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Autore: DarknessIBecame    16/09/2013    5 recensioni
"Non c’era nessuno che sarebbe arrivato a salvarla, perché non era utile a nessuno in quel momento.
Nessuno le chiedeva di rimanere lì e salvare la sua vita; per questo decise di tentare il tutto per tutto da sola, come sempre da quando aveva perso i genitori. Se l’era sempre cavata, escogitando geniali stratagemmi per tirarsi fuori dai guai con le sue sole forze. Certo, i guai di cui parlava erano proporzionati alla tediosa vita da tecnica informatica, ma ogni volta si ripeteva che SE avesse voluto, SE avesse ceduto, SE avesse accettato, ora sarebbe a New York con ben diverso incarico.
Un altro dei piccoli segreti che Felicity Smoak teneva nel cuore, celati ai più, probabilmente a tutti anzi, tranne che a se stessa."
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nelle ore successive al terremoto peggiore mai accaduto a Starling City, era rimasta sola.
Sola e abbandonata in uno scantinato di cui nessuno sapeva l’esistenza o almeno, di cui nessuno sapeva l’esistenza con lei dentro. Aveva pianto, si era nascosta sotto alla scrivania, aveva riportato alla mente tutte le nozioni che poteva ricordarsi sui terremoti (anche se questo era tutt’altro che una catastrofe naturale) ed aveva contato i secondi, i minuti, fin quando tutto le smise di vibrare intorno.
Da quando aveva cominciato a lavorare con il Vigilante, si era trovata diverse volte in situazioni di pericolo; questa non era da meno ovviamente, ma qualcosa era cambiato. Qui non c’era nessun nemico da prendere, non c’era scopo nel suo rimanere in quel luogo, se non finire sotto una delle travi che sicuramente sarebbero cadute a breve.
Quindi non c’era nessuno che sarebbe arrivato a salvarla, perché non era utile a nessuno in quel momento.
Nessuno le chiedeva di rimanere lì e salvare la sua vita; per questo decise di tentare il tutto per tutto da sola, come sempre da quando aveva perso i genitori. Se l’era sempre cavata, escogitando geniali stratagemmi per tirarsi fuori dai guai con le sue sole forze. Certo, i guai di cui parlava erano proporzionati alla tediosa vita da tecnica informatica, ma ogni volta si ripeteva che SE avesse voluto, SE avesse ceduto, SE avesse accettato, ora sarebbe a New York con ben diverso incarico.
Un altro dei piccoli segreti che Felicity Smoak teneva nel cuore, celati ai più, probabilmente a tutti anzi, tranne che a se stessa.
Sospirando, quando aveva capito che le scosse di assestamento si erano placate, sbirciò da sotto la sua posizione coperta e vide un percorso ad ostacoli che avrebbe dovuto superare se avesse voluto uscire e respirare di nuovo dell’aria pura.
Non si chiese neanche dove fossero Mr Queen e Mr Diggle, sapeva solo di dover uscire da lì in fretta e che probabilmente loro due stavano facendo qualcosa di eroico. Oppure erano già al sicuro nelle loro case, con qualcuno accanto che li amava incondizionatamente.
Non si fermò a pensare all’invidia che scorse nelle sue vene, a come era tornata alla formalità con cui aveva pensato ai loro nomi. Tutto quello che aveva pensato, mentre il suo sangue bagnava il pavimento pieno di vetri e calce - ironia dell’ironia, una delle frecce dell’Incappucciato le si era conficcata nella carne della coscia mentre cercava di strisciare sotto un pesante pilone che da un momento all’altro avrebbe potuto caderle sulla schiena, lasciandola paralizzata come minimo – era che se avesse stretto i denti ancora un po’, sarebbe riuscita ad uscire da quella trappola segreta, lasciando indietro quella vita.
Non poteva sbagliarsi di più, lo sapeva.
Ma Felicity Smoak non era una che si dava facilmente per vinta e l’avrebbe spuntata anche quella volta: ci fossero voluti mesi, ma ce l’avrebbe fatta.

 
La prima telefonata arrivò a casa 15 ore dopo.
Sospirando, aveva lasciato che la sua tazza fumante di tè si freddasse sul tavolino ed aveva afferrato il cordless, rispondendo con stanchezza.
La sorpresa nel sentire che il Detective Lance si volesse accertare della sua salute, l’aveva colpita nel profondo. Ringraziandolo, sentì il cuore riscaldarsi giusto un po’, dopo il gelo di quelle 17 ore.
17 ore dall’ultima volta in cui uno dei suoi due guardiani si fosse preoccupato di chiedere dove fosse, o come stesse.
Per la verità, aveva lasciato cellulare e tablet – e computer distrutti – nel sotterraneo. Una vibrante dichiarazione di non voler essere cercata. Quindi forse la colpa era sua, ma no…entrambi i due uomini erano testardi e si preoccupavano per lei, no?
Quando 24 ore totali passarono, portando più e più telefonate al suo numero fisso, capì che forse si era sbagliata prima, ma che aveva avuto ragione da quando era tornata alla sua macchina.
La tecnica bionda non era poi così importante, per il Team dell’Incappucciato.
Sorrise amara nella tazza del tè, preparandosi all’inevitabile.

Un suo amico medico era passato, giusto il tempo di controllare le sue ferite.
L’aveva chiamata per accertarsi che stesse bene, lui viveva in una delle città confinanti e l’avevano richiamato al lavoro insieme ad altri volontari, negli ospedali di Starling City.
Aveva sentito la voce dell’amica tremare ed era corso lì qualche ora prima, guardandola con occhi stupiti per la ferita più grave che avesse mai visto sul di lei.
Palmi di mani e piedi graffiati, pieni di vetri, quello sì. Ginocchia con lo stesso problema, guance segnate da solchi, un bernoccolo al lato della tempia dove aveva sbattuto contro la scrivania quando una seconda scossa di assestamento aveva colpito l’area…ci potevano stare.
Ma lei non aveva risposto alla domanda “dov’eri ieri sera” e neanche a quella silenziosa sul perché avesse una ferita da taglio così profonda sulla coscia, una che non avrebbe assolutamente dovuto essere lì, se i calcoli di lui erano esatti.
La noiosa, tranquilla Felicity con una ferita da arma sulla gamba?
Era semplicemente impossibile.
Lo sguardo preoccupato dell’amico però non riuscì a farla sentire grata.

Stava ancora fissando lo stesso punto di quando quel fantasma dal passato era arrivato e aveva fatto la sua comparsa, nel momento in cui suonarono alla porta.
Ci mise un po’ a riprendersi, i pungi che battevano contro il legno chiuso a doppia mandata facevano tanto rumore che per un attimo pensò di sognare, o che quei colpi non fossero rivolti al suo appartamento.
“Felicity, lo so che sei lì dentro, apri! Ho visto la tua macchina di sotto!”
Immediatamente sentì la bile salire il condotto esofageo e fare prepotentemente pressione in gola, ma si bloccò dal vomitare sul suo divano e si mise in piedi, una coperta avvolta attentamente attorno al corpo per non mostrare alcuno dei suoi traumi ed il respiro da tenere sotto controllo mentre rispondeva a John Diggle, il primo dei due che veniva a trovarla dopo due giorni di silenzio totale.
“Sto arrivando, scusa…dormivo.”
Bugia, urlavano la sua mente ed il suo corpo, ma come altro avrebbe spiegato all’uomo il suo stato?
Era un bravo osservatore, il suo impiego lo richiedeva.
Fece scivolare i lucchetti via dalla porta e la aprì leggermente, impedendogli di guardare dentro a causa del suo corpicino appoggiato allo stipite. Non poteva permettergli di sapere che era rimasta ferita nel tentare di uscire da LI’, quindi doveva rimanere immobile e col peso sulla gamba sana.
“Non mi fai entrare?”
“No.”
“Oh.”
“Sì?”
“ Stai bene?”
“Ovviamente. Qualche graffio che un amico ha sistemato, tutto qua.”
Digg aveva visibilmente trasalito alle sue parole ed era sicura che avevano colpito nel segno. A lei non interessava minimamente, ma sapeva che era sempre lui “l’amico” che curava le sue ferite e quelle di Oliver. Sicuramente sapere che qualcuno aveva dovuto farlo al posto suo lo stava facendo sentire in colpa.
Eppure qualcuno poteva incolpare lei, per non sentire assolutamente niente di fronte a quella reazione?
Rimase semplicemente in silenzio, trattenendo l’espressione di dolore per la gamba via dal suo volto e sostituendola con pura e semplice noia. Fastidio, se avesse dovuto scommettere.
“Quindi…?”
“Cosa?”
“Cosa sei venuto a fare, scusa? Se volevi sapere come stavo, potevi semplicemente chiamare.”
“Hai lasciato tablet e cellulare sotto al Verdant, Felicity.”
“Va bene. Ora non preoccuparti, torna da Carly e da tuo nipote. Mi farò sentire quando avrò riposato ancora un po’.”
“Oliver se n’è andato…è scomparso.”
Se c’era stata scintilla di vita nei suoi occhi in quei due giorni, sicuramente era stato in quel secondo.
Ma, se leggeva bene l’espressione di Mr Diggle, era durata ben poco nei suoi occhi.
“Ok, allora ci risentiremo se avrai sue notizie in qualche giorno, va bene? Se tra una settimana non sarai riuscito a trovarlo, fammelo sapere. Ti aiuterò io. Per ora sono solo molto stanca. Buon proseguimento.”
Senza neanche dargli la possibilità di ribattere, gli aveva chiuso lentamente la porta in faccia, salutandolo con un cenno del capo e quello che credeva essere un sorriso stanco.
Semplicemente però, non aveva capito che John le stava dando del tempo per digerire la cosa, divorato dalla colpa di aver dimenticato Felicity per 48 ore intere, abbandonandola quando probabilmente lei era l’unica a non avere nessuno su cui potersi abbandonare.


Ecco. Io ci ho provato. Mi volete davvero tanto male ora? Spero proprio di no. Non so cos’altro dire se non…fatemi sapere se fa davvero tanto schifo, posso sempre lasciarla così com’è e concluderla qui. Altrimenti, vedrò di completare i 3 capitoli mancanti alla fine della storia il prima possibile.
Appena li avrò finiti andrò avanti col secondo, così da potervi assicurare almeno un chap a settimana.
Al solito, questa è per la mia Ainwen, ma stavolta la dedico anche a GirlOnFire, che mi segue sempre e si impegna a recensire tutte le mie cavolate. Siete magnifiche. <3
Un bacio
Dark/Vevve
   
 
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