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Autore: MySubversiveLove    30/03/2008    1 recensioni
Avrebbe voluto fermarsi ad accarezzare la brina che definiva l'erba, ma non aveva tempo. Anche se il parco giochi in cui gli altri bambini passavano i pomeriggi era vuoto e gelato e sembrava un castello di cristallo, lui doveva correre a scuola.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Narciso camminava curvo sotto il peso del grande zaino nero, goffo come un piccolo gnomo nelle sue scarpe da ginnastica malconce.
Freddo, era freddo. Giocava col suo fiato, fingeva di essere un treno a vapore, quelli di cui c'erano le foto nel libro di storia. Così belli, imponenti, neri e lucidi.
<< Ciuff, ciuff! >>, diceva, lasciando che il suo respiro si dissolvesse nell'aria di gennaio. Era un treno veloce, che correva via da lì attraversando il mondo.
Avrebbe voluto fermarsi ad accarezzare la brina che definiva l'erba, ma non aveva tempo. Anche se il parco giochi in cui gli altri bambini passavano i pomeriggi era vuoto e gelato e sembrava un castello di cristallo, lui doveva correre a scuola.
Annaspava sotto il peso dello zaino che sembrava sommergerlo, mentre correva verso un edificio basso dalle pareti bianche, ancora addormentato.
Non si vedeva nessun altro bambino all'infuori di Narciso, una figura esile e infagottata sospesa nella nebbia. Era chino a terra, raccoglieva i sassi del cortile con aria accigliata, per poi farli cadere nelle tasche, disegnandone la forma con le piccole dita, premendoli nel palmo cicciotto. Gli piaceva tanto il contatto della loro superficie fredda, come si scaldavano nelle sue manine. Ne portava sempre qualcuno nelle tasche, per lanciarli nel fiume ritornando a casa, tutto solo, dopo la scuola. Frantumando la superficie dell'acqua, i sassi producevano un tonfo sordo ma gentile, in una danza di schizzi e schiuma bianca e gelida. E poi affondavano, sparivano alla sua vista, si mescolavano al popolo di pietre sul fondo del fiume.
Le lunghe ciglia nere tracciavano un'ombra sulle sue guance pallide, sul piccolo viso rotondo, le labbra rosee erano tutte protese in un smorfia di concentrazione, la punta della lingua carezzava nervosamente l'angolo della bocca, mentre il bambino sfiorava i contorni di ogni sasso, li soppesava fra pollice e indice, scegliendo con cura fra quelli spigolosi e quelli arrotondati, quelli lisci e quelli ruvidi, scartando i pezzi di mattone e i cocci di vetro.
Proprio mentre decideva se arricchire il suo bottino con un sasso nero venato di bianco o con un altro di una singolare sfumatura di arancione una voce bambina alle sue spalle esclamò: << Cosa stai facendo lì per terra, tu? >>. Narciso si girò di scatto, turbato da quell'interruzione, i sassi gli caddero dalle mani per la sorpresa; che lui sapesse nessun altro di quegli antipatici bambini che frequentavano la sua scuola arrivava lì tanto presto! Chi poteva essere quello sciocco che aveva deturpato la sua culla di solitudine mattutina?
Si trovò davanti una ragazzina magra con due enormi occhi verdi e un faccino lentigginoso, che indossava un gigantesco maglione rosso. Lo guardava curiosa, certo desiderosa di partecipare al gioco. Ma lui, di quell'antipatica maleducata non voleva proprio saperne! La guardò torvo, con le sopracciglia nere come corvi e gli occhi scuri che lanciavano fulmini, e senza dire una parola le fece una gran linguaccia, per poi correre via, a scuola, dimenticando il suo prezioso mucchietto di sassi scelti con tanta cura in cortile, ai piedi della ragazzina dal maglione rosso.

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Narciso entrò in classe di gran fretta, con le guance rosse e il fiato grosso. Lanciò la cartella contro il muro con violenza e si rintanò nel suo banco, la sua tana, in prima fila a sinistra, vicino alla finestra piena di spifferi. Si raggomitolò sulla sedia con un'espressione contrariata, senza nemmeno togliere il suo pesante giubbotto nero. Ciuffi di ostinati capelli color del carbone gli coprivano le sopracciglia corrucciate, isolandolo dal resto del mondo, come uno scudo, e impedendogli di vedere la classe vuota intorno a lui. Ma a lui non importava proprio nulla di quell'ambiente grigio, che durante la giornata si riempiva del fiato, dei pensieri, delle parole di tutti quegli altri bambini così irritanti. No, davvero non gliene importava nulla. I suoi pensieri erano solo dei suoi preziosi sassi variopinti abbandonati ai piedi di quella stupida bambina dal maglione rosso. Lo aveva guardato con quei suoi occhi verdi, enormi, pieni di domande… E lui… Lui… Aveva subito desiderato di non vederla mai più! Sospirò, appoggiando la fronte sulla superficie liscia e fredda del banco. Odorava d'alcol.
Si sentiva pieno di sconforto. Un'estranea aveva frantumato i suoi momenti di calma cristallina, aveva calpestato la sua solitudine senza riguardo ed aveva persino rubato i suoi sassi, i suoi bei sassi!
Perso nei suoi pensieri non si era accorto dei bambini che scivolavano in classe piano, portando l'aria dell'inverno impigliata nei cappotti e nelle sciarpe, del loro brusio pieno di vita che riempiva l'aula grigia e polverosa, delle loro risate che a sprazzi coloravano tutto, come la primavera. Non si era nemmeno accorto di una figura esile, che quasi spariva in un gigantesco maglione rosso, schiacciata contro il muro e ignorata da tutti. Si riscosse solo quando la maestra, una donnona vivace e bonaria, entrò sbattendo la porta e urlando un sonoro << Buongiorno, bambini! >>.
Narciso si alzò lentamente, come svegliandosi da un sonno profondo, proprio quando la donna, trascinando vicino alla cattedra la ragazzina dagli occhi verdi, esclamò << Lei è la vostra nuova compagna, il suo nome è Lucia! >>. Dopo una breve esitazione dalla classe si levò come un pioggia leggera che stenta a cadere un saluto allegro, << Ciao, Lucia! >>, e tutte le labbra si piegarono in un sorriso di benvenuto. Tutte tranne quelle del piccolo Narciso. Guardava imbronciato quella ragazzina magra che si guardava intorno insicura e un po' spaventata e la sua testa era piena di pensieri neri come la pece, come i corvi gravidi di sventura.
Gli avvenimenti non avrebbero potuto prendere una piega peggiore, pensava Narciso, poco prima che la maestra si girasse sorridente verso di lui ed esclamasse << Caro il mio Narciso, la affido a te! Sii buono con lei, mi raccomando! >>, spingendo gentilmente la ragazzina verso il banco vuoto vicino a lui. Lei gli rivolse un sorriso esitante, mentre si sedeva vicino a lui, goffa come solo una bambina sa essere, spostando la sedia con gran fragore e quasi inciampando nei lacci delle sue scarpe da tennis rosse.
Narciso non la degnò di uno sguardo, e con espressione sdegnosa cominciò a scribacchiare qualcosa nel suo quaderno dalle pagine immacolate, deciso ad ignorarla in eterno, per quanto lunga potesse essere l'eternità.

  
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