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Autore: DarknessIBecame    03/10/2013    3 recensioni
"Non c’era nessuno che sarebbe arrivato a salvarla, perché non era utile a nessuno in quel momento.
Nessuno le chiedeva di rimanere lì e salvare la sua vita; per questo decise di tentare il tutto per tutto da sola, come sempre da quando aveva perso i genitori. Se l’era sempre cavata, escogitando geniali stratagemmi per tirarsi fuori dai guai con le sue sole forze. Certo, i guai di cui parlava erano proporzionati alla tediosa vita da tecnica informatica, ma ogni volta si ripeteva che SE avesse voluto, SE avesse ceduto, SE avesse accettato, ora sarebbe a New York con ben diverso incarico.
Un altro dei piccoli segreti che Felicity Smoak teneva nel cuore, celati ai più, probabilmente a tutti anzi, tranne che a se stessa."
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due.

Aveva avuto ragione anche quella volta: non sarebbe stato facile scappare dallo sguardo vigile ed attento di John, ma fare leva sul suo senso di colpa per evitare di parlare troppo e di svelare ciò che aveva in mente era stato facile.
Dopo una settimana non c’era stata alcuna notizia sul loro datore di lavoro, lei aveva cominciato a guarire e Mr Diggle era passato a trovarla ancora.
Fortunatamente si era fatta la doccia, sistemata, aveva provato ad uscire e poi aveva deciso di rimanere a casa, quando la andò a trovare la prima volta.
Facendolo entrare, lui aveva notato il suo zoppicare ed aveva alzato un sopracciglio, sospettoso.
Lei aveva stretto i denti cercando di non dar troppo a vedere quanto facesse male e dove fosse di preciso la ferita, ben coperta da shorts e pantaloni spessi della tuta.
Tanto faceva freddo in casa sua e lei non riusciva a curarsene.

Non aveva smesso totalmente di mangiare. Semplicemente, non ne sentiva il bisogno.
Lavorava incessantemente da sola, giorno e notte, senza dormire quanto davvero le servisse e sapeva che questo cominciava a vedersi sul suo volto, nel fisico che a malapena riempiva gli abiti e nel volto pallido e segnato da pesanti ombre.
Un po’ si sentiva come Mr Queen, in quei giorni; rimetteva a posto la sua “Arrow Caverna” ed apportava miglioramenti. Teneva il suo segreto e cercava l’unica persona che ora fosse più importante di quella lista nel libretto che l’aveva portata nel baratro in cui viveva al momento: per chi fosse importante poi, non se ne curava. Aveva una missione ormai, cercare Oliver Queen, riportarlo nel mondo dei vivi e poi andarsene da lì, il più in fretta possibile, senza voltarsi indietro. Ci vollero 3 mesi e mezzo perché riuscisse a sistemare il seminterrato, senza l’aiuto di Diggle.
Certo, lui aveva già fatto ripulire e sistemare ogni centimetro del Verdant e del loro nascondiglio, ma lei aveva rimontato ogni pezzo di mobilio, sistemato con precisione ogni freccia e ricucito alla perfezione il suo costume da vigilante.
Avere uno scopo tutto suo le ridava vita e, seppure sapesse di essere cambiata nel profondo, non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che se la sua innocenza doveva finire così, se in questo modo doveva aprire gli occhi sul mondo, forse c’era qualcos’altro di meglio ad aspettarla.
Quando questa Felicity speranzosa faceva capolino, lei la ributtava giù, in fondo al suo cuore gelido, sapendo che ne avrebbe avuto bisogno per continuare a respirare e riscaldare il suo corpo nelle notti fredde di quei mesi.

Ci vollero ancora 2 mesi prima che riuscisse a scoprire la posizione del nascondiglio di Oliver Queen.
Non aveva smesso di lavorare un attimo, non aveva parlato con nessuno; aveva cominciato a frequentare una palestra ed aveva ripreso a mangiare, sperando che le forze tornassero per il viaggio imminente che l’aspettava, insieme a John.
L’ex militare aveva cercato di riavvicinarsi, ma quello che c’era tra loro ormai si era rotto.
Lei si costringeva a sorridere, a parlare con la gente, era tornata a lavoro ed aveva accettato l’invito del suo amico dottore più di una volta per una cena fuori, che aveva portato ad un paio di notti tra le lenzuola ed altrettante mattine di imbarazzo, prima di capire che non sarebbe andata tra loro.
Non c’era più entusiasmo o affetto rimasto in lei, nei suoi giorni, nella sua routine.
Tutto si riduceva all’incessante lavoro che portò finalmente i suoi frutti in una notte di fine estate.
Chiamò immediatamente Mr Diggle, si diedero appuntamento sotto casa sua e lei, con la sua borsa già pronta per quella precisa evenienza, non lo fece attendere.

Ci vollero 3 giorni di voli e ritardi, un altro ancora di jeep per raggiungere la giunga in cui si nascondeva Oliver ed un volo su una liana insieme a suddetto, stupido, uomo, per riportarlo indietro.
Non incrociò il suo sguardo, non seriamente, neanche una volta da quando l’aveva rivisto a tirare con l’arco, distruggendo il povero tronco di un albero innocente.
Avrebbe dovuto aspettarsi, dal disastro che c’era lì intorno, che più di quanto pensassero fosse capitato in quel luogo; solo quando lui la prese per la vita ripetendo “tieniti stretta a me” capì che qualcuno era di nuovo alle calcagna del Queen dell’isola, facendola volare in mezzo a quel folto ed afoso paesaggio.
Il problema che entrambi gli uomini notarono, era nascosto in cosa Felicity non faceva, più che in quel che faceva.
Parlare, ad esempio. Blaterare, per la precisione.
Ogni tanto, nei mesi precedenti, le era capitato di farlo al lavoro, ma non con loro due lì: si era trattenuta ed era stata il più formale possibile e, se la stretta di Queen l’aveva fatta arrossire più del dovuto, non l’aveva dato a vedere.
Era stato lui in effetti a tenerla stretta; lei gli aveva gettato le braccia al collo solo per dare una parvenza di paura, di cura per la propria persona. Non aveva rivolto il viso verso di lui, non aveva affondato il naso nella sua spalla come quella volta nell’ascensore: semplicemente aveva guardato in  basso, lontano dall’esplosione, sperando che non le scivolassero gli occhiali dal naso.
Non aveva pensato a portarne un paio di ricambio e l’umidità lì le avrebbe impedito di mettere le lenti.

Anche il viaggio di ritorno era passato in silenzio.
Non riusciva più a contare quante volte avesse sentito uno sguardo o l’altro su di sé, mentre lei lavorava al suo tablet e lasciava che gli altri due avessero silenziose conversazioni sopra la sua testa.
Non le interessava, sinceramente.
Stava acquistando un biglietto e ripassando mentalmente tutte le cose che poteva aver lasciato fuori dalla valigia: non appena terminata la ricostruzione del sotterraneo, aveva fatto i bagagli ed ora erano nascosti nell’armadio, dove John non potesse trovarli a vista e lei potesse continuare a metterci dentro le cose che man mano non le saprebbero più servite a Starling City.
Quando decise che c’era tutto quello che doveva possedere, alzò uno sguardo sicuro ed un sorriso pieno  di soddisfazione ma freddo sugli altri due, giusto qualche secondo prima di atterrare.
Scappò quasi subito dopo dalla loro presa immaginaria, dichiarando di avere un appuntamento importante, mentre invece doveva solo pianificare il resto dei suoi 5 giorni lì.

Li aveva rivisti solo un’altra volta, così come da programma.
Una volta alla Queen Consolidated, durante un meeting programmato con una signora che sembrava più una signora del male che una tranquilla donna d’affari col fiuto per le aziende con l’acqua alla gola.
C’erano stati vetri rotti, altri voli attaccata ad Oliver, altri vetri rotti e la riapertura della sua ferita alla coscia per colpa di un taglio dovuto a quegli stessi vetri, ma tutto era passato in un attimo, perché poco dopo c’era stato il ritorno alla “Caverna”, per cui si era battuta.
Poteva sembrare che gliene importasse davvero, di loro, di lui, della città… da qualche parte dentro di lei era ancora così, ma la scorza molto più dura che la circondava le diceva solo di farla finita presto e di uscire da lì.
Li guidò con un passo sicuro, sui suoi tacchi scuri e alti, pensando a quando avrebbe potuto cambiare finalmente colore e tornare al suo rosso scuro naturale. Nessuno lo sapeva ma quello era l’unico segreto che Oliver custodiva per lei, e solo in parte.
Non voleva più dare così tanto nell’occhio, come sotto le nuove luci magistralmente posizionate che mostravano il nuovo e migliorato rifugio del vigilante.
Solo per un attimo si permise di incrociare gli sguardi di John ed Oliver, lasciandosi prendere dall’orgoglio per il suo lavoro, ma proprio quando sentì qualcosa della vecchia lei tornare in superficie, la superficialità della sua presenza lì si fece sentire nelle parole del miliardario, che già rimetteva attenzione su di sé, prima di dire grazie.
Gli aveva lasciato un biglietto nel taschino della giacca, lasciata appesa all’entrata, proprio prima di filare in ritirata su per le scale.
Aveva i tacchi in mano e non si era girata neanche un attimo a guardarli discutere e progettare e lasciarla indietro.
No, questa volta era lei che li lasciava indietro e non poteva farne a meno.
Le poche parole vergate sul biglietto immacolato furono uno shock per Oliver, non tanto per Diggle che aveva aspettato una cosa del genere dalla prima volta in cui l’aveva rivista dopo il disastro.
Non l’aveva fermata solo perché… perché sapeva che l’unico a cui avrebbe dato retta sarebbe stato l’uomo che gli stava di fronte, un biglietto di carta stritolato nella mano destra ed il respiro accelerato.

Addio, ad entrambi.

I'm back! Non ci speravate più, lo so. Perdonatemi, ma sono stata un po' impegnata, un po' male ed un po' non volevo disturbare la mia adorata beta per questo chap.
Volevo pubblicarlo, perché presto spero ci sarà un'altra cosina a tenervi occupati e...niente.
Grazie mille per tutte le recensioni lasciate ad ogni storia, non sapete quanto ci tenga e quanto siano tutte importanti per me.

Baci
Dark/Vevve
   
 
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