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Autore: Pacopatrone96    03/10/2013    0 recensioni
Con questo capitolo ha inizio tutto, da questo capitolo si svolgeranno le trame di tutto il racconto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sogno di tutti noi era sempre stato l'interrail, girare in lungo e in largo per l'Europa in treno, bicicletta, o anche semplicemente a piedi,  in autostop, come bagaglio solo uno zaino grosso di quelli pratici da montagna e pochi euro in tasca.

Eravamo un gruppo di adolescenti decisamente ben assortito e affiatato, ci conoscevamo da sempre, da quando ci eravamo ritrovati nella stessa classe alle elementari. Da allora, poi, non ci eravamo mai più lasciati, nemmeno quando alle medie alcuni di noi erano stati divisi non c'era stato assolutamente nessun cambiamento, prima e dopo la scuola ci vedevamo per studiare, guardare un film o anche semplicemente far nulla, l'importante era stare insieme. A volte ci davamo persino appuntamento durante la scuola, rigorosamente nei bagni, per raccontare l'uno all'altro le proprie conquiste amorose e le proprie avventure, che per la maggior parte consistevano in sciocchezze, piccoli baci ai margini di qualche pomeriggio al parco, ma che per quei tempi erano fatti degni della cronaca mondiale, che nessun altro avrebbe mai potuto capire, nessuno eccetto noi.

Alla meglio, andando avanti solo con il tempo rubato alla scuola e con le serate in pizzeria, eravamo arrivati al liceo; certo le distanze si erano acuite notevolmente, noi stessi eravamo profondamente cambiati, in quell'età in cui tutto in una persona matura, dall'aspetto fisico alla consapevolezza psicologica, ma noi avevamo resistito, come sempre più tenaci e affiatati che mai.

Forse era stato anche per merito dell'idea che venne in mente a Giovanni, il mio migliore amico.

Un pomeriggio ci trovavamo tutti, io, Giovanni, Lucrezia, Giada, Sofia, Matteo e Davide, nel nostro solito bar, dove da tempo immemore trascorrevamo ogni santo pomeriggio, chi a studiare e chi semplicemente per uscire di casa e non dover sopportare il clima insopportabile che aleggiava perennemente in casa per gli occhi e le orecchie di un adolescente, specialmente in quel periodo. All'improvviso Giovanni alzò la testa dalla tazzina di caffè che aveva appena svuotato in un sorso e disse “ Andiamo fuori ragazzi, mi fumo una sigaretta e intanto vi dico una cosa”.

A quel punto, tutti visibilmente incuriositi ci alzammo, lasciando i pochi spiccioli del conto sul tavolino del bar.

Giunti fuori io mi accesi una sigaretta, estraendola con cura dal pacchetto di Camel e mi rivolsi a seguire le parole di Gio, che nel frattempo stava fumando pure lui quelle insopportabili sigarette girate con il suo tabacco personale, che emanavano un fastidioso odore dolciastro molto simile al cioccolato.

“ Non avete come l'impressione che ormai questo bar ci stia stretto? Ci siamo da una vita e per sempre farà parte della nostra esistenza, della nostra famiglia, ma secondo me abbiamo bisogno di uno spazio tutto nostro.”

“ Vai avanti” incalzò Sofia, la più acuta e intelligente di tutti noi.

“ Parlo di un posto in cui solo noi possiamo andare, e di cui solo noi abbiamo le chiavi. Siamo una bellissima compagnia, ora ci serve la ciliegina sulla torta, una casa, uno spazio tutto nostro. Un posto dove a qualunque ora del giorno e della notte ognuno di noi sappia che ci può trovare un amico. Uno spazio di libero sfogo e di libera espressione, di autoformazione e informazione, dove si possano organizzare le attività che preferiamo.”

Come si nota dal suo linguaggio, ma anche dal modo di porsi e di fare, Giovanni era un comunista convinto, andava sempre in giro con lo stesso eskimo marrone ormai diventato beige, un po' logoro, ma che faceva tanto anni 70, fumava sigarette che lui stesso girava dal suo pacchetto di tabacco, per spendere meno e non fare intascare troppi soldi alle “merde” come le chiamava lui, al governo. Pensava che tutti gli uomini fossero esattamente identici, stessi diritti, stessi doveri, insomma in tutto e per tutto uguali. Tuttavia veniva visto dalla maggior parte delle persone, eccetto noi naturalmente, come una “zecca comunista”, un approfittatore, sporco solo per via dei dreadlock che portava annodati sulle spalle, un tossico soltanto per la quantità di orecchini e piercing che portava, un ribelle incosciente per le magliette rivoluzionarie. Era forse la sua una colpa? Io pensavo di no, e continuo tutt'ora a pensarlo. Avevo un profondo rispetto verso quel ragazzone alto e moro, con occhi profondi e penetranti di un verde pallido quasi grigio, pensavo che nella sua testa si aggirassero miriadi e miriadi di idee, che spesso nemmeno lui riusciva ad esprimere ed ordinare, ma che gli conferivano quell'aria da confuso e sperduto intellettuale che ne fece il mio migliore amico. Lo adoravo.

Io a quel punto dovetti apparire visibilmente emozionato, perché tutti si voltarono immediatamente verso di me.

“Cazzo è un idea fantastica! Avete idea di come sarebbe bello ? Potremmo arredarla come più ci piace, mangiare bere e fumare nel nostro posto, sarebbe un po' come una seconda casa! Quest'idea mi piace un sacco.”

Solo Paolo, il più taciturno e realista, che stava sempre con i piedi per terra, sembrava rabbuiato e non aveva ancora né cambiato espressione sul volto né proferito parola.

“ Paolo tutto a posto? Non ti sei neanche mosso...”

“ Avete idea di quanto costi una cosa del genere ? Non lasciatevi trasportare dall'entusiasmo, anche a me piace l'idea, certo, ma è molto difficile da realizzare. Frigorifero ? Mobili ? Vivande ? Affitto ? La gente non riesce ad andare avanti con questa cazzo di crisi e noi pensiamo a costruirci una “tana”? Io non la vedo così rosea”.

“Eh dai Paolo” stavolta era Giada a parlare “ Non rompere un po i coglioni, ognuno di noi bene o male qualche euro lo ha da parte e poi tutti lavoriamo part-time oltre la scuola, con un po' di sacrificio da parte di ognuno vedrete che ci riusciremo, non preoccupatevi”

“ Boh, io non sono comunque ottimista” continuò imperterrito Paolo, ma a quel punto tutti lo tacquero, chi con frasi d'incoraggiamento, chi semplicemente mandandolo a quel paese.

“ Io conosco una persona, il cugino di Stefano, lo conoscete ?” iniziai io.

“ Quel ragazzo con i dread che abita nel vicolo vicino alla pizzeria d'asporto ?” chiese rapida Sofia.

“ Si proprio lui” “ Ah si ci sono stata una volta, ma niente di che, un pivelletto con le manie di sinistra”. Non c'era persona in tutto il paese con la quale Sofia non avesse mai parlato o per lo meno avuto a che fare, anche indirettamente. Era un po' gli occhi e la voce della nostra compagnia, arrivava sempre per prima sulle cose, merito della sua intelligenza acuta e della sua grande astuzia. Era una ragazzetta bassa e molto magra, gli occhiali quadrati e grandi che indossava le facevano sparire il viso magro, ma di una bellezza raggiante, d'altri tempi, nel quale spiccavano gli occhi azzurri accesi. Aveva i capelli rasati da un lato, come va di moda oggi, mentre sull'altro lato ricadeva un ampio ciuffo di capelli biondi tinti, non l'avevo mai vista senza i suoi orecchini di legno, che indossava di giorno e di notte, senza mai toglierli, e aveva le braccia sempre coperte da decine e decine di braccialetti, che provenivano da tutto il mondo. Quel suo cinismo con gli uomini e la sua aria altezzosa sempre un gradino sopra gli altri non la rendevano granchè simpatica, ma noi tutti la amavamo, essendoci cresciuti insieme, ci avevamo fatto il callo insomma. Nessuno riusciva a starle lontano, era come una calamita attira persone, quel suo fascino da principessa delle fiabe con l'anima macchiata da notti insonni e un vizio per l'alcool totalmente estraneo ai canoni esteriori che dettava alla vista, non permetteva a nessuno di passare oltre.

“ Ecco proprio lui cercava qualcuno che prendesse in affitto il suo garage”

“ Sai in che condizioni é ?”

“ Ovviamente no, ma mi ha lasciato il suo numero, se mi date l'ok lo contatto subito appena posso”

Tutti mi fecero un cenno di assenso, ognuno alla propria maniera, anche Paolo sembrava decisamente più convinto, fatto che mi faceva ben sperare riguardo al nostro progetto appena nato.

Giunto a casa telefonai subito a Mattia, il cugino di Stefano, un mio vecchio amico, che si mostrò immediatamente disponibile e mi fissò un appuntamento per vedere il garage il giorno dopo nel pomeriggio. Comunicai subito tramite Facebook la notizia agli altri, con l'accordo di vederci l'indomani nella piazza principale del paese, per poi andare tutti insieme al sopralluogo.

  
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