questo dolore quando si placherà?
Chiudo gli occhi per un attimo ed immagino la risata di qualcuno riempire le stanze di casa mia.
Immagino i colori impadronirsi di nuovo della mia vita, cancellare il grigio ed il nero che si sono ormai impadroniti di ogni muro del mio cuore.
Immagino le sue braccia che mi stringono e mi fanno dimenticare il resto.
Immagino gli scatoloni della pizza ormai vuoti gettati al centro del salone, mentre il divano viene occupato dai nostri corpi intrecciati mentre sorridiamo labbra contro labbra.
Immagino le sue mani che stringono le mie e la sua voce che mi dice che sono forte abbastanza, che lo siamo insieme.
E poi non m’importa se nei miei sogni questa persona ha i capelli lunghi e le ciglia troppo lunghe, il fisico più sottile ed il naso che s’arriccia di continuo.
Non m’importa se ha la voce soave e dolce e non un tono basso e rauco.
Non m’importa se nei miei pensieri c’è un nome femminile.
Perché non è importato mai a nessuno di me e di ciò che avrei voluto, perché dovrebbe importare ora a me?
Sollevo le palpebre e non m’importa.
Non m’importa se due labbra morbide non m’hanno mai scaldato il cuore.
Forse era così che doveva andare.
Poi sorrido, perché ricordo che qualcuno mi disse di sorridere di tutti gli insulti che la gente mi urlava contro.
Vorrei solo che tutti fossero lì sotto a guardare i pezzi di me che cadono.
Vorrei che vedessero con i loro occhi la mia anima demolita che toppa dopo toppa è diventata troppo vecchia.
Ma non ci sarà nessuno, perché a nessuno è mai importato davvero.
Il sorriso diventa più ampio.
Falso e stupido sorriso che ho sempre costretto me stessa ad indossare.
Poi lentamente canto, in un sussurro, debole e lento.

I’m out on the edge
and I’m screaming my name
like a fool at the top of my lungs.
Sometimes when I close my eyes
I pretend I’m alright
But it’s never enough.


Poi, ad occhi chiusi, il vuoto sotto di me si riempie del mio corpo che crolla.
Debole, inerme.
Morto; ma finalmente vivo e libero.
  
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