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Autore: VexDominil    03/10/2013    1 recensioni
Una scelta è sempre una scelta. Anche se presa per le decisioni sbagliate.
Genere: Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Angolo dell'autrice che per una volta dice qualcosa di importante:
Ciao a tutti!
E' importante che leggiate questo prima di tutto il resto.
Questo capitolo presenta un lieve accenno di omosessualità, ma non è nulla di che.
Però io lo dico lo stesso, nel caso qualcuno si venga a lamentare perchè ho offeso la sua sensibilità eccetera.
A me non ha mai dato problemi e spero che non ne dia nemmeno a voi, però ho pensato che fosse meglio mettere le cose in chiaro da subito.
Finita questa parte, una sola domanda, prima dei ringraziamenti e cose varie: come interpretate il sogno di Saverio?
Ok, l'unica "curiosità"sono il drink che è fatto di liquore alla menta e Jack Daniels's.
Spero che continuate a seguire la mia storia e, perchè no, a recensirla.:D
Ringrazio i miei lettori e Acquamarine_ per il suo fantastico lavoro!


Amami, anche se io non ti amo. | Amami, anche se non merito l'amore. | Amami, anche se io non so amare | e amami anche se non esiste l'amore. (La nave dei folli)



La musica le scorreva nelle arterie come il sangue, il ritmo aveva preso il posto del suo battito e le luci lampeggianti le mostravano solo quello che era degno di essere visto, in realtà davvero poco, poiché era tutto sudore, movimenti scomposti e pelle malamente coperta da indecenti indumenti colorati.
Lei si fermò un attimo in mezzo alla pista, respirando con la bocca per il gran caldo e dando un' occhiata veloce al complesso, e per l'ennesima volta si chiese perché fosse andata lì.
Masticò infastidita qualche parola, come "Hillar", "amici" e "calmarsi".
Non si preoccupò di essere sentita ed etichettata come pazza: il frastuono copriva tutto e molti erano già ubriachi, quindi il suo comportamento sarebbe stato visto con un po' di divertimento e basta.
Si diresse verso il bar, decisa a bere qualcosa per sentirsi ancora di più parte di quella massa ondeggiante senza cervello, senza inibizioni e senza passato.
Voleva omologarsi una volta tanto, sapere di non essere giudicata, di essere uguale, di non dover combattere, di non dover scegliere.
Solo una totale mancanza di coscienza di sé. Sorrise amaramente.
Era venuta lì per quello, no?
Distrarsi.
Assaporò la parola sulla lingua: era seducente e insinuava il pensiero di follie che si sarebbero ben presto dimenticate.
E in quel momento riuscì a farcela, a diventare quella che era e aveva sepolto secoli fa. Almeno così le era sembrato, mentre ora era così facile.
Era tutta una questione di testa e di atmosfera. Doveva smettere di combattere, per una notte.
Basta essere la solita preoccupata e ragionevole, largo a quella senza problemi e pronta a divertirsi.
Le scarpe dai tacchi chilometrici che era stata costretta a portare la ostacolarono un po' mentre camminava e le sfiorò il pensiero che ben presto lo avrebbero fatto molto di più, ma fu solo un battito di ciglia.
Non le interessava perché togliersele sarebbe stata forse l'ennesima follia che avrebbe potuto compiere quella sera.
Arrivata finalmente al bancone illuminato da neon azzurrini si specchiò nelle bottiglie costose in bella mostra, cercando di vedere se il trucco le stesse colando. Fortunatamente quello non si era spalmato su tutta la faccia, ma con disappunto notò di essere parecchio pallida e fece una piccola smorfia, placandosi poi con il pensiero che fosse tutta colpa di quell'illuminazione artificiale così orribile.
Da quanto tempo non si preoccupava di queste cose?
Sorrise seducente al barman, un giovanotto aitante dai corti capelli castani e con una maglietta che metteva in risalto la sua massa muscolare.
Lui la guardò di sottecchi e la servì immediatamente, nonostante la calca che cercava di assediare quel piccolo spazio.
Lei cercò di non esultare troppo mentalmente; in fondo era abituata a questi favoritismi, li aveva accantonati solo per un periodo e non avrebbe fatto fatica a giudicarli come sempre dovuti.
Sbatté le palpebre mentre sussurrava, o meglio, ficcava la lingua, direttamente nell'orecchio dell'altro: "Un Jack e Menta, per favore."
Quando finalmente le arrivò il bicchiere, dopo aver seguito con gli occhi tutte le mosse del ragazzo minuziosamente, sospirò appena soddisfatta e lo avvicinò alla tempia solo un attimo, per contrastare quel calore assurdo che invadeva quel posto.
La pelle le brillava appena per il sudore e le luci colorate davano nuovi riflessi ai suoi capelli.
Poi lo svuotò tutto d'un fiato, leccandosi le labbra soddisfatta, compiacendosi delle occhiate sbalordite di tutti quelli che la stavano osservando.
Sorrise maliziosa, forse un po' beota.
"Ora il mio alito sa di fresco. Potrei fare la pubblicità per una gomma da masticare, tanto so di buono."
Posò il bicchiere e ancheggiando si allontanò, compiaciuta di sé, della sua attrattiva.
Poi accadde che qualcuno inciampò e versò il suo cocktail sul suo vestitino nero, scusandosi in seguito mentre ridacchiava ubriaco o strafatto.
Norge, che non era mai stata brilla, smaltì all'istante tutto l'alcol che aveva in corpo e si infuriò contro se stessa, le circostanze e la sua famiglia.
"Perché sono venuta qui? Sul serio, stavolta voglio una ragione plausibile per avere un ombelico al gusto di frutta esotica.
Non posso ingannarmi ancora, non posso fingere di avere quindici anni e di volermi divertire con i miei amici in mezzo a gente che trovo compatibile con il mio stile di vita.
Non è più così, non ho più quella leggerezza o stoltezza, non sono egocentrica e menefreghista a tal punto.
Sono diversa io, sono un'infermiera, non la reginetta della futura malavita.
Non ho motivo per stare qui, tranne un'improvvisa nostalgia dei vecchi tempi, il tentativo di dimostrare a mio fratello di sapermi divertire e il voler dimenticarmi di tutto: non appartengo a questo posto, come in realtà non appartengo alla mia vita attuale e questo mi confonde.
Credevo di sapere come comportarmi, invece con tutta la situazione attuale non capisco nulla.
E una serata in discoteca offerta dai miei vecchi amici contornata con un possibile coma etilico non mi aiuterà affatto."
Strizzandosi un poco il vestito, andò a recuperare i suoi effetti personali e uscì dal quel posto.
L'aria gelida della notte la rinfrescò, come una consolazione, mentre camminava tra una maledizione e l'altra alla ricerca di un taxi.

Saverio si stava decisamente godendo la serata e la compagnia: Françoise era così intelligente ed appassionata nel parlare che adorava ascoltarla.
Aveva un modo di discutere sulle cose che gli piaceva molto: difendeva le sue posizioni, ma non in modo cieco e irrazionale, non lasciando spazio alle idee dell'altro e ad un possibile incontro.
Molto diversa dai malavitosi da cui era circondato; ricordava ancora con un po' di ribrezzo quando, ad una riunione parecchio agitata, un capo aveva esclamato di essere l'unica persona decente in mezzo a un branco di insipidi idioti che non avrebbero saputo dove fosse la furbizia pur avendola fra le gambe. Era stato davvero molto imbarazzante, soprattutto per la rissa che era seguita.
O da lei.
Rivederla dopo tutto questo tempo gli aveva fatto una strana impressione, come sempre.
La odiava, ma allo stesso tempo ne era attratto alla follia.
Sapeva che era solo chimica, non c'era mai stato un sentimento piacevole tra loro e non ci sarebbe mai stato.
Per questo erano stati uno lo sfogo dell'altra, quando Norge aveva sui quindici-sedici anni e lui una ventina.
Si insultavano, litigavano e improvvisamente si trovavano mezzi svestiti attaccati a un muro, se non c'era un'altra superficie disponibile.
Niente coccole, chiacchierate post sesso o baci al di fuori degli amplessi.
Non aveva mai capito quando era cominciato tutto quanto, forse nello stesso istante in cui se l'era trovata davanti seduta sulla sedia di Busco, mentre lo aspettava perché voleva parlargli.
Forse dovevano discutere una sua promozione, anche se era ancora molto lontano da essere il suo braccio destro.
Sorpreso che una ragazzina avesse potuto entrare nel palazzo senza che le guardie la bloccassero e spaventato per questa gravissima falla nella sicurezza, l'aveva raggiunta e le aveva intimato di andarsene.
Lei lo aveva guardato con aria di sufficienza e non gli aveva risposto, ostentando un'aria parecchio snob.
Molto infastidito aveva ripetuto la richiesta, chiedendosi cosa avrebbe detto Busco se fosse entrato in quel momento e avesse visto l'intrusa.
"Perché dovrei andarmene, cosa mi fai se non obbedisco?"
Lo stava provocando di proposito, lo si vedeva dalla luce sconsiderata che le brillava negli occhi e dal sorriso appena accennato.
Lui sapeva di dover stare calmo ma non riusciva a sopportarla, sentendosi anche un po' ridicolo per non riuscire a far valere la sua autorità su una ragazzina.
"Vattene subito, altrimenti ti porto di peso fuori tendendoti per i pantaloni."
La minaccia non era molto realistica, in fondo lei non era propria una bambina di cinque anni e farsi qualche piano di scale con lei urlante, perché di sicuro lo avrebbe fatto, non sarebbe stata una passeggiata.
"Provaci."
La voce stavolta era senza inflessione e la sua espressione era concentrata, lui non sapeva se era un invito o altro.
Ma voleva darle una lezione, solo spaventarla , nulla di che, soprattutto perché aveva messo i piedi sulla scrivania di Busco e lui non poteva sopportarlo: come osava mancare di rispetto a un grande uomo come lui?
Si avventò contro di lei di lato, ma venne colpito sugli zigomi da tutti i suppellettili inutili che addobbavano il tavolo mossi dalle gambe della ragazzina che stava ghignando apertamente.
Non gli aveva fatto molto male, ma lo aveva sorpreso e l'attimo in cui lui si riprendeva lei lo usò per scendere dalla poltrona e mettersi in posizione di combattimento.
Tra un tentato strangolamento, una gomitata e qualche pugno, Busco aveva aperto la porta e aveva trovato Sal che bloccava con forza il braccio dell'altra dietro la schiena mentre lei stava per farlo cadere grazie a una gamba posizionata dietro quella del ragazzo, pronta a staccarla da terra, togliendogli così all'improvviso un sostegno.
La lotta fu interrotta dalla voce divertita di Busco: "Norge! La mia ragazza preferita! Perché non mi hai avvertito di essere già qui? Ti aspettavo, ma credevo saresti arrivata più tardi."
Lei si illuminò tutta quando si accorse di chi fosse entrato e, grazie un po' alla sua esperienza e al fatto che Saverio fosse distratto, si liberò dalla presa e corse ad abbracciare l'uomo: "Zio Tommy!".
Il futuro braccio destro era un po' stupito di questo improvviso cambiamento e stava cercando di capire qualcosa: due secondi prima stava lottando con una ragazzina che ora era la nipote del suo capo?
Per fortuna quest'ultimo dissipò i suoi dubbi.
"Norge, questo con cui ti stavi azzuffando fino a qualche tempo fa è Saverio. E' una persona molto interessante, farà carriera in fretta."
Dall'occhiata che lei gli aveva rivolto non sembrava affatto convinta.
"E questa è la figlia di uno dei miei soci più affidabile. E' un peperino e sarà un ottimo braccio destro, una volta cresciuta."
Tommy sorrise in modo pacioso e fece una specie di ramanzina alla ragazzina, vietandole giocosamente di lottare contro i suoi dipendenti.
"Altrimenti rimango senza." Lo udì sussurrare.
Saverio si irrigidì: odiava ammetterlo, ma quella gli aveva dato del filo da torcere.
"Non sarà molto forte, ma è agile e veloce. Cosa significa che diventerà il secondo di Busco?!"
Quella frase gli aveva lasciato l'amaro in bocca e aveva deciso che le avrebbe messo i bastoni nelle ruote.
Era arrivato fin lì per il potere e non sarebbe stato sorpassato da una che andava ancora a scuola senza lottare nel modo più duro e sporco possibile.
Cosa che avrebbe scoperto decisamente inutile perché, pur facendo dei gran avanzamenti di carriera, non sarebbe mai arrivato a quella posizione se Norge non avesse voluto staccarsi dalla malavita: Tommy non scherzava quando diceva di averglielo riservato.
I due non si erano trovato simpatici e non si sa come riuscivano sempre a trovarsi in posti insoliti per litigare, all'inizio era solo quello.
Con il fatto che poi lui si era fatto amico qualcuno della compagnia della ragazzina si vedevano spessissimo e c'era sempre un clima di aperta ostilità, tanto che ormai i loro amici, appena i due incrociavano lo sguardo, sospiravano, rassegnati a un'altra sfuriata terribile.
Poi una volta era successo che durante una lite, mentre erano soli, per tapparle la bocca una volta per tutte, l'aveva baciata con rabbia e le gli aveva risposto con pari forza, per poi separarsi e correre a casa, perché era in ritardo.
Non era scappata per l'emozione o per la sensazione di stare facendo qualcosa di sbagliato. Lei sapeva di non provare nulla per lui e non vedeva cosa ci fosse di male: aveva solo sedici anni e voleva sperimentare, sbagliando anche.
Lui non la vedeva diversa, forse meglio, senza però era: era di una bellezza particolare già allora, bellicosa e velenosa, pronta a servirsene per ferire. I suoi occhi non erano mai oscurati da qualcosa che fosse diverso dal disprezzo che aveva per lui, anche in mezzo al piacere.
Non era mai morbida, ma tesa e dura, sembrava sempre pronta a staccargli la testa se non l'avesse soddisfatta o se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Si sentiva sotto esame in continuazione, era lei che aveva il potere, anche se odiava ammetterlo e provava a contrastarla.
Non era una ragazzina come tutte le altre, il titolo di reginetta della futura malavita non le era stato attribuito per caso o per scherzo. Avrebbero potuto imparare molto, l'uno dall'altro.
Quando avevano rotto quel rapporto che non era tale, nessuno ne aveva sofferto, si odiavano sempre nella stessa maniera di quando si erano incontrati: erano cresciuti entrambi e, pur non pentendosi, non riuscivano più a condividere nulla, nemmeno quel "gioco" da giovani tigri.
Nonostante non ci fosse nulla fra loro, Saverio sentiva sempre un'attrazione per lei incolmabile, era l'unica in fondo che gli avesse tenuto testa innumerevoli volte, battendolo spesso.
Questo si era trasferito su Hillar, quando lo aveva visto per la prima volta dopo molto da quello che era successo con sua sorella.
Non lo aveva mai incrociato prima, avendo quello studiato all'estero spesso e volentieri e frequentato numerosissime compagnie, a differenza di Norge, fissa sempre con la solita, e quando notò che i fratelli si assomigliavano in una maniera impressionante, quasi gli caddero gli occhi per l'emozione.
Non aveva mai pensato di provare qualcosa del genere, ma il volto così desideroso di piacergli, la sua timidezza così candida e la sua dolcezza che traspariva dalla superficie con la forza di volontà e l'astuzia gli avevano dato la speranza di aver trovato qualcuno simile a Norge che però avrebbe potuto amare.
"Sarebbe più facile farlo."
Questo pensiero lo aveva lasciato spiazzato e aveva cercato di non guardarlo per tutta la sera, pur sapendo di essere al centro della curiosità di Hillar.
Era forse più bello di Norge, con quei capelli biondi perfettamente scomposti dalla mani di un abile parrucchiere, gli occhi così schivi e magnetici, che continuavano a sbirciarlo per poi fuggire lontano per l'imbarazzo, di un azzurro così incantevole da desiderare di rinchiuderlo in una stanza solo per essere l'unico privilegiato a vederlo, di sicuro più adorabile e gentile.
Aveva anche lui i suoi difetti, un sopracciglio più alto dell'altro che gli donava un'espressione perennemente sarcastica e l'apparire piuttosto goffo nei suoi vestiti, che sembravano appartenere ad un altro.
Ma non gli interessava, era affascinato anche da quelli e non riusciva a capire di poter provare queste sensazioni. L'unica cosa certa è che lo trovava bello. Solo questo. Una parola che solo i bambini usano ormai.
Bello. Non figo, affascinante, stupendo. Qualcosa di assolutamente innocente, di quasi magico nella sua unicità.
Era quasi impazzito quando gli aveva offerto una sigaretta e gli aveva chiesto qualcosa sulla sua azienda, non ricordava, non lo aveva ascoltato, desideroso e terrorizzato insieme.
"Ma di cosa?" Questa domanda pigolava sempre più lontana nella sua testa, assediata da ciò che provava.
Era così vicino che aveva potuto sentire addirittura il suo profumo, un misto di paglia e melone, che gli catturò l'olfatto, prima timido, poi spregiudicato .
Era davvero troppo, non poteva seguire il suo naso, non avrebbe mai permesso di mettersi così in ridicolo, e tutta la stanza gli era sembrata troppo stretta e soffocante. Riusciva chiaramente a vedere le spire del profumo di Hillar vorticargli intorno, stringendolo sempre più stretto e tentando di sottometterlo con deliziose promesse di cose sconosciute.
Lui aveva quasi detto sì, completamente inerme di fronte a quel profilo così bello e al sentimento che pareva suscitare dentro di lui. Era completamente impreparato a questo tipo di invasione: Norge era più tipo da sfondamento e il bello era che il fratello sembrava non accorgersi di nulla, così speranzoso con una sigaretta in mano già accesa e il pacchetto pieno nell'altra.
"Cosa vuole da me questo?" La domanda era nata così spontanea da fargli paura, ma la sua natura sospettosa stava venendo alla luce e questa situazione gli sembrava senza via di uscita, oltre che nuova. Non aveva un piano prestabilito e questo lo spaventava.
Tentando di calmarsi, dovevano aver messo qualcosa nel cibo, ne era certo, aveva rifiutato l'offerta e ne aveva presa una dal taschino, poiché nell'altra poteva esserci qualcosa di strano e non voleva rischiare.
O forse non voleva correre il pericolo di uno sfioramento casuale.
Quella famiglia gli faceva uno strano effetto, lo intossicava.
Ma doveva smettere di pensare in modo così strano e rispondere qualcosa di sensato, cancellando tutte le emozioni che stava provando.
Non voleva desiderarlo, anche solo per conoscerlo meglio, non voleva avere nessun rapporto con lui.
In realtà aveva una paura folla: Hillar, più della sorella, lo aveva quasi stregato e non poteva permetterselo.
La sua integrità stava andando a pezzi, non riusciva a controllarsi.
Aveva risposto qualcosa di sgarbato, cercando di non incrociare il suo sguardo, altrimenti sarebbe stata la fine: si sarebbe perso in quel mare immenso.
Quando l'altro si era allontanato ferito, lui aveva avuto l'impulso di avvicinarlo un'altra volta per svelare la sua menzogna e il suo tormento interiore, ma si era fermato, schifato di sé: era così debole?
Non era il problema di provare qualcosa per un altro uomo, praticamente a Egris si diceva che non potevi essere pienamente risvegliato sessualmente se non avevi mai sentito qualcosa del genere per il tuo stesso sesso, ma il fatto di provare una sensazione così totalizzante e assolutamente pura, estranea alla sua normale gamma emotiva.
Se con Norge l'unico desiderio era di passare una bella oretta in esercizi ginnici, perché era quello alla fine, con Hillar erano molti di più e troppo strani per lui, come guardarlo dormire alla luce del mattino, mentre un raggio di sole entrava appena dalla finestra, o sorridergli ricambiato, sorprendendosi sempre per l'aura di perfetta felicità che lo avvolgeva sempre.
Nulla di che, ma troppo da ragazzina alla prima cotta imbottita di troppi film romantici.
Non gli piaceva la situazione, non conosceva la soluzione a questo ed era un altro problema. Si sentiva intrappolato in una massa di fili e credeva di muoversi in essa come un orso con i pattini su un lago ghiacciato.
"Una frana, insomma."
Nei giorni seguenti aveva cercato di non pensarci, di continuare come sempre, ma i sogni lo avevano tormentato per almeno tre settimane da quell'incontro.
Era sempre lo stesso e lo lasciavano stranito e un po' impaurito.
Si trovava in un letto e una figura dai capelli dorati gli dormiva di fianco, girata di spalle, coperta dalle lenzuola.
Lentamente si girava, come se si fosse appena svegliata e riconosceva il viso di Hillar, che gli sorrideva placidamente soddisfatto, trattenendosi appena dallo sbadigliare, e gli dava il buongiorno.
Lui non riusciva a crederci, troppo sorpreso e felice, e cercava di ricordarsi cosa potesse essere successo la sera prima, ma ecco che notava, grazie ai movimenti dell'altro che avevano spostato la stoffa che lo copriva, che aveva un corpo da donna e non di una qualsiasi: quello di Norge.
Lo riconosceva, l'aveva visto mille volte.
A quel punto una grande ansia e paura si impossessavano di lui e si svegliava madido di sudore e boccheggiante, cercando di ignorare la vistosa erezione.
Era tutto così vivido e, pur sapendo come sarebbe andata a finire ogni volta, si illudeva che il lenzuolo non nascondesse quel mostruoso ermafrodito incestuoso.
"Mi andrebbe bene anche se ci fosse Norge o uno sconosciuto, ma non quella cosa. E' tremenda."
Ogni volta che il pensiero si faceva più insistente, scuoteva la testa e rabbrividiva: non voleva doversene preoccupare anche nella realtà.
Finalmente, all'improvviso, il sogno smise.
Ne sentì quasi la mancanza, solo per la prima parte, però.
Era stupito anche di questo cambiamento improvviso: lui non stava con Hillar e la sua vita non era affatto diversa da prima.
Rinunciò a ragionarci sopra.
Sapeva di avere allontanato da sé Hillar per quell'idiozia che non ricordava nemmeno di aver detto e aveva notato l'odio che all'improvviso sembrava nutrire per lui.
Non gli risparmiava le battutine, i confronti e le ironie, come se fosse stato troppo stupido per capire.
Avrebbe dovuto capire che si trattava solo di una specie di ripicca infantile, ma era troppo concentrato a cercare la sua chioma bionda tra la folla e a nascondersi ogni volta che la vedeva vicina.
Hillar non sopportava di aver nutrito così tante speranze in qualcuno che poi l'avesse deluso profondamente come lui.
Voleva solo un mentore, era mentalmente pronto a ricevere qualche critica, ma non la condanna a morte che poi non era mai stata effettuata. Voleva essere il suo discepolo, ma l'altro lo aveva spregiato troppo per desiderarlo ancora come fratello maggiore così bramato. La rabbia lo aveva cambiato, portando alla luce il suo lato più cattivo, desideroso di ferirlo e di scavargli la fossa.
Saverio aveva preso atto della situazione senza scavare più a fondo e, trovandosi forse più a suo agio, aveva ricambiato tutti i dispetti molto allegramente.
Non era proprio odio quello che provava lui, ma quando iniziò la competizione tra i due, si appassionò febbrilmente per impressionarlo, non sapendo che l'altro stava facendo lo stesso inconsciamente: quanto lui studiava per fare bella figura, tanto Hillar si divertiva con cani e porci ovunque.
Gli faceva male questa distanza inseparabile, ma non vedeva come poterla colmare.
Parlare faccia a faccia era fuori questione, non ci pensava nemmeno, e, in fondo, quel baraccone era un modo per stare in contatto.
Ormai la faccenda era troppo avanti e aveva perso la speranza di poter sistemare le cose.
Aveva iniziato a odiare la famiglia Susi, perché nessuno di loro voleva lui come braccio destro di Busco, non lo sopportavano, soprattutto il padre.
Sal aveva sempre sospettato che quello sapesse qualcosa di Norge e lui, da come lo guardava sprezzante, o forse era solo snob e non riusciva a concepire come Tommy si potesse fidare di uno come lui, venuto dal nulla.
Questo sentimento si sparse su tutta la famiglia, su Norge c'era già in abbondanza, ma su Hillar era qualcosa più simile a una gelosia rabbiosa, a un desiderio marcito.
Era un "Perché non mi saluti? Perché mi attacchi in continuazione? Perché ti butti via? Perché non posso stringerti e ridarti tutta la dolcezza che hai perso per questa rabbia?"
Si era rassegnato alla situazione e continuava la sua vita tranquillo, perdendo un battito ad ogni persona bionda che incrociava.
Infine aveva preso ad odiarlo indifferentemente da tutti gli altri componenti della sua famiglia, scordandosi qualsiasi cosa che non fosse la sua debolezza davanti a lui.
Amava vederlo fallire, in una sorte di gara idiota che non aveva senso di esistere, e si illudeva sempre che lui fosse peggiore nell'assolvere i suoi compiti.
Non sapeva che in realtà, facendo così, attirava su di sè l'attenzione di Hillar, anche se in modo negativo, e che questo cercare di essere il primo era un modo per dimostrare le sue qualità e la sua forza.
Poi aveva incontrato Françoise e lei non lo odiava, almeno lui sperava così.
Lei era diversa, così scura da rendere l'aria intorno a sé più brillante.
Lei era seduta lì di fronte, che parlava e gesticolava, piena di passione e allegria.
Saverio si godette il momento con un sorriso sulle labbra.

Temi aveva cercato di ignorare quel biglietto che sembrava bruciarle nella tasca dei pantaloni, ma la sua coscienza le aveva ordinato di aprirlo e di fare quello che c'era scritto.
Probabilmente faceva così perchè l'aveva palesamente ignorata al momento dell'accordo con Raza.
"Che coscienza suscettibile. In teoria non dovrei nemmeno più averla, con il fatto di essere passata al lato oscuro. Eppure è sempre lì a tormentarmi, a ricordarmi gli sbagli e le piccolezze. Non riesco mai a passare oltre a qualsiasi cosa."
Cercava di sdrammatizzare mentre si sentiva morire per l'ansia e la paura di venire scoperta da Hillar in qualche modo.
Non sapeva perchè, visto che era solo il suo guardiano al soldo di Busco e non erano davvero amici, anche se lo stava dimenticando.
Si sentiva un po' in colpa ad abusare della sua ospitalità e non le piaceva nascondergli qualcosa, ma non poteva andare da lui e dire semplicemente: "Ti ho mentito, Raza ed io abbiamo un patto, ma non è nulla di che, tranquillo. Dovrò solo fare quello che vuole lui poi mi darà il nome del mio quasi stupratore. Come ho già affermato, è tutto molto calmo."
Fece una smorfia al pensiero di una scena del genere; di certo lui le avrebbe puntato almeno una pistola alla fronte se avesse scoperto la questione.
"E me lo meriterei davvero. Sto confondendo la giustizia con la vendetta? Sono così spregevole da accettare qualunque cosa pur di guardare in faccia un'altra volta l'aggressore? E' una curiosità malsana?" Strinse le labbra, cercando di capire.
Il problema era che lei non si riconosceva più: un giorno era la normale Temi, che odiava la malavita e la teneva lontana da sè, quello dopo era la ragazza-fattorino del capo dei capi.
Cos'era cambiato? Quando? Cosa doveva fare ora?
La specializzanda non lo sapeva, ma aveva deciso di aprire quel maledetto foglietto di carta.
Non aveva dubbi che fosse di Raza: in controluce aveva visto alcune lettere e lo aveva trovato subito, mentre cercava qualcosa in una tasca.
In più lei non era ragazza da ricevere misteriosi biglietti da anonimi.
"Sono proprio messa bene: l'unico che mi degna di un po' di attenzione è Ebneye Raza! Ho pescato davvero bene!"
In fondo lei non voleva qualcuno che la obbligasse a vestirsi bene e che le parlasse tutto il tempo delle sue occupazioni: per quello c'era Hillar, che la criticava e la riempiva di chiacchiere abbastanza.
Le mani le tramavano leggermente mentre nel bagno dell'ospedale dove si era appartata apriva il messaggio che già da subito le aveva causato dei guai: da quando l'aveva ricevuto, ossia il giorno prima, era diventata intollerante, poco paziente e schiva. Ne avevano fatto le spese un po' tutti e lei si odiava per non potersi controllare dal ferire gli altri. Non le piaceva affatto che Raza avesse tutto quel potere sul suo comportamento, si sentiva ancora di più nella tela di un ragno, pronta per essere inghiottita.
Riusciva quasi a sentire i fili appiccicaticci stringerle la pelle, senza lasciarle vie di scampo.
Rabbrividì e si arrabbiò di nuovo con se stessa: la sua mente stava facendo di tutto per evitarle lo spiacevole momento che sarebbe di certo arrivato alla lettura del testo e se avesse continuato così ci sarebbe stata tutto il giorno in bagno!
Stizzita aprì gli occhi e si sforzò di leggere le parole, ma appena il cervello recepì il messaggio, si fecero confuse e un gemito strozzato le uscì dalla gola, mentre si accasciava sulla porta del bagno.
Fissò il soffitto senza vederlo per indeterminabili secondi con la bocca aperta, cercando di fare mente locale su cosa le veniva chiesto, ma l'unica cosa che le appariva chiara nella sua testa era che sarebbe stato un suicidio, solo quello. Un suicidio.
"E' impossibile, come farò mai?"
Ma non poteva ribellarsi. O forse non voleva?
Avrebbe risolto la questione più tardi.
Era ancora sotto schock quando buttò il tanto temuto oggetto a sciogliersi nel water e tirò l'acqua, tornando a lavorare in automatico, come un androide.
Non aveva bisogna di nulla per ricordarsi quello che avrebbe dovuto fare.
"Riporta Norge nella malavita."
  
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