Capitolo
due.
Aveva avuto ragione anche quella
volta: non sarebbe stato
facile scappare dallo sguardo vigile ed attento di John, ma fare leva
sul suo
senso di colpa per evitare di parlare troppo e di svelare
ciò che aveva in
mente era stato facile.
Dopo una settimana non c’era stata alcuna notizia sul loro
datore di lavoro,
lei aveva cominciato a guarire e Mr Diggle era passato a trovarla
ancora.
Fortunatamente si era fatta la doccia, sistemata, aveva provato ad
uscire e poi
aveva deciso di rimanere a casa, quando la andò a trovare la
prima volta.
Facendolo entrare, lui aveva notato il suo zoppicare ed aveva alzato un
sopracciglio, sospettoso.
Lei aveva stretto i denti cercando di non dar troppo a vedere quanto
facesse
male e dove fosse di preciso la ferita, ben coperta da shorts e
pantaloni
spessi della tuta.
Tanto faceva freddo in casa sua e lei non riusciva a curarsene.
Non
aveva smesso totalmente di mangiare. Semplicemente, non ne sentiva il
bisogno.
Lavorava incessantemente da sola, giorno e notte, senza dormire quanto
davvero
le servisse e sapeva che questo cominciava a vedersi sul suo volto, nel
fisico
che a malapena riempiva gli abiti e nel volto pallido e segnato da
pesanti
ombre.
Un po’ si sentiva come Mr Queen, in quei giorni; rimetteva a
posto la sua
“Arrow Caverna” ed apportava miglioramenti. Teneva
il suo segreto e cercava
l’unica persona che ora fosse più importante di
quella lista nel libretto che
l’aveva portata nel baratro in cui viveva al momento: per chi
fosse importante
poi, non se ne curava. Aveva una missione ormai, cercare Oliver Queen,
riportarlo nel mondo dei vivi e poi andarsene da lì, il
più in fretta
possibile, senza voltarsi indietro. Ci vollero 3 mesi e mezzo
perché riuscisse
a sistemare il seminterrato, senza l’aiuto di Diggle.
Certo, lui aveva già fatto ripulire e sistemare ogni
centimetro del Verdant e
del loro nascondiglio, ma lei aveva rimontato ogni pezzo di mobilio,
sistemato
con precisione ogni freccia e ricucito alla perfezione il suo costume
da
vigilante.
Avere uno scopo tutto suo le ridava vita e, seppure sapesse di essere
cambiata
nel profondo, non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che
se la sua
innocenza doveva finire così, se in questo modo doveva
aprire gli occhi sul
mondo, forse c’era qualcos’altro di meglio ad
aspettarla.
Quando questa Felicity speranzosa faceva capolino, lei la ributtava
giù, in
fondo al suo cuore gelido, sapendo che ne avrebbe avuto bisogno per
continuare
a respirare e riscaldare il suo corpo nelle notti fredde di quei mesi.
Ci
vollero ancora 2 mesi prima che riuscisse a scoprire la posizione del
nascondiglio di Oliver Queen.
Non aveva smesso di lavorare un attimo, non aveva parlato con nessuno;
aveva
cominciato a frequentare una palestra ed aveva ripreso a mangiare,
sperando che
le forze tornassero per il viaggio imminente che l’aspettava,
insieme a John.
L’ex militare aveva cercato di riavvicinarsi, ma quello che
c’era tra loro
ormai si era rotto.
Lei si costringeva a sorridere, a parlare con la gente, era tornata a
lavoro ed
aveva accettato l’invito del suo amico dottore più
di una volta per una cena
fuori, che aveva portato ad un paio di notti tra le lenzuola ed
altrettante
mattine di imbarazzo, prima di capire che non sarebbe andata tra loro.
Non c’era più entusiasmo o affetto rimasto in lei,
nei suoi giorni, nella sua
routine.
Tutto si riduceva all’incessante lavoro che portò
finalmente i suoi frutti in
una notte di fine estate.
Chiamò immediatamente Mr Diggle, si diedero appuntamento
sotto casa sua e lei,
con la sua borsa già pronta per quella precisa evenienza,
non lo fece
attendere.
Ci
vollero 3 giorni di voli e
ritardi, un altro ancora di jeep per raggiungere la giunga in cui si
nascondeva
Oliver ed un volo su una liana insieme a suddetto, stupido, uomo, per
riportarlo indietro.
Non incrociò il suo sguardo, non seriamente, neanche una
volta da quando
l’aveva rivisto a tirare con l’arco, distruggendo
il povero tronco di un albero
innocente.
Avrebbe dovuto aspettarsi, dal disastro che c’era
lì intorno, che più di quanto
pensassero fosse capitato in quel luogo; solo quando lui la prese per
la vita
ripetendo “tieniti stretta a me” capì
che qualcuno era di nuovo alle calcagna
del Queen dell’isola, facendola volare in mezzo a quel folto
ed afoso
paesaggio.
Il problema che entrambi gli uomini notarono, era nascosto in cosa
Felicity non
faceva, più che in quel che faceva.
Parlare, ad esempio. Blaterare, per la precisione.
Ogni tanto, nei mesi precedenti, le era capitato di farlo al lavoro, ma
non con
loro due lì: si era trattenuta ed era stata il
più formale possibile e, se la
stretta di Queen l’aveva fatta arrossire più del
dovuto, non l’aveva dato a
vedere.
Era stato lui in effetti a tenerla stretta; lei gli aveva gettato le
braccia al
collo solo per dare una parvenza di paura, di cura per la propria
persona. Non
aveva rivolto il viso verso di lui, non aveva affondato il naso nella
sua
spalla come quella volta nell’ascensore: semplicemente aveva
guardato in basso,
lontano dall’esplosione, sperando che
non le scivolassero gli occhiali dal naso.
Non aveva pensato a portarne un paio di ricambio e
l’umidità lì le avrebbe
impedito di mettere le lenti.
Anche il
viaggio di ritorno era passato in silenzio.
Non riusciva più a contare quante volte avesse sentito uno
sguardo o l’altro su
di sé, mentre lei lavorava al suo tablet e lasciava che gli
altri due avessero
silenziose conversazioni sopra la sua testa.
Non le interessava, sinceramente.
Stava acquistando un biglietto e ripassando mentalmente tutte le cose
che
poteva aver lasciato fuori dalla valigia: non appena terminata la
ricostruzione
del sotterraneo, aveva fatto i bagagli ed ora erano nascosti
nell’armadio, dove
John non potesse trovarli a vista e lei potesse continuare a metterci
dentro le
cose che man mano non le saprebbero più servite a Starling
City.
Quando decise che c’era tutto quello che doveva possedere,
alzò uno sguardo
sicuro ed un sorriso pieno di
soddisfazione ma freddo sugli altri due, giusto qualche secondo prima
di
atterrare.
Scappò quasi subito dopo dalla loro presa immaginaria,
dichiarando di avere un
appuntamento importante, mentre invece doveva solo pianificare il resto
dei
suoi 5 giorni lì.
Li aveva rivisti solo
un’altra volta, così come da
programma.
Una volta alla Queen Consolidated, durante un meeting programmato con
una
signora che sembrava più una signora del male che una
tranquilla donna d’affari
col fiuto per le aziende con l’acqua alla gola.
C’erano stati vetri rotti, altri voli attaccata ad Oliver,
altri vetri rotti e
la riapertura della sua ferita alla coscia per colpa di un taglio
dovuto a
quegli stessi vetri, ma tutto era passato in un attimo,
perché poco dopo c’era
stato il ritorno alla “Caverna”, per cui si era
battuta.
Poteva sembrare che gliene importasse davvero, di loro, di lui, della
città… da
qualche parte dentro di lei era ancora così, ma la scorza
molto più dura che la
circondava le diceva solo di farla finita presto e di uscire da
lì.
Li guidò con un passo sicuro, sui suoi tacchi scuri e alti,
pensando a quando
avrebbe potuto cambiare finalmente colore e tornare al suo rosso scuro
naturale. Nessuno lo sapeva ma quello era l’unico segreto che
Oliver custodiva
per lei, e solo in parte.
Non voleva più dare così tanto
nell’occhio, come sotto le nuove luci
magistralmente posizionate che mostravano il nuovo e migliorato rifugio
del
vigilante.
Solo per un attimo si permise di incrociare gli sguardi di John ed
Oliver,
lasciandosi prendere dall’orgoglio per il suo lavoro, ma
proprio quando sentì
qualcosa della vecchia lei tornare in superficie, la
superficialità della sua
presenza lì si fece sentire nelle parole del miliardario,
che già rimetteva
attenzione su di sé, prima di dire grazie.
Gli aveva lasciato un biglietto nel taschino della giacca, lasciata
appesa
all’entrata, proprio prima di filare in ritirata su per le
scale.
Aveva i tacchi in mano e non si era girata neanche un attimo a
guardarli
discutere e progettare e lasciarla indietro.
No, questa volta era lei che li lasciava indietro e non poteva farne a
meno.
Le poche parole vergate sul biglietto immacolato furono uno shock per
Oliver,
non tanto per Diggle che aveva aspettato una cosa del genere dalla
prima volta
in cui l’aveva rivista dopo il disastro.
Non l’aveva fermata solo perché…
perché sapeva che l’unico a cui avrebbe dato
retta sarebbe stato l’uomo che gli stava di fronte, un
biglietto di carta
stritolato nella mano destra ed il respiro accelerato.
Addio, ad entrambi.
I'm back! Non ci speravate più, lo so. Perdonatemi, ma sono stata un po' impegnata, un po' male ed un po' non volevo disturbare la mia adorata beta per questo chap.Volevo pubblicarlo, perché presto spero ci sarà un'altra cosina a tenervi occupati e...niente.
Grazie mille per tutte le recensioni lasciate ad ogni storia, non sapete quanto ci tenga e quanto siano tutte importanti per me.
Baci
Dark/Vevve