La neve è candida. Il velo rosso, si piega, e avvolge quella che pare la figura di una bimba. Un velo rosso cremisi, ed un volto di bambola tutto impegnato a piangere, sporco del sangue materno che l’ha rigettato. Un lamento stridulo, dolce per le orecchie, dei genitori. Caldo e gioia, proviene dallo scoppiettare della legna nel caminetto. Ma l’inquietudine, è alla base, quando il mondo stesso è piegato da ombre ben peggiori dell’umana concezione. Fuori, dal caldo, dall’accoglienza, dalla benevolenza, risiede un’altra creatura vestita di cremisi. Lunghi capelli biondi, lievemente ondulati sulle punte, con una dolce frangia che a tratti fuori esce dal cappuccio, il volto fanciullesco, e due occhi azzurri come zaffiri. Ondine, il cappuccio rosso. Occhi rivolti verso la neve, mentre il corpo, cerca il calore nei veli rosso cremisi, ma è un calore che non sente dentro di sé ormai da troppo tempo. Il rompersi di un ramo, un respiro carico d’affanno, e il volto si piega lievemente.
-Auriel… ti sei fatto attendere, devi riconoscerlo
Una regina dei ghiacci, pare la ragazza, niente pietà negli occhi, solo un velo morboso, e gelido, inespressivo, come di chi non sa cosa sia l’amore. Simile a quello dell’uomo. Lui, diverso dall’altra solo nei caratteri, e nel sesso, ma stesso sguardo vuoto. Qui cinereo, ma con un fare perso, nell’abisso delle anime, e vuoto, come un sarcofago profanato. Gli occhi si portano verso l’alto. Del fumo s’innalza da lontano. Gli occhi, si pietrificano alla vista del fuoco.
-Il bambino!
Il grido di Auriel, riecheggia, per le selve, tanto che una brezza gelida penetra gli alberi lasciando loro scuotere la verde chioma. Ondine, spalanca le palpebre. Il suo bambino, il suo protetto. I passi scorrono rapidi e veloci. A tracolla porta un lungo arco in legno di frassino e quercia. Lo toglie dalla tracolla, lascia che le crolli tra le braccia, mentre rapida come un furetto, si dirige a portata di tiro. Corpo immerso, e sommerso nel fogliame perlaceo. Al suo fianco pian piano, va comparendo un grosso lupo. Occhi neri, inespressivi, ed una folta pelliccia del medesimo colore, conformazione fisica decisamente differente, rispetto a quella di un normale lupo. Il corpo è tonico e slanciato, molto più muscoloso e scattante, nulla a che vedere con quello di un semplice lupo, più umano che lupo, se non fosse per quella folta pelliccia e le sembianze animali. Il bestione, si gira verso l’altra. Gli ringhia, per poi puntare lo sguardo verso la casa. Basta un singolo gesto dell’altra a zittirlo, dalla faretra, va a prendere delicatamente una freccia. Brilla d’argento, così come i suoi occhi, con le loro escrescenze, e l’inespressività, che nonostante il forte dolore che la riempie internamente, non riesce a dare prova della sua esistenza, affermandosi in quello sguardo tetro ed inespressivo, la condanna della sua razza così era stata definita da chi non sapeva. Esiliata, dal suo stesso clan, assieme al marito. Non le rimane che quel pargolo, ed ora i corvi lo richiedevano, lo rivolevano al peccato. Ma non accadrà, non può accadere. Eccolo. La figura, che Ondine temeva. Il cuore inizia a pulsare ritmico, il battito diminuisce. Il lupo, inizia a trasformarsi. Le labbra, della donna, scorrono, si aprono e sono pronte a dire una singola parola che potrebbe cambiare, e stravolgere il destino di tutto. Occhi fissi, sul crine bianco latte dell’altro. Pian piano, il dolore si tramuta in paura, poi in coraggio. Punta il bimbo.
-Imprimi!
Urla, e la freccia viene scoccata. L’occhio nero, del bianco si porta troppo lentamente sul bimbo, e lascia che questi gli scompaia sotto le mani con la stessa velocità con cui l’ha preso. Gli occhi neri si fissano, sull’essere che gli ha fatto perdere la missione. Occhi freddi e trucidi, una brama omicida, che perde, da ogni falla. Gli occhi si fissano diretti. Il lupo lentamente torna ad uscire. Auriel si ritrasforma. Ecco lì il cane lupo. Ecco, cosa sono quei due, ecco cosa ha protetto Ondine, un licantropo. Unpo della sua stessa razza, un figlio del demonio secondo alcuni. Il corvo, si muovo veloce. Ma è il parlato ciò che ferisce di più.
-Credi di aver salvato la sua vita? Stolta.. lui appartiene, all’Underworld. Nulla può sottrarlo ad esso, e credi che tu, piccola bimba, fannullona puoi proteggerlo come si deve?
Il sorriso si fa obliquo. Una piega laterale, e sinistra sul suo volto. Il licantropo ringhia di colpo, preso dall’euforia che quella forma gli concede si cimenta all’attacco. Furibondo. I muscoli si slanciano verso l’assalto.
-Scappa!
Gli va urlando. Ondine lo fissa, passa meno tempo del previsto. L’albino, sguaina due daghe ricurve, schiva con una notevole velocità, le zanne e gli artigli dell’altro, e con un colpo, netto, lo sventra. Il lupo crolla a terra. Il fiato corto, si evidenzia nella neve. L’argento, entra in diretto contatto. Nulla lo può guarire da quel veleno tossico, che è già entrato in circolo nel peggiore dei modi. Un ringhio, e poi gli occhi si portano su quelli tetri del corvo. L’altro lo fissa, mentre Ondine, decisa e pronta si è già data alla fuga, riconoscendo il valore primario della morte di Auriel. I passi, del corvo, lo conducono verso l’ex postazione dell’arciera. Abbassa lo sguardo, e si china, andando a raccogliere una delle frecce d’argento. Piega il volto di lato, mentre i lunghi ciuffi bianchi gli ricadono sul volto, infiltrandosi, nell’elegante cappotto nero con le piume di corvo. Davanti un corpetto di colore nero, in cuoio. Pugnali da lancio e quant’altro.
-Hai impiegato parecchio tempo prima di arrivare. Vampiria
Volge la testa interamente, verso la figura alata e mostruosa che gli si para dinanzi. Seno nudo, scoperto, se non fosse per la naturale protezione a membrana che ne cela le parti più sensuali, Lunghi capelli rossi, ed uno sguardo sanguinario, e crudele nel volto.
-Oh, no.. Questa non la passerai … liscia..
E’ la vampira ad aprire la bocca per prima.
- E me la farai vedere tu?
-No , Alexander ma il tuo giorno arriverà!
Detto questo, la donna apre le ali, e con un grido disumano, che squarcia l’aria, si dilegua verso l’orizzonte. Gli occhi di Alexander si fissano su di un albero. Scuote più volte la testa, e poi inizierebbe a camminare, verso le selve. Deve tornare dal suo padrone, un padrone che temono in molti. Che l’ha creato quando la morte già se l’era preso. Sorride. Un sorriso freddo e gelido. Ecco che i suoi passi lo mettono finalmente in marcia.
La nostra Ondine, corre e corre. Un incantesimo pronunciato alla perfezione, ma che per qualche ragione è stato sbagliato il luogo della consegna. Osserva i tendaggi, tutto vuoto. Nulla di nulla. Il bambino non sembrerebbe qui. Scomparso chissà dove nei, meandri di quale oceano. Le gambe le cedono, le ginocchia si sbucciano al contatto violento e poco razionale col terreno. Si getta in avanti, ed attende mentre gli occhi si posano sul terreno coperto dal cuoio. Il pianto, le storce il volto. Inutili pieghe. Mai ha provato tanto odio e dolore , le brucia il petto, da un lato non le piace esternare cose che h apreferito non mostrare quasi mai a nessuno. Sospira, e si riporta a fatica in piedi.
-E l’ora di muoverci.
Va dicendo, con tono sempre più convinto. Alza lo sguardo verso le selve, una rapida occhiata, su di una specie di mappa che tiene sempre con sé. I passi iniziano a guidarla, mentre le mani guidano il cappuccio sempre più in fronte della ragazza, impedendo ad esso di scappare verso posti indesiderati. Due fiocchi di neve le ricadono lungo il volto, e sulla mantellina. Nel cielo è tornata a splendere. E’ ora di partire.