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Autore: hiromi_chan    03/10/2013    8 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo cinque: Sul palmo di una mano

 

 

 

Era passata una settimana appena da quando Merlin aveva messo piede nel Mondo Riflesso. Tanto gli era bastato per associare alla vita di corte l'idea di un enorme teatrino delle marionette.

Si era informato; aveva spulciato una quantità spropositata di giornali e, con l'aiuto di Gaius, si era pure addentrato nelle giungle di internet.

L'esito delle sue ricerche era stato chiaro: l'esistenza di re Uther e di suo figlio, l'erede al trono, era tutta un ripetersi meccanico di discorsi, conferenze stampa, incontri con i politici stranieri e qualche festa occasionale.

Il grande pubblico pareva nutrirsi dello spettacolo quotidiano dei Pendragon. C'erano i fedelissimi, quelli che li amavano da sempre e che avrebbero continuato ad assistere alle repliche dei balletti delle marionette reali. Agli occhi di questi spettatori, Arthur era un vero principe in armatura scintillante. Se non fosse bastato il suo aspetto romantico e allo stesso tempo virile per conquistare il cuore dei suoi sudditi, ci avrebbero pensato le sue azioni: sembrava infatti che fosse un vero filantropo. Merlin aveva scoperto che si era dato da fare attivamente con le associazioni di beneficenza e per gli aiuti umanitari sin da quando aveva sedici anni.

Sullo schermo obsoleto del computer di Gaius era apparsa una foto nel mezzo di un articolo, il resoconto dell'incontro annuale dell'associazione “Lady Ygraine”.

Nell'immagine, un Arthur più piccolo di due o tre anni al massimo stava elegantemente in piedi accanto al ritratto etereo di una signora giovane e pallida.

Merlin si era avvicinato per scorrere con gli occhi la didascalia scritta in caratteri microscopici sotto alla foto.

orgogliosi e compiaciuti di considerarlo il degno successore della defunta Lady Ygraine.

Prima la madre e ora anche il figlio, come due fulgide gemme, illuminano ancor di più la strada che la nostra associazione vuol tracciare per...

E poi... poi Merlin aveva frugato tra i fogli strappati da una decina di riviste di gossip, e dal mucchio era riemerso con una foto che occupava tutta una pagina. Ritraeva un ragazzo piegato in due fuori dall'ingresso di una discoteca. Una bottiglia in una mano, le dita dell'altra a schermarsi gli occhi, Merlin nemmeno l'avrebbe riconosciuto se non avesse letto “Arthur Pendragon fa follie di nuovo” scritto sopra a caratteri cubitali.

Grattandosi il mento, aveva portato quella pagina in alto per accostarla alla foto del computer.

Sì, c'era definitivamente un'altra porzione di spettatori seduta a godersi lo spettacolo dei pupazzi reali: erano quelli che preferivano tirare frutta marcia sul palcoscenico. E l'Arthur dal profilo nobile e dalla posa marziale scompariva per lasciare il posto a un altro che con lui aveva poco a che fare: un ragazzo ribelle, vizioso e viziato. Per niente rispettoso del prossimo e in primo luogo di suo padre, metteva in ridicolo la nazione stessa con le sue continue gaffes. Si faceva beccare nel bel mezzo di azioni non proprio consone con l'attricetta di turno, alzava troppo il gomito durante il gran gala del duca, smentiva pubblicamente ai giornalisti uno dei piani economici annunciati da suo padre stesso poco prima.

Con questo Arthur qui i giornali scandalistici ci andavano a nozze. Era, anzi, il loro protagonista preferito, e non deludeva mai le aspettative degli ammiratori che attendevano di ricevere le novità settimanali delle sue gesta.

Ma c'era un altro Arthur ancora che forse nessuno tra il pubblico aveva individuato. Uno che avrebbe fatto impallidire la sua versione a marionetta del principe azzurro e pure quella del suo gemello cattivo.

Era l'Arthur che conosceva Merlin: quello che, nel giro di una settimana, gli aveva fatto risistemare sette volte il suo armadio nella camera da letto più l'intera stanzetta adibita a guardaroba (sì, ne aveva pure una a parte!).

In quei momenti il giusto e magnanimo filantropo, di cui comunque Merlin non aveva intravisto nemmeno l'ombra, si era dissociato del tutto dalla sua persona.

Eppure, sorprendentemente, non restava nulla nemmeno del principe diabolico intento a ideare piani sovversivi per mettere in ridicolo la monarchia col suo pessimo comportamento.

Agli occhi dello stregone, l'unica persona che al massimo Arthur avrebbe mai potuto mettere in ridicolo era se stesso.

Perché forse in lui qualcosa del nobile cavaliere c'era, le testimonianze sembravano attendibili; ma non si poteva dire altrettanto della sua controparte sregolata che presentavano i media. La cosa era semplice: Arthur era troppo genuinamente stupido per essere diabolico. Lui e quella sua maledetta bocca arricciata. Chi scriveva cattiverie su di lui di certo non l'aveva mai visto fare quel broncio dubbioso.

Per Merlin, in breve tempo, la storia dell'accanimento mediatico sul principe Pendragon era diventata ridicola. Era chiaro che Arthur, per quanto ne dicessero i paparazzi, non fosse davvero una persona cattiva – be', da tutta quella storia dell'armadio un filino di perfidia sadica emergeva... ma non aveva un'indole così pessima, quello no.

All'inizio anche Merlin non l'aveva ritenuto un bravo ragazzo, era vero. Ma Gaius aveva detto che il cuore degli umani non è tutto bianco o tutto nero. E qualcuna delle sfumature che stavano nel mezzo, Merlin l'aveva scorta vedendo la conversazione tra Arthur e re Uther attraverso il Diamante del Giorno.

Non poteva esserci nulla di davvero malvagio in Arthur. In lui Merlin aveva riconosciuto un disagio simile a quello che l'aveva afflitto fino a quando non aveva saputo del Duello del Drago. In qualche modo se lo sentiva.

“Guarda nel tuo riflesso e vedrai te stesso” aveva detto Gaius.

E così era successo.

Non che questo giustificasse le pessime abitudini di comportamento di Arthur, che, tra parentesi, Merlin riteneva causate solo in piccola parte da problemi esterni – si trattava di brutto carattere e basta.

Arthur era un bambino troppo cresciuto che provava un piacere spropositato nell'essere servito e dare ordini? Oh, sì, quello era sicuro.

Era insopportabilmente autoritario? Ovviamente sì.

Era un asino, il peggior asino che lo stregone avesse mai conosciuto? Assolutamente sì.

Però... Non sembrava poi così strano, adesso, che fosse stato lui a dire che “solo ogni tanto, non sempre...”

 

“Vorrei che tu non fossi così, Merlin. Solo ogni tanto, sai, mi piacerebbe vederti piegare una maglietta nel modo giusto.”

Merlin arricciò il naso con rassegnazione al suono della voce di Arthur che rimbombava per tutta la stanza. Era arrivato alla conclusione che il Principe dei Draghi non fosse cattivo, ma ciò non lo rendeva meno sgradevole e arrogante.

In quel momento, poi, Arthur stava dando il meglio di sé per apparire al massimo grado in tutta la sua... asinità. Piegato in due col busto immerso completamente nelle profondità dell'anta centrale del suo armadio, lanciava fuori ad uno ad uno tutti i pantaloni che lo stregone aveva messo via la sera prima fino a mezzanotte. “E se piegare una maglietta è troppo complicato per te” continuò a dire, tra un tiro e l'altro, “per lo meno tenta di far bene con un paio di mutande, per l'amor del cielo!”

Merlin sospirò pesantemente, seccato ma troppo stanco per irritarsi sul serio. Facendosi largo tra un mucchietto di calzini e un paio di montagne di giacche, raggiunse Arthur per tentare di afferrare al volo quello che lui lanciava di volta in volta. “Non vi siete stufato di ripetere ogni giorno la stessa storia?” gli disse, schivando una canottiera prima che gli finisse in faccia.

A quel punto la raffica di panni cessò e Arthur riemerse di botto con l'espressione più scandalizzata dell'universo. “È quello che dovrei dire io a te! Non ti sei ancora stufato di fare la stessa cosa dopo aver sbagliato per sette volte di fila?”

“Avete tenuto il conto” lo incalzò Merlin con un'alzata di sopracciglia.

Il principe gli grugnì contro, esasperato, tornando alla sua attività di demolizione del lavoro altrui. Stavolta però prese a fare tutto con più furia e lo stregone, deciso a darci un taglio, lo accostò facendosi spazio. Poi iniziò a caricare tra le braccia mucchi di roba per rigettarla dentro l'anta centrale.

Così, a casaccio, uno buttava via e l'altro impilava dentro, e Merlin stava facendo seriamente fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Ancora non ho capito come volete che ve li sistemi, questi vestiti” borbottò.

“In modo decente, no?!” gracchiò l'altro.

Lo stregone fu costretto a guardare per terra, mordendosi il labbro.

Arthur era molto divertente quando si agitava. Diventava ancora più ridicolo del solito, perché la sua voce, già normalmente tutta un insieme di picchi alti e bassi, partiva strascinata per raggiungere le note più stridule.

E come poteva essere una persona cattiva? Era troppo sciocco per essere davvero cattivo. Morgana doveva essersi sbagliata, quella volta, nel giudicare il suo carattere in base a quel poco che gli aveva sentito dire.

“Ridi? Hai ancora voglia di ridere?” disse il principe, che ormai aveva imboccato la strada dell'irritazione. “Vediamo quanto riderai quando dovrai sistemare tutto per l'ottava volta...”

“Non fatemi cambiare idea su di voi proprio adesso” si ritrovò a dire Merlin.

Non sapeva come gli fosse uscita, quella frase. Solo, gli era uscita e basta. E l'aveva fatto in una maniera curiosa, con qualcosa che era una vena di incertezza, forse, nel tono. Come se nemmeno Merlin stesso si fosse sentito sicuro del pensiero che aveva formulato ancora prima di realizzare che l'aveva formulato. Ciò lo lasciò così stupito da fargli fare un passo indietro.

Qualcuno aveva premuto un pulsante misterioso che aveva assurdamente trasformato l'atmosfera nel giro di un solo respiro. Il cambiamento non sfuggì ad Arthur, che si mise dritto per fronteggiare Merlin, la sua migliore espressione burbera sul viso. “Che intendevi dire?” gli chiese.

Lo stregone ingoiò l'aria, sentendosi come se avesse lanciato un incantesimo su se stesso per trasformarsi in un enorme punto interrogativo.

Che intendeva dire, davvero?

“Stavo pensando...” incespicò, grattandosi il collo.

“Che pensavi?” disse il principe, inquisitorio. Prima di dare tempo a Merlin di farfugliare la sua risposta, Arthur con un solo passo azzerò la breve distanza che li sperava, fino a che la punta della sua scarpa toccò quella della scarpa dell'altro.

Proprio allora successe qualcosa di ancora più strano. Una forte sensazione colpì Merlin alla bocca dello stomaco: era qualcosa di spiacevole, molto spiacevole, qualcosa di simile all'affanno che aveva provato nella Caverna dei Mille Giorni a causa del caldo pressante e sulfureo.

Uno scomodissimo caldo. Merlin boccheggiò, continuando a grattarsi nervoso l'attaccatura dei capelli.

Lo sapeva che cosa stava maldestramente tentando di dire. O meglio, ne aveva una vaghissima idea. C'era questo pensiero, appeso lì in mezzo a quel mare di lava sulla bocca dello stomaco. Uno di quei pensieri che sai che ci sono e forse sai anche come sono fatti, ma allo stesso tempo sono così offuscati che non riesci bene a distinguerli da tutto il resto.

Ed è un po' come trovare qualcosa di nuovo nel posto che frequenti da sempre, per poi scoprire, di colpo, che in realtà c'è sempre stato. E tutto quello che ti viene da fare è accogliere questa novità trattandola come si fa con un vecchio ricordo.

La verità era che Arthur non era poi così male – e Merlin se l'era immaginato, nel profondo, forse da subito, forse da quando era stato chiamato da lui. La verità era che sarebbe stato meglio il contrario.

“Allora? Ce la fai a costruire una frase di senso compiuto senza mettere un 'ehm' in mezzo ad ogni parola?” si spazientì Arthur, pestando con forza il piede a terra.

“Niente, iniziavo a pensare che voi non foste completamente, del tutto, al cento percento...”

Arthur lo studiò girando appena la testa e, come fece quel movimento, il collo di Merlin scattò indietro, impercettibilmente.

“Che io non fossi al cento percento cosa?”

Una persona che si meritava di vedersi strappato il cuore. Era quello.

Merlin!”

“Inso-insomma!” esclamò lo stregone.

Era quella la cosa che aveva sempre saputo, che Arthur non si meritasse minimamente il destino che gli era capitato. Ma non ci si poteva fare niente, Kilgharrah gliel'aveva detto chiaro e tondo; e di tutta la faccenda il Principe dei Draghi non avrebbe mai saputo nulla. Quindi andava seppellita da un parte, subito, e non rivangata mai più. Dopotutto, Merlin non avrebbe avuto altri motivi per pensarci ulteriormente.

“Proprio quando mi viene da dirvi che non siete poi così male... mi ritirate fuori questa storia infinita dell'armadio?” buttò lì, per uscire dal circolo dei suoi pensieri.

Arthur parve smarrirsi in una breve perplessità, ma l'attimo scemò subito lasciando il posto alla sua solita boria.

“Non è colpa mia se non sei in grado nemmeno di fare una cosa facile come questa!” gli disse, strabuzzando gli occhi azzurri. “Senti, è evidente che non sei capace di gestire le cose tutte in una volta, quindi d'ora in poi puoi iniziare a riorganizzare tutto a piccoli passi.” Detto questo, esaminò con aria fintamente perplessa prima l'armadio, poi allungò lo sguardo verso lo stanzino-guardaroba in fondo alla stanza da notte. “Un'anta alla volta forse è troppo difficile per te” disse con compatimento. “Comincia con un cassetto al giorno.”

Lo stregone sbuffò una risata. “Non sforzatevi troppo a pianificarmi il lavoro, o vi farete male al cervello.”

Arthur, fulmineo, prese tutti i panni dalle braccia di Merlin e glieli rovesciò in testa con una sola, fluida, mossa. Lo stregone restò con occhi e bocca spalancati. Qualcosa gli era rimasto tra i capelli e, quando intravide un bordino bianco penzolargli vicino alle ciglia e capì che si trattava di un paio di boxer, si affrettò a scrollarseli di dosso come fossero stati qualcosa di velenoso.

“Ah! E stai contento che non avevo un secchio d'acqua a portata di mano” disse Arthur, rimirando l'opera a braccia incrociate.

Merlin storse la bocca. “Se continuerete a fare così non finirò mai! Inizio a pensare che, più dell'ordine delle vostre cose, vi prema vedermi sgobbare all'infinito.”

“Hai una considerazione proprio alta di te stesso, se pensi che io non abbia niente di meglio da fare che stare a meditare vendetta contro di te.”

“Di vendetta ne avete parlato voi!” Merlin si animò, toccando la spalla di Arthur con l'indice. “Quindi ciò mi conferma che...”

“Vai avanti con le tue teorie, Merlin. Arriverai lontano” disse l'altro scacciando via la sua mano, neanche fosse stata un moscerino fastidioso.

Che razza di asino sarcastico e ingrato.

Pensando che fosse meglio tenersi occupato prima che gli rispuntasse la voglia di prenderlo a sberle (che ci fosse riuscito o meno era un'altra questione), lo stregone diede le spalle ad Arthur per tornare alla sua desolante mansione.

Sentì il principe ridere di scherno mentre raggiungeva la sua scrivania. Subito dopo aver smosso un po' delle carte che c'erano sopra, però, Arthur lo richiamò di nuovo. “Senti, lascia stare i vestiti, per ora.”

“Perché, ci pensate voi a sistemare?” propose Merlin, speranzoso.

“Ti piacerebbe. No, no, ovviamente riprendi la prossima volta.”

“Ovviamente...”

“Ovviamente. Comunque, sto uscendo, ho bisogno di passare un po' di tempo da Hatchards.”

Gli occhi di Merlin brillarono subito di desiderio. Hatchards era la libreria più antica di Londra. Lui l'aveva incontrata diverse volte nel corso delle sue lezioni serali di “umanologia”, spulciando tra le guide turistiche della città.

Era una vera attrazione rinomata per la sua aria classica, e spesso aveva ospitato famosi scrittori per le sessioni di autografi e incontri coi lettori. Gli sarebbe piaciuto molto andarla a vedere; non aveva ancora avuto il tempo di visitare per bene la City a causa di sua Altezza Reale Testa di Fagiolo. “Andate per un giretto rilassante, allora” gli disse. “Anche se non l'avrei mai detto che voi foste un tipo intellettuale.”

Non riuscì a trattenersi dal puntualizzarlo perché, insomma, l'immagine di Arthur in un luogo del genere pareva a Merlin decisamente stonata.

“Ma quale giretto rilassante! Ci vado per lavoro, capito? E poi scusa, cosa te l'ha fatto pensare che non sono un intellettuale?” berciò il principe, molto poco galantemente.

Merlin fece finta di rifletterci sopra, roteando gli occhi al soffitto. “Non saprei, me l'avranno suggerito le volte in cui vi ho visto addormentarvi alla scrivania in questi giorni. Ben sette. Una per ogni pomeriggio.”

“Chi è che tiene il conto, adesso?” disse Arthur buttandosi sulla sedia, quasi trionfale.

“Non potevo fare altrimenti, era impossibile ignorarvi. Russavate come un orso.”

La piega scettica e un po' stupita che prese la sua faccia fu impagabile.

“Guardate che vi sto dicendo la verità” continuò imperterrito Merlin, divertendosi sempre più a infilzare l'amor proprio dell'altro a mano a mano che gli si avvicinava. “Forse sarà dura da accettare per il vostro orgoglio, ma voi, Altezza, russate che è una meraviglia. Anzi, devo dire che non ho mai sentito qualcuno russare con tanta potenza vocale e...”

“Non ci credo” lo interruppe Arthur, piccato. “Nessuno me l'ha mai detto.”

“Forse nessuno ha mai osato farlo” replicò Merlin, rapido e noncurante.

“Se fosse stato vero, qualcuno prima o poi me l'avrebbe fatto notare, no?”

“Magari non vi hanno visto dormire in molti e nessuno tra quelli che vi ha visto ha mai notato che russavate. Oppure nessuno vi è mai rimasto vicino tanto a lungo per potervi sentir grugnire quando cadete in un sonno profondo.”

“Ti assicuro che un sacco di persone mi hanno visto dormire per tutta la notte e nessuno si è mai lamentato, dopo.”

“Un sacco di... ?” Merlin si fermò appena in tempo quando colse all'ultimo istante l'implicazione nelle parole di Arthur. Per la manciata di secondi che ne seguì, non trovò altro da ribattere e chiuse la bocca.

Non gli rimase che stare a guardare mentre il principe recuperava da un cassetto della scrivania due oggetti familiari: i terribili ed enormi occhiali arancioni e il cappellino nero.

“È lo stesso che l'altra volta vi ho fatto cadere per terra!” esclamò. “Quindi questa è la tenuta ufficiale che usate per andarvene a spasso tra la gente.”

“Deduzione arguta” lo prese in giro il principe, sistemandosi i capelli biondi sotto il cappello.

“Se state per avviarvi, chiamo il gruppo della scorta che è di turno oggi” disse Merlin. Ma non appena si voltò e fece un passo verso la porta, si sentì afferrare per il colletto della camicia da Arthur, che lo riportò indietro.

“Non devi chiamare nessuno, non ho detto niente nemmeno a Leon” gli soffiò, sbrigativo.

Merlin ricordò subito come la famosa discussione tra Arthur e suo padre si fosse aperta con un Uther che tratteneva a stento la rabbia dopo aver scoperto che suo figlio gli aveva disubbidito, uscendo senza scorta. “Siete matto! Se ve ne andate da solo senza una parola, farete di nuovo infuriare vostro padre.”

“Di nuovo?”

Cavolo. Certo, Arthur non doveva aspettarsi che Merlin avesse trovato un modo per spiarlo... cioè, tenerlo d'occhio in qualunque momento, e che quindi fosse venuto a sapere dell'ultima strapazzata che aveva subito dal Re.

“Ehm... immaginavo solo che vostro padre potrebbe arrabbiarsi se lo venisse a sapere” farfugliò veloce lo stregone.

“Ma se non lo verrà a sapere non succederà nulla” disse semplicemente l'altro.

“Ah, quindi state scappando.” Merlin si accorse dello scappellotto che gli arrivò sul collo solo quando fu ormai troppo tardi e sentì pizzicare la pelle.

“Ahi, accidenti! Non vi si può dire che non siete veloce.”

Arthur si strinse nelle spalle. “Comunque non esco da solo” aggiunse poi, indicando verso il letto. “Prendi lo zainetto che sta là sotto e infilaci dentro tutti questi miei appunti, potrei aver bisogno di fare delle correzioni quando sarò da Hatchards.”

Merlin fece come gli era stato detto e allungò lo zaino ad Arthur, che lo fissò piattamente. “Quello. Lo. Devi. Portare. Tu.” disse il principe, sottolineando ogni parola come se avesse voluto farsi capire da uno straniero.

“Oh! Quindi devo venire in città con voi?”

Ci sarebbe andato anche lui! Avrebbe attraversato Piccadilly e avrebbe goduto dello spettacolo di tutti quei posti meravigliosi – il Ritz, la Royal Academy e, di sicuro, se fossero andati in metropolitana, pure la piazza di Piccadilly Circus, con la fontana e il London Pavilion e il Criterion Theatre e tutto il resto.

“Sì, mi serviva un portaborse, te l'avevo detto” fece Arthur, inforcando gli occhiali. “Inoltre così, in caso di eventuale bisogno di giustificazioni, potrò dire che non sarò proprio uscito per conto mio.”

“Un ottimo modo per scaricare a metà le responsabilità” convenne ironico Merlin.

“Certo, tanto sei stato tu che hai insistito perché ti accompagnassi a vedere Londra. Non è vero? Tutto chiaro?”

“Cosa?!” Merlin fu preso da un breve attimo di agitazione. Non che avesse dovuto temere qualcosa o qualcuno – nel Mondo Riflesso non c'era proprio creatura alcuna che avesse potuto intimorire la sua magia. Purtroppo, però, ora gli incantesimi andavano tenuti sotto chiave il più possibile... e re Uther non rientrava affatto nella lista dei genitori dai quali Merlin si sarebbe fatto fare volentieri una ramanzina. “Non fate meglio a chiedere a Leon di accompagnarvi?” disse quindi di slancio, maledicendosi poi mentalmente subito dopo, quando si ricordò che era una cosa positiva avvicinarsi in quel modo al principe.

Più tempo ci avrebbe passato insieme, più sarebbe riuscito a capire come funzionava il suo cuore e, forse, questo l'avrebbe avvicinato al raggiungimento del suo obiettivo.

Per fortuna sembrava che Arthur non avesse avuto intenzione di portare con sé nessun che non fosse Merlin. “Leon certe volte è un po' troppo apprensivo” disse infatti. “È un amico, ma comunque resta la mia guardia del corpo, anche con lui non sarei completamente libero di andarmene a spasso come voglio. Figurarsi con la scorta... con tutta quella gente intorno non riuscirei mai a fare con calma, anzi, catturerei di più l'attenzione. Invece...” E mise una mano sulla spalla di Merlin, soddisfatto. “Sono sicuro che grazie all'influsso della tua mediocre presenza accanto a me passerò del tutto inosservato.”

“La mediocrità non è mica transitiva” cantilenò lo stregone al pari di un bambino che rinfaccia la vittoria al compagno di giochi. “E poi, ehi! Non ho un aspetto mediocre” aggiunse.

Anche dietro la protezione degli occhiali da sole, fu possibile percepire che lo sguardo di Arthur era puntato sulle sue orecchie. “Con quelle appendici che ti ritrovi, puoi giurarci che non rientri nella norma.”

 

 

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Merlin decretò che la metropolitana non era il suo mezzo di trasporto preferito non appena ci mise piede. Bisognava stare attenti alla gente che saliva, attenti a quella che scendeva, attenti a non perdere la propria fermata – bisognava stare sempre attenti. Cosa che a lui non riusciva proprio alla perfezione; era troppo impegnato a guardarsi intorno per mantenere la concentrazione (e a trattenersi dal saltare quando le carrozze si fermavano e ripartivano, quello sì, era piuttosto emozionante).

Un bel problema erano anche le ondate di persone che lo trascinavano via ad ogni apertura delle porte. Non era facilissimo rimanere accanto ad Arthur quando un omone della taglia di una zampa di drago ti premeva sulla schiena in cerca di spazio.

Per quanto riguardava il fattore privacy, invece, le cose stavano andando meglio del previsto. Ognuno pareva intento a farsi i fatti propri e a rimanere assolutamente disinteressato al ragazzo con il cappellino nero che si reggeva svogliatamente a una maniglia.

“Nessuno vi sta riconoscendo sul serio, Arthur” appuntò Merlin.

“E continueranno a non farlo, se la smetterai di rivelare la mia identità ad alta voce” bisbigliò il principe, il labbro alzato a scoprire i denti come avrebbe fatto un felino.

Merlin ignorò il velato tono minaccioso per concentrare tutte le energie sul non farsi destabilizzare. “Ehi, fai attenzione, piccolina... Ancora non mi avete detto che libri volete andare a cercare, comunque” disse, attaccandosi al volo a una maniglia quando una bambina che correva su e giù per il vagone riuscì a farlo inciampare.

Il principe sospirò sonoramente, afferrando Merlin per il braccio per portarselo vicino. “Sei impossibile, non ho mai conosciuto qualcuno più imbranato di te” decretò, stufo. “E non è che devo proprio cercare dei libri... mi serve l'ispirazione. Tra dieci giorni da Hatchards ci sarà un evento organizzato dalla 'Lady Ygraine'...”

“La fondazione per la promozione della lettura tra i più giovani” concluse Merlin.

Arthur si raddrizzò, un vago sorrisetto stupito che faceva capolino sul viso. “Lo sapevi?” gli disse, interessato.

“Per chi mi avete preso?” replicò Merlin, lisciandosi la sciarpa con aria di superiorità.

“Quando ci siamo incontrati non sapevi nemmeno chi io fossi.”

“Be', non vi avevo riconosciuto. Inoltre, adesso mi sono un po' informato, giusto perché sono alle vostre dipendenze.”

Era una mezza verità, in fondo.

“Questo tuo informarti su di me mi fa venire i brividi, sai” disse Arthur, scuotendosi tutto.

“Andate avanti e piantatela di fare il buffone” fece Merlin, con un sorriso aperto. “Che dicevate dell'evento da Hatchards?”

“Sono stato invitato come ospite ufficiale dalla fondazione e dovrò tenere un discorso e leggere qualcosa per dei bambini.”

“Sembra un'idea carina. Dov'è il problema?”

Arthur sospirò un'altra volta, facendo mezzo passo sul posto. Era a disagio? Doveva essere una cosa molto rara. Lo stregone piegò la testa, guardandolo curioso.

“Sono sempre stato abituato a tenere discorsi e mi è sempre riuscito facile parlare al pubblico” esordì Arthur, l'inizio di un periodo che presupponeva l'arrivo di un enorme “ma”.

“Questione di carisma naturale, immagino” scherzò Merlin, per incoraggiarlo a proseguire.

“Esatto” annuì serio l'altro. “Ma con i bambini... è un'altra storia. Non ho mai parlato direttamente per loro, con loro, durante un evento pubblico. Forse perché non ho mai avuto bambini intorno a me, ma non so proprio che cosa inventarmi, non ho la minima idea di che cosa dovrei parlare e in che modo farlo” disse in fretta.

Ed era così concitato e così incerto, incerto come Merlin non l'aveva ancora mai visto, e sembrava lui stesso più bambino che mai, e aveva un'aria davvero stupidamente adorab- no. Non che avrebbe mai potuto esserci qualcosa di vagamente simile all'adorabile in lui.

“Ehmmm, aspettate” farfugliò Merlin, “allora è su questo che vi vedo lavorare sin da quanto sono arrivato?”

Arthur annuì, mortalmente serio.

“Quindi è proprio grave” valutò lo stregone. “Non vi preoccupate troppo, una soluzione la troveremo.” Gli venne naturale tentare di tirarlo su di morale; tuttavia l'acidità del principe era una caratteristica ostinatamente radicata in lui, e non sarebbe svanita con un po' di gentilezza. Non che Merlin si aspettasse nulla di diverso.

“Limitati al tuo compito di dispensatore di mediocrità. Temo che se metterai mano tu sulla faccenda, finirò col traumatizzare quei poveri bambini.”

Come volevasi dimostrare. Merlin aveva iniziato a rispondergli a tono per l'ennesima volta quando Arthur lo interruppe sbrigativo (“Non ho tempo per sentirti fare la donnicciola offesa, siamo arrivati alla nostra fermata”), e si diresse verso le porte. Una frazione di secondo e lo stregone si sentì tirare come un pesce all'amo attraverso la folla.

Prima non se n'era accorto, ma Arthur non l'aveva lasciato da quando la ragazzina che correva per il vagone l'aveva fatto inciampare. E aveva continuato a tenerlo per il gomito per tutto il tempo.

 

 

ʘ

 

 

Una volta riemersi dalla metropolitana, nelle intenzioni di Merlin la prima cosa da fare sarebbe stata girare su se stesso per ammirare lo spiazzo di Piccadilly Circus. In realtà gli riuscì di fare solo un quarto di giro, arenandosi ai display con le scritte al LED luminose, poiché Arthur lo trascinò dietro di sé con malagrazia, procedendo a passo spedito.

“Se la vostra scusa per essere venuto è che dovevate accompagnare me, perché non me la fate fare, una visita turistica?” protestò lo stregone, tentando di opporre resistenza col suo peso.

“Una scusa è solo una scusa. Ed è inutile che ti impunti, Merlin, sono come minimo il triplo più forte di te. La libreria è qui vicino, dai.”

Arthur poteva ritenersi fortunato che Merlin avesse davvero avuto voglia di andarci, altrimenti se lo sarebbe scordato, il suo capro espiatorio.

Comunque, dopo una breve passeggiata, il principe indicò allusivamente a Merlin un edificio dall'altra parte della strada.

Al piano terra di un palazzo di mattoncini grigio tortora c'era l'ingresso della libreria: sul legno scuro di un colore simile all'ebano risaltava la scritta elegante, in caratteri dorati, “Hatchards”.

Merlin articolò un “wow” con le labbra e corse verso la vetrina, con Arthur che, per una volta, era quello più indietro.

Persino da fuori si riusciva a percepire l'atmosfera calda e confortevole del posto. Lo stregone si concesse di far sì che i suoi occhi si illuminassero d'oro solo per un breve secondo, prima di venire raggiunto da Arthur. Passò una mano sul vetro fino a una colonna dell'ingresso; di colpo lo investirono i pensieri che aleggiavano lì dentro. Erano tutte voci serene, appassionate, innamorate dei libri di cui si stavano cibando con gli occhi e con la mente. Merlin sorrise, contento; era meravigliosa, quella parte di umanità. Era meraviglioso potersi innamorare così di qualcosa, riuscire ad amare così tanto un'attività, un luogo, fino a che quell'attività e quel luogo diventavano tue, e tu ci lasciavi un segno, e loro in cambio avrebbero continuato a portare quel pezzo di te per sempre.

Vorrei tanto questo libro, lo vorrei così tanto” scoppiò d'improvviso una voce giovane e triste nella testa dello stregone.

Merlin sussultò, e il sussulto si trasformò in un balzo quando Arthur gli comparve da dietro, annunciando la sua presenza con una pacca abbastanza vigorosa da potergli danneggiare la spina dorsale.

“Smettila di lasciare le ditate come un moccioso. Ti stanno guardando tutti e, se non ti è chiaro, l'ultima cosa che mi serve è proprio farmi notare” disse, accompagnando Merlin fino a che non furono dentro.

Il dolce profumo di carta stampata che lo cullò al suo ingresso fu il più piacevole biglietto da visita che Merlin avesse mai ricevuto.

Come si era immaginato, la libreria all'interno era ancora più carina che fuori; le pareti color crema avvolgevano un ambiente ben organizzato. Il senso di ordine era garantito da molti scaffali scuri che ospitavano i volumi in fila perfetta. Perfino i libri sui tavolini posizionati appena superato l'ingresso erano disposti in cerchi precisi.

Eppure c'era qualcosa che rompeva l'armonia. Qualcosa che non dipendeva affatto da ciò che Merlin stava vedendo, ma che gli stava ronzando direttamente nella testa.

“Devo dare un'occhiata nella sezione per ragazzi” disse Arthur, concentrato nei suoi affari, “magari guardando qualche titolo mi viene un'idea per adesso lo prendo, lo metto nello zainetto e vado via.

“Cosa?” disse lo stregone, disorientato. “Che avete detto di voler prendere?”

“Io? Non ho detto di voler prendere un bel niente” disse il principe, avvicinandosi a un gruppo di scaffali ben forniti in fondo alla sala.

Merlin scosse forte la testa, seguendo l'altro con passi un po' incerti. Doveva essere rimasto attivo un residuo della magia che aveva operato prima, toccando la vetrina di Hatchards. Stava ancora sentendo i pensieri impressi nelle cose intorno a lui. “Ottimo” pensò ironicamente.

Quella era una magia piuttosto elementare da praticare, una delle prime che uno stregone apprendeva per conto suo, senza il supporto di un maestro. Veniva d'istinto alle creature magiche entrare in contatto con l'ambiente e sentirne la voce.

Merlin aveva pensato che non avrebbe fatto differenza usare quell'incantesimo nel Mondo Riflesso. In fondo, era stato grazie a quello che aveva percepito il brulicare della vita umana non appena riemerso dall'ombra dal passaggio del Lago Avalon, e non c'erano state controindicazioni allora.

Un conto era quando non riusciva a controllare la magia per spostare la cesta piena di spesa in volo e quella finiva per fracassarsi sulla bancarella del mercato; un'altra cosa era farsi scappare dalle mani un incantesimo di basso livello come quello.

Non mi vedrà nessuno” tornò a risuonare la voce dentro le sue orecchie, senza dargli pace. Aveva senza dubbio un tono infantile. Doveva appartenere a un ragazzino molto giovane, l'unico che, evidentemente, non aveva lasciato una traccia del tutto felice di sé. Sembrava invece abbastanza agitato e insicuro, sull'orlo di fare qualcosa di spericolato, che sapeva bene non gli era permesso.

Merlin si guardò intorno, tentando di capire se si fosse solo trattato di un ricordo rimasto registrato, magari, tra le pagine di qualche volume, o se il proprietario della vocina fosse lì in quel momento.

“La sezione del fantasy sta al piano di sopra” commentò placido Arthur, facendo strisciare l'indice sul dorso di una fila di tomi.

“Fa-fantasy?” disse lo stregone, il collo che era scattato verso di lui prima del suo cervello.

“È per questo che ti guardavi intorno, no?” disse il principe.

Poi si girò verso Merlin, critico, e gli sventolò la mano davanti al naso. “Ero già venuto a sapere da Gaius della tua piccola fissazione, ricordi? Non c'è bisogno che fai il finto tonto, puoi andare a saziare la tua sete di folletti e fatine mentre io mi occupo di qualcosa di serio.”

Merlin colse al volo l'occasione per andare a curiosare, congedandosi con un inchino ironico al principe e riuscendo pure a svicolare non appena quello manifestò la voglia di tirargli in faccia una copia di Pippi Calzelunghe.

Prese quindi le scale, passando piano il palmo sul corrimano mentre saliva. Gradino dopo gradino, le vibrazioni di cui era impregnato il legno gli solleticavano di più le dita. Le voci del cuore si alzavano, confondendosi con le voci materiali dei clienti, e parlavano, ridevano, lacrimavano – era impressionane quante persone si fossero appoggiate lì, avessero cercato inconsciamente lì qualcosa che sorreggesse le loro paure, qualcosa in cui riversare la loro felicità. Era impressionante quanto si potesse percepire degli esseri umani, sul palmo di una mano.

Prima di finire gli ultimi gradini, Merlin guardò indietro e intravide il cappello nero di Arthur fare capolino da un angolo.

Se solo gli fosse riuscito altrettanto semplice sondare la sua anima in quel modo... Ci aveva provato diverse volte, durante la settimana appena passata, ad ascoltare i pensieri del principe rimasti impigliati negli angoli delle sue stanze. Ma non aveva sentito quasi nulla, e quel poco che c'era era superficiale.

Era chiaro che Arthur non gli avrebbe reso le cose facili, mai. Con lui bisognava per forza andare in profondità, e non esistevano scorciatoie di nessuna sorta.

Ma se poi mi scoprono? Io voglio solo poter leggere.”

Una piccola scossa elettrica accompagnò l'ennesimo scoppio della voce nelle orecchie di Merlin. Lo stregone si soffiò sulle dita che formicolavano, facendo vagare lo sguardo per tutto il secondo piano: il bambino doveva proprio trovarsi lì in quel momento, il picco nella magia segnalava che era vicino.

Immediatamente una testolina nera catturò la sua attenzione; apparteneva a un ragazzino sui sette o otto anni al massimo. Se ne stava tutto solo, lontano dalla gente. Fissava con insistenza e determinazione un punto preciso in uno scaffale molto al di sopra della sua testa, i pugnetti chiusi. Merlin gli si avvicinò in punta di piedi.

Non ho i soldi per pagarlo... lo faccio o non lo faccio?”

Lo sbuffo del sorriso comprensivo che si aprì sul viso di Merlin lo tradì. Il bambino sobbalzò, facendo anche cadere per la sorpresa una cosa che aveva tenuto stretta in mano.

“Scusami, ti ho spaventato” disse Merlin, cercando di apparire più rassicurante possibile. Poi si piegò per raccogliere il piccolo oggetto che era rotolato vicino alla punta delle sue scarpe. La sua bocca si aprì in una “o” perfetta quando prese da terra un drago fedelmente riprodotto in miniatura.

La cosa divertente era che somigliava in modo incredibile a Kilgharrah: aveva gli stessi occhi gialli e ferini, ed era colorato di un tono scuro molto simile a quello della pelle dell'ultimo Grande Drago. Aveva pure le ali spiegate come le avrebbe aperte con aria superba lui e, passandoci sopra il dito, si potevano perfino sentire le asperità delle squamette in rilievo.

“Wow, è pazzesco!” disse Merlin con un misto di entusiasmo e ammirazione, portando il draghetto alla luce per esaminarlo meglio.

Il bambino lo fissò coi suoi disarmanti occhioni color ghiaccio, incerto.

“È... è il Dorsorugoso di Norvegia. È quello raro” tentennò, dando l'aria di star facendo un grosso sforzo per mettere insieme quelle parole. “Ho... mangiato un sacco di patatine per riuscire a beccare il pacchetto giusto, quindi...” concluse, allungando la manina verso Merlin.

“Oh, hai ragione, ecco a te” gli disse lo stregone, rendendogli la miniatura.

Doveva farsi venire in mente un'idea per attaccare bottone. Voleva fare qualcosa per aiutarlo. Non poteva ignorarlo, dopo che l'aveva sentito chiedere aiuto così accoratamente. Era solo un bambino che aveva una voglia matta di portarsi via con lui un libro che non poteva pagare. Rubare era sbagliato, certo, ma le intenzioni non erano affatto malvagie, glielo si poteva vedere negli occhioni screziati d'azzurro.

“Ehi, senti” tentò quindi Merlin, “avevo proprio voglia di prendermi qualcosa di nuovo da leggere, e ti ho visto parecchio interessato a questa sezione. Per caso hai qualche bel titolo da consigliarmi?”

Il bambino iniziò a guardare da tutte le parti tranne che verso la faccia di Merlin, torcendosi le mani. Perfetto, era riuscito a metterlo a disagio in due sole mosse.

“Ehm” riprovò allora, portandosi una mano sulla fronte. “Potresti dirmi qual è il tuo preferito. Se non l'ho letto potrei farci un pensierino.”

L'altro finalmente lo guardò, la bocca che gli tremava un po'. “Harry Potter” pigolò alla fine. All'occhiata interrogativa di Merlin, aggiunse con più forza, come se fosse stata una legge matematica basilare, “Harry Potter. Il mago più forte di tutti.”

Merlin scoppiò a ridere. Quella era bella; magari sarebbe finita che l'avrebbe preso sul serio pure lui, il libro di quel Potter, giusto per vedere se le loro capacità erano anche solo paragonabili.

Il bambino indicò precisamente il punto sullo scaffale in alto che stava fissando prima, e lo stregone tirò fuori una copia piuttosto voluminosa e gliela passò, sorridendo a trentadue denti. “Ma sa parlare con i draghi, questo Harry?”

“No” disse il più piccolo, serio, “non ci parla, ma li sconfigge durante il Torneo Tremaghi.”

“Una specie di Duello del Drago?” disse ammiccando. “Niente, lascia perdere, è una cosa che ho letto su un altro libro. Allora...” fece poi, piegandosi sulle ginocchia per parlare con il bambino a quattrocchi. “Qualcosa mi dice che questo qui lo vuoi pure tu.”

L'altro già si era assicurato al petto “Harry Potter e i Doni della Morte”, stringendolo gelosamente. “È... è l'ultimo. Mi rimane da leggere solo questo” disse.

“C'è qui la tua mamma?” domandò Merlin, alzando il mento per esaminare le facce dei vari clienti. “Le chiediamo se te lo compra lei?”

“Sono da solo. Ma tanto mi aveva detto che dovrò aspettare il mio prossimo compleanno per averlo... ne ho già presi tanti altri, di libri, ultimamente” disse piano, sconsolato.

Merlin lo guardò, comprensivo. E adesso? Voleva accontentarlo, ma non si poteva mica incoraggiare il furto! Gliel'avrebbe volentieri comprato lui, quel libro, però era uscito senza portarsi dietro il denaro. Certo, conosceva qualcuno che non aveva affatto problemi di soldi... “Vieni” si illuminò allora, “di sotto c'è un amico che potrebbe darci una mano.”

Il bambino fece un passetto indietro, guardingo.

“È un amico generoso, sai.”

Un'altra mezza verità. Arthur non gli aveva proprio dato l'idea di essere un tipo molto generoso, sebbene gli articoli sul suo impegno nel campo della beneficenza raccontassero una storia diversa. Comunque non si poteva mai sapere. Chissà che non fosse riuscito sul serio a convincere il principe.

“Non ci vengo con te. Non ti conosco. Non ci si deve fidare degli sconosciuti” disse il bambino, schivo.

Lo stregone si passò una mano tra i ricci neri, lievemente imbarazzato dal sentirsi ammonire da un ragazzino. “Già, hai ragione, ma rimediamo subito. Io mi chiamo Merlin, piacere di conoscerti. Tu come ti chiami?”

“Mordred” disse piano piano l'altro, allungando in alto la mano.

Lui gliela strinse per qualche secondo con contegno solenne. Poi rise, strappando un sorrisetto, finalmente, pure a Mordred. Non gli lasciò la manina; invece se la accomodò meglio nella sua e lo guidò giù per le scale con entusiasmo.

Le dita di Mordred erano piccole e calde sul palmo della sua mano; la sua anima si stava scaldando e aprendo a Merlin. Raramente aveva sentito una cosa del genere. Forse non l'aveva sentita mai.

La fiducia, la felicità improvvisa che esplode in un bambino e che contagia tutto, la gratitudine sincera, la complicità onesta. Tutto ciò era era molto bello, molto strano, molto... umano.

“Arthur!” esclamò Merlin nella foga del momento, quando avvistò il profilo del principe ancora bloccato nel punto di prima.

Quello si voltò furiosamente, facendogli segno di stare zitto. Merlin era sicuro che dietro gli occhiali avesse strabuzzato gli occhi tanto da farli diventare rotondi come due biglie.

“Scusate... Arthur” bisbigliò, ostentatamente piano.

“E questo chi è?” disse il principe, facendo un cenno con la testa verso Mordred che se ne stava per metà nascosto dietro la gamba dello stregone.

“Ehm... è una storia piuttosto divertente” iniziò Merlin. “Voi mi avevate detto di andare disopra e io ci sono andato. Ho conosciuto Mordred, qui, un tipo in gamba, un tipo simpatico. Abbiamo parlato un po' di Henry Potter...”

“Harry” corresse timido il bambino.

“Harry, giusto” riprese a raffica Merlin. “E sapete, una cosa tira l'altra e siamo diventati amici. Guarda caso pare che al nostro Mordred manchi solo l'ultimo libro per completare le avventure di questo famoso mago, e io non l'ho letto, quindi non lo so personalmente, ma pare che sia davvero il più forte di tutti, e...”

Merlin.” La bocca di Arthur aveva preso a mano a mano una piega sempre più storta a segnalare la pazienza che scivolava via, inesorabilmente. “Arriva al punto” ordinò.

“Dovreste proprio regalarglielo voi” disse lento lo stregone, stringendosi nelle spalle con aria di ovvietà.

“Cos-Merlin?!” strepitò il principe. “Che accidenti ti sei messo in testa?”

“Oh, Arthur, andiamo, è solo un bambino che vuole disperatamente leggere un libro ma non può comprarselo perché non gli bastano i soldi.”

“E allora io che c'entro, sentiamo?” disse l'altro, velenoso.

“Non avevate detto di voler imparare qualcosa sui bambini? Mi sembra un buon modo per iniziare.”

“A me sembra un buon modo per viziare” berciò Arthur, incrociando le braccia. “Se non può prenderselo adesso, basterà che torni in futuro in libreria con un suo familiare. È così che si impara la virtù della pazienza.”

“La paz... ah! Ah, ah ah!” scoppiò Merlin, ritrovandosi a dover pulire via una lacrimuccia dagli occhi. “Mi parlate di pazienza, voi? Volete proprio farmi ridere” annaspò.

“Attento a quello che dici” replicò Arthur, il tono decisamente imperioso. “Mi pare che hai più bisogno tu di una lezione che quel ragazzino.”

“Nessuno ha bisogno di una lezione, qui. Non siamo mica cani che vanno addestrati.”

“Ma ragiona, razza di idiota!” vociò Arthur, e diverse teste scattarono all'unisono voltandosi dalla loro parte. “Non sarà un buon insegnamento per il bambino se si vedrà accontentare un suo capriccio in questo modo! Che cosa imparerà, che ci sarà sempre uno sconosciuto pronto ad esaudire senza sforzo i suoi desideri al posto suo?”

“Imparerà ad avere un po' di fiducia nel mondo!” disse Merlin, infervorato. “Capirà che c'è un po' di bene negli altri, in tutti gli altri, e che le cose belle certe volte succedono quando non te lo aspetti, e che aiutare qualcuno solo per il gusto di farlo è...”

L'allarme della libreria si mise improvvisamente a suonare e Merlin, Arthur e tutto il resto delle persone che si trovavano al piano terra di Hatchards si voltarono verso l'ingresso.

Mordred se ne stava con un piede fuori dalla libreria, il suo libro preferito stretto al petto e lo sguardo sconcertato e spaventato. Le braccia di Merlin ricaddero a peso morto lungo i fianchi.

Per due secondi nessuno fece nulla.

“Ecco che cosa ha imparato” disse in fretta Arthur a denti stretti.

Poi volò subito alla porta, Mordred che, come lo vide, fece un passo in più, l'idea della fuga scritta palesemente in faccia. Il principe fu più veloce e afferrò il bambino per la vita, tirandoselo in braccio come fosse stato una piuma. “Non è niente, non è niente” disse ad alta voce, rientrando di corsa. “Siamo insieme, non è niente, è tutto apposto. Scusateci.”

Alcune signore si misero a bisbigliare tra loro, un gruppo di ragazzini rise, un paio di anziani si portarono una mano sul cuore, sospirando per lo spavento. La commessa dietro al bancone, una donna sulla trentina con la bocca rossa e gli occhiali dello stesso colore, si affrettò a spegnere l'allarme. Seccata, rivolse uno sguardo tagliente prima ad Arthur che aveva ancora in braccio Mordred, e poi a Merlin.

Lui guardò a terra. Improvvisamente sentì il desiderio di scavarsi una fossa e restarci dentro per un po' di anni. Ma poi pensò che quello che doveva stare peggio di sicuro era Mordred, quindi con un passo raggiunse Arthur.

Il bambino aveva gli occhi gonfi e rossi puntati di lato e la faccia quasi del tutto seppellita nella spalla del biondo. Merlin gli arruffò i capelli, sospirando. “Non avresti dovuto farlo, lo sai” gli disse, tentando senza successo di incrociare il suo sguardo.

“No che non avrebbe dovuto” disse Arthur, severo. Però aggiunse, più leggero, “di sicuro lo sa anche lui che ha sbagliato. E si è pentito, e ha voglia di giurare che non lo farà mai più. Non è vero, Mordred? Chiedi scusa, su.”

Il bambino mormorò qualcosa con la vocetta roca. Arthur allora fece un giro su se stesso, in modo che Mordred guardasse la commessa in faccia. “Le chiedo scusa, non lo farò più” disse tristemente.

Arthur si voltò di nuovo, regalando alla donna un sorriso decisamente brillante. “Le chiediamo scusa anche noi” disse, piegandosi verso il bancone. “Avremmo dovuto starci più attenti.”

Nonostante tutto, Merlin trattenne una risata. Che razza di stronzetto affascinante. Era riuscito a far arrossire la commessa che ora si stava sistemando nervosamente gli occhiali sul naso. “Awww... ehm... non fa niente, si figuri, sono cose che capitano” farfugliò lei, tra le risatine. “Ci siamo solo presi un piccolo spavento, no?”

“Mi fa il favore di farmi lo scontrino? Grazie ancora per la comprensione, comunque” ammiccò Arthur, la voce tutta uno zucchero.

Merlin vide bene Mordred paralizzarsi sulla spalla di Arthur, colpito dalla consapevolezza che il suo libro preferito stava venendo acquistato.

Lo stregone, per rendersi utile, afferrò la busta di carta con dentro il libro che la commessa gli porse. Quando si girò per fare una battuta che risollevasse il morale di Mordred, però, si accorse che stavolta era stato Arthur a immobilizzarsi sul posto. “Non ci posso credere... quando è arrivato?” stava dicendo stancamente il principe.

Merlin guardò curioso nella direzione nella quale era rivolto Arthur. Non gli sembrava ci fosse niente di strano, a parte... un uomo con un taccuino in mano, che febbrilmente scrutava tutta la zona intorno e poi tornava sempre a squadrare il loro terzetto.

“Chi è?” chiese Merlin, intuendo già che non si trattasse di niente di buono.

“Andiamo via” bisbigliò il principe. “Subito!” In tre rapide falcate uscì da Hatchards, con Merlin che in un primo momento era rimasto fermo ad assimilare la situazione.

Dopo, guardando alternativamente l'uomo sospetto e il punto in cui ormai Arthur non c'era più, gli corse dietro per raggiungerlo. E anche Arthur, appena fuori dalla libreria, aveva iniziato a correre sul serio, Mordred sempre in spalla. “Sbrigati, idiota!” soffiò con una smorfia a Merlin, voltandosi senza fermarsi.

“Asp... aspettate!”

Lo stregone accelerò per arrivare dagli altri due, ma Arthur era velocissimo. Con una grazia piuttosto sorprendente per uno dal fisico piazzato come il suo, si muoveva agilmente tra la folla, scartando i passanti. Merlin invece non faceva altro che pestare piedi, ricevere gomitate e lanciare delle scuse volanti, guardandosi in dietro di tanto in tanto per vedere se erano seguiti come Arthur pareva pensare.

Non vide nulla però, e a un certo punto non vide più nemmeno Arthur davanti a sé. Disorientato, si fermò di botto col fiato corto, portandosi le mani sulla testa. Qualcosa lo afferrò per il colletto della camicia e a Merlin sarebbe venuto colpo, se solo, istintivamente, non avesse riconosciuto la forza di una presa familiare nello strattone. Era stato il principe, infatti, a trascinarlo in un vicolo di una stradina laterale.

Lo stregone emise un lungo sospiro per permettere al suo battito di tornare regolare. Dopo un paio di tentativi riuscì a tirare fuori un “tutto bene?” strozzato rivolto a Mordred.

Il bambino, che ora si era aggrappato al collo di Arthur con tutte e due le braccia, fece segno di sì. Merlin fu sicuro di vedere le sue labbra piegarsi all'insù in minuscolo sorrisino, generato, probabilmente, dall'adrenalina.

“C'era un paparazzo in libreria, l'ho riconosciuto” spiegò Arthur, controllando che non ci fosse nessuno intorno a loro. “Non so da quanto fosse lì e non sono nemmeno sicuro che mi abbia riconosciuto. Ma meglio non rischiare e allontanarci da qui.”

“È davvero necessario? In fondo non è successo niente di così terribile” disse Merlin, guadagnandosi lo schiocco delle dita del principe sulla sua fronte (“Ahi!”).

“Allora sei proprio scemo. A loro non importa che sia successo davvero qualcosa oppure no. Per quanto ne so, vedermi con un ragazzino sconosciuto è più che sufficiente per mettere insieme la storia di un figlio segreto.”

Mordred si agitò visibilmente, tirando su col naso.

“Va tutto bene” disse Arthur, dandogli una pacca sulla schiena. “Ecco, metti questi.”

Merlin stette a guardare mentre il principe faceva le contorsioni per togliersi cappellino e occhiali e li faceva indossare a Mordred. Capì che lo stava facendo per proteggere la sua privacy in caso li avessero fotografati. Certo, sarebbe stato inutile se quell'uomo li avesse già immortalati in uno scatto a tradimento prima, da Hatchards. Tuttavia, Merlin apprezzò molto che Arthur si mettesse a viso scoperto per un bambino che aveva appena conosciuto.

Per la prima volta, l'apprezzò sul serio.

“Dove abiti, Mordred?” chiese Merlin, mentre gli sistemava alla meglio il cappello perché non ci sprofondasse sotto. “Qua vicino?”

“No. Per tornare a casa devo prendere la metropolitana.”

“Tutto solo?” disse, incredulo.

“Vedi, Merlin, pure i bambini, a differenza tua, sanno andare in metro da soli senza problemi” disse Arthur. “Però noi riaccompagniamo Mordred comunque. Tanto dobbiamo fare la stessa strada.”

Merlin annuì; nemmeno lui aveva avuto la minima intenzione di scaricare lì Mordred come un pacchetto e lasciarlo al suo destino. Fu contento che anche il principe la pensasse allo stesso modo. Allungando furtivamente metà faccia oltre l'angolo, si assicurò che non ci fosse tra la gente l'uomo col taccuino. “Via libera” disse, facendo un segno agli altri due. “Di corsa fino a Piccadilly Circus?”

“Cerca di non finire per terra” lo provocò Arthur. Poi si risistemò meglio Mordred in spalla come fosse stato un gattino e partì di nuovo.

Lo stregone cercò di stargli dietro, ma il principe era dannatamente svelto. E poi come mai gli apparivano sempre davanti delle vecchiette che lo facevano rallentare?

All'ennesima colluttazione, Merlin incespicò pure sui piedi di un tedesco formato armadio che lo fulminò con lo sguardo e, quando ripescò Arthur e Mordred, li vide che ridevano apertamente di lui.

Il bambino sembrava così sollevato e sereno, per fortuna doveva averla presa come un gioco. Ma era difficile, in effetti, non prenderla alla leggera quando anche Arthur ogni tanto si guardava in dietro e scoppiava in una risata. I capelli biondi sparati sulla fronte dall'aria, lo sguardo allegro, il sorriso smagliante, sorprendentemente limpido e senza freni, rideva.

E allora anche a Merlin venne da ridere.

 

 

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Arthur scaricò Mordred sui gradini della fontana di Piccadilly Circus, facendo due circonvoluzioni col braccio per sciogliere i muscoli della spalla.

“Non prendiamo direttamente la metro?” disse Merlin a fiato mozzo, indicando l'ingresso che stava poco distante.

“Ora ci andiamo. Prima voglio chiarire una cosa con Mordred” disse Arthur, accucciandosi su uno scalino. Poi si rivolse al bambino, serio. “Mettiti seduto. Facciamo un discorso tra uomini.”

Mordred ubbidì. “Sei il Principe Arthur” affermò sicuro subito dopo, cogliendo alla sprovvista gli altri due.

“Sì” si riprese però il biondo, annuendo. “E tu sei scappato di casa.”

Ma certo. Merlin si diede dello stupido per non averci pensato prima. Era strano che un bambino della sua età se ne andasse in giro da solo e prendesse pure la metro per conto suo, per arrivare in un posto in cui la madre aveva detto che non l'avrebbe riportato tanto presto.

“Oggi non ti sei comportato bene, Mordred” lo ammonì Arthur. E all'improvviso aveva assunto un'autorità che Merlin non gli aveva mai visto prima. Era tutta un'altra cosa rispetto a quando comandava di farsi portare le ciabatte ai piedi del letto.

Sembrava emanare un'aura di affidabilità, ora, come se fosse naturale starlo a sentire, come se fosse giusto fare quello che diceva. Perché tutto quello che usciva dalla sua bocca era vero e solenne, e lui era irreprensibile e parlava per il tuo bene.

Era un altro.

Mordred aveva abbassato la testa vergognosamente, ma quando ammise di aver sbagliato non lo fece con un fil di voce. Era fermo e sicuro, quasi che il carisma irradiato da Arthur avesse raggiunto pure lui e l'avesse contagiato. Un piccolo cavaliere che accettava coraggiosamente la punizione e non voleva svilirsi davanti al suo sovrano.

“Devi promettermi che non lo farai mai più. Intendo sia lo scappare di casa che il tentare di prendere qualcosa senza pagarlo” continuò il principe.

“Lo prometto” mormorò Mordred.

“Potevano finire molto male, tutte e due le tue bravate” rincarò la dose Arthur. “La prossima volta che vuoi qualcosa ma non puoi ottenerla subito, puoi provare a procurartela in un altro modo. Per esempio, con un po' di lavoretti in casa per guadagnarti la paghetta. Ci vorrà un po', ma poi il libro potrai comprartelo da solo.”

Merlin si ritrovò ad annuire. Quello era un buon consiglio, un discorso saggio. Si stupì che a pronunciarlo fosse stato lo stesso Arthur che gli aveva tirato i boxer in faccia.

Tuttavia era troppo presto per fare complimenti al Somaro Reale, che non si smentì nemmeno stavolta. Mentre parlava, infatti, il suo tono scivolò pian piano nel polemico e tutta la regalità di prima svanì in una bolla di sapone. “Comunque non devi aspettarti che arrivi sempre qualcuno a toglierti dai guai” stava dicendo ora a Mordred con pedanteria. “Non è così che funzionano le cose. E se ti avesse avvicinato qualcuno di non raccomandabile? Non puoi fidarti al volo degli sconosciuti. Le soluzioni ai tuoi problemi non cadranno mai più dal cielo, credimi. Stavolta sei stato fortunato, però non ci sarà sempre un principe a tirarti fuori dai guai. Questo libro, tieni, oramai è tuo. Ma spero che quando lo guarderai ricorderai di come te lo sei procurato, e allora...”

“Su, sono sicuro che ha capito” intervenne Merlin, troncando la predica perché anche la fierezza di Mordred stava pericolosamente trasformandosi in un senso di colpa imbarazzato.

“Se non insisto, tutta la faccenda non sarà servita a nulla. Non sarà un buon insegnamento per lui” disse Arthur, pomposo.

Un nervo pulsò visibilmente sulla tempia di Merlin. Ancora con quella storia dell'insegnamento. Le intenzioni di fondo del principe erano buone, ottime anche, ma lui era un po' un ipocrita se pensava di essere nella posizione per dare lezioni agli altri senza riceverne alcuna. “Non credo che sia il caso di esagerare. È solo un bambino, ancora non può rendersi conto completamente di che cosa è giusto o sbagliato” disse, un po' spazientito.

“Se è per questo nemmeno tu” lo attaccò Arthur, scandalizzato. “Ti ricordo che tutta questa storia è iniziata per colpa tua! Se non ti fossi messo in testa di coinvolgermi...”

“Be', nemmeno voi ragionate sempre a mente lucida” gli parlò sopra Merlin. “Vi devo ricordare come ci siamo conosciuti? Non siete stato un esempio di buone maniere, quella volta. Eppure siete adulto, e lo sapete cos'è giusto e cos'è sbagliato.”

Arthur espirò fortissimo, alzando le braccia in aria. “Va bene, va bene, abbiamo tutti qualcosa da imparare” concesse. “Tutti, pure tu...” e sottolineò il tu con una pausa ad effetto, “... e io.”

Merlin si accontentò di quella mezza ammenda. Sapeva che era il massimo che avrebbe ottenuto, e come compromesso non era male. Dopotutto, sapeva che qualche colpa ce l'aveva avuta anche lui... ma se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto esattamente lo stesso.

Non avrebbe mai potuto ignorare la chiamata della voce di Mordred, ed era sicuro che se gli fosse capitato altre mille volte, tutte e mille le volte avrebbe trovato il modo di mandarlo a casa felice col suo libro in mano.

Merlin non avrebbe mai potuto far finta di non sentire qualcuno che lo chiamava. Non l'aveva fatto con Mordred per lo stesso motivo per cui non l'aveva fatto con Arthur; perché non aveva dimenticato nemmeno per un attimo l'idea di trovare il Principe dei Draghi che non sapeva cosa farsene del suo cuore.

“Pronto? Non lo prendi, Merlin?” lo richiamò alla realtà il suddetto principe.

Merlin abbassò lo sguardo e vide che Mordred gli stava allungando un chewing-gum. “Per ringraziarti per quello che hai fatto per me” disse il bambino, limpidamente.

Lo stregone sorrise, un sorriso che somigliava più a una smorfia. Ora, non era che non sapesse cosa fosse una gomma da masticare – aveva visto la gente che le mangiava. Solo, non sapeva come esattamente andassero mangiate e non aveva molta voglia di sperimentare altro, per quel giorno. “Graaaaazie, che bello” disse lo stesso, cercando di non deludere Mordred.

“Ed ora” continuò il bambino, frugando nello zainetto, “un drago... per il principe Pendragon.”

“Mini-Kilgharrah!” esclamò Merlin quando il piccolo estrasse dalla tasca esterna la miniatura del drago.

Arthur guardò prima il giochino, poi Merlin, poi di nuovo la miniatura e infine, con orrore dello stregone, di nuovo Merlin, con un sorriso di scherno ampio quanto tutta la faccia. Addirittura tossì per nascondere una risata. “Grazie Mordred, è molto carino” disse quindi. “E Merlin...”

Lui lo guardò di sottecchi, sicuro di essere un po' arrossito sulla punta delle orecchie. Adesso sarebbe arrivata un'altra frecciatina sulla storia dell'ossessione per il fantasy, e quel che era peggio, stavolta una base di verità c'era.

“Non mangi la tua gomma?” disse invece a sorpresa Arthur. “Mordred ci rimarrà male se non lo farai.”

“Ah...” Non sapendo come comportarsi, Merlin finì col fare la cosa più stupida: si buttò la gomma in bocca e la ingoiò direttamente. Mordred si nascose la faccia con le mani, tentando per rispetto, benedetto il suo cuoricino, di non ridere di lui.

Arthur soffiò divertito, spostandosi i capelli dalla fronte. “C'è proprio qualcosa di fuori dalla norma, in te, Merlin. Non so cos'è, ma ti assicuro che c'è.”

Lo stregone sbatté le palpebre con ostinazione. Come diavolo riusciva Arthur a farlo passare così facilmente per un imbecille?

 

 

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Durante il viaggio di ritorno in metro, Merlin prese al volo Mordred per mano per evitare di perderlo tra la folla. Attraversate con successo le porte e trovato un angolino libero in fondo al vagone, si voltò e vide che Arthur si era messo dietro a Mordred. Le mani grandi sulle sue piccole spalle, gli stava facendo da scudo in modo da evitargli colluttazioni con la gente.

Per una volta in più, in quella giornata Merlin vide la parte di Arthur che lo faceva davvero somigliare a un principe.

Non c'era solo quella facciata; non esisteva solo la marionetta del cavaliere, come non esisteva quella del figlio del cattivo. Però c'era proprio qualcosa che non rientrava negli schemi prefissati che la gente aveva di Arthur. Merlin non avrebbe saputo descrivere bene cos'era... ma di sicuro c'era.

 

 

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“Forse dovrei proprio leggermelo, questo Harry Potter” disse Merlin.

Lui e Arthur stavano rientrando a casa, passando per la stradina esterna che portava alla dependance di Gaius. La brezza si era fatta più pungente; le giornate calde stavano sfumando in un tiepido clima autunnale.

Si poteva vedere che nella serra, in fondo alla strada di sassolini, la porta era stata lasciata aperta. Probabilmente c'era ancora Gaius dentro, intento a sbrigare le ultime faccende. Nell'aria vagavano le note forti del profumo delle rose.

“Pensavo che se un bambino arriva pure a tentare di rubare un libro pur di averlo, vuol dire che muore dalla voglia di leggerlo” disse Merlin, guardando le nuvolette che si coloravano del rosso del tramonto. “Quindi deve valerne la pena, no? Cioè, deve essere una bella saga se fa venire voglia alla gente di leggerla a tutti i costi. Se non...”

Merlin” lo interruppe il principe, guardandolo come se avesse avuto un'illuminazione improvvisa.

“Cosa?”

“Vuoi startene zitto? È tutto il giorno che ho la tua voce che mi ronza nelle orecchie. Onestamente, non ne posso proprio più.”

“Figuratevi io. Comunque... oh, non abbiamo altro da sopportare, per oggi. Sono praticamente arrivato.”

Era vero. Tra una chiacchiera, un'accusa e una frecciata, erano giunti all'ingresso dell'abitazione di Gaius e Merlin nemmeno se n'era reso conto.

“Comunque cosa?” continuò però a incalzarlo il principe. “Cosa stavi dicendo? No, non fare quella faccia. O finisci o ti becchi un pugno. Odio quando la gente inizia un discorso e lo lascia a metà.”

La spruzzata di comportamento infantile fece roteare automaticamente gli occhi dello stregone al cielo. “Niente, dicevo che avevo capito che voi non ci sapeste fare coi bambini. E invece noi siete stato poi così orco” ammise. A un certo punto, anzi, era stato proprio bravo. Ma quello Merlin non gliel'avrebbe detto, o l'ego già enorme di Arthur si sarebbe gonfiato fino a diventare ancora più ingestibile. “Dopo, ovviamente, siete andato in discesa quando avete preso a insistere con la ramanzin-”

“Avevo detto solo che non sapevo bene come tenere un discorso per i bambini, non che non mi ci sapessi relazionare. Quello devi averlo dedotto tu con la tua fantasia galoppante” disse Arthur, tamburellandogli l'indice sulla fronte. Un'altra volta.

“Certo, come no” disse Merlin, schivando gli ultimi colpi. “Non vantatevi tanto, vi è andata bene perché a tutti i bambini piacciono i principi. Be', non a Will, però. Nemmeno quando era piccolo gli piacevano i reali.”

“Chi è Will?” chiese Arthur, rizzandosi di botto. Improvvisamente la sua faccia si trasformò come se avesse appena visto un insetto enorme posarsi sulla sua torta e rovinargli la festa di compleanno.

Merlin iniziò ad armeggiare con la sua copia delle chiavi che gli aveva procurato Gaius, avvicinandosi alla porta. “Will è un amico che vive nel mio stesso paese” disse intanto.

“Un amico campagnolo, quindi” disse acido il principe.

“Direi di sì. Oh, inoltre” fece lo stregone, ignorando il commentino provocatorio e aprendo la porta. “Sentite, mi dispiace” concluse, un mezzo sorriso di scuse.

Arthur parve rimanerci male; le sopracciglia scomparvero sotto la frangia bionda, le labbra si arricciarono confusamente. Forse non se l'aspettava, un'uscita del genere.

Nemmeno Merlin si era aspettato di dirlo. Solo che non sarebbe stato corretto, tenersi per sé delle scuse sincere che aveva sentito maturare dentro di lui. E se perfino Arthur era in grado di scusarsi, be', lui non sarebbe stato da meno. “Con tutta questa storia di Mordred, non avrete nemmeno avuto il tempo di pensare a qualcosa per il vostro discorso” si spiegò. “Ed era per questo che eravate voluto uscire, quindi...”

“Non lo so... forse qualcosa mi è venuto in mente” fece Arthur, incrociando le braccia al petto.

“Davvero? Meglio così. Allora, se non vi dispiace...” disse lo stregone, facendo per entrare in casa.

“Ci credi per davvero a quello che hai detto prima?”

Merlin guardò Arthur; non sapeva a cosa si stesse riferendo, ma doveva trattarsi di qualcosa di serio poiché i suoi lineamenti si erano stranamente induriti in un freddo scetticismo. Lo stava guardando proprio come se Merlin l'avesse in qualche modo voluto prendere in giro, e lui l'avesse smascherato beccandolo in flagrante.

La cosa non gli piacque; Merlin non aveva mai mentito ad Arthur.

Se si escludeva la parte di verità che doveva tacere per forza di cose riguardo al Duello... sì, ma che c'entrava, adesso? Per tutto il resto, non gli mentiva. E non gli piaceva sapere che il principe non lo credesse sincero nei suoi confronti, perché non era vero. “Parlate più chiaramente” gli disse allora, sulla difensiva.

“Eri serio quando da Hatchards parlavamo di Mordred, e tu hai detto che c'è un po' di bene in tutti?”

Ah, era quello allora? Una risata spezzata e sorpresa scappò dalle labbra di Merlin. Certo che gliel'aveva detto seriamente. In tutti gli umani doveva esserci almeno qualcosina di buono. L'aveva capito proprio da poco, per la faccenda degli strati molteplici di cui erano fatti e del cuore con le sfumature e tutto il resto. “Sinceramente, vi dico sempre come la penso, sì” disse, traducendo appena l'oceano dei suoi pensieri in un piccolo fiumiciattolo. E se ne rese conto. E si morse il labbro.

“Vedi il mondo con un paio di lenti rosa davanti agli occhi, Merlin” disse Arthur, la durezza del volto sciolta di colpo in un'espressione serena. Poi si mise le mani sui fianchi, facendo un cenno di saluto per congedarsi.

Già aveva imboccato la strada per la residenza principale quando Merlin gli disse, a voce più alta: “Perché, non c'è forse un po' di bene in tutti gli esseri umani? Non è così?”

Ma come... ! Certo che era così. Ed era stato proprio grazie ad Arthur che Merlin l'aveva capito. Arthur che era arrogante, insopportabile, a tratti superficiale, difficile, scorbutico, incontentabile.

Ma anche buono. Arthur era buono. Un bravo ragazzo, una persona buona.

E se il concetto delle sfumature del cuore di un essere umano l'aveva realizzato Merlin, che non era umano e che aveva l'umanità del tutto estranea a lui per natura, com'era possibile che il principe sembrasse non capire?

Forse... era lo stesso Arthur a non crederci sul serio? Non ci credeva in un cuore buono, non riusciva a immaginarselo?

“Ah, quasi mi dimenticavo!” fece il principe, lanciando, di schiena, qualcosa verso Merlin.

L'oggetto arrivò così velocemente che lo stregone non riuscì nemmeno a inquadrarlo bene e se lo fece rimbalzare da una mano all'altra come una patata bollente.

“Bei riflessi” disse Arthur, sventolando il braccio.

Quello fu il suo saluto definitivo della giornata e Merlin non aggiunse altro; non avrebbe saputo cos'altro dire. In quel momento non gli venne nulla da dire. Aprì solo il palmo della mano destra e si ritrovò la miniatura del drago tra le dita.



 

~

 

 

 

 

Salve miei adorati lettori! Anche questo capitolo è uscito molto lungo, ma, contro ogni mia aspettativa, è stato completato prima del previsto. Spero sia stata una bella sorpresa anche per voi >w<

Oggi voglio dedicare un abbraccio enorme ai recensori, con tanto di bacio sbavoso a coloro che mi avevano fatto l'in bocca al lupo per gli esami la volta scorsa...mi avete portato fortuna <3

Non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo, che, insieme a quello che sarà l'ottavo, è stato uno dei primi a venirmi in mente durante la progettazione della storia.

Ed è stato pure quello più facile da scrivere fino ad ora. Muovere Arthur e Merlin insieme per tutto il tempo è un vero divertimento e un piacere!

Ah, da alcuni commenti che ho letto la volta scorsa ho visto che non vi siete dimenticati di Morgana. Tranquilli, non me ne sono dimenticata nemmeno io (come potrei? xD) ma...Merlin sì, diciamo che adesso come adesso è preso da altri fattori (e come dargli torto *_*).

Tenete d'occhio anche Mini Kilgharrah, lo rivedrete spesso <3 (ovviamente il fatto che Kilgharrah sia un Dorsorugoso di Norvegia è stato inserito come puro omaggio a Harry Potter xD)

Vi lascio con delle immagine di riferimento per Piccadilly Circus e la libreria Hatchards e con l'angolo della colonna sonora. Alla prossima!

 

 

Piccadilly Circus

Hatchards

 

 

Angolino Soundtrack

Generale: Rubik's Cube – Athlete

Merlin e Arthur: You and Me (Faith OST)

Merlin, Arthur e Mordred in fuga: Running Up (Merry Me Mary OST)

 

   
 
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